Secondo il Consorzio Venezia Nuova la barriera ha mostrato un comportamento «di evidente stabilità».
Le vibrazioni, questa volta, non ci sono state, risposte positive dal test di sollevamento delle paratoie del Mose eseguito la scorsa notte alla bocca di porto di Malamocco, a tre settimane dalla grande acqua alta di 187 cm del 12 novembre. Anche in condizioni di moto ondoso – spiega il Consorzio Venezia Nuova – la barriera ha mostrato un comportamento «di evidente stabilità». Quanto al problema delle vibrazioni riscontrate nella prova del 24 ottobre, il test ha dimostrato che «gli interventi eseguiti e la modifica alle procedure hanno risolto la problematica».
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L’annuncio del presidente della Regione Veneto Luca Zaia. dopo il comitato a Palazzo Chigi. «Abbiamo chiesto una legge speciale e 1,5 miliardi per i lavori in Laguna». L’opera dovrebbe essere terminata per la fine del 2021.
Altri 320 milioni di euro per completare il Mose. Il presidente del Veneto Luca Zaia è uscito dalla riunione di Palazzo Chigi, il cosiddetto “Comitatone” per Venezia, con la promessa dei finanziamenti mancanti per terminare l’opera pensata ormai negli anni Ottanta per mettere in sicurezza la Laguna. «Abbiamo avuto la conferma del finanziamento dei 5 miliardi 493 milioni il che vuol dire che il Governo si impegna a metterne i 320 milioni mancanti e una conferma del cronoprogramma per la fine lavori al 31 dicembre 2021 e con tavolo di lavoro rispetto alla gestione che costa circa 100 milioni di euro l’anno», ha detto Zaia.
«CHIESTA UNA LEGGE SPECIALE E 1,5 MLD PER I PROSSIMI 10 ANNI»
«La Regione Veneto ha chiesto una legge speciale e risorse: ha chiesto per i prossimi 10 anni, per i lavori in Laguna, risorse per 150 milioni di euro l’anno per 10 anni, ovvero 1,5 miliardi», ha aggiunto il presidente di Regione. Fondi che vanno sia al capoluogo che ai Comuni del sistema di gronda lagunare. A questo si accompagna la richiesta di un coordinamento, da convocare in Prefettura su richiesta del sindaco, soprattutto per avere informazioni sugli avanzamenti dei lavori. Soddisfatto il sindaco Luigi Brugnaro, secondo cui «per la prima volta dopo decenni abbiamo visto il premier, il governo e la Regione al tavolo per prendere decisioni molto importanti». Per Conte, con la riunione di oggi «iniziamo ad avere una dirittura finale per problemi che si trascinano da tempo. Noi ci assumiamo le responsabilità – ha ribadito – ma è chiaro che si tratta di criticità che si protraggono da anni».
NUOVA RIUNIONE SULLE GRANDI NAVI A DICEMBRE
Il comitato per Venezia, previsto dalla Legge speciale, non si riuniva da due anni ed è tornato a formarsi anche sull’onda dell’emozione per la grande acqua alta del 12 novembre scorso. Ma è destinato a riunirsi nuovamente a breve, prima di Natale, con all’ordine del giorno l’altro tema scottante per Venezia, quello dell’allontanamento delle Grandi Navi dal Bacino di San Marco.
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L’acqua alta ha rovinato dei mosaici e la base di alcune colonne. I nuovi fondi si aggiungono ai 20 milioni già stanziati.
Ci vorrà tempo per capire esattamente i danni che l’acqua alta e soprattutto il sale che contiene, hanno causato alla basilica di San Marco, ma è già evidente l’ammaloramento di alcuni mosaici del pavimento, in particolare quelli raffiguranti due pavoni e quelli di un tappeto fiorito. Lo riferisce la Procuratoria di San Marco. Danni anche alla base di alcune colonne in marmo che si sono parzialmente frantumata.
SBLOCCATI ALTRI 65 MILIONI OLTRE AI 20 GIÀ STANZIATI
Sono pronti 65 milioni di euro per la salvaguardia e la conservazione della laguna di Venezia, 46 dei quali sono destinati alla città che nei giorni scorsi ha vissuto la drammatica ondata di acqua alta. Lo fa sapere il Mit, spiegando che si tratta di fondi contenuti nella legge speciale su Venezia, rifinanziata dalla scorsa legge di Bilancio, che sono stati sbloccati dalla ministra delle Infrastrutture e Trasporti, Paola De Micheli. Le risorse sono aggiuntive rispetto ai 20 milioni già stanziati per Venezia dal Consiglio dei ministri che ha concesso lo stato di emergenza.
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In ginocchio anche il “tesoro verde” della città lagunare. Alberi secolari sradicati, piante divelte e muretti crollati.
L’eccezionale acqua alta che negli ultimi giorni ha sommerso Venezia ha messo in ginocchio anche il “tesoro verde” della città lagunare, con i suoi 500 giardini storici. Alberi secolari sradicati, piante divelte, muretti crollati. Un tracollo silenzioso di pioppi, robinie, querce centenarie, ulivi e viti, abbattuti dal vento e dalle mareggiate.
«Stiamo ricevendo molte segnalazioni, i terreni sono inzuppati di acqua salmastra», racconta Mariagrazia Dammicco, presidente di Wigwam Club Giardini Storici Venezia, «giardini, orti e frutteti con alberi antichissimi oggi non esistono più». Fazzoletti verdi nelle corti interne dei palazzi nobili, che nulla hanno potuto contro la rabbia della natura: «Sono piante con radici che non superano i 70-80 centimetri di profondità. Proprio le radici non hanno retto, come accaduto con la tempesta Vaia»
Giovanni Masut, maestro-giardiniere che lavora alla Giudecca, fornisce un quadro della situazione. «L’ottocentesco giardino Eden, alla Giudecca, ha perduto un centinaio di piante. Il classico giardino Volpi, con le aiuole alla veneta e le pergole, è stato travolto dall’acqua che ha abbattuto il muro di protezione sul lato laguna e ha sradicato cipressi centenari, mettendone a nudo radici altissime. Stessa sorte è toccata agli storici orti della palladiana».
