Evangelos Marinakis, luci e (tante) ombre del Berlusconi greco che vuole prendersi il Monza

Mister Evangelos Marinakis potrebbe arrivare in Italia e nessuno sembra farci caso. Lo shopping straniero di club italiani si è andato incrementando di mese in mese, ormai le proprietà estere dei club della nostra Serie A si apprestano a sopravanzare quelle nazionali, sicché il fatto che ne arrivi una dalla Grecia può sembrare soltanto un ulteriore tocco d’esotico. E invece bisognerebbe guardare con più attenzione al personaggio. Perché si tratta di un soggetto che intrattiene col mondo del calcio un rapporto sui generis: ha costruito un sistema di potere nel calcio greco che rimane tuttora inattaccabile, è alleato di tutti i super agenti in circolazione, è riuscito persino a venir fuori pressoché indenne da uno scandalo di match fixing che ha coinvolto il suo Olympiacos Pireo. E adesso ha deciso di crearsi un sistema di multiproprietà calcistica che guarda alle principali leghe europee. Per questo ha dapprima scelto di acquisire il glorioso Nottingham Forest, portandolo in Premier league dopo anni di seconda divisione, e adesso punta alla Serie A guardando al Monza, che la famiglia Berlusconi è pronta a mettere in vendita dopo la morte di Silvio.

Evangelos Marinakis, luci e (tante) ombre del Berlusconi greco che vuole prendersi il Monza
Silvio Berlusconi e Adriano Galliani (Imagoeconomica).

Magnate dei media coinvolto in politica: vi ricorda qualcuno?

Come da stereotipo dei magnati greci che investono nel mondo dello sport, Marinakis è un armatore. E giusto per proseguire nel solco degli stereotipi, è anche un magnate dei media oltreché direttamente coinvolto in politica (consigliere comunale al Pireo, da indipendente). Elementi, questi ultimi, che facilmente lo collocano nel profilo degli oligarchi che hanno colonizzato il calcio europeo con l’avvio del nuovo secolo. Inoltre, a spianargli il cammino è stato anche il fatto di appartenere a una dinastia ottimamente radicata nell’economia nazionale, col padre Miltiadis che ha consolidato un impero economico oltre a essere stato deputato del partito conservatore Nuova democrazia.

Evangelos Marinakis, luci e (tante) ombre del Berlusconi greco che vuole prendersi il Monza
Evangelos Marinakis in tribuna a guardare il suo Nottingham Forest. (Getty)

Sbaragliata la concorrenza delle rivali Aek e Panathinaikos

In questo contesto familiare il giovane Evangelos cresce respirando un’atmosfera fortemente intrisa dal connubio fra potere e denaro. E dopo essersi laureato a Londra in International Business Administration inizia a prendersi il proprio spazio. Lo fa innovando il sistema di potere costruito da Miltiadis. E in questo senso adotta la ricetta berlusconiana, trasformata nel frattempo in un copyright e esportata in giro per l’Europa: investire nel settore dei media e nel calcio. Due campi nei quali è possibile costruire un’immagine pubblica edificante e acquisire vasto consenso. Nel campo mediatico Marinakis ha fondato due quotidiani (To Vima e To Mea) e una stazione televisiva (Mega Channel). In campo calcistico, ha acquisito l’Olympiacos Pireo nel 2010 inaugurando una fase nella quale la squadra biancorossa ha sbaragliato la concorrenza delle rivali storiche Aek Atene e Panathinaikos.

Evangelos Marinakis, luci e (tante) ombre del Berlusconi greco che vuole prendersi il Monza
Evangelos Marinakis allo stadio durante una partita dell’Olympiacos in Europa league (Getty).

È presidente della lega greca e vicepresidente della federazione

Dal 2010 al 2022 la squadra biancorossa vince 10 campionati nazionali su 13. Lo fa perché è nettamente la più forte, ma anche perché dà proprio l’idea di essere intoccabile. Uno status che deriva anche dall’ascesa di Marinakis nella mappa del potere calcistico. L’armatore arriva a essere infatti, in entrambi i casi per due mandati, presidente della lega professionistica greca e vicepresidente della federazione. E il fatto che un magnate dai così vasti (e impegnativi) interessi trovi tempo da dedicare a due cariche politiche in ambito calcistico dà la misura dell’importanza che il calcio ha per il personaggio: uno strumento di potere per agire in una vasta zona grigia d’intersezione fra politica, economia e affari.

Le inchieste: traffico di droga e presunta corruzione

Ma il fatto che Marinakis venga percepito come un intoccabile è determinato dall’esplosione di vicende giudiziarie che fanno molto scalpore sia in patria che all’estero. Una di queste riguarda una storia di traffico di droga condotto attraverso la nave Noor One. Marinakis è stato coinvolto ma ne è uscito pulito. Va aggiunto che molti dei soggetti cui sarebbe toccato testimoniare sulla vicenda sono morti ammazzati, ma ovviamente si tratta di coincidenze. Una vicenda certamente meno grave sotto il profilo penale ma egualmente inquietante è una vasta manovra di presunte corruzioni calcistiche della quale l’Olympiacos sarebbe stato al centro. Anche in questo caso Marinakis ne è uscito pulito. Anche perché in sede Uefa l’inchiesta ha trovato un’attenzione un po’ discontinua. Ciò è avvenuto nel periodo finale della presidenza di Michel Platini, quando il segretario generale della confederazione calcistica si chiamava Gianni Infantino.

Marinakis fa affari con tutti e continuerebbe a farli a Monza. In certi casi non è soltanto calciomercato: sono relazioni di potere

Dopo lo stravolgimento che mette fuori gioco sia Joseph Blatter sia Platini e spiana a Infantino la strada verso la presidenza della Fifa, il ruolo chiave di segretario generale dell’Uefa viene assunto da Theodore Theodoridis. Che di Infantino era vice da segretario generale e che nella confederazione calcistica europea conta quanto e forse più del presidente Aleksander Ćeferin. Soprattutto, Theodore è figlio di Savvas, ex portiere nonché ex dirigente dell’Olympiacos. Nei giorni in cui lo scandalo sulle accuse di match fixing rivolte all’Olympiacos era nel pieno del clamore, Theodoridis padre chiedeva pubblicamente di non coinvolgere Theodoridis figlio nella vicenda, per non compromettere la nomina a segretario generale Uefa. Ma c’è da credere che nulla e nessuno avrebbe fermato la nomina. Che adesso permette a Marinakis di contare su una sponda solida all’interno della confederazione europea. E sponde ancora più solide vengono trovate presso la categoria dei super agenti, i monopolisti del calciomercato globale che con l’Olympiacos fanno affari tutti quanti. Marinakis era grande amico di Mino Raiola e continua a esserlo di Jorge Mendes, così come di Stellar Group e di Rogon, senza disdegnare i rapporti con Pini Zahavi e Fali Ramadani. Marinakis fa affari con tutti e continuerebbe a farli a Monza. In certi casi non è soltanto calciomercato: sono relazioni di potere.

Aida all’Arena, tra show trash in tv e ostensione della Loren

Visto da lontano, l’ingresso della Diva è parso il solito parapiglia in cui guardie del corpo, accompagnatori illustri (della politica e non) e ammiratori urlanti si mescolano in un pernicioso corpo a corpo, nella fattispecie lungo una trentina di metri, quanto dista l’ingresso principale dell’Arena di Verona dalle prime file di platea. Non a caso, la foto simbolo dell’evento nell’evento a proposito dell’inaugurazione del Festival lirico n. 100 nell’anfiteatro romano di Verona è quella (pubblicata in prima pagina dal Corriere del Veneto) in cui si vede Sophia Loren per mano al figlio, accolta dal ministro Gennaro Sangiuliano, mentre sulla destra il suo sottosegretario, il veronese Gianmarco Mazzi, sta col telefonino all’orecchio come un bodyguard che parla con la centrale operativa perché gli auricolari non gli funzionano più.

L'Aida all'Arena, tra show trash in tv e l'ostensione della Loren
Sangiuliano, Sophia Loren e Mazzi (da Raiplay).

L’ostensione della Sophia nazionale è stata il clou dello show di Rai1

L’acclamata ostensione della Loren – madrina dell’inaugurazione – è stata il clou dello show su Rai1 condotto da Milly Carlucci con cui si è aperta la lunga diretta della rappresentazione di Aida, finalmente in un nuovo allestimento per l’Arena. Indicativo il parterre dei soliti noti – al di là della massiccia presenza di alte cariche dello Stato (Mattarella aveva declinato, ma c’erano i numeri due e tre, La Russa e l’enfant du pays Fontana), con ministri sufficienti per allestire una squadra di basket e sottosegretari in sorte. In platea c’erano Lino Banfi e Orietta Berti, Jerry Calà e Iva Zanicchi, Signorini e Amadeus, Morgan e Beatrice Venezi. E a colorare di trash il tutto, non mancavano le divette dei social e/o dei reality, più o meno vestite. A contornare Carlucci, un Luca Zingaretti molto compreso nel recitare la trama di quel che si sarebbero visto e sentito e un Alberto Angela che l’ha presa alla lontana, mettendosi a parlare di quel che c’era al posto dell’Arena 150 milioni di anni fa. E ciascuno pensi quel che vuole del fatto che appena ha smesso – e sembrava finalmente giunto il momento dello spettacolo – è cominciata una peraltro breve pioggerella che ha fatto incrociare le dita alla sovrintendente Cecilia Gasdia e messo tutti in allarme. In precedenza, il secondo clou dopo la Loren era stato il passaggio a bassa quota delle Frecce Tricolori, con i colori dei loro fumi rispecchiati nelle tuniche bianche rosse e verdi del coro mandato in scena a cantare l’Inno di Mameli. Almeno in quel momento, è cessata la musica di contorno dagli altoparlanti. Prima, riconosciuta quella di Morricone da Nuovo Cinema Paradiso per l’ingresso dell’attrice che farà 89 anni a settembre e che notoriamente nel film di Tornatore non c’è, ma il titolo è suggestivo. Non riconosciuta – il cronista ne fa ammenda – quella che ha accompagnato, si fa per dire, il rombo delle Frecce.

L'Aida all'Arena, tra show trash in tv e l'ostensione della Loren
Ignazio La Russa all’Arena (da Raiplay).

Le istruzioni per gli invitati hanno trasformato l’Arena in uno studio tv

Fuori categoria il volantino consegnato all’ingresso al pubblico, intitolato Amare l’Arena, destinato “a tutti gli invitati dell’Arena” e firmato “Noi della Fondazione Arena”. Vi si leggevano dettagliate istruzioni di comportamento durante la sfilata della Loren, a partire dalla prescrizione di alzarsi in piedi ma senza fare rumore con le sedie. E frasi come questa: «È importante sostenere lo spettacolo con applausi nei momenti appropriati fino alla fine e anche un po’ oltre. Sarete sempre sotto l’occhio di venti telecamere (di cui tre aeree) pensate per enfatizzare la vostra partecipazione […] Verona e la mondovisione hanno bisogno del vostro calore, dei vostri applausi, delle vostre standing ovation da mostrare al pubblico internazionale». Istruzioni di rara goffaggine per trasformare l’Arena in un immenso studio televisivo a cielo aperto, cosa alla quale del resto è assomigliata moltissimo fino a quando non è cominciata la musica, quella per cui si era lì. Solo un passo prima di fare apparire la scritta “Applausi” sugli schermi led posizionati in alto ai lati del palcoscenico. Ma alla prossima diretta tv probabilmente ci sarà qualcuno che ci penserà.

