Agenzia delle Entrate, Gualtieri e Renzi reinsediano Ruffini

Il ministro dell’Economia, in cambio del suo appoggio alla nomina, ottiene il sostegno di Italia viva alla sua candidatura nel collegio Roma 1 per trovare il sostituto di Gentiloni. Elezioni che però si terranno dopo le Regionali. E tutto può ancora succedere.

Luigi Di Maio ha formalmente messo il veto sul ritorno di Ernesto Maria Ruffini alla guida dell’Agenzia delle Entrate. E per questo rischia di perdere ancora una volta a faccia.

Il leader 5 stelle ha fatto sapere per le vie brevi al ministro dell’Economia che è nettamente contrario al rientro di Ruffini nell’Agenzia. E Roberto Gualtieri, sulle prime, non sapeva come uscirne. Poi, tutto è cambiato grazie a uno scambio.

LA COMPENSAZIONE CHIESTA DAL MINISTRO DELL’ECONOMIA

Quale compensazione per spedire Ruffini all’Agenzia delle Entrate, Gualtieri ottiene il sostegno di Italia viva alla sua candidatura nel collegio Roma 1. E le elezioni si terranno il primo marzo prossimo. Serviranno per trovare un sostituto di Paolo Gentiloni spedito a Bruxelles.

Ruffini, infatti, non ha mai fatto mistero della sua amicizia con Matteo Renzi. E forte di questo sostegno ha finora fatto la voce grossa al ministero. Vuole assolutamente tornare sulla poltrona dalla quale è stato cacciato con l’epurazione avviata dal Conte 1. Ora, però, vorrebbe costringere il Conte 2 a rimangiarsi gli atti dell’estate del 2018, vista la circostanza che “Giuseppi” si regge in piedi anche con i voti di Renzi. Sottobanco, però, ha lavorato a favore della candidatura di Gualtieri in sostituzione di Gentiloni. Un’azione, a vantaggio della sua nomina, resa più agevole dalla scelta di Palazzo Chigi di scaricare (solo formalmente) la patata bollente sul Mef.

A complicare le cose, poi, ci s’era messo il veto di Di Maio. A risolvere la questione (in chiave anti Giggino) è arrivato Renzi. Che pur di vedere Ruffini sulla poltrona delle Entrate, e pur di rinsaldare i rapporti con il Pd, ha promesso il suo sostegno a Gualtieri. Nella sostanza si tratta di incassare subito la nomina di Ruffini e di promettere, in futuro, il voto di Italia viva a Gualtieri.

LO SPARTIACQUE DELLE REGIONALI

Calendario alla mano, il voto di Roma 1 arriva dopo il 26 gennaio. E tutto può ancora succedere. Nell’incertezza, le nomine delle agenzie fiscali restano al palo. A cominciare da quella di Alessandra Dal Verme per il Demanio, che spinge non fosse altro per potersi avvicinare a casa, luogo nel quale è solita tornare a metà giornata per un pranzo frugale e un pisolino. Al ministero dell’Economia, come a Palazzo Chigi, sperano di affrontare il tema dopo le elezioni regionali. Come se queste fossero lo spartiacque tra un “prima” e un “dopo”. Tant’è che al Mef, su indicazioni del Pd, sono alla disperata ricerca di iniziative e misure a sostegno dell’Emilia-Romagna, visto che considerano la Calabria ormai persa. Lo stesso Gualtieri si spenderà per la campagna elettorale di Stefano Bonaccini, anche se non si capisce a quale titolo, visto che il governatore uscente ha tolto il simbolo del Pd dai suoi manifesti.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.

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Chi è Eleonora Cimbro, l’ex deputata Pd passata da LeU alla Lega

Parabola a destra per l’ex dem passata prima dalle fila di Articolo Uno e poi approdata al Carroccio. Nel 2017 le prime crepe con Renzi, fino alla svolta sovranista del 2019.

Uscire per andare alla sinistra dei Partito democratico per poi approdare alla Lega di Matteo Salvini. È stata la parabola di Eleonora Cimbro. Classe 1978, di Bollate, laureata in lettere classiche, insegnante e madre di cinque figli, Cimbro è stata deputata dal 2013 per il Pd e recentemente, stando a quanto scritto dal portale ilnotiziario.net, è approdata al Carroccio dopo un breve periodo dentro Leu.

DALL’ATTIVISMO ALLA ROTTURA COI DEM

La notizia ha fatto molto discutere sopratutto per il passato dell’ex deputata e il suo attivismo locale tra le fila dem. In passato era stata consigliera comunale e anche segretaria del circolo locale del Pd. Dal 2013, dopo l’elezione a Montecitorio, ha sempre votato la fiducia ai vari governi, da Letta a Gentiloni, passando per Renzi, anche se non ha mai nascosto le sue critiche all’ex segretario. Nel 2017 la prima svolta con il passaggio alla neonata formazione Articolo Uno-Mdp. Un passaggio non senza polemiche dato che la federazione milanese del Pd la indicò con altri colleghi come morosa nei confronti del partito.

LA MANCATA ELEZIONE E L’APPRODO AL CARROCCIO

Con la fine della legislatura è arrivata la candidatura con Leu alle politiche del 2018 per il Senato nel collegio uninominale di Rozzano. Il voto, però, non è andato come previsto. Cimbro ha infatti raccolto solo il 2,6% con il seggio poi vinto da Ignazio La Russa. Nei mesi successivi è arrivata una progressiva virata verso destra. A ottobre, sempre su ilnotiziario.net, ha rilasciato un’intervista in cui confermava il passaggio nell’aria sovranista poi sancito anche da post sui social in cui mostrava di gradire libri e interventi di Diego Fusaro. Un percorso culminato il 7 gennaio con l’iscrizione e con la tessera firmata dallo stesso Salvini, come sancito da una foto tra i due.

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Parabola a destra per l’ex dem passata prima dalle fila di Articolo Uno e poi approdata al Carroccio. Nel 2017 le prime crepe con Renzi, fino alla svolta sovranista del 2019.

Uscire per andare alla sinistra dei Partito democratico per poi approdare alla Lega di Matteo Salvini. È stata la parabola di Eleonora Cimbro. Classe 1978, di Bollate, laureata in lettere classiche, insegnante e madre di cinque figli, Cimbro è stata deputata dal 2013 per il Pd e recentemente, stando a quanto scritto dal portale ilnotiziario.net, è approdata al Carroccio dopo un breve periodo dentro Leu.

DALL’ATTIVISMO ALLA ROTTURA COI DEM

La notizia ha fatto molto discutere sopratutto per il passato dell’ex deputata e il suo attivismo locale tra le fila dem. In passato era stata consigliera comunale e anche segretaria del circolo locale del Pd. Dal 2013, dopo l’elezione a Montecitorio, ha sempre votato la fiducia ai vari governi, da Letta a Gentiloni, passando per Renzi, anche se non ha mai nascosto le sue critiche all’ex segretario. Nel 2017 la prima svolta con il passaggio alla neonata formazione Articolo Uno-Mdp. Un passaggio non senza polemiche dato che la federazione milanese del Pd la indicò con altri colleghi come morosa nei confronti del partito.

LA MANCATA ELEZIONE E L’APPRODO AL CARROCCIO

Con la fine della legislatura è arrivata la candidatura con Leu alle politiche del 2018 per il Senato nel collegio uninominale di Rozzano. Il voto, però, non è andato come previsto. Cimbro ha infatti raccolto solo il 2,6% con il seggio poi vinto da Ignazio La Russa. Nei mesi successivi è arrivata una progressiva virata verso destra. A ottobre, sempre su ilnotiziario.net, ha rilasciato un’intervista in cui confermava il passaggio nell’aria sovranista poi sancito anche da post sui social in cui mostrava di gradire libri e interventi di Diego Fusaro. Un percorso culminato il 7 gennaio con l’iscrizione e con la tessera firmata dallo stesso Salvini, come sancito da una foto tra i due.

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Le sfide del 2020 su cui il governo si gioca la sopravvivenza

Il nodo prescrizione. Il voto sulla Gregoretti. Le Regionali. Ma anche la questione banche, i decreti Sicurezza (che una parte del Pd vuole cancellare) e il Reddito di cittadinanza, nel mirino di Renzi. I dossier che metteranno a dura prova la tenuta della maggioranza.