Un patrimonio che, secondo Antonella Pietrogrande, coordinatore del Gruppo Giardino Storico-Università di Padova, «forse è perduto per sempre». Le situazioni più critiche riguardano, tra l’altro, l’orto del Campanile ai Carmini, il giardino di impronta rinascimentale di Palazzo Nani Bernardo, confinante con il museo di Ca’ Rezzonico, e gli spazi verdi di molte residenze della Giudecca. Ma anche oltre il centro storico, la situazione non è diversa: «Siamo impegnati a recuperare un vitigno di due ettari nell’isola di Mazzorbo», dice Gianluca Bisol, proprietario della tenuta Venissa, «se il nostro lavoro non avrà un risultato positivo, stimo che il danno possa essere intorno al mezzo milione di euro».
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Il primo cittadino ha annunciato un primo stanziamento del governo di 20 milioni. Intanto scatta l’allerta per domenica: l’alta marea toccherà i 160 centimetri intorno a mezzogiorno. Gli aggiornamenti.
Venezianon ha pace. Se la marea alle 11 e 25 di sabato mattina ha toccato una massima di 97 centimetri, un centimetro in più a Chioggia, per domenica 17 novembre si attende un picco, a mezzogiorno, di 160 centimetri. Lo rende noto il Centro maree del Comune.
La previsione è aggravata dal fatto che i modelli di calcolo prefigurano per la laguna un’intera mezza giornata di marea oltre il metro, a partire dalle 3 della notte con 130 centimetri. Da lunedì si passerà a una massima di 105 centimetri nella notte per poi veder scemare il fenomeno.
BRUGNARO: «DANNI PER CIRCA 1 MILIARDO»
Intanto si fanno le stime dei danni calcolati in circa 1 miliardo di euro. «Quando tutto si asciugherà, si potranno capire con precisione i danni arrecati dall’acqua salsa alle abitazioni, alle imprese, ai negozi, al patrimonio culturale e artistico», ha detto il sindaco Luigi Brugnaro al Messaggero e Gazzettino.
Dal governo «ci sarà un primo stanziamento di 20 milioni di euro per gestire l’emergenza e far ripartire la funzionalità della città. Le cabine elettriche, i pontili, i pontoni. E se non dovessero bastare, sia il premier Giuseppe Conte che il ministro Paola De Micheli e il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli mi hanno promesso ulteriori stanziamenti».
Il primo cittadino ha ribadito la necessità che il Mose venga completato. «Vogliamo partecipare, sapere, essere informati. Voglio, non dico una data precisa della fine dei lavori, ma almeno un cronoprogramma», ha ribadito, sottolineando però come la mega opera non basti. «È tutto il ‘sistema’ che deve essere completato. Le pompe idrauliche, l’impianto antincendio, lo scavo dei canali», ha ricordato il sindaco. «E va rifinanziata la Legge speciale, si deve poter finanziare l’acquisto di beni strumentali per chi lavora in centro storico».
LO STRISCIONE: «BASTA PASSERELLE ELETTORALI»
Non mancano però le critiche e le proteste degli abitanti. «Da Venezia a Matera, basta passerelle elettorali», recita lo striscione posizionato da alcuni attivisti sul ponte di Rialto. «Uniti contro i cambiamenti climatici, è tempo di agire», si legge con riferimento al movimento ‘Fridays for future di Greta Thunberg.
Una quindicina di persone in tutto hanno invece accolto a Piazzale Roma la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, in città per incontrare la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e le autorità locali. «Vent’anni di Lega, Venezia annega, 20 anni di Lega, basta ipocrisia, andate via», hanno scandito i contestatori, attrezzati con un pala e gli stivali da acqua alta.
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La cecità di istituzioni e politica sta condannando a morte un ecosistema che va dalla Laguna ai quadri di Tiziano. Non ha dubbi lo storico dell’arte: «Ci stiamo baloccando con il Mose da 35 anni, quando senza Grandi navi qualcosa potrebbe cambiare».
I marmi della Basilica di San Marco erano appena stati restaurati dopo l’acqua alta del 30 ottobre 2018, quando la marea invase alcune decine di metri quadrati del millenario pavimento a mosaico, di fronte all’altare della Madonna Nicopeia, inondando completamente il battistero e bagnando i portoni in bronzo e le colonne. È passato un anno e San Marco è «a un passo dall’Apocalisse», come ha detto il procuratore della Basilica Pierpaolo Campostrini commentando la marea che ha coperto l’80% della città, una devastazione che ha riportato alla memoria l’Acqua Granda del 1966.
La Basilica è stata invasa dalle acque sei volte negli ultimi 1.200 anni, tre negli ultimi 20. Un dato che dà la tara sul rischio che corre la città «i cui fondali», spiega a Lettera43.it Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte, già direttore della Scuola Normale di Pisa e autore del volume Se Venezia muore (Einaudi), «negli ultimi decenni sono stati scavati fino a 60 metri per far transitare petroliere e grandi navi, senza tener conto degli effetti che questo avrebbe causato sulla dinamica delle maree».
DOMANDA. Eppure sembra ci si accorga delle condizioni in cui versa questa città solo adesso. RISPOSTA. Venezia oggi è una città stesa sul letto di morte, in agonia. E non è colpa solo dei cambiamenti climatici o del destino cinico e baro. È colpa in primis degli uomini che hanno fatto la politica nazionale, delle istituzioni internazionali come l’Unesco e non ultimo del Comune.
Cosa intende? Negli anni c’è stata una incapacità di affrontare i problemi nel modo giusto e questo è evidente non solo da quanto abbiamo visto in questi giorni ma anche dallo svuotamento della città: nel 1955 la Venezia lagunare contava 176 mila abitanti, oggi ce sono appena 51 mila. Una città che perde abitanti è una città condannata. Si registrano circa 1000 abitanti in meno, ogni anno. A Venezia c’è una farmacia che ha un contatore luminoso che tiene conto dei nati e dei morti in città. Ebbene, quel contatore è costantemente in rosso.