L'Aida all'Arena, tra show trash in tv e l'ostensione della Loren
Il volantino con le istruzioni distribuito prima dell’Aida.

Un’esecuzione di media qualità con i divi Netrebko-Eyvazov poco efficaci

Quanto al risultato di tutto questo circo televisivo costruito intorno alla povera Aida, i dati Auditel avranno raffreddato qualche entusiasmo preventivo. Spettatori 1 milione 798 mila, oltre 200 mila in meno di quelli che hanno seguito la semifinale dell’Isola dei famosi su Canale 5, programma con il quale lo show areniano (Verdi escluso, beninteso) era in diretta concorrenza. Molto meno della media delle inaugurazioni di stagione in diretta dalla Scala, che viaggiano sopra i 2 milioni. E che a parte qualche chiacchiera fastidiosa, mai finora hanno ceduto a queste forme di spettacolarizzazione. Forse è vero che la classe non è acqua, anche se le idee sono quel che sono. Sullo spettacolo che è seguito, bastano poche parole: scenicamente ambizioso nel suo simbolismo astratto, ma irrisolto e poco verdiano nella sua costruzione per immagini che prescinde dalla drammaturgia musicale; musicalmente di media qualità, con un’evidente miglioramento nel corso dell’esecuzione; vocalmente altrettanto, con i divi Netrebko-Eyvazov (Aida e Radames) apprezzabili nella linea di canto, molto meno nell’efficacia attoriale, impietosamente messa in risalto da una regia televisiva troppo prodiga di primo-piano. A conti fatti, la notizia consiste nella rinuncia, da parte di Netrebko e Fondazione Arena, del trucco smaccatamente e volgarmente “black-face” che la scorsa estate aveva scatenato polemiche internazionali. Una correzione di rotta, peraltro mai annunciata. Ma ammettere gli errori è sempre complicato.

L'Aida all'Arena, tra show trash in tv e ostensione della Loren
Anna Netrebko in Aida (dal profilo Instragram di Netrebko).

 

 

Aida all’Arena, tra show trash in tv e ostensione della Loren

Visto da lontano, l’ingresso della Diva è parso il solito parapiglia in cui guardie del corpo, accompagnatori illustri (della politica e non) e ammiratori urlanti si mescolano in un pernicioso corpo a corpo, nella fattispecie lungo una trentina di metri, quanto dista l’ingresso principale dell’Arena di Verona dalle prime file di platea. Non a caso, la foto simbolo dell’evento nell’evento a proposito dell’inaugurazione del Festival lirico n. 100 nell’anfiteatro romano di Verona è quella (pubblicata in prima pagina dal Corriere del Veneto) in cui si vede Sophia Loren per mano al figlio, accolta dal ministro Gennaro Sangiuliano, mentre sulla destra il suo sottosegretario, il veronese Gianmarco Mazzi, sta col telefonino all’orecchio come un bodyguard che parla con la centrale operativa perché gli auricolari non gli funzionano più.

L'Aida all'Arena, tra show trash in tv e l'ostensione della Loren
Sangiuliano, Sophia Loren e Mazzi (da Raiplay).

L’ostensione della Sophia nazionale è stata il clou dello show di Rai1

L’acclamata ostensione della Loren – madrina dell’inaugurazione – è stata il clou dello show su Rai1 condotto da Milly Carlucci con cui si è aperta la lunga diretta della rappresentazione di Aida, finalmente in un nuovo allestimento per l’Arena. Indicativo il parterre dei soliti noti – al di là della massiccia presenza di alte cariche dello Stato (Mattarella aveva declinato, ma c’erano i numeri due e tre, La Russa e l’enfant du pays Fontana), con ministri sufficienti per allestire una squadra di basket e sottosegretari in sorte. In platea c’erano Lino Banfi e Orietta Berti, Jerry Calà e Iva Zanicchi, Signorini e Amadeus, Morgan e Beatrice Venezi. E a colorare di trash il tutto, non mancavano le divette dei social e/o dei reality, più o meno vestite. A contornare Carlucci, un Luca Zingaretti molto compreso nel recitare la trama di quel che si sarebbero visto e sentito e un Alberto Angela che l’ha presa alla lontana, mettendosi a parlare di quel che c’era al posto dell’Arena 150 milioni di anni fa. E ciascuno pensi quel che vuole del fatto che appena ha smesso – e sembrava finalmente giunto il momento dello spettacolo – è cominciata una peraltro breve pioggerella che ha fatto incrociare le dita alla sovrintendente Cecilia Gasdia e messo tutti in allarme. In precedenza, il secondo clou dopo la Loren era stato il passaggio a bassa quota delle Frecce Tricolori, con i colori dei loro fumi rispecchiati nelle tuniche bianche rosse e verdi del coro mandato in scena a cantare l’Inno di Mameli. Almeno in quel momento, è cessata la musica di contorno dagli altoparlanti. Prima, riconosciuta quella di Morricone da Nuovo Cinema Paradiso per l’ingresso dell’attrice che farà 89 anni a settembre e che notoriamente nel film di Tornatore non c’è, ma il titolo è suggestivo. Non riconosciuta – il cronista ne fa ammenda – quella che ha accompagnato, si fa per dire, il rombo delle Frecce.

L'Aida all'Arena, tra show trash in tv e l'ostensione della Loren
Ignazio La Russa all’Arena (da Raiplay).

Le istruzioni per gli invitati hanno trasformato l’Arena in uno studio tv

Fuori categoria il volantino consegnato all’ingresso al pubblico, intitolato Amare l’Arena, destinato “a tutti gli invitati dell’Arena” e firmato “Noi della Fondazione Arena”. Vi si leggevano dettagliate istruzioni di comportamento durante la sfilata della Loren, a partire dalla prescrizione di alzarsi in piedi ma senza fare rumore con le sedie. E frasi come questa: «È importante sostenere lo spettacolo con applausi nei momenti appropriati fino alla fine e anche un po’ oltre. Sarete sempre sotto l’occhio di venti telecamere (di cui tre aeree) pensate per enfatizzare la vostra partecipazione […] Verona e la mondovisione hanno bisogno del vostro calore, dei vostri applausi, delle vostre standing ovation da mostrare al pubblico internazionale». Istruzioni di rara goffaggine per trasformare l’Arena in un immenso studio televisivo a cielo aperto, cosa alla quale del resto è assomigliata moltissimo fino a quando non è cominciata la musica, quella per cui si era lì. Solo un passo prima di fare apparire la scritta “Applausi” sugli schermi led posizionati in alto ai lati del palcoscenico. Ma alla prossima diretta tv probabilmente ci sarà qualcuno che ci penserà.

L'Aida all'Arena, tra show trash in tv e l'ostensione della Loren
Il volantino con le istruzioni distribuito prima dell’Aida.

Un’esecuzione di media qualità con i divi Netrebko-Eyvazov poco efficaci

Quanto al risultato di tutto questo circo televisivo costruito intorno alla povera Aida, i dati Auditel avranno raffreddato qualche entusiasmo preventivo. Spettatori 1 milione 798 mila, oltre 200 mila in meno di quelli che hanno seguito la semifinale dell’Isola dei famosi su Canale 5, programma con il quale lo show areniano (Verdi escluso, beninteso) era in diretta concorrenza. Molto meno della media delle inaugurazioni di stagione in diretta dalla Scala, che viaggiano sopra i 2 milioni. E che a parte qualche chiacchiera fastidiosa, mai finora hanno ceduto a queste forme di spettacolarizzazione. Forse è vero che la classe non è acqua, anche se le idee sono quel che sono. Sullo spettacolo che è seguito, bastano poche parole: scenicamente ambizioso nel suo simbolismo astratto, ma irrisolto e poco verdiano nella sua costruzione per immagini che prescinde dalla drammaturgia musicale; musicalmente di media qualità, con un’evidente miglioramento nel corso dell’esecuzione; vocalmente altrettanto, con i divi Netrebko-Eyvazov (Aida e Radames) apprezzabili nella linea di canto, molto meno nell’efficacia attoriale, impietosamente messa in risalto da una regia televisiva troppo prodiga di primo-piano. A conti fatti, la notizia consiste nella rinuncia, da parte di Netrebko e Fondazione Arena, del trucco smaccatamente e volgarmente “black-face” che la scorsa estate aveva scatenato polemiche internazionali. Una correzione di rotta, peraltro mai annunciata. Ma ammettere gli errori è sempre complicato.

L'Aida all'Arena, tra show trash in tv e ostensione della Loren
Anna Netrebko in Aida (dal profilo Instragram di Netrebko).

 

 

Palermo chiama i suoi fedelissimi come vice in Acea, Luna Berlusconi in pole per il Senato e le altre pillole del 19 giugno

È passato un po’ di tempo da quando Fabrizio Palermo, ora numero uno di Acea, era amministratore delegato di Cdp, ma i suoi fedelissimi non lo hanno dimenticato. Così Pierfrancesco Ragni e Tommaso Sabato, rispettivamente ex direttore finanziario ed ex direttore Cdp Infrastrutture e Pubblica Amministrazione, hanno subito risposto sì alla sua chiamata. Raggiungeranno Palermo, da un anno amministratore delegato della municipalizzata romana, come suoi vice.

Luna monzese

Altro che Luna caprese: alla fine chi rischia di correre per il collegio del Senato “liberato” da Silvio Berlusconi si chiama Luna Roberta Berlusconi, ovvero la figlia prediletta di Paolo, il fratello del Cavaliere. Perché? I cosiddetti figli di secondo letto di Silvio, ovvero Luigi, Barbara ed Eleonora non hanno ancora compiuto 40 anni, ovvero l’età per candidarsi a un seggio di Palazzo Madama. E quelli che potrebbero partecipare? Marina non ci pensa, Pier Silvio non ne ha voglia. E allora che si fa? Visto che tutti parlano di Paolo, l’ipotesi di far scendere in campo Luna sta facendo presa, e rapidamente, come il cemento. Poi c’è il suo ex marito, Edoardo Sylos Labini, che sta sempre in televisione a discettare di cultura. E così sarà “Luna monzese”…

Da Luna Berlusconi che potrebbe correre in Senato a Nicola Porro attacca i giornalisti Sky: le pillole del 19 giugno
Luna Berlusconi (Imagoeconomica).