C’è Giuseppe Conte che guarda a «una maratona» fino al 2023 e c’è Nicola Zingaretti che con più cautela parla di agenda per il 2020, invocando «crescita e giustizia fiscale». In mezzo ci sono Luigi Di Maio e Matteo Renzi che giurano lealtà, ma devono districarsi tra reciproche diffidenze e problemi di varia natura. Ed è proprio il rapporto tra Movimento 5 Stelle e Italia Viva ad aumentare i pericoli di una crisi, con Palazzo Chigi spettatore interessato delle scintille tra gli alleati-nemici. Il nuovo anno del governo non si annuncia affatto tranquillo. E più che un progetto annuale, se non addirittura triennale come vaticinato dal presidente del Consiglio, la realtà racconta di una navigazione sempre più a vista. 

Pensare a una scadenza a lungo tempo è complicato

Fonti di maggioranza

L’ottimismo professato da Conte non trova grandi riscontri nei fatti. «Pensare a una scadenza a lungo tempo è complicato», ammette un parlamentare della maggioranza. Fin dai prossimi primi giorni ci saranno degli ostacoli da saltare, aggirare. O, come è avvenuto nelle ultime settimane, da spostare qualche mese più in avanti, cercando di rinviare e temporeggiare. Dal voto su Matteo Salvini per il caso Gregoretti alle elezioni regionali, l’inizio del 2020 sarà ricco di insidie, con le varie forze di maggioranza che devono accorciare distanze siderali. Ma il principale problema resta la tenuta del Movimento 5 Stelle: non trascorre giorno senza le voci di possibili transfughi, in qualsiasi direzione. E principalmente verso la Lega.

I MALUMORI DI ITALIA VIVA SULLA PRESCRIZIONE

A parole nessuno vuole creare l’incidente sulla Giustizia, in particolare sulla cancellazione della prescrizione prevista dalla riforma del ministro Bonafede. Ma la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni, così il Partito democratico ha piantato un paletto: senza un accordo di maggioranza, sarà portata in Aula una proposta di legge alternativa che non elimina la prescrizione, ma la regolamenta con una sospensione massima di tre anni e sei mesi. Come se non bastasse Italia Viva ha ribadito che è pronta anche a votare il testo di Forza Italia, presentato dal deputato Enrico Costa. Questa proposta punta a neutralizzare la norma voluta dal Guardasigilli. Una mossa che spalanca le porte a un’eventuale, ulteriore, spaccatura tra i cinque stelle. Una retromarcia sulla prescrizione, infatti, potrebbe essere la scusa buona per i malpancisti del Senato a lasciare il Movimento. Senza dimenticare il dossier sulla revoca della concessione ad Autostrade, che potrebbe provocare la stessa dinamica tra i dissidenti M5s. 

IL REFERENDUM CHE PUÒ AVVICINARE LE ELEZIONI

Pochi giorni e gli italiani sapranno se ci sarà un referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari. Il 12 gennaio scade il termine per le firme sulla richiesta del referendum: al Senato il quorum è stato raggiunto, ma qualcuno potrebbe decidere di ritirare la firma, facendo saltare la consultazione (che si terrebbe in primavera). Il passaggio è molto delicato: intorno a questa decisione c’è un interesse di Palazzo, ossia la possibilità di far terminare anticipatamente la legislatura per tornare subito al voto ed eleggere, per l’ultima volta, 945 parlamentari invece di 600 come previsto dalla riforma approvata. A questo si aggiunge un’altra atavica questione: la legge elettorale, su cui la maggioranza fatica a trovare un’intesa. Ma c’è una certezza: nelle prossime settimane la Corte costituzionale si esprimerà sull’ammissibilità del referendum proposto dalla Lega; l’obiettivo è quello di introdurre un maggioritario puro, cancellando la quota proporzionale prevista dal Rosatellum.

IL VOTO SU SALVINI ALIMENTA LE TENSIONI

Il 20 gennaio ci sarà il voto su Salvini e la vicenda giudiziaria relativa alla nave Gregoretti: i magistrati chiedono di poter processare il leader della Lega. La vicenda accresce gli imbarazzi dei cinque stelle, che sul caso della Diciotti avevano respinto la richiesta della magistratura. Ma quella era l’epoca del Salvini alleato di Di Maio, ora la fase politica è diversa. E anche l’orientamento sembra cambiato. I leghisti scrutano perciò le intenzioni di Italia Viva, che non si è sbilanciata sulla decisione. L’aria che tira nei corridoi parlamentari è che il dialogo tra i “due Mattei”, Renzi e Salvini, potrebbe manifestarsi proprio il 20 gennaio. Facendo esplodere ulteriori tensioni. 

LE REGIONALI COME PUNTO DI SVOLTA

Le Regionali in Emilia-Romagna e Calabria, in calendario il 26 gennaio, hanno una valenza nazionale. Al di là delle smentite di rito, l’eventuale sconfitta di Stefano Bonaccini provocherebbe uno smottamento nel Pd, rischiando seriamente di trascinare con sé l’intero governo. Facile prevedere pure le accuse rivolte al Movimento che ha voluto presentare un proprio candidato. Nelle ultime settimane, il barometro segnala un moderato ottimismo: il centrosinistra è dato in vantaggio nei sondaggi sull’alleanza di centrodestra, guidata dalla leghista Lucia Borgonzoni. Ma c’è un altro tornante fondamentale nel voto per l’Emilia-Romagna. Un risultato molto deludente di Simone Benini, candidato del M5s, aprirebbe l’ennesimo fronte polemico interno nei confronti di Di Maio. Con la messa in discussione della sua leadership e l’aumento del malcontento tra i parlamentari pentastellati. Sull’esito del voto in Calabria, invece, l’attenzione è al momento minore.

EX ILVA, MA NON SOLO: LE VERTENZE CHE SCOTTANO

La «maratona» di tre anni annunciata da Conte parte quindi con un primo chilometro durissimo. Tutto in salita. Oltre al rapporto tra i partiti, sul tavolo ci sono questioni che tirano in ballo il destino di decine di migliaia di lavoratori. In questo caso spetterà al ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, dirimere le problematiche più delicate. Il futuro dell’ex Ilva e di Alitalia è incerto: lo stabilimento di Taranto è al centro di una complicata trattativa con ArcelorMittal, mentre la compagnia aerea ha ricevuto l’ennesimo prestito-ponte. Ma all’orizzonte non si delinea una soluzione definitiva. Tra le vertenze ci sono anche quelle della Whirpool, dell’ex Embraco e della Bosch di Bari. Sempre nel capoluogo pugliese c’è un’altra criticità: la Popolare di Bari. Il salvataggio in extremis dell’istituto non ha risolto la questione. Anzi.

DALLE BANCHE A QUOTA 100: GLI ALTRI FRONTI DELICATI

La questione banche è pronta ad acuire le divisioni. I lavori della commissione di inchiesta dovranno comunque partire nel 2020: non è immaginabile un ulteriore slittamento. E le scintille tra Movimento 5 Stelle e Italia Viva sono facilmente prevedibili. Un altro terreno di scontro è rappresentato dai decreti Sicurezza: una parte del Pd chiede la totale cancellazione dei provvedimenti voluti da Salvini nel corso della precedente esperienza di governo. Conte ha detto di voler conservare l’impianto normativo, prevedendo solo ritocchi. Zingaretti sarà costretto a battere i pugni sul tavolo e comunque dovrà accettare una mediazione, rischiando di alimentare le polemiche interne. Sempre tra i dem c’è la volontà di rilanciare la battaglia sullo Ius Culturae, sfidando il niet di Di Maio. Tra i tanti dossier aperti e quelli da aprire, si inserisce l’attivismo di Renzi, che ha bisogno di ritagliarsi uno spazio per aumentare i consensi della sua creatura politica. Italia Viva al momento non sfonda nei sondaggi. Così l’ex presidente del Consiglio, attraverso i suoi fedelissimi, ha già annunciato una campagna contro Reddito di cittadinanza e Quota 100, cavalli di battaglia del M5s. Una provocazione che non è passata inosservata. Insomma, all’ordine del giorno delle criticità del Conte 2 c’è un ricco capitolo di “varie ed eventuali”.

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Le sfide del 2020 su cui il governo si gioca la sopravvivenza

Il nodo prescrizione. Il voto sulla Gregoretti. Le Regionali. Ma anche la questione banche, i decreti Sicurezza (che una parte del Pd vuole cancellare) e il Reddito di cittadinanza, nel mirino di Renzi. I dossier che metteranno a dura prova la tenuta della maggioranza.