Senza abitanti, restano in pochi a prendersi cura della città. Esattamente. Negli anni, nonostante una situazione così allarmante, non si è fatta alcuna operazione a favore dei giovani, per ripopolare la città, o per ridurre il numero delle seconde case. A Venezia ci sono centinaia di appartamenti vuoti. Chi ha una seconda casa a Venezia ci sta mediamente due giorni e mezzo l’anno. Chi ci vive così poco, non può rendersi conto dei problemi. Mi viene in mente Woody Allen: ha un palazzo sul Canal Grande ma ci va pochissimo. Senza scomodare i grandi nomi: se una città non la si abita, come si può prendersene cura?
Un’acqua così alta non la si vedeva dal 1966. L’Acqua Granda, come la chiamano a Venezia, del 1966, fu più alta di 10 centimetri rispetto a quanto abbiamo visto ora. E venne causata dal fatto che si decise di scavare il Canale dei Petroli, per permettere il passaggio delle petroliere dirette a Marghera. Nell’ultimo secolo non si è tenuto conto della condizione delicata di Venezia che ha un rapporto di simbiosi con la laguna: è un ecosistema di cui fanno parte pesci, alghe, vegetazioni, isole, esseri umani e monumenti. Tra un quadro di Tiziano e la Laguna c’è una continuità. Ora negli ultimi decenni si sono scavate le bocche di porto, si è passati da una profondità intorno ai 10 metri a circa 60. E questo perché? Per far transitare prima le petroliere verso Marghera, poi le Grandi navi, per permettere ai turisti di guardare piazza San Marco dall’alto. E questa è una forma di turismo vergognosa. Se mettiamo insieme tutti questi fattori ci rendiamo conto che la vera essenza di Venezia non è più curata da molto tempo.
Quali sono gli effetti dell’acqua di mare sui Beni artistici della città?L’acqua di mare contiene salsedine, capace di corrodere e rovinare normalmente edifici e opere. A questo vanno aggiunti i rifiuti che l’acqua porta con sé, le polveri sottili. A Venezia possiamo dire che è a rischio tutto. La ragione per cui ci occupiamo della Basilica di San Marco è perché è uno dei monumenti più famosi al mondo, ma tutta la città rischia di morire. Secondo il letterato inglese John Ruskin, vissuto a metà Ottocento, la Basilica di San Marco è «il termometro del mondo». Ebbene, con questa invasione delle acque questa affermazione risulta lampante. La piazza e la Basilica sono tra le zone più soggette all’acqua alta ma tutti i monumenti e i palazzi di Venezia sono a rischio.
Nel 1955 la Venezia lagunare contava 176 mila abitanti, oggi ce sono appena 51 mila. Una città che perde abitanti è una città condannata
Gli edifici della città lagunare sorgono su palafitte che formano una vera e propria rete nel terreno e sono soggette a logoramento. Un logoramento che può certamente essere corretto ma con la dovuta manutenzione. E sono decisioni che vanno prese subito. Adesso. C’è un rapporto Unesco del 2011 che non è mai stato veramente reso pubblico, secondo cui prima del 2050 l’acqua alta a Venezia potrebbe essere perpetua e sarà necessario spostarsi e muoversi con le barche in tutta la città. Con l’innalzamento dei mari uno dei primi porti a essere danneggiati sarà proprio quello Venezia, tutto è più a rischio specialmente se è più in basso.
Da 30 anni si parla del Mose come dell’opera che avrebbe risolto o quantomeno arginato il problema dell’acqua alta a Venezia. L’idea del Mose poteva forse essere una buona idea ma è finita per essere una scusa per uno straordinario episodio di corruzione. Non ho un giudizio tecnico sul Mose, però dico alcune cose: doveva essere inaugurato, lo annunciò Bettino Craxi, prima del 1995. Adesso dicono che sarà finito tra altri tre, forse cinque anni. Il costo doveva essere di circa 2 miliardi, siamo arrivati a quasi 8. Secondo un calcolo fatto da un economista come Francesco Giavazzi, di questi 8 miliardi, 2 sono finiti in corruzione. Infine, ho letto sui giornali, una parte di queste barriere sono state costruite anni fa e sarebbero già rovinate ed è possibile che quando sarà inaugurato, sarà subito necessario fare manutenzione alle paratie. E anche su questo aspetto nessuno ha dato cifre certe sui costi annui.
Si è avuta fretta di permettere il passaggio delle Grandi navi ma non di tutelare la città… Questo governo dovrebbe avere il coraggio di nominare una commissione internazionale di altissimo livello incaricata di studiare gli atti relativi al Mose e nel giro di due mesi o tre mesi dire se quest’opera possa davvero funzionare. Ci stiamo baloccando con il Mose da 35 anni. E di contro se non transitassero più le Grandi navi, si potrebbero riportare le bocche di porto all’altezza originaria e forse qualcosa potrebbe cambiare.
Tutti pensano agli effetti del turismo delle Grandi navi, ma non pensano all’inquinamento, al rischio che una di queste navi possa sventrare Palazzo ducale
Alcuni tra gli ultimi sindaci però sulle Grandi navi non hanno mai voluto sentire ragioni. L’attuale sindaco di centrodestra Luigi Brugnaro è un fautore delle Grandi navi. Ma l’altro principale sponsor negli anni scorsi è stato Paolo Costa, ex sindaco che viene dal Pd. Questa armonia tra destra e sinistra ci dice molto del perché Venezia vada puntualmente sott’acqua.
L’obiezione principale è relativa all’indotto in termini di supporto all’economia locale, creato dal turismo delle migliaia di persone che scendono dalle navi da crociera e si riversano in città. Tutti pensano agli effetti presunti del turismo delle Grandi navi, da cui in realtà spesso non scende nemmeno la metà dei turisti, ma non pensano all’inquinamento, al rischio che una di queste navi possa sventrare il Palazzo ducale. E anche ultimamente si è andati vicino a incidenti di questo tipo. Oggi si discute del biglietto di accesso a Venezia che considero una stupidaggine, ma non si pensa a bloccare le Grandi navi. E invece di riportare l’altezza delle bocche di porto alla profondità originaria, c’è qualcuno che vorrebbe costruire un secondo canale verso Marghera. Con tale cecità ci stanno obbligando al fatto che Venezia morirà domani.