Porro contro SkyTg24: «Murdoch si è rotto…»

Non mancano mai gli “scarsi professionisti” dell’informazione contro cui puntare il dito: nella sua “zuppa” di sabato sui social Nicola Porro ha preso di mira una giornalista di Sky, Chiara Piotto, corrispondente da Parigi, che aveva detto che Elon Musk va a investire in Francia e non in Italia, dove secondo la cronista va a parlare di decrescita perché la Penisola non risulta attrattiva. Porro afferma l’esatto contrario, forte del fatto che lui a Roma ha intervistato Musk sentendo quali sono le sue idee, non per “sentito dire” come tanti altri ma proprio dalla voce del miliardario sudafricano. «Murdoch si è rotto i coglioni di sovvenzionare questi cialtroni», ha affermato Porro, «questa Chiara Piotto evidentemente ha una bella esperienza di come Murdoch abbia investito in Italia miliardi e li abbia persi grazie a lei e ai suoi colleghi in questa avventura che si chiama SkyTg24 che brucia miliardi da anni».

Da Luna Berlusconi che potrebbe correre in Senato a Nicola Porro attacca i giornalisti Sky: le pillole del 19 giugno
Nicola Porro ai funerali di Berlusconi (Imagoeconomica).

Gelli jr cerca l’Albania

In una delle infinite dirette sui social dove protagonista è Vittorio Sgarbi, ed esattamente quella dove il sottosegretario al ministero della Cultura girava per gli stand di Mercanteinfiera alle Fiere di Parma in mezzo a tonnellate di mobili e oggetti vari, nella giornata riservata agli operatori, appare all’improvviso un messaggio di Raffaello Gelli. Che annuncia: «Ti chiamerò perché avrei pensato di andare a abitare in Albania». Ma sì, il figlio di Licio Gelli punta su Tirana…

Dov’è l’Hilton? A destra

Festa romana per i 60 anni di vita dell’hotel Roma Cavalieri, il caro, vecchio, Hilton di Monte Mario. Il complesso alberghiero che, all’epoca, scatenò i primi ecologisti italiani, contrari alla cementificazione della collina verde (ma la Rai ci mette del suo con la terribile antenna sparaprogrammi). Chi ha condotto la serata a bordo piscina con cena e musiche in tema Beatles? Non era Flavio Insinna. E nemmeno Fabio Fazio. Ebbene sì, il protagonista e mattatore si chiama Pino Insegno. Uno che è di casa da Giorgia Meloni. Infatti la mejo battuta durante l’evento è stata questa: «Scusi, dov’è l’Hilton? A destra».

Da Luna Berlusconi che potrebbe correre in Senato a Nicola Porro attacca i giornalisti Sky: le pillole del 19 giugno
Pino Insegno e Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

Palermo chiama i suoi fedelissimi come vice in Acea, Luna Berlusconi in pole per il Senato e le altre pillole del 19 giugno

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Luna monzese

Altro che Luna caprese: alla fine chi rischia di correre per il collegio del Senato “liberato” da Silvio Berlusconi si chiama Luna Roberta Berlusconi, ovvero la figlia prediletta di Paolo, il fratello del Cavaliere. Perché? I cosiddetti figli di secondo letto di Silvio, ovvero Luigi, Barbara ed Eleonora non hanno ancora compiuto 40 anni, ovvero l’età per candidarsi a un seggio di Palazzo Madama. E quelli che potrebbero partecipare? Marina non ci pensa, Pier Silvio non ne ha voglia. E allora che si fa? Visto che tutti parlano di Paolo, l’ipotesi di far scendere in campo Luna sta facendo presa, e rapidamente, come il cemento. Poi c’è il suo ex marito, Edoardo Sylos Labini, che sta sempre in televisione a discettare di cultura. E così sarà “Luna monzese”…

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Luna Berlusconi (Imagoeconomica).

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Non mancano mai gli “scarsi professionisti” dell’informazione contro cui puntare il dito: nella sua “zuppa” di sabato sui social Nicola Porro ha preso di mira una giornalista di Sky, Chiara Piotto, corrispondente da Parigi, che aveva detto che Elon Musk va a investire in Francia e non in Italia, dove secondo la cronista va a parlare di decrescita perché la Penisola non risulta attrattiva. Porro afferma l’esatto contrario, forte del fatto che lui a Roma ha intervistato Musk sentendo quali sono le sue idee, non per “sentito dire” come tanti altri ma proprio dalla voce del miliardario sudafricano. «Murdoch si è rotto i coglioni di sovvenzionare questi cialtroni», ha affermato Porro, «questa Chiara Piotto evidentemente ha una bella esperienza di come Murdoch abbia investito in Italia miliardi e li abbia persi grazie a lei e ai suoi colleghi in questa avventura che si chiama SkyTg24 che brucia miliardi da anni».

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Nicola Porro ai funerali di Berlusconi (Imagoeconomica).

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Pino Insegno e Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

Due alpinisti francesi morti sul Monviso: i corpi ritrovati in un canale

Tragedia sul Monviso, dove nelle scorse ore due scialpinisti sono morti in circostanze ancora da chiarire con precisione. I soccorsi hanno recuperato i loro corpi senza vita all’interno di un canalone: ecco tutti gli ultimi aggiornamenti nel merito della vicenda.

Incidente sul Monviso, morti due scialpinisti francesi

Le vittime sono due persone di nazionalità francese, un uomo e una donna le cui generalità ancora non sono state rivelate da parte delle autorità. Le salme sono state recuperate al confine delle province di Cuneo e Torino da parte dei tecnici del soccorso alpino e speleologico piemontese nella serata di domenica 18 giugno.

Nella mattinata di domenica era partito l’allarme. I soccorritori francesi del peloton de gendarmerie de haute montagne avevano infatti ricevuto una chiamata da parte dei familiari dei due individui, preoccupati perché non li avevano più visti tornare dopo l’escursione in alta quota. In base alle prime ricostruzioni, sembra che i due fossero teoricamente partiti nella giornata di sabato 17 giugno per percorrere la cresta Berhault che dal colle delle Traversette porta in vetta sul Monviso.

Il ritrovamento dei corpi rallentato dalle condizioni meteo

Una volta arrivata la segnalazione, è immediatamente scattata la macchina dei soccorsi. In un primo momento le ricerche sono state rallentate dalle avverse condizioni del meteo: un miglioramento intorno alle ore 19.30 ha reso così possibile far partire l’elisoccorso in zona, per un’ultima perlustrazione subito prima che calasse la notte.

Nel corso di uno degli ultimi trasferimenti le due vittime sono finalmente state individuate all’interno di un canalone alla base della cresta, fra il passo del Colonnello e la punta Gastaldi. Non c’è ovviamente stato nulla da fare per i due, che erano morti ormai da diverse ore. L’equipe sanitaria giunta sul posto non ha potuto fare altro che constatare il decesso recuperando poi i corpi con il verricello.

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Le vittime sono due persone di nazionalità francese, un uomo e una donna le cui generalità ancora non sono state rivelate da parte delle autorità. Le salme sono state recuperate al confine delle province di Cuneo e Torino da parte dei tecnici del soccorso alpino e speleologico piemontese nella serata di domenica 18 giugno.

Nella mattinata di domenica era partito l’allarme. I soccorritori francesi del peloton de gendarmerie de haute montagne avevano infatti ricevuto una chiamata da parte dei familiari dei due individui, preoccupati perché non li avevano più visti tornare dopo l’escursione in alta quota. In base alle prime ricostruzioni, sembra che i due fossero teoricamente partiti nella giornata di sabato 17 giugno per percorrere la cresta Berhault che dal colle delle Traversette porta in vetta sul Monviso.

Il ritrovamento dei corpi rallentato dalle condizioni meteo

Una volta arrivata la segnalazione, è immediatamente scattata la macchina dei soccorsi. In un primo momento le ricerche sono state rallentate dalle avverse condizioni del meteo: un miglioramento intorno alle ore 19.30 ha reso così possibile far partire l’elisoccorso in zona, per un’ultima perlustrazione subito prima che calasse la notte.

Nel corso di uno degli ultimi trasferimenti le due vittime sono finalmente state individuate all’interno di un canalone alla base della cresta, fra il passo del Colonnello e la punta Gastaldi. Non c’è ovviamente stato nulla da fare per i due, che erano morti ormai da diverse ore. L’equipe sanitaria giunta sul posto non ha potuto fare altro che constatare il decesso recuperando poi i corpi con il verricello.

La parabola di Marta Fascina, da lady Arcore a semplice ex

Nella maionese di Forza Italia che rischia di impazzire dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi c’è un ingrediente che potrebbe avere difficoltà a trovare il suo posto. Eh sì, perché Marta Fascina, al secolo Marta Antonia, ora rischia grosso: senza più la “blindatura” (sentimentale e politica) del fondatore la “moglie per finta” pare destinata a esser fatta fuori dai nemici interni dell’ala che fa capo alla numero uno dei senatori azzurri, Licia Ronzulli, mentre il vicepresidente del partito (e futuro possibile reggente), Antonio Tajani,  è tutt’altro che propenso a esibire il petto per farle da scudo.

Da ‘angelo di Arcore’ alle ambizioni (deluse) da king maker azzurra

Eppure Fascina è uno di quei personaggi femminili che meriterebbero un film biografico del regista cileno Pablo Larraín o comunque un ritratto riflettuto sulla relazione tra le donne e il potere, relazione mediata dagli uomini forti che hanno avuto accanto. Nella variegata fenomenologia del gentil sesso che si è accompagnato al debordante Cavaliere e raramente ha evitato il destino di una condizione comprimaria, se non decorativa (si eccettuano certamente i casi di mamma Rosa e della primogenita Marina), Marta si era ritagliata un ruolo del tutto particolare. Ruolo che ha subito una profonda metamorfosi dalla controllatissima discrezione dei primi tempi alle ambizioni da king maker coltivate nell’ultima fase. Dal semplice chignon biondo alla Eva Kant alle posture da novella Eva Peron, insomma, il passo è stato breve. Troppo breve, secondo molti in Forza Italia. Lineamenti affilati e compostezza di gesso, per il gran rito funebre in Duomo l’ultima “lady B” è riuscita a sfoderare le lacrime delle grandi occasioni e ha mantenuto con disciplina lo sguardo catatonico sul feretro per quasi tutta la funzione religiosa. I figli più grandi, Marina e Pier Silvio, l’hanno presa più volte per mano, soprattutto Marina. Tuttavia,  questo presunto rapporto privilegiato pare non possa salvarla dal declino politico. Sul fronte dell’eredità economica, il testamento dovrebbe riservarle una dote intorno ai 90-100 milioni di euro, oltre a qualcuna delle ville del Cavaliere. Ma quella che più pesa è l’eredità politica e Fascina non pare in grado o comunque non ha avuto il tempo di costruirsi lo standing per dettare i giochi come stava provando a fare fino all’addio del sovrano di Arcore.

La parabola di Marta Fascina, da lady Arcore a semplice ex
Marta Fascina al funerale di Silvio Berlusconi con i figli del Cav, Marina, Piersilvio, Barbara ed Eleonora (Imagoeconomica).