C’è Giuseppe Conte che guarda a «una maratona» fino al 2023 e c’è Nicola Zingaretti che con più cautela parla di agenda per il 2020, invocando «crescita e giustizia fiscale». In mezzo ci sono Luigi Di Maio e Matteo Renzi che giurano lealtà, ma devono districarsi tra reciproche diffidenze e problemi di varia natura. Ed è proprio il rapporto tra Movimento 5 Stelle e Italia Viva ad aumentare i pericoli di una crisi, con Palazzo Chigi spettatore interessato delle scintille tra gli alleati-nemici. Il nuovo anno del governo non si annuncia affatto tranquillo. E più che un progetto annuale, se non addirittura triennale come vaticinato dal presidente del Consiglio, la realtà racconta di una navigazione sempre più a vista. 

Pensare a una scadenza a lungo tempo è complicato

Fonti di maggioranza

L’ottimismo professato da Conte non trova grandi riscontri nei fatti. «Pensare a una scadenza a lungo tempo è complicato», ammette un parlamentare della maggioranza. Fin dai prossimi primi giorni ci saranno degli ostacoli da saltare, aggirare. O, come è avvenuto nelle ultime settimane, da spostare qualche mese più in avanti, cercando di rinviare e temporeggiare. Dal voto su Matteo Salvini per il caso Gregoretti alle elezioni regionali, l’inizio del 2020 sarà ricco di insidie, con le varie forze di maggioranza che devono accorciare distanze siderali. Ma il principale problema resta la tenuta del Movimento 5 Stelle: non trascorre giorno senza le voci di possibili transfughi, in qualsiasi direzione. E principalmente verso la Lega.

I MALUMORI DI ITALIA VIVA SULLA PRESCRIZIONE

A parole nessuno vuole creare l’incidente sulla Giustizia, in particolare sulla cancellazione della prescrizione prevista dalla riforma del ministro Bonafede. Ma la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni, così il Partito democratico ha piantato un paletto: senza un accordo di maggioranza, sarà portata in Aula una proposta di legge alternativa che non elimina la prescrizione, ma la regolamenta con una sospensione massima di tre anni e sei mesi. Come se non bastasse Italia Viva ha ribadito che è pronta anche a votare il testo di Forza Italia, presentato dal deputato Enrico Costa. Questa proposta punta a neutralizzare la norma voluta dal Guardasigilli. Una mossa che spalanca le porte a un’eventuale, ulteriore, spaccatura tra i cinque stelle. Una retromarcia sulla prescrizione, infatti, potrebbe essere la scusa buona per i malpancisti del Senato a lasciare il Movimento. Senza dimenticare il dossier sulla revoca della concessione ad Autostrade, che potrebbe provocare la stessa dinamica tra i dissidenti M5s. 

IL REFERENDUM CHE PUÒ AVVICINARE LE ELEZIONI

Pochi giorni e gli italiani sapranno se ci sarà un referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari. Il 12 gennaio scade il termine per le firme sulla richiesta del referendum: al Senato il quorum è stato raggiunto, ma qualcuno potrebbe decidere di ritirare la firma, facendo saltare la consultazione (che si terrebbe in primavera). Il passaggio è molto delicato: intorno a questa decisione c’è un interesse di Palazzo, ossia la possibilità di far terminare anticipatamente la legislatura per tornare subito al voto ed eleggere, per l’ultima volta, 945 parlamentari invece di 600 come previsto dalla riforma approvata. A questo si aggiunge un’altra atavica questione: la legge elettorale, su cui la maggioranza fatica a trovare un’intesa. Ma c’è una certezza: nelle prossime settimane la Corte costituzionale si esprimerà sull’ammissibilità del referendum proposto dalla Lega; l’obiettivo è quello di introdurre un maggioritario puro, cancellando la quota proporzionale prevista dal Rosatellum.

IL VOTO SU SALVINI ALIMENTA LE TENSIONI

Il 20 gennaio ci sarà il voto su Salvini e la vicenda giudiziaria relativa alla nave Gregoretti: i magistrati chiedono di poter processare il leader della Lega. La vicenda accresce gli imbarazzi dei cinque stelle, che sul caso della Diciotti avevano respinto la richiesta della magistratura. Ma quella era l’epoca del Salvini alleato di Di Maio, ora la fase politica è diversa. E anche l’orientamento sembra cambiato. I leghisti scrutano perciò le intenzioni di Italia Viva, che non si è sbilanciata sulla decisione. L’aria che tira nei corridoi parlamentari è che il dialogo tra i “due Mattei”, Renzi e Salvini, potrebbe manifestarsi proprio il 20 gennaio. Facendo esplodere ulteriori tensioni. 

LE REGIONALI COME PUNTO DI SVOLTA

Le Regionali in Emilia-Romagna e Calabria, in calendario il 26 gennaio, hanno una valenza nazionale. Al di là delle smentite di rito, l’eventuale sconfitta di Stefano Bonaccini provocherebbe uno smottamento nel Pd, rischiando seriamente di trascinare con sé l’intero governo. Facile prevedere pure le accuse rivolte al Movimento che ha voluto presentare un proprio candidato. Nelle ultime settimane, il barometro segnala un moderato ottimismo: il centrosinistra è dato in vantaggio nei sondaggi sull’alleanza di centrodestra, guidata dalla leghista Lucia Borgonzoni. Ma c’è un altro tornante fondamentale nel voto per l’Emilia-Romagna. Un risultato molto deludente di Simone Benini, candidato del M5s, aprirebbe l’ennesimo fronte polemico interno nei confronti di Di Maio. Con la messa in discussione della sua leadership e l’aumento del malcontento tra i parlamentari pentastellati. Sull’esito del voto in Calabria, invece, l’attenzione è al momento minore.

EX ILVA, MA NON SOLO: LE VERTENZE CHE SCOTTANO

La «maratona» di tre anni annunciata da Conte parte quindi con un primo chilometro durissimo. Tutto in salita. Oltre al rapporto tra i partiti, sul tavolo ci sono questioni che tirano in ballo il destino di decine di migliaia di lavoratori. In questo caso spetterà al ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, dirimere le problematiche più delicate. Il futuro dell’ex Ilva e di Alitalia è incerto: lo stabilimento di Taranto è al centro di una complicata trattativa con ArcelorMittal, mentre la compagnia aerea ha ricevuto l’ennesimo prestito-ponte. Ma all’orizzonte non si delinea una soluzione definitiva. Tra le vertenze ci sono anche quelle della Whirpool, dell’ex Embraco e della Bosch di Bari. Sempre nel capoluogo pugliese c’è un’altra criticità: la Popolare di Bari. Il salvataggio in extremis dell’istituto non ha risolto la questione. Anzi.

DALLE BANCHE A QUOTA 100: GLI ALTRI FRONTI DELICATI

La questione banche è pronta ad acuire le divisioni. I lavori della commissione di inchiesta dovranno comunque partire nel 2020: non è immaginabile un ulteriore slittamento. E le scintille tra Movimento 5 Stelle e Italia Viva sono facilmente prevedibili. Un altro terreno di scontro è rappresentato dai decreti Sicurezza: una parte del Pd chiede la totale cancellazione dei provvedimenti voluti da Salvini nel corso della precedente esperienza di governo. Conte ha detto di voler conservare l’impianto normativo, prevedendo solo ritocchi. Zingaretti sarà costretto a battere i pugni sul tavolo e comunque dovrà accettare una mediazione, rischiando di alimentare le polemiche interne. Sempre tra i dem c’è la volontà di rilanciare la battaglia sullo Ius Culturae, sfidando il niet di Di Maio. Tra i tanti dossier aperti e quelli da aprire, si inserisce l’attivismo di Renzi, che ha bisogno di ritagliarsi uno spazio per aumentare i consensi della sua creatura politica. Italia Viva al momento non sfonda nei sondaggi. Così l’ex presidente del Consiglio, attraverso i suoi fedelissimi, ha già annunciato una campagna contro Reddito di cittadinanza e Quota 100, cavalli di battaglia del M5s. Una provocazione che non è passata inosservata. Insomma, all’ordine del giorno delle criticità del Conte 2 c’è un ricco capitolo di “varie ed eventuali”.

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Perché le voci di un asse Salvini-Renzi convengono a entrambi

Italia viva bolla come «gossip» l’ipotesi di un governissimo con la Lega. Eppure i rumors su una possibile alleanza tornano utili a entrambi: all’ex premier per mantenere la pressione sul governo e al leader della Lega per non restare escluso dai giochi di Palazzo.