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La cecità di istituzioni e politica sta condannando a morte un ecosistema che va dalla Laguna ai quadri di Tiziano. Non ha dubbi lo storico dell’arte: «Ci stiamo baloccando con il Mose da 35 anni, quando senza Grandi navi qualcosa potrebbe cambiare».
I marmi della Basilica di San Marco erano appena stati restaurati dopo l’acqua alta del 30 ottobre 2018, quando la marea invase alcune decine di metri quadrati del millenario pavimento a mosaico, di fronte all’altare della Madonna Nicopeia, inondando completamente il battistero e bagnando i portoni in bronzo e le colonne. È passato un anno e San Marco è «a un passo dall’Apocalisse», come ha detto il procuratore della Basilica Pierpaolo Campostrini commentando la marea che ha coperto l’80% della città, una devastazione che ha riportato alla memoria l’Acqua Granda del 1966.
La Basilica è stata invasa dalle acque sei volte negli ultimi 1.200 anni, tre negli ultimi 20. Un dato che dà la tara sul rischio che corre la città «i cui fondali», spiega a Lettera43.it Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte, già direttore della Scuola Normale di Pisa e autore del volume Se Venezia muore (Einaudi), «negli ultimi decenni sono stati scavati fino a 60 metri per far transitare petroliere e grandi navi, senza tener conto degli effetti che questo avrebbe causato sulla dinamica delle maree».
DOMANDA. Eppure sembra ci si accorga delle condizioni in cui versa questa città solo adesso. RISPOSTA. Venezia oggi è una città stesa sul letto di morte, in agonia. E non è colpa solo dei cambiamenti climatici o del destino cinico e baro. È colpa in primis degli uomini che hanno fatto la politica nazionale, delle istituzioni internazionali come l’Unesco e non ultimo del Comune.
Cosa intende? Negli anni c’è stata una incapacità di affrontare i problemi nel modo giusto e questo è evidente non solo da quanto abbiamo visto in questi giorni ma anche dallo svuotamento della città: nel 1955 la Venezia lagunare contava 176 mila abitanti, oggi ce sono appena 51 mila. Una città che perde abitanti è una città condannata. Si registrano circa 1000 abitanti in meno, ogni anno. A Venezia c’è una farmacia che ha un contatore luminoso che tiene conto dei nati e dei morti in città. Ebbene, quel contatore è costantemente in rosso.
Senza abitanti, restano in pochi a prendersi cura della città. Esattamente. Negli anni, nonostante una situazione così allarmante, non si è fatta alcuna operazione a favore dei giovani, per ripopolare la città, o per ridurre il numero delle seconde case. A Venezia ci sono centinaia di appartamenti vuoti. Chi ha una seconda casa a Venezia ci sta mediamente due giorni e mezzo l’anno. Chi ci vive così poco, non può rendersi conto dei problemi. Mi viene in mente Woody Allen: ha un palazzo sul Canal Grande ma ci va pochissimo. Senza scomodare i grandi nomi: se una città non la si abita, come si può prendersene cura?
Un’acqua così alta non la si vedeva dal 1966. L’Acqua Granda, come la chiamano a Venezia, del 1966, fu più alta di 10 centimetri rispetto a quanto abbiamo visto ora. E venne causata dal fatto che si decise di scavare il Canale dei Petroli, per permettere il passaggio delle petroliere dirette a Marghera. Nell’ultimo secolo non si è tenuto conto della condizione delicata di Venezia che ha un rapporto di simbiosi con la laguna: è un ecosistema di cui fanno parte pesci, alghe, vegetazioni, isole, esseri umani e monumenti. Tra un quadro di Tiziano e la Laguna c’è una continuità. Ora negli ultimi decenni si sono scavate le bocche di porto, si è passati da una profondità intorno ai 10 metri a circa 60. E questo perché? Per far transitare prima le petroliere verso Marghera, poi le Grandi navi, per permettere ai turisti di guardare piazza San Marco dall’alto. E questa è una forma di turismo vergognosa. Se mettiamo insieme tutti questi fattori ci rendiamo conto che la vera essenza di Venezia non è più curata da molto tempo.
Quali sono gli effetti dell’acqua di mare sui Beni artistici della città?L’acqua di mare contiene salsedine, capace di corrodere e rovinare normalmente edifici e opere. A questo vanno aggiunti i rifiuti che l’acqua porta con sé, le polveri sottili. A Venezia possiamo dire che è a rischio tutto. La ragione per cui ci occupiamo della Basilica di San Marco è perché è uno dei monumenti più famosi al mondo, ma tutta la città rischia di morire. Secondo il letterato inglese John Ruskin, vissuto a metà Ottocento, la Basilica di San Marco è «il termometro del mondo». Ebbene, con questa invasione delle acque questa affermazione risulta lampante. La piazza e la Basilica sono tra le zone più soggette all’acqua alta ma tutti i monumenti e i palazzi di Venezia sono a rischio.
Nel 1955 la Venezia lagunare contava 176 mila abitanti, oggi ce sono appena 51 mila. Una città che perde abitanti è una città condannata
Gli edifici della città lagunare sorgono su palafitte che formano una vera e propria rete nel terreno e sono soggette a logoramento. Un logoramento che può certamente essere corretto ma con la dovuta manutenzione. E sono decisioni che vanno prese subito. Adesso. C’è un rapporto Unesco del 2011 che non è mai stato veramente reso pubblico, secondo cui prima del 2050 l’acqua alta a Venezia potrebbe essere perpetua e sarà necessario spostarsi e muoversi con le barche in tutta la città. Con l’innalzamento dei mari uno dei primi porti a essere danneggiati sarà proprio quello Venezia, tutto è più a rischio specialmente se è più in basso.