Le passate tensioni con Tajani e il rapporto con Ronzulli

La quasi moglie e quasi leader ha intrattenuto rapporti altalenanti con Tajani. All’inizio aveva una relazione eccellente con la “ribelle” Ronzulli – che l’ha voluta fortemente alla corte di Silvio per far fuori Francesca Pascale – ma poi ha lavorato per estrometterla e ora, giocoforza, sarà costretta a subirne il ritorno, nel tentativo dei vertici del partito di includere e dare spazio a tutte le sensibilità e le correnti pur di non implodere. Appare dunque arduo immaginare una diarchia al femminile tra lei e Marina in supporto allo stesso ministro degli Esteri che avrà l’onere formale, e l’investitura sostanziale da Giorgia Meloni, di traghettare Fi oltre le colonne d’Ercole del voto europeo. Tra Fascina e Tajani, infatti, ci sono stati momenti di forte tensione nel recente passato. Il libro di Luigi Bisignani e Paolo Madron, I potenti al tempo di Giorgia (Chiarelettere), racconta ad esempio la sfuriata che l’attuale vicepremier riservò alla première dame a Villa Grande, la residenza romana del Cavaliere, all’indomani del duro scontro tra Fi e Fdi per l’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato, su cui si riflettevano le tensioni legate alla formazione del governo. «Non devi allargarti, devi stare al tuo posto», avrebbe urlato Tajani prima di uscire nel parco della magione a sbollire la rabbia. «Ovviamente il Cavaliere non poteva certo permettere che la sua Marta venisse aggredita in quel modo. Ha preteso le scuse di Tajani, cosa che è avvenuta solo più di un’ora dopo il fattaccio», racconta Bisignani a Madron. Vedremo ora che ruolo vorranno giocare effettivamente i figli dell’ex premier (non sembra ci sarà un impegno diretto in politica, almeno a breve). Fatto sta che quella di Fascina sembra una figura destinata a scivolare in secondo piano. «A proposito, sai come la chiamavano nel partito prima che diventasse la First dame? “Matta” Fascina», rivela ancora Bisignani a Madron. Un soprannome che stride con il suo aplomb glaciale, benché poi talvolta la frizione sia scappata pure a lei, come quando insultò Renato Brunetta sul piano politico e anche per la sua statura all’indomani delle dimissioni da Fi dell’ex ministro che non aveva accettato la scelta del partito di sgambettare il governo Draghi.

La parabola di Marta Fascina, da lady Arcore a semplice ex
Silvio Berlusconi tra Marta Fascina e Marina nel febbraio 2022 (Imagoeconomica).

Da aspirante meteorina all’ufficio stampa del Milan e al Parlamento: l’ascesa di Fascina

Calabrese, di Melito di Porto Salvo, classe 1990, deputata alla seconda legislatura, Marta cresce a Portici, la stessa cittadina della esiziale (per la carriera politica di Berlusconi) Noemi Letizia. Studia poi a Napoli e si laurea in Filosofia alla Sapienza di Roma. Vuole fare politica e ci prova già nel 2013 con il Popolo della libertà, ma non entra nel consiglio comunale della stessa Portici. Ha ambizioni da giornalista, collabora anche con il Giornale, ma la svolta arriva con l’ingresso nell’ufficio stampa del Milan e la conoscenza con Adriano Galliani. Bisignani entra nel dettaglio: «Marta non aveva ancora 20 anni, e come tante ragazze sognava di fare strada nel mondo dello spettacolo. Per questo inviava di continuo il suo curriculum e i suoi book fotografici a Emilio Fede. Voleva candidarsi come “meteorina”, un’invenzione dell’allora direttore del Tg4 e che Berlusconi pare gradisse molto. Il giornalista la incontra durante una festa a Portici e resta colpito, oltre che dall’avvenenza, dalla maniacale conoscenza di tutte le formazioni del Milan. E la porta ad Arcore dal Cavaliere, che quel giorno le fa un provino sportivo. La interroga a bruciapelo chiedendole la formazione del Milan campione d’Italia 1967-68 ai tempi della presidenza di Franco Carraro. Provino brillantemente superato. Berlusconi la piazza all’ufficio stampa del Milan, che all’epoca è governato da Adriano Galliani in coabitazione con Barbara Berlusconi, cui questa Marta, che arriva lì imposta dal padre, proprio non piace, forse perché ne intravede le matrigne potenzialità. Per reazione, Marta trova la sponda di Galliani, che al contrario si mostra molto più protettivo».

Il quasi matrimonio con B e il tentativo di sistemare i suoi fedelissimi

Poi il Milan nel 2017 cambia proprietà e Fascina deve essere ricollocata. Intanto è riuscita a stringere un rapporto di fiducia, appunto, con Ronzulli che la spinge verso Berlusconi in funzione anti-Pascale. Nel 2018 passa il treno delle elezioni politiche, la giovane viene paracadutata in Campania e si ritrova in Parlamento. All’inizio della pandemia giunge l’ufficializzazione della relazione con il Cavaliere. Fascina inizia a essere sempre più presente accanto a Berlusconi, anche nei vertici politici e nei passaggi decisionali cruciali. La svolta ulteriore arriva a ridosso della battaglia dell’anno scorso per il Quirinale: Berlusconi viene ricoverato d’urgenza, e in gran segreto, al San Raffaele. Silvio resta per quasi due giorni privo di coscienza e al suo risveglio trova Marta che gli sta tenendo la mano. Allora le promette di sposarla. I figli, saputa la notizia, vanno su tutte le furie e Ronzulli si inventa la pantomima del quasi-matrimonio: è il marzo del 2022.

La parabola di Marta Fascina, da lady Arcore a semplice ex
Adriano Galliani e Gianni Letta al matrimonio simbolico di Marta Fascina e Silvio Berlusconi (Imagoeconomica).

Pier Silvio comunque non si presenta alla cerimonia di Villa Gernetto e manca pure Giorgia Meloni, mentre Matteo Salvini c’è. Fascina deve ingoiare il rospo, ma si fa risarcire in altro modo: alle elezioni del 2022 si ricandida, stavolta in Sicilia, e giustifica la nuova catapulta così: «La Sicilia è una regione meravigliosa, che conosco sin dai tempi, quando ero piccola, mio padre mi ci portava in vacanza». Stavolta, però, riesce a piazzare anche i suoi, a partire dall’ex compagno di scuola Tullio Ferrante, avvocato campano di San Giorgio a Cremano che viene eletto e subito spedito come sottosegretario al ministero delle Infrastrutture, nelle grinfie di Salvini ed Edoardo Rixi. Poi ci sono Alessandro Sorte e Stefano Benigni, i due astri nascenti lombardi che segnano il passaggio di potere da Ronzulli (che a sua volta aveva spodestato Mariastella Gelmini) a Fascina. La transizione era in corso e le manovre di Marta in pieno svolgimento. Il trapasso del Tutankhamon di Arcore potrebbe però stravolgere tutto un’altra volta. La vendetta è in preparazione e la quasi first lady difficilmente riuscirà a mantenere la presa sul partito, a cominciare dalle indiscrezioni che avrebbero voluto addirittura il padre Orazio candidato per Fi alle Europee. A livello parlamentare Fascina non ha presentato alcuna proposta di legge e nemmeno interrogazioni, interpellanze, mozioni o risoluzioni; d’altronde era in tutt’altre faccende affaccendata. In compenso ha co-firmato la proposta di bandiera per una Commissione parlamentare di inchiesta sull’uso politico della giustizia, un tormentone del trentennio berlusconiano. Un po’ pochino, certo, ma adesso senza più Silvio e un probabile futuro da “deputata semplice” ci sarà da iniziare a pedalare.

La parabola di Marta Fascina, da lady Arcore a semplice ex

Nella maionese di Forza Italia che rischia di impazzire dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi c’è un ingrediente che potrebbe avere difficoltà a trovare il suo posto. Eh sì, perché Marta Fascina, al secolo Marta Antonia, ora rischia grosso: senza più la “blindatura” (sentimentale e politica) del fondatore la “moglie per finta” pare destinata a esser fatta fuori dai nemici interni dell’ala che fa capo alla numero uno dei senatori azzurri, Licia Ronzulli, mentre il vicepresidente del partito (e futuro possibile reggente), Antonio Tajani,  è tutt’altro che propenso a esibire il petto per farle da scudo.

Da ‘angelo di Arcore’ alle ambizioni (deluse) da king maker azzurra

Eppure Fascina è uno di quei personaggi femminili che meriterebbero un film biografico del regista cileno Pablo Larraín o comunque un ritratto riflettuto sulla relazione tra le donne e il potere, relazione mediata dagli uomini forti che hanno avuto accanto. Nella variegata fenomenologia del gentil sesso che si è accompagnato al debordante Cavaliere e raramente ha evitato il destino di una condizione comprimaria, se non decorativa (si eccettuano certamente i casi di mamma Rosa e della primogenita Marina), Marta si era ritagliata un ruolo del tutto particolare. Ruolo che ha subito una profonda metamorfosi dalla controllatissima discrezione dei primi tempi alle ambizioni da king maker coltivate nell’ultima fase. Dal semplice chignon biondo alla Eva Kant alle posture da novella Eva Peron, insomma, il passo è stato breve. Troppo breve, secondo molti in Forza Italia. Lineamenti affilati e compostezza di gesso, per il gran rito funebre in Duomo l’ultima “lady B” è riuscita a sfoderare le lacrime delle grandi occasioni e ha mantenuto con disciplina lo sguardo catatonico sul feretro per quasi tutta la funzione religiosa. I figli più grandi, Marina e Pier Silvio, l’hanno presa più volte per mano, soprattutto Marina. Tuttavia,  questo presunto rapporto privilegiato pare non possa salvarla dal declino politico. Sul fronte dell’eredità economica, il testamento dovrebbe riservarle una dote intorno ai 90-100 milioni di euro, oltre a qualcuna delle ville del Cavaliere. Ma quella che più pesa è l’eredità politica e Fascina non pare in grado o comunque non ha avuto il tempo di costruirsi lo standing per dettare i giochi come stava provando a fare fino all’addio del sovrano di Arcore.

La parabola di Marta Fascina, da lady Arcore a semplice ex
Marta Fascina al funerale di Silvio Berlusconi con i figli del Cav, Marina, Piersilvio, Barbara ed Eleonora (Imagoeconomica).