«Salvini lo abbiamo mandato a casa mentre ballava al Papeete», ma «c’è un interesse nazionale e sui temi istituzionali è bene che tutti i partiti trovino il modo di dialogare». A dirlo è il presidente di Italia Viva, Ettore Rosato, in un’intervista al Corriere della Sera in cui bolla come «fantasie» l’apertura di Matteo Renzi a Matteo Salvini per un governissimo, ammettendo tuttavia la possibilità di un dialogo.

IL «GOSSIP DA OSTERIA» CHE IN FONDO PIACE

«Lavoriamo per governare, non per andare al voto. Quando eravamo in maggioranza approvammo la legge elettorale anche con le opposizioni, Lega compresa. E se si va verso un proporzionale, la soglia del 5% non ci spaventa», assicura Rosato, «Italia viva è compatta e cresce, il resto è gossip da osteria». Eppure, questo gossip evidentemente non dispiace che circoli.

RENZI TIENE SOTTO PRESSIONE IL GOVERNO, SALVINI NON VIENE ESCLUSO

«La letteratura fiorita sul loro rapporto e attorno all’idea di un’alleanza bellicosa, fondata sul desiderio di prendersi una rivincita, si scontra con le leggi della politica e si consuma nel sospetto che nutrono l’uno verso l’altro», spiega sempre sul CorSera Francesco Verderami, «“io di lui non mi fido perché è inaffidabile”, ha risposto Salvini ad alcuni dirigenti del Carroccio, riferendosi a Renzi. Ed è un sentimento ricambiato. Tuttavia le voci che alimentano questa liaison dangereuse sono utili a entrambi: è una “tarantella” che serve a Renzi per tenere sotto pressione il governo, garantendosi un po’ di visibilità; e serve a Salvini per non restare ai margini dei giochi di Palazzo».

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La sinistra stia alla larga dalla liaison tra Renzi e Salvini

Non ci sono le condizioni per un governo di tutti. Che richiederebbe una tregua inimmaginabile da parte del leader leghista. E porterebbe a un disastro peggiore di questo esecutivo con Di Maio.

Quando un partito che si appresta a vincere le elezioni politiche (secondo i sondaggi) propone agli altri partiti un governo di tregua diretto da un personaggio indiscutibile come Mario Draghi, si dovrebbe sviluppare una gran discussione. Invece accade che Matteo Salvini, su suggerimento di Giancarlo Giorgetti, proponga questo governo e quel primo ministro e nessuno ne parli tranne Matteo Renzi. Su quel “tranne Renzi”, anzi, si è sviluppato un retroscena secondo cui la proposta salviniana è il primo passo per una marcia di avvicinamento reciproca fra i due Matteo, i gemelli separati alla nascita. È probabile.

UNA LUNGA STORIA DI FALLIMENTI

Resta il fatto che la proposta di Salvini è caduta, finora, nel vuoto. Forse la ragione sta nel fatto che questo Paese ha discusso decine di volte di governo di emergenza o solidarietà nazionale o come diavolo volete chiamarli. Alcune discussioni, come quella sul compromesso storico, furono molto alte, altre dettero vita a piccolo cabotaggio parlamentare. Quasi sempre queste esperienze hanno fallito. La sinistra, che avrebbe potuto vincere le elezioni con Pier Luigi Bersani, fu costretta dal Quirinale a ingoiare il governo Monti che, con i suoi esodati e altre decisioni anti-popolari, fece perdere milioni di voti. Quindi, come si dice, “anche basta”. Basta governi di solidarietà nazionale. Tu vinci e governi e io mi ti oppongo fino a farti cadere.

Un governo di tutti, o quasi tutti, richiede la rinuncia ai toni da guerra civile. Salvini non è in grado di prendere questo impegno

C’è però un dato innegabile nella proposta di Giorgetti mal raccontata da Salvini ed è che la situazione italiana è effettivamente quella che richiederebbe la Grossa coalizione. Soprattutto lo richiederebbe lo spirito pubblico. E già qui ci scontriamo sulle ragioni per cui la Grossa coalizione non si può fare. Un governo di tutti, o quasi tutti, richiede una tregua fra le parti, non una pace fra i partiti né la rinuncia alla propria identità e alla polemica fra i partiti, ma la rinuncia ai toni da guerra civile. Salvini non è in grado di prendere questo impegno. Il giorno che Salvini diventasse civile come una sardina, si ridurrebbe al 5%, cioè sarebbe un Renzi qualsiasi. È la fantasia della guerra civile che alimenta il suo successo oggi minacciato solo dal ritorno a casa della destra tradizionale che vede in Giorgia Meloni la leader dura che sognava.

UN GOVERNO CON SALVINI SAREBBE DISTRUTTIVO

Per la sinistra un governo con Salvini sarebbe distruttivo, peggio di questo governo con Luigi Di Maio. Il prezzo potrebbe essere pagato solo se ci fosse un vero breve programma e una intesa di ferro attorno a ciò che può fare Draghi senza che gli rompano i maroni. Sprecare una grande alleanza e un uomo come Draghi per i postumi di una serata in birreria non vale proprio la pena. Di più: quando si propone un governo di tutti, si propone una analisi della situazione e quello che si pensa debba diventare l’Italia nel caso di successo di questo governo. Solo così la proposta sarebbe credibile. Dire solo che c’è grande casino e quindi bisogna chiamare il pompiere Draghi pronti a incendiargli l’autobotte è pura follia. Se poi Renzi e Salvini vogliono una discussione o addirittura una esperienza di governo che li aiuti a vivere assieme, non cerchino scorciatoie. In fondo viviamo in tempi di amori liberali. Se si vogliono bene, si mettano assieme.

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La sinistra stia alla larga dalla liaison tra Renzi e Salvini

Non ci sono le condizioni per un governo di tutti. Che richiederebbe una tregua inimmaginabile da parte del leader leghista. E porterebbe a un disastro peggiore di questo esecutivo con Di Maio.

Quando un partito che si appresta a vincere le elezioni politiche (secondo i sondaggi) propone agli altri partiti un governo di tregua diretto da un personaggio indiscutibile come Mario Draghi, si dovrebbe sviluppare una gran discussione. Invece accade che Matteo Salvini, su suggerimento di Giancarlo Giorgetti, proponga questo governo e quel primo ministro e nessuno ne parli tranne Matteo Renzi. Su quel “tranne Renzi”, anzi, si è sviluppato un retroscena secondo cui la proposta salviniana è il primo passo per una marcia di avvicinamento reciproca fra i due Matteo, i gemelli separati alla nascita. È probabile.

UNA LUNGA STORIA DI FALLIMENTI

Resta il fatto che la proposta di Salvini è caduta, finora, nel vuoto. Forse la ragione sta nel fatto che questo Paese ha discusso decine di volte di governo di emergenza o solidarietà nazionale o come diavolo volete chiamarli. Alcune discussioni, come quella sul compromesso storico, furono molto alte, altre dettero vita a piccolo cabotaggio parlamentare. Quasi sempre queste esperienze hanno fallito. La sinistra, che avrebbe potuto vincere le elezioni con Pier Luigi Bersani, fu costretta dal Quirinale a ingoiare il governo Monti che, con i suoi esodati e altre decisioni anti-popolari, fece perdere milioni di voti. Quindi, come si dice, “anche basta”. Basta governi di solidarietà nazionale. Tu vinci e governi e io mi ti oppongo fino a farti cadere.

Un governo di tutti, o quasi tutti, richiede la rinuncia ai toni da guerra civile. Salvini non è in grado di prendere questo impegno

C’è però un dato innegabile nella proposta di Giorgetti mal raccontata da Salvini ed è che la situazione italiana è effettivamente quella che richiederebbe la Grossa coalizione. Soprattutto lo richiederebbe lo spirito pubblico. E già qui ci scontriamo sulle ragioni per cui la Grossa coalizione non si può fare. Un governo di tutti, o quasi tutti, richiede una tregua fra le parti, non una pace fra i partiti né la rinuncia alla propria identità e alla polemica fra i partiti, ma la rinuncia ai toni da guerra civile. Salvini non è in grado di prendere questo impegno. Il giorno che Salvini diventasse civile come una sardina, si ridurrebbe al 5%, cioè sarebbe un Renzi qualsiasi. È la fantasia della guerra civile che alimenta il suo successo oggi minacciato solo dal ritorno a casa della destra tradizionale che vede in Giorgia Meloni la leader dura che sognava.