Da 30 anni si parla del Mose come dell’opera che avrebbe risolto o quantomeno arginato il problema dell’acqua alta a Venezia. L’idea del Mose poteva forse essere una buona idea ma è finita per essere una scusa per uno straordinario episodio di corruzione. Non ho un giudizio tecnico sul Mose, però dico alcune cose: doveva essere inaugurato, lo annunciò Bettino Craxi, prima del 1995. Adesso dicono che sarà finito tra altri tre, forse cinque anni. Il costo doveva essere di circa 2 miliardi, siamo arrivati a quasi 8. Secondo un calcolo fatto da un economista come Francesco Giavazzi, di questi 8 miliardi, 2 sono finiti in corruzione. Infine, ho letto sui giornali, una parte di queste barriere sono state costruite anni fa e sarebbero già rovinate ed è possibile che quando sarà inaugurato, sarà subito necessario fare manutenzione alle paratie. E anche su questo aspetto nessuno ha dato cifre certe sui costi annui.
Si è avuta fretta di permettere il passaggio delle Grandi navi ma non di tutelare la città… Questo governo dovrebbe avere il coraggio di nominare una commissione internazionale di altissimo livello incaricata di studiare gli atti relativi al Mose e nel giro di due mesi o tre mesi dire se quest’opera possa davvero funzionare. Ci stiamo baloccando con il Mose da 35 anni. E di contro se non transitassero più le Grandi navi, si potrebbero riportare le bocche di porto all’altezza originaria e forse qualcosa potrebbe cambiare.
Tutti pensano agli effetti del turismo delle Grandi navi, ma non pensano all’inquinamento, al rischio che una di queste navi possa sventrare Palazzo ducale
Alcuni tra gli ultimi sindaci però sulle Grandi navi non hanno mai voluto sentire ragioni. L’attuale sindaco di centrodestra Luigi Brugnaro è un fautore delle Grandi navi. Ma l’altro principale sponsor negli anni scorsi è stato Paolo Costa, ex sindaco che viene dal Pd. Questa armonia tra destra e sinistra ci dice molto del perché Venezia vada puntualmente sott’acqua.
L’obiezione principale è relativa all’indotto in termini di supporto all’economia locale, creato dal turismo delle migliaia di persone che scendono dalle navi da crociera e si riversano in città. Tutti pensano agli effetti presunti del turismo delle Grandi navi, da cui in realtà spesso non scende nemmeno la metà dei turisti, ma non pensano all’inquinamento, al rischio che una di queste navi possa sventrare il Palazzo ducale. E anche ultimamente si è andati vicino a incidenti di questo tipo. Oggi si discute del biglietto di accesso a Venezia che considero una stupidaggine, ma non si pensa a bloccare le Grandi navi. E invece di riportare l’altezza delle bocche di porto alla profondità originaria, c’è qualcuno che vorrebbe costruire un secondo canale verso Marghera. Con tale cecità ci stanno obbligando al fatto che Venezia morirà domani.
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L’intera laguna, fino a Eraclea e Chioggia, continua a mandare un grido d’aiuto. Anni di incuria, di scelte poco strategiche e la corruzione hanno asfissiato un intero eco-sistema. La parola all’architetto Pizzati.
Canali inquinati da troppi anni di incuria e corruzione. Non solo la Venezia allagata e devastata fino all’interno della basilica di San Marco, ma l’intero ecosistema della laguna, che si espande a sud fino a Chioggia e a nord fino a Eraclea, sta mandando un Sos che va raccolto e trasformato in azione nel tempo più breve possibile.
«È un allarme che il grande storico dell’architettura Bruno Zevi lanciò tramite alcuni articoli scritti subito dopo l’alluvione del 1966», spiega a Lettera43.itPaolo Pizzati, architetto ed ex assistente di disegno e rilievo alla Ca’ Foscari. Zevi poggiava le sue osservazioni «su saperi molto antichi, a cominciare dagli illuminanti studi effettuati nel 500 da un dotto ingegnere idraulico che si chiamava Cristoforo Sabbadin».
Nella sua lunga esperienza Pizzati si è convinto che i problemi ambientali da affrontare a Venezia e dintorni sono ingigantiti dal contesto storico-politico con cui ci si deve misurare. «Una volta mando un laureando a consultare dei documenti d’archivio teoricamente di pubblico dominio, tanto erano noti e citati in vari studi», racconta, «e questo mi torna a mani vuote: spariti, nascosti chissà dove, forse distrutti, chi può saperlo. È una delle tante parabole che hanno tristemente arricchito la mia esperienza». Purtroppo, allarga le braccia, «chi conosce Venezia sa che l’imboscamento della verità è una costante di tutta la sua storia dal Dopoguerra a oggi. Con il risultato che per noi il Mose è una specie di mostro capace di inghiottire miliardi di denaro pubblico, mentre a Londra la barriera alta come un condominio inserita nel Tamigi funziona a meraviglia».
FONDALI SEMPRE PIÙ PROFONDI
Se i fondali dei canali vengono abbassati di 15 metri in mezzo secolo per fare passare navi da crociera e petroliere, e nello stesso tempo sorgono insediamenti di enormi dimensioni come la zona industriale di Marghera o l’aeroporto di Tessera, l’effetto-asfissiamento della laguna è garantito. «La chiave più significativa è costituita dalle tre bocche di porto, che sono Malamocco, il Lido e Pellestrina», continua l’architetto, «canali dove l’altezza dei fondali è passata in pochi decenni da tre a 15 metri, con il risultato che nelle sei ore di una marea inglobano e riversano il quintuplo dell’acqua rispetto a una volta». Una piattaforma off-shore per le petroliere e un porto attrezzato al Lido per le navi da crociera sembrano tuttora a Paolo Pizzati le soluzioni a cui si doveva ricorrere per non esercitare sul centro storico di Venezia pressioni insostenibili. «Non lo pensavo solo io», precisa, «ma si è voluto fare diversamente. Soprattutto, non si è mai optato per soluzioni strategiche, proiettate nel tempo, in grado di tutelare Venezia e l’ecosistema della laguna».
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La vicenda della grande opera veneziana costata finora quasi 6 miliardi è legata a doppio filo a scandali e mazzette. E a indagini che negli anni hanno decapitato l’establishment della regione. A partire dall’ex governatore Giancarlo Galan.