Le passate tensioni con Tajani e il rapporto con Ronzulli

La quasi moglie e quasi leader ha intrattenuto rapporti altalenanti con Tajani. All’inizio aveva una relazione eccellente con la “ribelle” Ronzulli – che l’ha voluta fortemente alla corte di Silvio per far fuori Francesca Pascale – ma poi ha lavorato per estrometterla e ora, giocoforza, sarà costretta a subirne il ritorno, nel tentativo dei vertici del partito di includere e dare spazio a tutte le sensibilità e le correnti pur di non implodere. Appare dunque arduo immaginare una diarchia al femminile tra lei e Marina in supporto allo stesso ministro degli Esteri che avrà l’onere formale, e l’investitura sostanziale da Giorgia Meloni, di traghettare Fi oltre le colonne d’Ercole del voto europeo. Tra Fascina e Tajani, infatti, ci sono stati momenti di forte tensione nel recente passato. Il libro di Luigi Bisignani e Paolo Madron, I potenti al tempo di Giorgia (Chiarelettere), racconta ad esempio la sfuriata che l’attuale vicepremier riservò alla première dame a Villa Grande, la residenza romana del Cavaliere, all’indomani del duro scontro tra Fi e Fdi per l’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato, su cui si riflettevano le tensioni legate alla formazione del governo. «Non devi allargarti, devi stare al tuo posto», avrebbe urlato Tajani prima di uscire nel parco della magione a sbollire la rabbia. «Ovviamente il Cavaliere non poteva certo permettere che la sua Marta venisse aggredita in quel modo. Ha preteso le scuse di Tajani, cosa che è avvenuta solo più di un’ora dopo il fattaccio», racconta Bisignani a Madron. Vedremo ora che ruolo vorranno giocare effettivamente i figli dell’ex premier (non sembra ci sarà un impegno diretto in politica, almeno a breve). Fatto sta che quella di Fascina sembra una figura destinata a scivolare in secondo piano. «A proposito, sai come la chiamavano nel partito prima che diventasse la First dame? “Matta” Fascina», rivela ancora Bisignani a Madron. Un soprannome che stride con il suo aplomb glaciale, benché poi talvolta la frizione sia scappata pure a lei, come quando insultò Renato Brunetta sul piano politico e anche per la sua statura all’indomani delle dimissioni da Fi dell’ex ministro che non aveva accettato la scelta del partito di sgambettare il governo Draghi.

La parabola di Marta Fascina, da lady Arcore a semplice ex
Silvio Berlusconi tra Marta Fascina e Marina nel febbraio 2022 (Imagoeconomica).

Da aspirante meteorina all’ufficio stampa del Milan e al Parlamento: l’ascesa di Fascina

Calabrese, di Melito di Porto Salvo, classe 1990, deputata alla seconda legislatura, Marta cresce a Portici, la stessa cittadina della esiziale (per la carriera politica di Berlusconi) Noemi Letizia. Studia poi a Napoli e si laurea in Filosofia alla Sapienza di Roma. Vuole fare politica e ci prova già nel 2013 con il Popolo della libertà, ma non entra nel consiglio comunale della stessa Portici. Ha ambizioni da giornalista, collabora anche con il Giornale, ma la svolta arriva con l’ingresso nell’ufficio stampa del Milan e la conoscenza con Adriano Galliani. Bisignani entra nel dettaglio: «Marta non aveva ancora 20 anni, e come tante ragazze sognava di fare strada nel mondo dello spettacolo. Per questo inviava di continuo il suo curriculum e i suoi book fotografici a Emilio Fede. Voleva candidarsi come “meteorina”, un’invenzione dell’allora direttore del Tg4 e che Berlusconi pare gradisse molto. Il giornalista la incontra durante una festa a Portici e resta colpito, oltre che dall’avvenenza, dalla maniacale conoscenza di tutte le formazioni del Milan. E la porta ad Arcore dal Cavaliere, che quel giorno le fa un provino sportivo. La interroga a bruciapelo chiedendole la formazione del Milan campione d’Italia 1967-68 ai tempi della presidenza di Franco Carraro. Provino brillantemente superato. Berlusconi la piazza all’ufficio stampa del Milan, che all’epoca è governato da Adriano Galliani in coabitazione con Barbara Berlusconi, cui questa Marta, che arriva lì imposta dal padre, proprio non piace, forse perché ne intravede le matrigne potenzialità. Per reazione, Marta trova la sponda di Galliani, che al contrario si mostra molto più protettivo».

Il quasi matrimonio con B e il tentativo di sistemare i suoi fedelissimi

Poi il Milan nel 2017 cambia proprietà e Fascina deve essere ricollocata. Intanto è riuscita a stringere un rapporto di fiducia, appunto, con Ronzulli che la spinge verso Berlusconi in funzione anti-Pascale. Nel 2018 passa il treno delle elezioni politiche, la giovane viene paracadutata in Campania e si ritrova in Parlamento. All’inizio della pandemia giunge l’ufficializzazione della relazione con il Cavaliere. Fascina inizia a essere sempre più presente accanto a Berlusconi, anche nei vertici politici e nei passaggi decisionali cruciali. La svolta ulteriore arriva a ridosso della battaglia dell’anno scorso per il Quirinale: Berlusconi viene ricoverato d’urgenza, e in gran segreto, al San Raffaele. Silvio resta per quasi due giorni privo di coscienza e al suo risveglio trova Marta che gli sta tenendo la mano. Allora le promette di sposarla. I figli, saputa la notizia, vanno su tutte le furie e Ronzulli si inventa la pantomima del quasi-matrimonio: è il marzo del 2022.

La parabola di Marta Fascina, da lady Arcore a semplice ex
Adriano Galliani e Gianni Letta al matrimonio simbolico di Marta Fascina e Silvio Berlusconi (Imagoeconomica).

Pier Silvio comunque non si presenta alla cerimonia di Villa Gernetto e manca pure Giorgia Meloni, mentre Matteo Salvini c’è. Fascina deve ingoiare il rospo, ma si fa risarcire in altro modo: alle elezioni del 2022 si ricandida, stavolta in Sicilia, e giustifica la nuova catapulta così: «La Sicilia è una regione meravigliosa, che conosco sin dai tempi, quando ero piccola, mio padre mi ci portava in vacanza». Stavolta, però, riesce a piazzare anche i suoi, a partire dall’ex compagno di scuola Tullio Ferrante, avvocato campano di San Giorgio a Cremano che viene eletto e subito spedito come sottosegretario al ministero delle Infrastrutture, nelle grinfie di Salvini ed Edoardo Rixi. Poi ci sono Alessandro Sorte e Stefano Benigni, i due astri nascenti lombardi che segnano il passaggio di potere da Ronzulli (che a sua volta aveva spodestato Mariastella Gelmini) a Fascina. La transizione era in corso e le manovre di Marta in pieno svolgimento. Il trapasso del Tutankhamon di Arcore potrebbe però stravolgere tutto un’altra volta. La vendetta è in preparazione e la quasi first lady difficilmente riuscirà a mantenere la presa sul partito, a cominciare dalle indiscrezioni che avrebbero voluto addirittura il padre Orazio candidato per Fi alle Europee. A livello parlamentare Fascina non ha presentato alcuna proposta di legge e nemmeno interrogazioni, interpellanze, mozioni o risoluzioni; d’altronde era in tutt’altre faccende affaccendata. In compenso ha co-firmato la proposta di bandiera per una Commissione parlamentare di inchiesta sull’uso politico della giustizia, un tormentone del trentennio berlusconiano. Un po’ pochino, certo, ma adesso senza più Silvio e un probabile futuro da “deputata semplice” ci sarà da iniziare a pedalare.

Lollobrigida invita a colazione gli ex ministri dell’Agricoltura

Lollo ha capito che deve parlare meno e che è meglio diventare ‘ecumenico’ evitando polemiche inutili. Mercoledì farà una cosa che stupirà tutti, esibendo questa sua «nuova politica inclusiva e non divisiva», ha affermato un esponente di Fratelli d’Italia a una cena. A questo punto scatta la curiosità: che si inventerà il ministro cognato, ovvero Francesco Lollobrigida, titolare del dicastero dell’Agricoltura ora pomposamente ribattezzato come della Sovranità alimentare? Distribuirà personalmente pasti alla comunità di Sant’Egidio o alla mensa della Caritas? Andrà a una cena vegetariana con Elly Schlein? Farà un selfie gastronomico con Chiara Ferragni?

Lollobrigida invita a colazione gli ex ministri dell'Agricoltura
Teresa Bellanova, ministra dell’Agricoltura dal 5 settembre 2019 al
14 gennaio 2021 (Imagoeconomica).

Da Patuanelli a Bellanova, da Pecoraro Scanio ad Alemanno: gli ex al tavolo

No, molto di più: mercoledì a colazione, nella sede del ministero, ha invitato a mangiare gli ex titolari del dicastero che negli ultimi anni hanno “lavorato” a via XX Settembre. Di destra, di sinistra e di centro. Una tavolata con il grillino Stefano Patuanelli, la renziana Teresa Bellanova, i leghisti Gian Marco Centinaio e Luca Zaia, i piddini Maurizio Martina e Paolo De Castro, e poi Nunzia De Girolamo, Mario Catania, Francesco Saverio Romano, Alfonso Pecoraro Scanio. Non può mancare ovviamente il destrissimo Gianni Alemanno. E Calogero Mannino ci sarà? Ricordate a Lollo che nel 1963, per sei mesi, un politico come Bernardo Mattarella guidò il ministero, nel primo governo di Giovanni Leone…

Lollobrigida invita a colazione gli ex ministri dell'Agricoltura
Gianni Alemanno, ministro dell’Agricoltura dall’11 giugno 2001 al
17 maggio 2006 (Imagoeconomica).

Lollobrigida invita a colazione gli ex ministri dell’Agricoltura

Lollo ha capito che deve parlare meno e che è meglio diventare ‘ecumenico’ evitando polemiche inutili. Mercoledì farà una cosa che stupirà tutti, esibendo questa sua «nuova politica inclusiva e non divisiva», ha affermato un esponente di Fratelli d’Italia a una cena. A questo punto scatta la curiosità: che si inventerà il ministro cognato, ovvero Francesco Lollobrigida, titolare del dicastero dell’Agricoltura ora pomposamente ribattezzato come della Sovranità alimentare? Distribuirà personalmente pasti alla comunità di Sant’Egidio o alla mensa della Caritas? Andrà a una cena vegetariana con Elly Schlein? Farà un selfie gastronomico con Chiara Ferragni?

Lollobrigida invita a colazione gli ex ministri dell'Agricoltura
Teresa Bellanova, ministra dell’Agricoltura dal 5 settembre 2019 al
14 gennaio 2021 (Imagoeconomica).

Da Patuanelli a Bellanova, da Pecoraro Scanio ad Alemanno: gli ex al tavolo

No, molto di più: mercoledì a colazione, nella sede del ministero, ha invitato a mangiare gli ex titolari del dicastero che negli ultimi anni hanno “lavorato” a via XX Settembre. Di destra, di sinistra e di centro. Una tavolata con il grillino Stefano Patuanelli, la renziana Teresa Bellanova, i leghisti Gian Marco Centinaio e Luca Zaia, i piddini Maurizio Martina e Paolo De Castro, e poi Nunzia De Girolamo, Mario Catania, Francesco Saverio Romano, Alfonso Pecoraro Scanio. Non può mancare ovviamente il destrissimo Gianni Alemanno. E Calogero Mannino ci sarà? Ricordate a Lollo che nel 1963, per sei mesi, un politico come Bernardo Mattarella guidò il ministero, nel primo governo di Giovanni Leone…

Lollobrigida invita a colazione gli ex ministri dell'Agricoltura
Gianni Alemanno, ministro dell’Agricoltura dall’11 giugno 2001 al
17 maggio 2006 (Imagoeconomica).