UN GOVERNO CON SALVINI SAREBBE DISTRUTTIVO

Per la sinistra un governo con Salvini sarebbe distruttivo, peggio di questo governo con Luigi Di Maio. Il prezzo potrebbe essere pagato solo se ci fosse un vero breve programma e una intesa di ferro attorno a ciò che può fare Draghi senza che gli rompano i maroni. Sprecare una grande alleanza e un uomo come Draghi per i postumi di una serata in birreria non vale proprio la pena. Di più: quando si propone un governo di tutti, si propone una analisi della situazione e quello che si pensa debba diventare l’Italia nel caso di successo di questo governo. Solo così la proposta sarebbe credibile. Dire solo che c’è grande casino e quindi bisogna chiamare il pompiere Draghi pronti a incendiargli l’autobotte è pura follia. Se poi Renzi e Salvini vogliono una discussione o addirittura una esperienza di governo che li aiuti a vivere assieme, non cerchino scorciatoie. In fondo viviamo in tempi di amori liberali. Se si vogliono bene, si mettano assieme.

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La regia di Verdini dietro al possibile asse Renzi-Salvini

Si vocifera che abbia ospitato un incontro toscano tra i due Mattei. Che meditano di coalizzarsi per disfarsi dei rispettivi nemici: Zingaretti e Di Maio. Il retroscena.

A Firenze gli orfani del Nazareno ne parlano da mesi: Denis è tornato. Denis di cognome fa Verdini ed è l’ex richelieu di Berlusconi. Il ‘coordinatore’ del Pdl che per Silvio ha gestito per anni col bilancino quorum, premi di maggioranza, soglie di sbarramento e le poltrone. Colui che ha tessuto pazientemente le relazioni tra gli Azzurri e l’allora presidente della Provincia diventato poi sindaco grazie anche alla scelta tutta verdiniana dell’avversario, l’ex calciatore Giovanni Galli. Poi le inchieste giudiziarie, i processi, l’addio a Forza Italia fondando il gruppo parlamentare Ala (Alleanza liberalpopolare Autonomie) e lo sfaldamento del Patto del Nazareno saltato lo hanno allontanato dalla scena. Ma Denis, abituato a lavorare nel retrobottega, non si è mai fermato, ripetono in riva all’Arno. E ora è tornato. Anche se sta sempre a Roma e non solo per andare a cena al ristorante del figlio Tommaso (frequentatore della Leopolda) o con la figlia Francesca, fidanzata con Salvini. Dagli spifferi di palazzo echeggia la voce che partecipi pure alle riunioni strategiche della Lega.

QUEL PRESUNTO INCONTRO TRA RENZI E SALVINI A CASA VERDINI

L’indiscrezione raccolta da La Stampa su un presunto incontro tra i due Mattei «sorseggiando Chianti» nella casa di Denis al Pian de’ Giullari è stata smentita: «Renzi e Salvini non si sono incontrati a Firenze, meno che mai nella casa di Denis Verdini. I due senatori si sono invece incrociati in Senato come peraltro rivelato dai numerosi giornalisti presenti in occasione della seduta parlamentare. Ma non vi è stato invece alcun incontro toscano. E meno che mai si è bevuto Chianti in una casa privata», riporta una nota dell’ufficio stampa di Italia Viva. Seguita da una risposta de La Stampa che ha ribadito quanto scritto: «L’incontro c’è stato». Di certo, sono state scattate le foto della stretta di mano tra la moglie di Verdini, Simonetta Fossombroni, e Salvini  al convegno organizzato dal Tempo sull’Europa, intitolato Il ratto di Europa. Obiettivi dei Padri, delusione dei figli. Presente anche Denis con i suoi fedelissimi. Tra gossip, smentite, conferme e foto di Pizzi su Dagospia, qualcosa bolle in pentola. Non è un caso se Matteo Renzi si sta salvinizzando nella comunicazione, soprattutto quella sui social, ma anche berlusconizzando quando attacca le procure.

UN TRAGHETTATORE DALLA GRANDE ESPERIENZA

Serviva un regista come Verdini, dicono ancora le voci, per portare avanti il piano diabolico dei due Mattei: coalizzarsi temporaneamente per liberarsi in un colpo solo dei due rispettivi nemici: Renzi di Zingaretti e Salvini di Di Maio. Dopo aver fatto varare la manovra al governo Conte, così gli elettori sapranno già con chi prendersela nelle urne. Fantapolitica? Chissà. Di certo sarebbe un gioco da ragazzi per l’ex coordinatore nazionale di Forza Italia, traghettatore di grande esperienza. L’uomo che organizzava la vita politica di Berlusconi e specialmente quella parlamentare, mago dei numeri, capace di prevedere al millimetro l’andamento di un voto, il numero di tradimenti. L’uomo ombra: non partecipa ai talk show, non rilascia interviste, non cinguetta su Twitter. E in più fiorentino. «Verdini è un pragmatico, che conosce la prima regola della politica: i rapporti di forza», diceva di lui lo stesso Renzi. «Un comunista più anticomunista di questo non s’è visto mai», diceva di Renzi lo stesso Verdini. «Tutti mi chiedono cosa ci guadagnano a venire con me. Gli rispondo che sono il taxi. Vuoi rimanere al potere? Solo io ti conduco in dieci minuti da Berlusconi a Matteo», diceva Verdini di se stesso.

IL SOLDATO DENIS E UN ESERCITO CON DUE GENERALI

Un po’ Sassaroli di Amici Miei, un po’ Machiavelli di provincia, in realtà adora Pirandello e ha sempre preferito i personaggi in cerca d’autore per accompagnarli meglio da un partito all’altro. In Toscana, dove Verdini ha ancora molti contatti, Salvini non ha presentato una sua candidatura per le elezioni regionali. Un ottimo test per l’ex coordinatore azzurro che si chiama così perché il padre era un prigioniero di guerra e quando ritornò in Italia il primo soldato cui rivolse la parola aveva questo nome. A Firenze e nella Capitale ora qualcuno comincia a chiedersi come farà il soldato Denis a gestire un esercito con due generali

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Renzi attacca i magistrati al Senato dopo l’inchiesta su Open

L’ex premier cita Moro e Craxi. Poi affonda il colpo: «Diritto e giustizia sono diversi dal giustizialismo, barbarie contro di me».

Si incendia il dibattito al Senato sui finanziamenti alla politica. Matteo Renzi ha preso la parola a Palazzo Madama e ha attaccato i magistrati dopo l’inchiesta della procura di Firenze sulla fondazione Open.

AZIONE PENALE O AZIONE POLITICA?

Per il leader di Italia viva, infatti, «la magistratura pretende di decidere cosa è un partito e cosa no. E se al pm affidiamo non già la titolarità dell’azione penale, ma dell’azione politica, quest’Aula fa un passo indietro per pavidità e lascia alla magistratura la scelta di cosa è politica e cosa non lo è».

LA CITAZIONE DI MORO E CRAXI

Renzi ha esordito citando Aldo Moro, quando sullo scandalo Lockheed – l’acquisto nel 1971 di 14 aerei Hercules C-130 pagati 39 miliardi di lire, con accuse di corruzione che portarono al processo per i ministri Luigi Gui e Mario Tanassi, il primo assolto e il secondo condannato – per difendere il ruolo della Democrazia cristiana disse: «Non ci faremo processare nelle piazze». Il caso provocò anche le dimissioni di Giovanni Leone dalla presidenza della Repubblica: «Non perchè coinvolto», ha detto Renzi, «ma per uno scandalo montato dai media e da una parte della politica. Per distruggere la reputazione di un uomo può bastare la copertina di un settimanale». Poi un’altra citazione, questa volta di Bettino Craxi: «Ho imparato ad avere orrore del vuoto politico».

LA DIFFERENZA TRA GIUSTIZIA E GIUSTIZIALISMO

L’inchiesta su Open, a giudizio di Renzi, sarebbe “macchiata” da una «violazione sistematica del segreto d’ufficio sulle vicende personali del sottoscritto. Non è uno stato di diritto questo, siamo alla barbarie». Avere rispetto per la magistratura, sempre secondo l’ex premier, è «riconoscere che ci sono magistrati che hanno perso la vita per il loro impegno. Ci inchiniamo davanti a queste storie. Ma a chi oggi volesse immaginare che questo inchino diventi una debolezza del potere legislativo, si abbia la forza di dire: contestateci per le nostre idee o per il Jobs act. Chi volesse contestarci per via giudiziaria, sappia che dalla nostra parte abbiamo il coraggio di dire che diritto e giustizia sono diversi dal giustizialismo».