Venezia è sommersa all’80%. Un’emergenza simile si era verificata solo nel 1966. Da allora di acqua, sotto i ponti e nelle calli, ne è passata parecchia, come del resto è scorso impietoso il fiume di denaro delle tangenti e degli scandali legati al Mose che, recita ancora il sito della grande opera, «cambierà la storia» della città.
LE PRIME INDAGINI SCATTARONO NEL 2009
Le prime indagini sul Mose risalgono esattamente a 10 anni fa, al 2009. Una inchiesta lunga e difficile che portò ai primi arresti nel 2013. Il 28 febbraio di quell’anno, mentre da Pordenone arrivano nel cantiere le prime due paratoie, veniva arrestato per frode fiscale Piergiorgio Baita, amministratore delegato della Mantovani, impresa del Consorzio Venezia Nuova (Cnv). L’inchiesta della procura veneziana raggruppò in un unico filone due indagini della Guardia di Finanza: una legata alle tangenti e l’altra, padovana, scaturita da una verifica fiscale su presunte fatture false. Gli inquirenti di lì a poco avrebbero scoperto che i cancelli del Mose, senza essere mai entrati in funzione, avevano trattenuto la marea di denaro che da Roma arrivava a Venezia per il finanziamento dell’opera pubblica.
LA “TANGENTOPOLI” DELLA LAGUNA
Baita collaborò con gli inquirenti, diede corpo al teorema accusatorio spiegando come funzionava il sistema. I soldi erano gestiti da un concessionario unico studiato ad hoc, una figura spuria composta da soci privati che, però, operava con fondi pubblici e usufruendo dell’incredibile beneficio di non supportare sulle proprie spalle il rischio d’impresa. Per gli imprenditori che vi aderivano, insomma, era tutto da guadagnare e nulla da perdere. E infatti i soldi non bastavano mai: da 1,6 miliardi il Mose è finito per inghiottirne quasi 6. Un euro su cinque, per Baita, finiva in «spese extra». Per questo le imprese e le cooperative di quella galassia, tra cui proprio la Mantovani (socio di maggioranza del Cnv), vedevano affluire nelle proprie casse fiumi di denaro pubblico. Un sistema sorretto da fondi neri e fatture gonfiate. Dai magistrati l’inchiesta sul Mose venne letta come una nuova Tangentopoli (spuntarono tra l’altro alcuni nomi di imprenditori già finiti nel mirino del pool di Mani Pulite), con la differenza che politici e imprenditori non dialogavano più direttamente: a mediare era il concessionario unico Cnv.
Baita è stato il grande accusatore di Giovanni Mazzacurati, all’epoca numero 1 del Consorzio, arrestato quattro mesi dopo l’ad della Mantovani. A Venezia Mazzacurati era soprannominato «Doge». Un nome che all’imprenditore, schivo e riservato, aveva sempre dato fastidio, forse perché attirava sulla sua persona la curiosità dei giornalisti. Mazzacurati è morto all’età di 87 anni a fine settembre, nella sua abitazione californiana dopo essere uscito dal processo con un patteggiamento.
GLI ARRESTI ECCELLENTI DEL 2014
Nel 2014 vennero arrestate 35 persone. Un centinaio quelle iscritte nel registro degli indagati. Finirono in manette politici di rango, imprenditori, alti funzionari dello Stato e i vertici delle aziende del Consorzio. Ma non era finita, perché l’inchiesta sulle tangenti versate dal Cnv si allargò a macchia d’olio arrivando fino a Roma.
IL RUOLO DI GALAN E IL MAXI SEQUESTRO
Tra i politici coinvolti anche Giancarlo Galan (insieme con la sua segretaria d’allora) che patteggiò, dopo 78 giorni di carcere, una pena di 2 anni e 10 mesi restituendo 2,5 milioni di euro estinguendo così il procedimento a suo carico. Galan nel 2017 è stato poi condannato dalla Corte dei Conti a risarcire lo Stato di 5,8 milioni di euro. Ma la questione non si è chiusa qui. Nella primavera 2019, nell’ambito di un’indagine per riciclaggio internazionale ed esercizio abusivo dell’attività finanziarie, le Fiamme gialle hanno sequestrato 12,3 milioni, tra conti, denaro e immobili in alcuni paradisi fiscali. Secondo gli inquirenti, un tesoretto riconducibile in ultima battuta sempre all’ex governatore veneto e al reinvestimento all’estero delle mazzette del Mose.
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Il ristoratore Maurizio Vianello aveva 8 anni quando a Venezia ci fu l’alluvione del 1966. Ma stavolta la paura è stata più forte: «Temevo fosse la fine».
L’acqua «continuava a salire, il vento a soffiare impetuoso. Ho pensato di scappare, ma dove? Poi guardando la marea ho temuto il peggio e mi sono detto: questa è la fine». Il ristoratore Maurizio Vianello ha raccontato la sua notte di terrore sull’isola di Pellestrina, la più esposta verso il mare tra quelle che compongono la città di Venezia. Proprio qui c’è stata anche una vittima, un uomo di 78 anni morto folgorato nel tentativo di far partire la pompa idraulica per liberare dall’acqua la sua casa.
Vianello è il titolare dell’Ostaria La Rosa, un locale sulla spiaggia aperto durante la bella stagione: «Eravamo fuori, stavamo chiacchierando con amici quando improvvisamente verso le 21.30 ci siamo accorti di qualcosa di strano. Le onde della laguna hanno iniziato a essere sempre più alte, spinte dal vento». Pochi attimi ed è stato l’inferno: «Nel giro di dieci minuti eravamo sotto 70 centimetri di acqua».
LA VIOLENZA DELL’ACQUA
L’apprensione è diventata paura quando le pompe non ce l’hanno più fatta a buttar fuori la marea. L’energia elettrica è saltata e l’isola è stata avvolta da un silenzio surreale, rotto solo dalle raffiche di vento. Nonostante gli sforzi, l’osteria si è completamente allagata. «L’acqua è entrata con violenza», ha raccontato ancora Vianello, «ha scardinato saracinesche, sfondato porte, distrutto tutto al suo passaggio».