Auto blu, piccoli Comuni e Province non mollano: i numeri

Un’auto di servizio a disposizione ogni 900 abitanti circa. Ad Avezzano, comune di oltre 40 mila abitanti in provincia de L’Aquila, di sicuro non mancano vetture pronte per l’uso dell’amministrazione: ce ne sono 47 in totale, tutte di proprietà, di cui una addirittura a «uso esclusivo con autista», l’auto blu nel suo significato pieno con autista dedicato alla guida per uno dei rappresentanti della Giunta. Quasi il triplo delle 18 auto che sono in dote alla presidenza del Consiglio. Insomma, Avezzano ha maggiori necessità rispetto a Palazzo Chigi. E così alcuni enti, come quello abruzzese a braccetto con la Provincia di Reggio Calabria, che gestisce un parco auto di 60 vetture nonostante la riduzione dei poteri, diventano l’emblema dell’immortalità di questa italica passione, che tutti dicono di voler limitare. Ma che negli anni ha resistito a ogni riforma e alle crociate di ogni ambizioso ministro, per ultimo Renato Brunetta.

Auto blu, piccoli Comuni e Province non mollano: i numeri
Renato Brunetta (Imagoeconomica).

Da San Vito al Tagliamento a Vigevano: quando l’auto blu è una passione

Secondo il censimento 2023 sulle auto in dotazione della Pubblica amministrazione, relativo al 2022, ci sono oltre 30 mila auto nella Pa, esattamente, 30.665. Confermando che negli anni scorsi non c’è stata una reale diminuzione: semplicemente molti enti non avevano risposto al dipartimento della Funzione pubblica. Nel 2021 se ne contavano 29.894, ma avevano dato le informazioni 8.142 amministrazioni, mentre nell’ultimo report è giunto un feedback da 8.328 enti, circa l’83 per cento del totale. La passione per l’auto blu, dunque, non è mai cessata: la media infatti resta intorno a 3,7 auto di servizio a disposizione di ogni amministrazione, categoria che va dalla Asl alle agenzie pubbliche, oltre ovviamente ai ministeri e governo, Regioni e Comuni. Ed è proprio tra le amministrazioni locali che si trovano i casi più singolari. Avezzano è irraggiungibile in termini assoluti, ma in questa classifica si distingue anche il Comune di San Vito al Tagliamento, 15 mila abitanti in provincia di Pordenone: il censimento registra 33 vetture di proprietà. Non ci sono problemi di spostamento nel perimetro dell’ente, insomma. Simile la situazione nel Comune di Rho, 50 mila abitanti nell’hinterland milanese, che conta 21 auto di servizio, facendo il paio con il Comune di Vigevano, oltre 60 mila residenti in provincia di Pavia. L’abitudine non conosce barriere geografiche: Battipaglia, località del Salernitano di circa 50 mila abitanti e nota per la produzione di mozzarella di bufala, ha segnalato la dotazione di ben 20 auto di servizio, stesso numero di Montalto Uffugo, 20 mila abitanti nel Cosentino. Singolare il caso di Ventasso, in provincia di Reggio-Emilia, nato dalla fusione dei comuni di Busana, Collagna, Ligonchio e Ramiseto. L’eredità è oggi di 18 veicoli per l’amministrazione di un ente che mette insieme meno di 4 mila abitanti. Tornando a Sud, Torre del Greco, popolo Comune vesuviano, raggiunge quota 16.

Province (per ora) senza poteri ma con un nutrito parco macchine

E che dire delle Province che si apprestano alla resurrezione per volere della maggioranza? Quella di Reggio Calabria, come accennato, è leader assoluta: può contare 60 auto di servizio. Per avere un’idea, sono molte di più rispetto alle 36 della città metropolitana di Roma e il doppio in confronto alle 29 della città metropolitana di Milano. Anche altri enti provinciali hanno conservato una buona dotazione. Grosseto e Pavia sono due casi significativi con 28 auto, così come meritano menzione le 24 di Lecco e Sondrio e le 20 di Arezzo. Insomma, in attesa che vengano ripristinati i poteri, le Province non rinunciano a niente. Se nelle realtà medio-piccole le auto blu abbondano, figuriamoci nelle metropoli. Spicca il Comune di Torino, guidato dal sindaco Stefano Lo Russo, che conta ben 191 veicoli (di cui 13 ncc e il resto di proprietà), che vince per distacco rispetto a ogni altra amministrazione. Sotto la Mole piace l’auto: il numero è in netto aumento rispetto alle 154 del 2021. Roma Capitale, amministrata da Roberto Gualtieri, è seconda con 109 auto, di cui 85 ncc, per una popolazione che è almeno tre volte superiore a quella del capoluogo piemontese. Il Comune di Milano ha invece “refertato” solo 41 auto, seppure con un incremento di 10 unità rispetto al censimento 2021, mentre restano a quota 91 le vetture disponibili per il Comune di Firenze, un dato nettamente superiore alle 62 di Bologna. Tre le città più importanti, la virtuosa Napoli si ferma a 12 vetture nei garage pubblici.

Auto blu, piccoli Comuni e Province non mollano: i numeri
Tra le grandi città italiane, Torino detiene il record di auto blu con 191 veicoli (Imagoeconomica).

Coni e Sport e Salute non pervenuti

Al netto del miglioramento nelle risposte nella Pa, resiste un 17 per cento di enti che non riferiscono il dato delle auto di servizio. Come il Coni di Giovanni Malagò, e la società “parallela” e “avversaria”, Sport e Salute. Magari non hanno a disposizione alcun veicolo, chissà. Solo che non è possibile saperlo. Top secret pure le informazioni su alcuni Comuni capoluogo, come Caserta, Enna e Varese e sulle città metropolitane di Napoli e Messina. Certo, non tutto è negativo. Un esempio? La cura Draghi a Palazzo Chigi stava sortendo degli effetti: nel 2022 alla presidenza del Consiglio le auto a «uso non esclusivo con autista», sono scese in un anno da 31 a 18, quasi tutti a noleggio con conducente (ncc). Anche il “Draghi boys”, Daniele Franco, al Ministero dell’Economia aveva operato un mini taglio, passando a 5 auto a disposizione rispetto alle precedenti 6. Al ministero del Turismo, per sua natura, la possibilità di spostarsi è agevole con 43 auto di servizio, anche se tra le amministrazioni dello Stato svetta il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con un totale di 58 veicoli, segnando un paradosso: tra governo e ministeri c’è una maggiore attenzione a non abusare delle auto blu, che pure per la Capitale sfrecciano in continuazione. Ma sui territori è, forse, peggio perché alcune ferme nei garage. Perché sono troppe.

Giancane e le colonne sonore che l’hanno reso alter ego di Zerocalcare

Non è facile risalire al giorno esatto in cui tutto ciò è successo, ma da qualche parte nel passato prossimo, un po’ prima della pandemia, forse, o durante quei mesi allucinanti, Zerocalcare è diventato, suo malgrado e non certo senza un qualche suo disagio, il portavoce di una intera generazione. Così, di colpo in molti, tra Millennial e Generazione Z, certo con qualche squarcio abbondante anche nella Generazione X, si sono ritrovati a riconoscersi in quella voce, letteraria e letterale così biascicata, romanesca, disincantata e apatica, certo, ma anche malinconica e sentimentale, ironicissima e pungente, certo, ma capace di squarci di poesia lirici come forse nessun altro autore sa e ha saputo fare negli ultimi anni.

Giancane e le colonne sonore che l'hanno reso alter ego di Zerocalcare
Giancarlo Barbati, in arte Giancane (da Instagram).

Giancane e Zerocalcare, cioè Giancarlo Barbati e Michele Rech

Con lui, sempre presente, un cantautore che in qualche modo ne è la versione musicale, seppur i piccoli corti che Zerocalcare ha pubblicato sui social durante il Covid, come le due serie tivù uscite per Netflix – quella di enorme successo nel 2021, Strappare lungo i bordi, e la recentissima Questo mondo non mi renderà cattivo – siano infarcite di canzoni che spaziano in quell’enorme calderone che può stare tra Max Pezzali e i Radiohead. Giancane, questo il nome del cantautore in questione, non me ne vorrà chi si occupa di Seo in questo giornale se ho portato alle lunghe l’apparizione sul palco dell’artista (un po’ di climax non guasta mai) è indubbiamente l’alter ego di Zerocalcare. Già a partire dal fatto che entrambi abbiano scelto due nomi d’arte così surreali, l’uno si chiama in realtà Giancarlo Barbati, e Il muro del canto è la band nella quale si è fatto le ossa, l’altro Michele Rech.

Le canzoni e una lingua sdrucciola, parlata più che scritta

Ma è soprattutto nella poetica che entrambi sono riusciti nel miracoloso intento di essere quasi in simbiosi, che loro ovviamente farebbero passare per casuale, provando quasi disagio nel venire identificati come qualcosa di più che due nerd che passano le giornate nella stanca routine di chi prova a non rimanere schiacciato sotto le incombenze di una vita che è assolutamente inaffrontabile. Strappati lungo i bordi, brano che di Strappare lungo i bordi era tema principale, è una sorta di canzone/manifesto alla The Smiths, parlo di intenti, di una generazione, quella lì, non più adolescente ma che a fatica si riconosce tra gli adulti e soprattutto a fatica è identificata come adulta dagli adulti stessi. Con una scrittura che attinge a piene mani dallo stesso immaginario di Zerocalcare, e che dell’immaginario di Zerocalcare è diventata parte integrante, tra punk e una forma di elettronica contemporanea, l’idea del poter fare tutto in casa, giocando magari al ribasso sempre presente, e con una lingua sdrucciola, parlata più che scritta – si parla di apparenza, si badi bene, tutto quel che è scritto è mediato, anche quello che si vuole far passare per naturale – le canzoni di Giancane si sono cominciate a muovere al seguito dei fumetti e delle serie di Zerocalcare, finendo per trovare un successo sulla carta quasi impensabile.

Collaborazione nata nel 2018, con la clip di Ipocondria

La loro collaborazione risale al 2018, quando il fumettista più famoso d’Italia ha disegnato e animato la clip di Ipocondria – entrambi hanno qualche conto in sospeso con la protagonista della canzone – iniziando per altro a lavorare proprio in quell’occasione alle animazioni che poi sarebbero atterrate a Propaganda Live durante il Covid, con le storie di quarantena, e in seguito finite su Netflix col successo che tutti conosciamo. I due si erano incrociati già ai tempi in cui Giancane militava nella band romana – Zerocalcare aveva disegnato una copertina per loro -, ma è con Ipocondria che la collaborazione spicca il volo. E da quel momento ci sono state due colonne sonore importanti, l’ultima delle quali, quella di Questo mondo non mi renderà cattivo, contenuta nel nuovo album Tutto male, è se possibile anche più triste di quanto la nuova serie tivù già non sia. Il titolo, in effetti, lascia già indicazioni piuttosto precise a riguardo.

