Mafia, maxi-blitz tra Palermo e Milano: 91 arresti
Nel mirino anche storici esponenti dei clan palermitani dell’Arenella e dell’Acquasanta. Sequestrati beni per 15 milioni. Santoianni accusato di essere un prestanome dei boss. Il Gip: «Pronti a sfruttare la crisi Covid».
Sono nomi noti da decenni agli inquirenti quelli finiti nell‘inchiesta della Guardia di Finanza di Palermo che ha portato il 12 maggio a 91 arresti tra boss, gregari ed estortori dei clan dell’Arenella e dell’Acquasanta. Come i Fontana, “famiglia” storica di Cosa nostra palermitana descritta dal pentito Tommaso Buscetta come una delle più pericolose. Sequestrati anche beni per 15 milioni di euro.
IL RUOLO DELLA FAMIGLIA FONTANA
Dalle indagini è emerso il ruolo di vertice di Gaetano Fontana, scarcerato per decorrenza dei termini nel 2013 dall’accusa di mafia, tornato in cella nel 2014 e nel 2017 uscito nuovamente dopo aver scontato la pena. Sono finiti dietro le sbarre anche i fratelli Giovanni, un lungo elenco di precedenti per ricettazione, omicidio, porto abusivo di armi e resistenza a pubblico ufficiale, e Angelo, dal 2012 sottoposto all’obbligo di soggiorno a Milano. Per gli inquirenti Gaetano Fontana sarebbe il punto di riferimento indiscusso dei “picciotti” dell’Acquasanta, ruolo che avrebbe mantenuto anche mentre era detenuto.
DALLA CANTIERISTICA ALLE SLOT MACHINE: GLI INTERESSI DEL CLAN
I Fontana gestivano le imprese che operano nella cantieristica navale, nella produzione e commercializzazione di caffè, e avrebbero il controllo di decine di supermercati, bar e macellerie e del mercato ortofrutticolo, delle scommesse online e delle slot machine. I fratelli Gaetano, Giovanni e Angelo Fontana vivevano da tempo a Milano, ma hanno mantenuto forti interessi nel capoluogo siciliano. Altro personaggio di rilievo dell’indagine è Giovanni Ferrante, braccio operativo del clan Fontana. Ferrante usava attività commerciali del quartiere per riciclare i soldi sporchi, ordinava estorsioni e imponeva l’acquisto di materie prime e generi di consumo scelti dall’organizzazione. Già condannato per mafia, dal 2016 è stato ammesso all’affidamento in prova ai servizi sociali. Uscito dal carcere, ha consolidato la propria posizione di leader all’interno della famiglia mafiosa e per la gestione degli affari illeciti usava come intermediatrice la compagna, Letizia Cinà. Molto temuto, modi violenti, in una intercettazione dopo essere stato scarcerato dice: «Oramai non ho più pietà per nessuno! Prima glieli davo con schiaffi, ora glieli do con cazzotti… a colpi di casco… cosa ho in mano… cosa mi viene». Personaggio di spicco è anche Domenico Passarello, a cui era stata delegata la gestione dei giochi e delle scommesse a distanza, del traffico di stupefacenti, della gestione della cassa e della successiva consegna del denaro ai vertici della famiglia per versamento nella cassa comune.
TRA GLI INDAGATI ANCHE UN EX GIEFFINO
Tra gli indagati c’è anche un ex concorrente del Grande Fratello. Si tratta di Daniele Santoianni, che ha partecipato alla decima edizione del reality, e che ora è ai domiciliari con l’accusa di essere un prestanome del clan. Santoianni era stato nominato rappresentante legale della Mok Caffè Srl. ditta che commerciava in caffè, di fatto nella disponibilità della cosca. «Con ciò», scrive il Gip, «alimentando la cassa della famiglia dell’Acquasanta e agevolando l’attività dell’associazione mafiosa»
GLI AFFARI DELLA MAFIA FAVORITI DALL’EMERGENZA COVID
Il lockdown e la pesante crisi economica, con numerose imprese sull’orlo della chiusura rappresentano, scrive sempre il Gip, «un contesto assai favorevole per il rilancio dei piani dell’associazione criminale sul territorio d’origine e non solo». Il quadro dipinto, non frutto di prognosi ma basato su dati di inchiesta, è allarmante. «Le misure di distanziamento sociale e il lockdown su tutto il territorio nazionale, imposti dai provvedimenti governativi per il contenimento dell’epidemia, hanno portato alla totale interruzione di moltissime attività produttive, destinate, tra qualche tempo, a scontare una modalità di ripresa del lavoro comunque stentata e faticosa, se non altro», scrive il giudice, «per le molteplici precauzioni sanitarie da adottare nei luoghi di produzione». Da una parte, si sottolinea, «l’attuale condizione di estremo bisogno persino di cibo di tante persone senza una occupazione stabile, o con un lavoro nell’economia sommersa, può favorire forme di soccorso mafioso prodromiche al reclutamento di nuovi adepti», dall’altra, «il blocco delle attività di tanti esercizi commerciali o di piccole e medie imprese ha cagionato una crisi di liquidità difficilmente reversibile per numerose realtà produttive, in relazione alle quali un ‘interessato sostegno’ potrebbe manifestarsi nelle azioni tipiche dell’organizzazione criminale, vale a dire l’usura, il riciclaggio, l’intestazione fittizia di beni, suscettibili di evolversi in forme di estorsione o, comunque, di intera sottrazione di aziende ai danni del titolare originario».
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