LE PERQUISIZIONI AI FINANZIATORI DI OPEN

Renzi ha quindi duramente contestato le scelte della procura di Firenze: «Trecento agenti della Guardia di Finanza alle 6 del mattino, in casa di persone non indagate (non tutti i finanziatori di Open sono sotto inchiesta, ma sono stati perquisiti per verificare la natura dei loro rapporti con l’ex presidente della fondazione Alberto Bianchi e l’ex consigliere Marco Carrai, ndr) sono una retata, non uno strumento a tutela degli indagati». Tali modalità sarebbero finalizzate «a descrivere come criminale non il comportamento dei singoli, ma qualsiasi finanziamento privato che venga fatto in maniera legale e regolare. Il risultato è che nessuno finanzierà più quella parte politica. Io rivendico l’abolizione del finanziamento pubblico, ma se viene penalizzato il finanziamento privato nessuno lo farà più».

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Renzi si rassegni: neanche la Bestia lo salverà

Come Salvini, l’ex premier ha sguinzagliato un gruppo di comunicatori che hanno il solo scopo di attaccare gli avversari. Ma sostituire le idee con insulti e intimidazioni porta dritti al fallimento.

Dai quotidiani leggiamo che anche Matteo Renzi ha la sua Bestia, cioè quel gruppo di comunicatori, simile a quello di Matteo Salvini, che attacca brutalmente gli avversari, sparge fake news, avvelena il clima politico mobilitando sui social i peggiori militanti della propria parte. La convinzione che probabilmente muove Renzi è che il segreto di Matteo, l’altro, sia la sua comunicazione. C’è del vero, ma come al solito l’ignoranza del fenomeno prevale. La comunicazione priva di un contenuto va da nessuna parte. Voglio dire che la Bestia salviniana ha il suo miserabile successo perché comunica pensieri cattivi su temi che agitano il mondo di destra: la guerra agli immigrati e l’odio verso i comunisti, categoria nella quale vengono collocati tutti quelli che amano la Repubblica e la Costituzione.

IL MORSO DELLA BESTIA A FORMIGLI

La Bestia di Renzi quali contenuti deve propagandare? Può solo mettere in campo, come del resto ha iniziato a fare, diffamazioni e servizi miserabili contro avversari politici. È toccato a Corrado Formigli il morso della Bestia renziana. Il bravo conduttore tivù insultato ferocemente sui social da una banda di renzisti ha visto pubblicati il suo indirizzo e le foto della propria casa. È accaduto lo stesso con Renzi, dicono i renziani e quelli che, pagati da un imprenditore napoletano, lo difendono. C’è una differenza che a coloro che si occupano di informazione, quindi anche ai portavoce di imprenditori napoletani, dovrebbe risultare chiaro: la foto della casa di Renzi è stata in parte pubblicata perché c’era la notizia attorno al modo con cui l’immobile era stato acquistato, con i soldi o i prestiti di chi…

Non è previsto che un politico indaghi su chi indaga su di lui a meno che non abbia notizie di reato

C’è poi un dato banale di democrazia: l’uomo politico non deve avere scheletri nell’armadio, di lui si deve sapere tutto, sui suoi beni, sulla sua vita privata in modo che la pubblica opinione che gli affida compiti importanti sappia se il personaggio è affidabile e soprattutto libero. In Italia non sempre ciò è accaduto e, se talvolta l’informazione scava, fa una cosa giusta. Non è previsto, invece, che un politico indaghi su chi indaga su di lui a meno che non abbia notizie di reato. Risulta alla Bestia renziana qualcosa di irregolare nell’acquisto della casa di Formigli? È da escludere, quindi quella Bestia di Renzi ha un comportamento squadrista come molti hanno giustamente detto.

RENZI È POLITICAMENTE UN FALLITO

La tendenza di Renzi e della sua Bestia di demonizzare gli avversari è uno dei tanti punti di contatto con Salvini associato a un noioso vittimismo. Superior stabat lupus… Attaccano, vilipendono, ma si presentano come vittime. Salvini lentamente comincia a vedere i propri voti scendere, ma ne ha talmente tanti che solo un crollo verticale può creare la novità politica. Renzi è politicamente un fallito. Non ha voti, non riporterà parlamentari nelle assemblee. Questo perché non ha idee e non saranno quattro facinorosi assoldati nei social a sostituire le idee con insulti e intimidazioni.

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Lo scontro infinito tra Renzi e Formigli

Il leader di Italia viva torna all’attacco dopo il botta e risposta a distanza col conduttore di La7. E dice: «Sui giornali invocano la privacy solo per gli amici: così è doppia morale».

Prosegue il botta e risposta a distanza tra Matteo Renzi e Corrado Formigli, alimentato dalle polemiche nate dopo la pubblicazione online delle informazioni sulla casa del conduttore dai parte di diversi seguaci dell’ex premier. Nella giornata del 9 dicembre Renzi aveva definito una «porcheria» la diffusione delle immagini, invitando i suoi sostenitori a interrompere quella che aveva tutti i crismi di una shitstorming nei confronti di Formigli. Il quale, da parte sua, si era detto, per usare un eufemismo, poco convinto dalle parole del leader di Italia viva, accusato di una difesa strumentale solo per «proseguire la propria battaglia politica».

«DOPPIA MORALE DA CHI INVOCA LA PRIVACY PER GLI AMICI»

Non si è fatto attendere il contrattacco di Renzi. «Chi difende le nostre idee in Rete è stato massacrato per anni dalle #FakeNews», ha scritto di buon mattino su Twitter. «E oggi dalla doppia morale di chi invoca sui giornali la privacy solo per gli amici. Ne parliamo giovedì in Senato, abbiamo molto da dire».

«Vorrei mandare un abbraccio a tutti coloro che lottano sulla Rete per difendere le nostre idee», ha anche scritto il leader di Italia viva in un post su Facebook. «Il colmo è che siete stati massacrati da troll per anni con fake news e adesso vi attaccano persino sui giornali, solo perché difendete la verità e le vostre idee. Vi abbraccio forte forte. E vi garantisco che non ci fermeremo. Anzi: vi do appuntamento a giovedì quando interverrò in Senato su questa incredibile vicenda, facendo sentire la vostra voce».

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Lo scontro infinito tra Renzi e Formigli

Il leader di Italia viva torna all’attacco dopo il botta e risposta a distanza col conduttore di La7. E dice: «Sui giornali invocano la privacy solo per gli amici: così è doppia morale».

Prosegue il botta e risposta a distanza tra Matteo Renzi e Corrado Formigli, alimentato dalle polemiche nate dopo la pubblicazione online delle informazioni sulla casa del conduttore dai parte di diversi seguaci dell’ex premier. Nella giornata del 9 dicembre Renzi aveva definito una «porcheria» la diffusione delle immagini, invitando i suoi sostenitori a interrompere quella che aveva tutti i crismi di una shitstorming nei confronti di Formigli. Il quale, da parte sua, si era detto, per usare un eufemismo, poco convinto dalle parole del leader di Italia viva, accusato di una difesa strumentale solo per «proseguire la propria battaglia politica».

«DOPPIA MORALE DA CHI INVOCA LA PRIVACY PER GLI AMICI»

Non si è fatto attendere il contrattacco di Renzi. «Chi difende le nostre idee in Rete è stato massacrato per anni dalle #FakeNews», ha scritto di buon mattino su Twitter. «E oggi dalla doppia morale di chi invoca sui giornali la privacy solo per gli amici. Ne parliamo giovedì in Senato, abbiamo molto da dire».

«Vorrei mandare un abbraccio a tutti coloro che lottano sulla Rete per difendere le nostre idee», ha anche scritto il leader di Italia viva in un post su Facebook. «Il colmo è che siete stati massacrati da troll per anni con fake news e adesso vi attaccano persino sui giornali, solo perché difendete la verità e le vostre idee. Vi abbraccio forte forte. E vi garantisco che non ci fermeremo. Anzi: vi do appuntamento a giovedì quando interverrò in Senato su questa incredibile vicenda, facendo sentire la vostra voce».

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Forza Italia e Italia viva: prove tecniche di intesa

Il voto anticipato non è più un tabù. E i renziani continuano a corteggiare l’ala anti-salviniana degli azzurri. A fare da collante il no alla riforma Bonafede e la battaglia contro la plastic tax e la tassazione sulle auto aziendali. Il confronto sul ddl Costa è il punto di partenza.