IL RICORDO DELL’ALLUVIONE DEL 1966
Il suo locale conta danni per almeno 20 mila euro. E nel pomeriggio del 13 novembre la situazione non è migliorata: «Siamo ancora senza corrente, le linee telefoniche non funzionano. Abbiamo visto arrivare alcuni uomini della Protezione civile, ma qui siamo ancora isolati da tutti». Quando ci fu l’alluvione del 1966, Maurizio aveva 8 anni: «Me la ricordo bene, fu impressionante. Ma la paura di ieri è stata un’altra cosa, ben peggiore. Quelle raffiche di vento non le dimenticherò più».
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Secondo l’esponente del Verdi, l’innalzamento dei mari e la maggiore frequenza di fenomeni estremi hanno reso l’impianto obsoleto. «La soluzione? Sollevare Venezia».
Dal 1984, anno di fondazione del consorzio a tutela della Laguna, il mondo è cambiato e l’aqua granda che ha sommerso la città nel 1966 (record di 194 cm) è diventata l’innalzamento globale del livello del mare.
Il cambiamento climatico e lo scioglimento dei ghiacci non erano certo previsti negli Anni 80, e secondo molti l’idea stessa del Mose è diventata obsoleta nel frattempo. «Si è cominciato a discuterne negli Anni 80, a progettarlo negli Anni 90 e a costruirlo all’inizio degli anni 2000», ha detto a Lettera43Gianfranco Bettin, ex deputato ed esponente dei Verdi, «nel frattempo è cambiato il mondo e bisogna attrezzarsi per un’alternativa più duratura». Attualmente presidente della Municipalità di Porto Marghera, Bettin è sempre stato portatore delle istanze ambientaliste contrarie al Mose.
DOMANDA: La marea record a Venezia ha riportato subito i fari sul Mose, che doveva essere in funzione già dal 2016. Come mai non è ancora operativa? RISPOSTA: Al netto di tutti i discorsi relativi alla corruzione e alla storia giudiziaria che hanno circondato l’opera, sono subentrati problemi tecnici imprevisti come il continuo logoramento delle paratie, la corrosione e lo stato delle cerniere. Mentre si fanno gli ultimi sforzi per finire il lavoro ci si accorge di carenze che mettono in discussione la tenuta dell’opera, al di là del problema principale.
Ovvero? Il Mose è stato studiato per fronteggiare le maree eccezionali, quelle sopra 1,10 metri, per qualche ora e qualche giorno all’anno. Ma tra gli Anni 80 e oggi ci sono di mezzo il riscaldamento globale, lo scioglimento dei ghiacci, l’innalzamento del livello del mare e l’aumento di fenomeni climatici estremi. La frequenza delle maree eccezionali a Venezia è aumentata in maniera imprevedibile, così come il generale innalzamento del livello del mare.
Quindi è diventata un’opera inutile? Oggi l’urgenza è di capire se è possibile adeguare la struttura rispetto al progetto originario – che prevedeva di alzare le paratie solo in casi eccezionali – impiegandola decine di volte all’anno. Intanto bisogna riparare i guasti alla struttura e evitare che il giorno in cui lo si accenderà venga su solo a metà o crolli.
La domanda che sorge spontanea è: quali potrebbero essere le alternative al Mose? La strada da seguire comprende la protezione del litorale, ma soprattutto quella che è l’unica vera soluzione a un problema destinato a peggiorare: il sollevamento di Venezia.
Detta così sembra un’ipotesi fantascientifica. È un’opera faraonica, ma è l’unica veramente necessaria a contrastare l’esposizione costante della struttura della città al mare. Una serie di sollevamenti delle isole della città era già stata tentata ed era la via maestra che molti suggerivano. Poi tutte le risorse sono state dirottate nel Mose.
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Al 2018 erano già stati spesi 5,5 miliardi di euro, ma l’insieme delle opere deliberate raggiungerebbe 8 miliardi. Doveva essere ultimato nel 2016, ma l’inaugurazione è slittata a fine 2021.
Mentre si contano i danni a Veneziail pensiero non può che andare subito al Mose, il colossale sistema di barriere mobili contro le acque alte che attende ancora di essere ultimato. E lascia intanto la Laguna in balia di catastrofi naturali come questa. Secondo il progetto originario – l’opera è stata pensata negli anni ’80, i lavori sono iniziati nel 2003 – il Mose doveva essere ultimato nel 2016. Problemi tecnici e giudiziari, in primis il commissariamento nel 2014 del consorzio che si occupava dei lavori, hanno fatto slittare l’inaugurazione a fine 2021.
Nel frattempo, il costo complessivo dell’opera è arrivato a quasi 6 miliardi di euro. Di questi, 5,493 milioni di euro sono già stati spesi, mentre altri 221 sono stati messi in conto dallo Stato. Se si considerano tutte le opere deliberate per la salvaguardia della Laguna, faceva sapere L’Espresso, la cifra complessiva raggiunge quota 8 miliardi. «Chiediamo al governo di partecipare», ha detto il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, «e di capire a che livello è l’organizzazione del Mose, perché qui si rischia veramente di non farcela più. Domani chiederemo lo stato di calamità. Adesso il Mose si capisce che serve».
«Purtroppo ci sarà un’altra alta marea, a spanne mezzo miliardo di danni. Il Mose è pronto ad entrare in azione ma servono 100 milioni per la manutenzione annua. Uscito da qui andrò al Senato per un emendamento alla manovra per trovare questi soldi», ha detto il leader della Lega, Matteo Salvini, a Mattino 5. In realtà l’opera non è affatto pronta a entrare in azione: il 31 ottobre è arrivato un nuovo stop alla fase di test delle paratoie. Il Consorzio Venezia Nuova ha reso noto che è stato rinviato a un’altra data il sollevamento completo della barriera posata alla bocca di porto di Malamocco.
