La Popolare di Bari punta a un piano per il salvataggio prima di Natale

Proseguono incontri e contatti con investitori istituzionali.

Un piano di salvataggio prima di Natale. È questo l’obiettivo della Banca popolare di Bari, che per raddrizzare la propria situazione patrimoniale – le perdite del primo trimestre 2019 ammontano a 73 milioni di euro – ha chiesto aiuto al Fondo interbancario di tutela dei depositi, cui si dovrebbe affiancare la controllata statale Mediocredito centrale nell’ambito di un intervento che potrebbe valere circa un miliardo di euro.

DUE SETTIMANE DECISIVE

Il gruppo pugliese ha confermato che il programma di incontri e contatti con investitori istituzionali, finalizzato al rafforzamento patrimoniale, «prosegue intensamente». Si punta quindi a pervenire «entro le prossime due settimane all’approvazione di un piano industriale e patrimoniale concordato tra le parti».

LE POSSIBILI AGGREGAZIONI

Al salvataggio potranno contribuire anche gli incentivi fiscali per le aggregazioni societarie tra imprese del Sud, introdotti con il decreto crescita ma che necessitano di provvedimenti attuativi. La banca auspica quindi che la definizione operativa degli incentivi «possa avvenire a breve, nel rispetto delle normative comunitarie». Alla Popolare di Bari risanata potrebbero aggregarsi la Popolare di Puglia e di Basilicata e la Banca popolare pugliese, ma anche la Banca Regionale di Sviluppo, la Banca del Sud e la Popolare Vesuviana.

DISCONTINUITÀ E RINNOVAMENTO

L’istituto afferma inoltre di aver avviato, a partire da agosto 2019, un «processo di discontinuità e di profondo rinnovamento», che avrebbe posto le basi per «la stabilizzazione dei requisiti patrimoniali e il rilancio della redditività operativa». Un percorso che viene definito «importante per l’intera economia del Mezzogiorno e quindi per l’intero sistema-Paese». Ma ancora non è chiaro quale sarà il prezzo del salvataggio per gli azionisti e per i titolari di obbligazioni.

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Banche, per chi suona il valzer delle fusioni

Occhi puntati sul mondo delle Popolari. Per adesso di nozze tra BancoBpm e Ubi, a parte aperture a mezzo stampa, non se ne parla. Più probabile un matrimonio della seconda con Bper. Mentre i dipendenti di Credito Valtellinese si aspettano una mossa da Crédit Agricole.

Chi sarà ad aprire le danze del risiko bancario nel 2020? È la domanda che circola nelle sale operative dove per ora i broker si accontentano di scommettere su fusioni di piccolo-medio taglio. Sotto ai riflettori sono in particolare le mosse di quel mondo Popolare che deve trovare un nuovo centro di gravità permanente magari dando vita al terzo polo del credito in Italia. Per adesso di nozze tra il BancoBpm e Ubi, a parte aperture a mezzo stampa tese più a vedere l’effetto prodotto che ad avviare negoziati concreti, non se ne parla. Più probabile sembra, invece, un matrimonio tra Bper e Ubi con a fare da sensale la Unipol (primo azionista della Popolare emiliana) di Carlo Cimbri. In generale, ha detto l’ad del gruppo assicurativo di via Stalingrado lo scorso 8 novembre, «non potremo che favorire strutture più grandi, più solide e più performanti di quelli attuali». 

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ATTESA AL CREDITO VALTELLINESE

Nel frattempo, però qualcosa potrebbe muoversi anche lungo la strada tra l’Emilia-Romagna e l’alta Lombardia. Nelle filiali del Credito Valtellinese, infatti, i dipendenti sono sempre più convinti che la loro banca finirà prima poi nella rete dei francesi del Crédit Agricole che hanno già la Cariparma. E che del Creval sono già azionisti con una quota del 5% oltrechè partner bancassicurativi. Da Parigi hanno sempre smentito («potremmo salire leggermente, fino a poco meno del 10%», perché l’obiettivo è «la partnership, non il controllo», aveva detto un anno fa il Ceo dell’Agricole, Philippe Brassac) ma il vento potrebbe essere cambiato. 

MANDARINI PER BAZOLI

Per Giovanni Bazoli la Cina è più vicina. Il 12 novembre, in qualità di presidente della Fondazione culturale Cini, il banchiere bresciano ha accolto a Venezia il finanziere cinese Eric Li, fondatore e managing partner di Chengwei Capital e amministratore fiduciario del China Institute della Fudan University. Li è uno dei nuovi Amici di San Giorgio, la “creatura” della Cini che raccoglie soggetti disposti a investire nel suo funzionamento con un impegno triennale e rinnovabile, di 100 mila euro annui. Ad accompagnare Li da Bazoli è stato un amico di vecchia data di entrambi ovvero l’ex premier Romano Prodi, che con la Cina ha da sempre rapporti consolidati e che è anche presidente onorario del Taihu World Cultural Forum, il consesso internazionale legato proprio allo sviluppo dei temi culturali lanciato da qualche anno dalla Cini. Il nuovo sponsor orientale può di certo dare sostegno alla Fondazione che già può contare sui contributi di soggetti privati istituzionali, come Intesa Sanpaolo, Cariplo e Generali. Ed Eni.

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