Prove tecniche di intesa. Per allargare l’area di centro. Matteo Renzi guarda ormai alle elezioni, senza farne segreto: è pessimista sulla tenuta del governo e ha iniziato un’offensiva dal sapore elettorale. In questo scenario ha una sola possibilità: cercare la strada per crescere nei sondaggi. Così è scattato un serrato corteggiamento a Forza Italia, o meglio alla sua ala più scettica nei confronti della salvinizzazione del partito. E il confronto avviene sul terreno della condivisione dei contenuti. Tutt’altro che secondari. «È innegabile che ci siano più convergenze tra Renzi e Forza Italia che con il M5s», confermano a Lettera43.it fonti della maggioranza.

NO TAX E RIFORMA DELLA GIUSTIZIA: LE AFFINITÀ TRA FI E IV

Sulla riforma della Giustizia, in particolare sul capitolo della prescrizione, Italia viva e Forza Italia sembrano ben avviate verso la suggestione di “Forza Italia Viva“, evocata appena qualche settimana fa. Stesso copione sulla questione tasse. L’ex Rottamatore ha presentato il suo partito come quello dei “no tax”. Uno slogan che ai sostenitori di Silvio Berlusconi non è dispiaciuto, così come dai banchi degli azzurri è stata apprezzata la battaglia contro la plastic tax e la tassazione sulle auto aziendali. Renzi tra l’altro si è assunto il rischio di bloccare la legge di Bilancio che già prosegue a rilento, tanto che si teme un’approvazione last minute al Senato rispetto alla scadenza di fine anno. Il terreno delle convergenze si sta preparando, insomma, in ottica elettorale. Anche perché Renzi ha dato al 50% le possibilità che il governo cada. «Ed è stata una stima ottimista…», osserva un deputato di Iv, lasciando presagire il totale avvitamento della maggioranza nelle prossime settimane. Nessuno immagina che l’incidente possa arrivare sulla Manovra. Dopo, chissà. Gli attriti abbondano.

MARIA ELENA BOSCHI IN PRIMA LINEA CONTRO BONAFEDE

Nell’entourage dell’ex presidente del Consiglio le elezioni non sono lo sbocco forzato. Anzi. La scorsa estate ha insegnato che tutto è possibile. Ma nel dubbio è arrivato l’ordine di prepararsi al voto. Il garantismo è il primo collante che può unire una parte di Forza Italia e i renziani. Maria Elena Boschi, non proprio una figura di secondo piano, si è mobilitata in prima persona contro il disegno del Guardasigilli Alfonso Bonafede. I renziani sono orientati a votare la proposta di legge del deputato forzista Enrico Costa che si pone come principale obiettivo il blocco della riforma del ministro della Giustizia. E quindi lo stop alla cancellazione della prescrizione. 

LE PRIME AVVISAGLIE

Una presa di posizione che si è manifestata già nell’astensione a Montecitorio a un ordine del giorno dello stesso Costa presentato nel corso nel dibattito sul decreto fiscale. Una mossa che suona un avvertimento per le prossime settimane, quando comunque il ddl Costa sarà discusso alla Camera. La riforma della Giustizia diventa sempre più un passaggio cruciale dell’esecutivo e della legislatura. «È chiaro che se Partito democratico e Movimento 5 stelle pensano di trovare un accordo tra di loro senza coinvolgerci ne prenderemo atto», fanno sapere da Italia viva. «E sarebbe opportuno che fossero coinvolte tutte le forze di maggioranza. Perché non si può pensare di fare un intervento del genere in una settimana».

I MOVIMENTI DI CARFAGNA E DEGLI ANTI-LEGHISTI

Il leader di Italia viva, del resto, aveva parlato di «porte aperte», in riferimento soprattutto a Mara Carfagna, la più in difficoltà di fronte alla deriva leghista del suo partito. La linea resta quella di restare su un altro versante rispetto a Iv, nonostante nei giorni scorsi all’azzurra fosse sfuggita una frase sibillina: «Forza Italia Viva è una suggestione se cade il governo». Nelle ultime ore Carfagna ha criticato «il linguaggio pieno di odio che caratterizza l’Italia» e ha chiesto un chiarimento nel centrodestra sulle tentazioni no euro. «Nessuno ha intenzione di tornare a una moneta debole e svalutata che ridurrebbe il valore degli stipendi e dei conti correnti degli italiani», ha scandito Carfagna. Un doppio monito sui rapporti con la Lega. Al momento non risultano contatti ufficiali, ma il confronto sul ddl Costa è un punto di partenza. Per quale traguardo, a breve, si vedrà.

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Vertice sulla manovra per trovare un accordo sulle tasse

Si cerca l’intesa sulle risorse. Italiaviva contro plastic e sugar tax: «Un disastro occupazionale». Il Pd: «Preferite le multinazionali al taglio delle tasse ai lavoratori». Gualtieri cerca una soluzione.

Braccio di ferro al vertice di maggioranza sulla manovra in corso a Palazzo Chigi. L’obiettivo della riunione di maggioranza è trovare un accordo sulla plastic tax. Conte assicura che il clima è buono e che c’è convergenza politica. Meno ottimista Renzi, che prevede una crisi di governo al 50%.

ITALIA VIVA CONTRO PLASTIC TAX E SUGAR TAX

Italia viva insiste sul taglio delle tasse sulla plastica e sulle bevande zuccherate. M5s e Pd invece frenano: il Dem Andrea Orlando ha rilanciato la proposta di utilizzare eventuali nuove risorse – si parla di circa 500 milioni – per tagliare ancora le tasse sul lavoro. Al tavolo il ministro Roberto Gualtieri avrebbe portato diverse proposte, ma una soluzione non ci sarebbe ancora.

LA BELLANOVA METTE IN GUARDIA DAL «DISASTRO OCCUPAZIONALE»

«Plastic tax e Sugar tax determineranno un disastro occupazionale. Ora al lavoro per trovare un accordo che dica no a microbalzelli e sì al lavoro», ha scritto su Twitter il ministro dell’Agricoltura e capo delegazione di Iv al governo, Teresa Bellanova.

LA REPLICA PD: «PREFERITE LE MULTINAZIONALI AI LAVORATORI»

Fonti del Pd hanno replicato: «Italia Viva ai lavoratori italiani preferisce le multinazionali delle bibite gassate, come la Coca Cola. Non vuole diminuire le tasse sul lavoro ma pensa solo a togliere la sugar tax, per favorire società per azioni che non hanno sede neanche in Italia. È solo grazie al Pd che sono stati salvati gli italiani dai 23 miliardi della Salvini Tax e che si mette in campo il taglio delle tasse ai lavoratori da oltre 3 miliardi».

LA CAMERA VOTA IL DECRETO FISCO

Alla Camera intanto è atteso il voto finale al decreto legge Fisco, sul quale l’aula ha confermato la fiducia all’esecutivo. Conte intanto respinge il piano di ArcelorMittal per l’ex Ilva, che prevede 4.700 esuberi. FimFiom-Uilm in sciopero dal 9 dicembre.

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Inchiesta Open, il Csm contro Renzi: «Delegittima i pm»

I membri togati chiedono di aprire una pratica a tutela dei magistrati fiorentini dopo le critiche del leader di Italia viva.

Le dichiarazioni fatte da Matteo Renzi dopo le perquisizioni disposte dai pm Firenze nell’ambito dell’inchiesta sulla fondazione Open «alimentano un clima di delegittimazione nei confronti dei magistrati della procura di Firenze». Per questo «si impone l’esigenza dell’intervento del Consiglio a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia della giurisdizione». Lo scrivono tutti i componenti togati del Csm e il laico della Lega Stefano Cavanna nella richiesta al Comitato di presidenza di aprire una pratica a tutela dei pm fiorentini. La raccolta delle firme per far scattare la procedura è partita dal gruppo di Area.

RENZI: «FERITA AL GIOCO DEMOCRATICO»

«Penso che siamo in presenza di un vulnus, di una ferita al gioco democratico» aveva detto Renzi. Frase riportata nel documento presentato al Comitato di presidenza, dai togati e da Cavanna. Queste dichiarazioni , scrivono i consiglieri, «non si limitano ad una critica, sempre legittima, del merito del provvedimento, ma costituiscono commenti che alimentano un clima di delegittimazione nei confronti dei magistrati di Firenze, come si evince dal contenuto dai numerosi post pubblicati sui social e dalle dichiarazioni rilasciate agli organi di informazione nelle ultime ore».