La ragione è dovuta al riscontro, avvenuto durante i sollevamenti parziali delle dighe mobili, il 21 e 24 ottobre scorso, di alcune vibrazioni in alcuni tratti di tubazioni delle linee di scarico. Un comportamento che ha indotto i tecnici del Consorzio allo stop, in attesa di verifiche dettagliate e di interventi di soluzione del problema. I lavori, in particolare per Malamocco, non sarebbero comunque finiti: la struttura installata sarà infatti oggetto fino a tutto il 2020 di ulteriori opere di consolidamento e ripristino.
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Il 13 novembre la città si è svegliata contando i danni, i morti – 2 a Pellestrina – e aspettando un nuovo picco di mareggiata. Mentre la mobilitazione della barriera che doveva salvare la Serenissima è stata rinviata ancora.
Venezia si è risvegliata il 13 novembre ancora nell’incubo: contando i danni, i morti e aspettando una nuova mareggiata. Dopo l’acqua alta che il 12 novembre con il vento di scirocco a 100 chilometri orari ha sfiorato la paurosa soglia di 190 centimetri sul medio mare, il 13 novembre si attende un’altra super-marea, vicina al metro e 45, prevista alle 10.20. Mentre la mobilitazione del Mose, la barriera costata sei miliardi che doveva proteggere la città lagunare dall’acqua, è stata rinviata ancora.
PREVISTI 160 CM DI MAREA
Sono già suonate le sirene d’allarme per il nuovo picco previsto di alta marea a Venezia. La previsione aggiornata del Centro maree è di 160 centimetri alle ore 10.30. Alle 8.30 il livello registrato a Punta della Salute è già di 130 centimetri. Il città il cielo è plumbeo e piove leggermente.
DUE MORTI A PELLESTRINA
Sono due le persone morte la sera del 12 novembre a Pellestrina mentre infuriava la mareggiata che ha devastato la città lagunare e le sue isole, con una punta di marea di 187 centimetri. All’anziano di 78 anni, rimasto fulminato mentre cercava di far ripartire le elettropompe nella sua casa allagata, si è aggiunto un secondo abitante dell’isola, trovato deceduto anche lui in casa, probabilmente per cause naturali. Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha scritto nella sua pagina Facebook che si contano i danni a Pellestrina, Murano, ma che sono andate sotto anche Chioggia e Punta Gorzone oltre a numerose località del litorale.
SECONDO RECORD DI MAREGGIATA DAL ’66: LA CONTA DEI DANNI
Quella del 12 novembre è la seconda misura nella storia della Serenissima, subito dietro al record dei 194 centimetri del 1966. I danni in città sono gravi. Gondole e barche strappate dagli ormeggi e spinte sulle rive, tre vaporetti affondati, altre imbarcazioni alla deriva. I vigili del fuoco hanno lavorato tutta la notte per spegnere l’incendio all’interno del Museo di Ca’ Pesaro a Venezia, provocato dal mal funzionamento della cabina elettrica, che ha causato il crollo di un solaio a piano terra.
100 INTERVENTI DEI POMPIERI, I SOMMOZZATORI AL LAVORO IN LAGUNA
Nel centro storico e nella laguna permangono le situazioni più critiche: l’acqua alta ha completamente invaso l’isola Pellestrina. Diversi incendi si sono verificati nella notte a causa delle centraline elettriche invase dall’acqua. Le squadre dei Vigili del Fuoco stanno operando insieme con personale del nucleo sommozzatori per liberare la circolazione acquea a causa dell’affondamento di diversi natanti che hanno rotto gli ormeggi. A Venezia sono già stati effettuati oltre 100 interventi e altri 100 sono in attesa.
IN ARRIVO IL CAPO DEI VIGILI DEL FUOCO E DELLA PROTEZIONE CIVILE
L’elicottero Drago 71 dei Vigili del Fuoco sta compiendo un sopralluogo sull’isola di Pellestrina per individuare i luoghi più idonei per piazzare le pompe ad alta capacità di aspirazione. Il dispositivo di soccorso è stato rinforzato con personale arrivato dei comandi vicini. In mattinata a Venezia arriverà anche il capo del corpo nazionale dei vigili del fuoco Fabio Dattilo accompagnato dal capo dell’ emergenza Guido Parisi e il capo della protezione civile Angelo Borrelli.
LA CRIPTA DI SAN MARCO SOMMERSA
Sul fronte culturale, c’è grande apprensione per la Basilica di San Marco, i cui danni dovranno essere valutati quando l’acqua si ritirerà del tutto. La cripta, ha riferito la polizia municipale, è stata sommersa completamente. Nel momento del picco, in Basilica si misurava un metro e 10 d’acqua. Tutto il centro storico è stato allagato, perchè su questi livelli non ci sono passerelle o paratoie che tengano. L’acqua, con il buio fitto e la pioggia battente, è entrata dappertutto. I veneziani hanno assistito attoniti, dalle finestre di casa, o collegati al web, alla laguna che entrava nelle calli, nelle piazze, si prendeva i masegni e sommergeva ogni cosa.
BRUGNARO: «QUESTO È UN DISASTRO»
A cambiare tutto è stato il vento di scirocco che, se al mattino girava da nord est raggiungendo le coste del Veneto, in serata si è incattivito. Lo scirocco ha iniziato a spirare con raffiche fino a 100 km/h, e ha gonfiato la laguna. Alle 22 Piazza San Marco si presentava deserta e spettrale, sommersa da quasi un metro d’acqua, le onde ad infrangersi sulle colonne di Palazzo Ducale, la Basilica di San Marco, indifesa davanti all’attacco del mare. «Questo è un disastro, questa volta bisognerà contare i danni», ha detto il sindaco Luigi Brugnaro, mentre in barca effettuava un sopralluogo nell’area marciana, accompagnato dalla polizia municipale e dal personale di Avm.
E SI ASPETTA ANCORA IL MOSE
La marea rilancia anche il tema del Mose, il colossale sistema di barriere mobili contro le acque alte che attende ancora di essere ultimato, e lascia Venezia in balia di catastrofi naturali come questa. Tutte le scuole di Venezia e delle isole domani resteranno chiuse. Il sindaco ha annunciato che chiederà lo stato di calamità naturale per la città.
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