Grazie alle serie Netflix i suoi concerti sono aumentati esponenzialmente

Non è dato sapere se Giancane si viva il successo, certo non esattamente il medesimo da rockstar di Zerocalcare – ricordiamo la copertina de l’Espresso targato Marco Damilano che lo indicava come uno degli ultimi intellettuali italiani -, ma comunque un successo, con concerti che grazie alle serie Netflix sono aumentati esponenzialmente e che comunque presentano un pubblico decisamente più ampio, non solo coloro che poi, suppergiù, finiscono come tipologia antropologica dentro le serie di Zerocalcare, ma intere famigliole al gran completo, gente elegante che magari non ha neanche idea cosa significhi esattamente lo-fi, genere che un tempo un critico musicale avrebbe affibbiato alla musica di Giancane per dare indicazioni ai venditori di dischi su che ripiano posizionare i suoi cd o vinili. Sarebbe bello sapere, ma sono dettagli da nerd che guardano serie scritte da nerd che hanno su colonne sonore scritte da nerd, se anche Giancane ha un qualche animale guida a vestire i panni della sua coscienza, come l’Armadillo splendidamente interpretato, a livello vocale, da Valerio Mastandrea nelle due serie tivù. Chissà se prima o poi, anche lui baciato dal successo come il suo compare, non arriverà qualche giornalista gossipparo a chiederglielo.

Giancane e le colonne sonore che l’hanno reso alter ego di Zerocalcare

Non è facile risalire al giorno esatto in cui tutto ciò è successo, ma da qualche parte nel passato prossimo, un po’ prima della pandemia, forse, o durante quei mesi allucinanti, Zerocalcare è diventato, suo malgrado e non certo senza un qualche suo disagio, il portavoce di una intera generazione. Così, di colpo in molti, tra Millennial e Generazione Z, certo con qualche squarcio abbondante anche nella Generazione X, si sono ritrovati a riconoscersi in quella voce, letteraria e letterale così biascicata, romanesca, disincantata e apatica, certo, ma anche malinconica e sentimentale, ironicissima e pungente, certo, ma capace di squarci di poesia lirici come forse nessun altro autore sa e ha saputo fare negli ultimi anni.

Giancane e le colonne sonore che l'hanno reso alter ego di Zerocalcare
Giancarlo Barbati, in arte Giancane (da Instagram).

Giancane e Zerocalcare, cioè Giancarlo Barbati e Michele Rech

Con lui, sempre presente, un cantautore che in qualche modo ne è la versione musicale, seppur i piccoli corti che Zerocalcare ha pubblicato sui social durante il Covid, come le due serie tivù uscite per Netflix – quella di enorme successo nel 2021, Strappare lungo i bordi, e la recentissima Questo mondo non mi renderà cattivo – siano infarcite di canzoni che spaziano in quell’enorme calderone che può stare tra Max Pezzali e i Radiohead. Giancane, questo il nome del cantautore in questione, non me ne vorrà chi si occupa di Seo in questo giornale se ho portato alle lunghe l’apparizione sul palco dell’artista (un po’ di climax non guasta mai) è indubbiamente l’alter ego di Zerocalcare. Già a partire dal fatto che entrambi abbiano scelto due nomi d’arte così surreali, l’uno si chiama in realtà Giancarlo Barbati, e Il muro del canto è la band nella quale si è fatto le ossa, l’altro Michele Rech.

Le canzoni e una lingua sdrucciola, parlata più che scritta

Ma è soprattutto nella poetica che entrambi sono riusciti nel miracoloso intento di essere quasi in simbiosi, che loro ovviamente farebbero passare per casuale, provando quasi disagio nel venire identificati come qualcosa di più che due nerd che passano le giornate nella stanca routine di chi prova a non rimanere schiacciato sotto le incombenze di una vita che è assolutamente inaffrontabile. Strappati lungo i bordi, brano che di Strappare lungo i bordi era tema principale, è una sorta di canzone/manifesto alla The Smiths, parlo di intenti, di una generazione, quella lì, non più adolescente ma che a fatica si riconosce tra gli adulti e soprattutto a fatica è identificata come adulta dagli adulti stessi. Con una scrittura che attinge a piene mani dallo stesso immaginario di Zerocalcare, e che dell’immaginario di Zerocalcare è diventata parte integrante, tra punk e una forma di elettronica contemporanea, l’idea del poter fare tutto in casa, giocando magari al ribasso sempre presente, e con una lingua sdrucciola, parlata più che scritta – si parla di apparenza, si badi bene, tutto quel che è scritto è mediato, anche quello che si vuole far passare per naturale – le canzoni di Giancane si sono cominciate a muovere al seguito dei fumetti e delle serie di Zerocalcare, finendo per trovare un successo sulla carta quasi impensabile.

Collaborazione nata nel 2018, con la clip di Ipocondria

La loro collaborazione risale al 2018, quando il fumettista più famoso d’Italia ha disegnato e animato la clip di Ipocondria – entrambi hanno qualche conto in sospeso con la protagonista della canzone – iniziando per altro a lavorare proprio in quell’occasione alle animazioni che poi sarebbero atterrate a Propaganda Live durante il Covid, con le storie di quarantena, e in seguito finite su Netflix col successo che tutti conosciamo. I due si erano incrociati già ai tempi in cui Giancane militava nella band romana – Zerocalcare aveva disegnato una copertina per loro -, ma è con Ipocondria che la collaborazione spicca il volo. E da quel momento ci sono state due colonne sonore importanti, l’ultima delle quali, quella di Questo mondo non mi renderà cattivo, contenuta nel nuovo album Tutto male, è se possibile anche più triste di quanto la nuova serie tivù già non sia. Il titolo, in effetti, lascia già indicazioni piuttosto precise a riguardo.

Grazie alle serie Netflix i suoi concerti sono aumentati esponenzialmente

Non è dato sapere se Giancane si viva il successo, certo non esattamente il medesimo da rockstar di Zerocalcare – ricordiamo la copertina de l’Espresso targato Marco Damilano che lo indicava come uno degli ultimi intellettuali italiani -, ma comunque un successo, con concerti che grazie alle serie Netflix sono aumentati esponenzialmente e che comunque presentano un pubblico decisamente più ampio, non solo coloro che poi, suppergiù, finiscono come tipologia antropologica dentro le serie di Zerocalcare, ma intere famigliole al gran completo, gente elegante che magari non ha neanche idea cosa significhi esattamente lo-fi, genere che un tempo un critico musicale avrebbe affibbiato alla musica di Giancane per dare indicazioni ai venditori di dischi su che ripiano posizionare i suoi cd o vinili. Sarebbe bello sapere, ma sono dettagli da nerd che guardano serie scritte da nerd che hanno su colonne sonore scritte da nerd, se anche Giancane ha un qualche animale guida a vestire i panni della sua coscienza, come l’Armadillo splendidamente interpretato, a livello vocale, da Valerio Mastandrea nelle due serie tivù. Chissà se prima o poi, anche lui baciato dal successo come il suo compare, non arriverà qualche giornalista gossipparo a chiederglielo.

I TheBorderline chiudono il loro canale YouTube dopo l’incidente a Casal Palocco

Dopo l’incidente stradale a Casal Palocco (Roma) in cui un bimbo di 5 anni è stato travolto e ucciso dal Lamborghini Suv che avevano noleggiato per girare un video, gli youtuber di TheBorderline hanno deciso di chiudere il loro canale social. L’annuncio è avvenuto tramite un filmato in cui hanno espresso anche il loro personale cordoglio alla famiglia della vittima.

I TheBorderline chiudono il canale YouTube dopo l’incidente a Casal Palocco

«L’idea di TheBorderline era quella di offrire ai giovani un intrattenimento con uno spirito sano. La tragedia accaduta è talmente profonda che rende per noi moralmente impossibile proseguire questo percorso. Pertanto, il gruppo interrompe ogni attività con quest’ultimo messaggio. Il nostro pensiero è solo per la vittima», ha spiegato il gruppo di creator content. «I TheBorderline esprimono alla famiglia il massimo, sincero e più profondo dolore. Quanto accaduto ha lasciato tutti segnati con una profonda ferita, nulla potrà mai più essere come prima», recita ancora il messaggio.

I The Borderline annunciano la chiusura del loro canale YouTube
Messaggio dei TheBorderline su Youtube (Youtube).

Una decisione, quella di interrompere l’attività creativa su YouTube, giunta dopo giorni di polemiche e la cancellazione di numerosi video, che non avevano però fermato le visualizzazioni (e i conseguenti ricavi) ai loro contenuti rimasti. Il canale dei TheBorderline era stato aperto nel 2020 e, nel giro di tre anni, aveva raggiunto quota 600 mila iscritti intercettando milioni di utenti della Rete. «Non siamo ricchi ma ci piace spendere per farvi divertire a voi», era il messaggio di presentazione sul canale esplicitamente ispirato al MrBeast americano che realizza video in cui vengono portate a termine sfide molto difficili.

L’ultimo video sulla Lamborghini prima dello schianto

Nei 118 contenuti caricati, le challenge andavano da «24 ore sulla minizattera» a «quanto puoi resistere nel ghiaccio» fino a «vivo 50 ore nella Tesla». L’ultima, risultata fatale per il piccolo Manuel, era quella di rimanere alcuni giorni su un Suv Lamborghini senza mai scendere. Una sfida anticipata da un video in cui uno dei ragazzi mostrava la lussuosa automobile descrivendone con ironia le potenzialità: «Ah rega’ quest’auto va più veloce di una Saetta McQueen. Annamo’, me sembra di caricare un drago, daje Jessica che sono il protagonista di Fast & Furious, meeeeeeee».

 

 

 

 

I TheBorderline chiudono il loro canale YouTube dopo l’incidente a Casal Palocco

Dopo l’incidente stradale a Casal Palocco (Roma) in cui un bimbo di 5 anni è stato travolto e ucciso dal Lamborghini Suv che avevano noleggiato per girare un video, gli youtuber di TheBorderline hanno deciso di chiudere il loro canale social. L’annuncio è avvenuto tramite un filmato in cui hanno espresso anche il loro personale cordoglio alla famiglia della vittima.

I TheBorderline chiudono il canale YouTube dopo l’incidente a Casal Palocco

«L’idea di TheBorderline era quella di offrire ai giovani un intrattenimento con uno spirito sano. La tragedia accaduta è talmente profonda che rende per noi moralmente impossibile proseguire questo percorso. Pertanto, il gruppo interrompe ogni attività con quest’ultimo messaggio. Il nostro pensiero è solo per la vittima», ha spiegato il gruppo di creator content. «I TheBorderline esprimono alla famiglia il massimo, sincero e più profondo dolore. Quanto accaduto ha lasciato tutti segnati con una profonda ferita, nulla potrà mai più essere come prima», recita ancora il messaggio.

I The Borderline annunciano la chiusura del loro canale YouTube
Messaggio dei TheBorderline su Youtube (Youtube).

Una decisione, quella di interrompere l’attività creativa su YouTube, giunta dopo giorni di polemiche e la cancellazione di numerosi video, che non avevano però fermato le visualizzazioni (e i conseguenti ricavi) ai loro contenuti rimasti. Il canale dei TheBorderline era stato aperto nel 2020 e, nel giro di tre anni, aveva raggiunto quota 600 mila iscritti intercettando milioni di utenti della Rete. «Non siamo ricchi ma ci piace spendere per farvi divertire a voi», era il messaggio di presentazione sul canale esplicitamente ispirato al MrBeast americano che realizza video in cui vengono portate a termine sfide molto difficili.

L’ultimo video sulla Lamborghini prima dello schianto

Nei 118 contenuti caricati, le challenge andavano da «24 ore sulla minizattera» a «quanto puoi resistere nel ghiaccio» fino a «vivo 50 ore nella Tesla». L’ultima, risultata fatale per il piccolo Manuel, era quella di rimanere alcuni giorni su un Suv Lamborghini senza mai scendere. Una sfida anticipata da un video in cui uno dei ragazzi mostrava la lussuosa automobile descrivendone con ironia le potenzialità: «Ah rega’ quest’auto va più veloce di una Saetta McQueen. Annamo’, me sembra di caricare un drago, daje Jessica che sono il protagonista di Fast & Furious, meeeeeeee».

 

 

 

 

Il calciatore Quincy Promes condannato a 18 mesi, aveva accoltellato il cugino

Un tribunale dei Paesi Bassi ha condannato Quincy Promes, calciatore dello Spartak Mosca, a un anno e mezzo di carcere con l’accusa di aggressione: nell’estate del 2020, a una festa di famiglia, aveva accoltellato suo cugino a una gamba durante una discussione. L’ufficio del pubblico ministero aveva chiesto che fosse condannato a due anni, in quanto essendo un atleta famoso «funge da modello per gli altri». Promes, che al momento si trova in Russia, è pronto a fare ricorso. Lo ha reso noto il suo avvocato.

Il calciatore Quincy Promes condannato a 18 mesi, aveva accoltellato il cugino. È anche indagato per traffico di cocaina.
Quincy Promes con lo Spartak Mosca, in azione contro il Napoli nel 2021 (Getty Images).

Promes continua a dichiararsi innocente, ma in alcune intercettazioni ha praticamente ammesso la sua colpevolezza. «Siete fortunati che non giro più con un’arma da fuoco, altrimenti quel coso sarebbe finito pure peggio», ha detto in una telefonata poi acquisita dagli inquirenti.

Olandese, ha raccolto le principali soddisfazioni con la maglia dello Spartak Mosca

Nel 2020, quando si è verificato l’accoltellamento, Promes giocava in patria nell’Ajax, con cui a fine stagione era poi diventato campione dei Paesi Bassi. Dopo un inizio di carriera nei Paesi Bassi con Twente e Go Ahead Eagles, ha militato perlopiù nello Spartak Mosca, dove ha giocato dal 2014 al 2018 e poi di nuovo dal 2021. In mezzo all’anno e mezzo trascorso con l’Ajax, anche una stagione da dimenticare nel Siviglia. Una volta campione di Russia, Promes nel 2018 si è laureato capocannoniere della Prem’er-Liga. Nel corso della carriera, ha collezionato 50 presenze nella nazionale olandese, condite da sette reti.

Il calciatore Quincy Promes condannato a 18 mesi, aveva accoltellato il cugino. È anche indagato per traffico di cocaina.
Quincy Promes con la maglia dei Paesi Bassi: vanta 50 presenze in Nazionale (Getty Images)

Promes è anche indagato per il contrabbando di oltre una tonnellata di cocaina

Il caso dell’accoltellamento al cugino non è il principale grattacapo per Promes, che è attualmente indagato per traffico di cocaina: alla fine di maggio è stato infatti accusato di complicità nel contrabbando di due carichi del peso complessivo di 1.370 chilogrammi, dal valore di 75 milioni di euro, attraverso il porto di Anversa in Belgio. Il calciatore, che già in passato era stato sospettato di contrabbando di stupefacenti e di partecipazione a un’organizzazione criminale, rischia molti anni di carcere.

Il calciatore Quincy Promes condannato a 18 mesi, aveva accoltellato il cugino

Un tribunale dei Paesi Bassi ha condannato Quincy Promes, calciatore dello Spartak Mosca, a un anno e mezzo di carcere con l’accusa di aggressione: nell’estate del 2020, a una festa di famiglia, aveva accoltellato suo cugino a una gamba durante una discussione. L’ufficio del pubblico ministero aveva chiesto che fosse condannato a due anni, in quanto essendo un atleta famoso «funge da modello per gli altri». Promes, che al momento si trova in Russia, è pronto a fare ricorso. Lo ha reso noto il suo avvocato.

Il calciatore Quincy Promes condannato a 18 mesi, aveva accoltellato il cugino. È anche indagato per traffico di cocaina.
Quincy Promes con lo Spartak Mosca, in azione contro il Napoli nel 2021 (Getty Images).

Promes continua a dichiararsi innocente, ma in alcune intercettazioni ha praticamente ammesso la sua colpevolezza. «Siete fortunati che non giro più con un’arma da fuoco, altrimenti quel coso sarebbe finito pure peggio», ha detto in una telefonata poi acquisita dagli inquirenti.

Olandese, ha raccolto le principali soddisfazioni con la maglia dello Spartak Mosca

Nel 2020, quando si è verificato l’accoltellamento, Promes giocava in patria nell’Ajax, con cui a fine stagione era poi diventato campione dei Paesi Bassi. Dopo un inizio di carriera nei Paesi Bassi con Twente e Go Ahead Eagles, ha militato perlopiù nello Spartak Mosca, dove ha giocato dal 2014 al 2018 e poi di nuovo dal 2021. In mezzo all’anno e mezzo trascorso con l’Ajax, anche una stagione da dimenticare nel Siviglia. Una volta campione di Russia, Promes nel 2018 si è laureato capocannoniere della Prem’er-Liga. Nel corso della carriera, ha collezionato 50 presenze nella nazionale olandese, condite da sette reti.

Il calciatore Quincy Promes condannato a 18 mesi, aveva accoltellato il cugino. È anche indagato per traffico di cocaina.
Quincy Promes con la maglia dei Paesi Bassi: vanta 50 presenze in Nazionale (Getty Images)

Promes è anche indagato per il contrabbando di oltre una tonnellata di cocaina

Il caso dell’accoltellamento al cugino non è il principale grattacapo per Promes, che è attualmente indagato per traffico di cocaina: alla fine di maggio è stato infatti accusato di complicità nel contrabbando di due carichi del peso complessivo di 1.370 chilogrammi, dal valore di 75 milioni di euro, attraverso il porto di Anversa in Belgio. Il calciatore, che già in passato era stato sospettato di contrabbando di stupefacenti e di partecipazione a un’organizzazione criminale, rischia molti anni di carcere.

L’addio di Flavio Insinna a l’Eredità: «Siete stati la mia famiglia»

Si chiude un’era. In occasione della puntata trasmessa su Rai Uno la scorsa domenica, 18 giugno, Flavio Insinna ha detto ufficialmente addio ai milioni di telespettatori che fin dal 2018 seguivano fedeli L’Eredità, l’amato quiz che ha condotto negli ultimi 5 anni.

Il saluto commosso di Flavio Insinna a L’Eredità

Appena entrato in studio, il pubblico ha accolto Flavio Insinna con un fragoroso applauso. Terminati i convenevoli, il presentatore ha dichiarato: «Famiglia, è l’ultima puntata della stagione. Grazie, grazie, grazie a tutti. In tutte le lingue del mondo. Grazie alla famiglia de l’Eredità». A questo punto il pubblico presente in studio gli ha regalato una standing ovation, alla quale Insinna ha risposto, commosso: «Basta non si può fare. Grazie famiglia, questa dal vivo e quelle nelle case. In Italia e nel mondo. Grazie con tutto il cuore, mi imbarazzo».

A fine puntata, inoltre, Flavio Insinna ha ripreso con i ringraziamenti, rivolgendosi alla società di produzione Banijay ma ricordando anche tutto quello che lui e gli spettatori hanno vissuto negli ultimi anni, dalle «puntate più corte» ai Mondiali di calcio passando per la guerra in Ucraina tuttora in corso. Qui il video con i saluti finali di Insinna.

Il futuro dell’Eredità: spunta l’ipotesi Pino Insegno

Da ormai diverso tempo si vocifera che molto presto Rai Uno avrà un nuovo volto di punta, quello di Pino Insegno, vicino agli ambienti meloniani. Stando alle ultime indiscrezioni apparse su Dagospia riportate da Giuseppe Candela, sembra che il testimone dell’Eredità sarà preso proprio da Insegno, a partire dal prossimo 1° gennaio 2024.

In base alle ultime indiscrezioni, tra l’altro, Pino Insegno potrebbe ricevere ben presto in Rai uno spazio ancor maggiore. Parlando del futuro di Insegno il giornale di Roberto D’Agostino ha riportato: «C’è chi ipotizza un ritorno alla fiction ma anche uno show in prime time su Rai 1, uno spettacolo in qualche modo legato al mondo della tv. Lavori in corso».

L’addio di Flavio Insinna a l’Eredità: «Siete stati la mia famiglia»

Si chiude un’era. In occasione della puntata trasmessa su Rai Uno la scorsa domenica, 18 giugno, Flavio Insinna ha detto ufficialmente addio ai milioni di telespettatori che fin dal 2018 seguivano fedeli L’Eredità, l’amato quiz che ha condotto negli ultimi 5 anni.

Il saluto commosso di Flavio Insinna a L’Eredità

Appena entrato in studio, il pubblico ha accolto Flavio Insinna con un fragoroso applauso. Terminati i convenevoli, il presentatore ha dichiarato: «Famiglia, è l’ultima puntata della stagione. Grazie, grazie, grazie a tutti. In tutte le lingue del mondo. Grazie alla famiglia de l’Eredità». A questo punto il pubblico presente in studio gli ha regalato una standing ovation, alla quale Insinna ha risposto, commosso: «Basta non si può fare. Grazie famiglia, questa dal vivo e quelle nelle case. In Italia e nel mondo. Grazie con tutto il cuore, mi imbarazzo».

A fine puntata, inoltre, Flavio Insinna ha ripreso con i ringraziamenti, rivolgendosi alla società di produzione Banijay ma ricordando anche tutto quello che lui e gli spettatori hanno vissuto negli ultimi anni, dalle «puntate più corte» ai Mondiali di calcio passando per la guerra in Ucraina tuttora in corso. Qui il video con i saluti finali di Insinna.

Il futuro dell’Eredità: spunta l’ipotesi Pino Insegno

Da ormai diverso tempo si vocifera che molto presto Rai Uno avrà un nuovo volto di punta, quello di Pino Insegno, vicino agli ambienti meloniani. Stando alle ultime indiscrezioni apparse su Dagospia riportate da Giuseppe Candela, sembra che il testimone dell’Eredità sarà preso proprio da Insegno, a partire dal prossimo 1° gennaio 2024.

In base alle ultime indiscrezioni, tra l’altro, Pino Insegno potrebbe ricevere ben presto in Rai uno spazio ancor maggiore. Parlando del futuro di Insegno il giornale di Roberto D’Agostino ha riportato: «C’è chi ipotizza un ritorno alla fiction ma anche uno show in prime time su Rai 1, uno spettacolo in qualche modo legato al mondo della tv. Lavori in corso».