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Sulla prescrizione Renzi minaccia l’asse con Forza Italia

Il leader di Italia viva torna all’attacco: «Bonafede può cambiare la sua legge, non le nostre idee». E ipotizza il voto al ddl Costa in caso di mancato accordo.

«Volere una giustizia senza fine significa proclamare la fine della giustizia. E non abbiamo cambiato idea». Lo dice Matteo Renzi, intervistato dal Messaggero, in merito alla prescrizione: «Ora ci sono due alternative: la prima è che la nuova maggioranza trovi una soluzione. E sarebbe meglio. Se non accadrà noi non ci inchineremo al populismo giudiziario imperante. E dunque, se non ci sarà accordo, voteremo il ddl di Enrico Costa, persona saggia e già viceministro alla Giustizia del mio governo. Bonafede può cambiare la sua legge, se vuole, ma non può pretendere di cambiare le nostre idee».

«IL PD NON TEME LE URNE, MA FOLLEMENTE CI SPERA»

Sui timori che voglia staccare la spina per votare a marzo, l’ex premier chiarisce: «Non è un timore del Pd, ma una loro (folle) speranza. Una parte del Pd sogna le urne, invocandola con lo stesso giubilo con cui hanno anticipato le elezioni in Umbria, condannandosi a una clamorosa sconfitta. Fosse per me si voterebbe nel 2023. Ma non l’ha ordinato il dottore di stare tutti insieme. Chi vuole rompere deve solo dirlo». Parlando dei rapporti tra Conte e Di Maio, rileva: «Che i due non si salutino non mi interessa: devono governare il Paese, non andare a cena fuori. La vera domanda non è se sono ancora amici, ma se sono in grado di rappresentare l’Italia. Quanto a Di Battista: capisco che voglia tornare in parlamento per sue ovvie esigenze personali e quindi cerchi ogni pretesto per rompere. Ma questo governo è nato in quanto europeista e dunque Di Battista semplicemente non rileva. Se vogliono andare contro l’Europa, hanno sbagliato alleato: potevano tenersi Salvini».

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Per Renzi la notizia dell’inchiesta sulla sua villa è un «avvertimento» della magistratura

Il leader di Italia viva contro i magistrati: «Li ho criticati su Open e la risposta è la diffusione di miei documenti personali. Brivido!».

Matteo Renzi non si ferma e continua ad attaccare la magistratura dopo le inchieste della procura di Firenze sulla fondazione Open e sulla villa comprata dall’ex premier a due passi da piazzale Michelangelo.

Il leader di Italia viva si è fatto intervistare da Radio Capital. E ai microfoni della trasmissione Circo Massimo ha dichiarato: «Io non credo al sabotaggio per bloccare Italia viva. Però… alle aziende dico di non finanziarci, se non volete passare guai. Chi finanzia Renzi è uno che rischia la perquisizione».

Il senatore ha proseguito così: «Guarda caso dopo che ho criticato la magistratura esce da qualche ufficio giudiziario una cosa di un anno e mezzo fa sulla mia casa. Non ho niente da nascondere e non ho mai parlato di complotto, ma di coincidenze questo sì. Ho criticato l’invasione di campo di due magistrati nella sfera politica e la risposta è la diffusione di miei documenti privati personali. Brivido! Tuttavia non ho segreti. La mia casa, le mie auto, la mia Vespa: tutto è perfettamente regolare. Quando ho avuto un prestito, fatto con una scrittura privata, l’ho onorato restituendolo in cinque mesi. Guadagno molto bene, non ho niente da nascondere. Ma non vi sembra curioso che uno possa ricevere “avvertimenti” di questo genere?».

RENZI PRESENTA TRE DENUNCE PENALI E DUE AZIONI CIVILI

Renzi ha annunciato quindi che presenterà tre denunce penali e due azioni civili: «Lo farò volutamente a Firenze e sono certo che i magistrati di questa città saranno solerti nel difendere il mio diritto alla giustizia». La prima denuncia «riguarda il signor Travaglio per aver detto che il governo Renzi ha “beneficato il gruppo Toto nel 2017″. Non so di cosa parli Travaglio. Ma so che il governo Renzi termina la propria esperienza nel 2016. Notizia falsa e diffamatoria, reato certo. Attendo che la procura di Firenze apra il procedimento per diffamazione contro il signor Travaglio nel quale mi costituirò parte civile». 

IL PROCURATORE CAPO DI FIRENZE NEL MIRINO

Le altre due denunce «sono indirizzate al dottor Giuseppe Creazzo (procuratore capo a Firenze, ndr) e – per competenza – al procuratore capo di Genova (distretto cui spettano i procedimenti giudiziari riguardanti i magistrati di Firenze, ndr) per rivelazione di segreto bancario o istruttorio alla luce degli articoli de La Verità e l’Espresso sulla mia villa. Quanto alle azioni di risarcimento civile, vi aggiornerò più tardi. Come vedete io credo nella giustizia e nei magistrati di Firenze: a loro mi rivolgo, cittadino tra i cittadini, perché siano riconosciuti i miei diritti. Non attacco la magistratura, ma contesto la trasformazione di Open in partito».

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Per Renzi la notizia dell’inchiesta sulla sua villa è un «avvertimento» della magistratura

Il leader di Italia viva contro i magistrati: «Li ho criticati su Open e la risposta è la diffusione di miei documenti personali. Brivido!».

Matteo Renzi non si ferma e continua ad attaccare la magistratura dopo le inchieste della procura di Firenze sulla fondazione Open e sulla villa comprata dall’ex premier a due passi da piazzale Michelangelo.

Il leader di Italia viva si è fatto intervistare da Radio Capital. E ai microfoni della trasmissione Circo Massimo ha dichiarato: «Io non credo al sabotaggio per bloccare Italia viva. Però… alle aziende dico di non finanziarci, se non volete passare guai. Chi finanzia Renzi è uno che rischia la perquisizione».

Il senatore ha proseguito così: «Guarda caso dopo che ho criticato la magistratura esce da qualche ufficio giudiziario una cosa di un anno e mezzo fa sulla mia casa. Non ho niente da nascondere e non ho mai parlato di complotto, ma di coincidenze questo sì. Ho criticato l’invasione di campo di due magistrati nella sfera politica e la risposta è la diffusione di miei documenti privati personali. Brivido! Tuttavia non ho segreti. La mia casa, le mie auto, la mia Vespa: tutto è perfettamente regolare. Quando ho avuto un prestito, fatto con una scrittura privata, l’ho onorato restituendolo in cinque mesi. Guadagno molto bene, non ho niente da nascondere. Ma non vi sembra curioso che uno possa ricevere “avvertimenti” di questo genere?».

RENZI PRESENTA TRE DENUNCE PENALI E DUE AZIONI CIVILI

Renzi ha annunciato quindi che presenterà tre denunce penali e due azioni civili: «Lo farò volutamente a Firenze e sono certo che i magistrati di questa città saranno solerti nel difendere il mio diritto alla giustizia». La prima denuncia «riguarda il signor Travaglio per aver detto che il governo Renzi ha “beneficato il gruppo Toto nel 2017″. Non so di cosa parli Travaglio. Ma so che il governo Renzi termina la propria esperienza nel 2016. Notizia falsa e diffamatoria, reato certo. Attendo che la procura di Firenze apra il procedimento per diffamazione contro il signor Travaglio nel quale mi costituirò parte civile». 

IL PROCURATORE CAPO DI FIRENZE NEL MIRINO

Le altre due denunce «sono indirizzate al dottor Giuseppe Creazzo (procuratore capo a Firenze, ndr) e – per competenza – al procuratore capo di Genova (distretto cui spettano i procedimenti giudiziari riguardanti i magistrati di Firenze, ndr) per rivelazione di segreto bancario o istruttorio alla luce degli articoli de La Verità e l’Espresso sulla mia villa. Quanto alle azioni di risarcimento civile, vi aggiornerò più tardi. Come vedete io credo nella giustizia e nei magistrati di Firenze: a loro mi rivolgo, cittadino tra i cittadini, perché siano riconosciuti i miei diritti. Non attacco la magistratura, ma contesto la trasformazione di Open in partito».

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Il caso della villa di Renzi sulle colline di Firenze

Il settimanale l’Espresso pubblica un’inchiesta esclusiva. L’ex premier avrebbe ricevuto un prestito dalla famiglia Maestrelli, che ha finanziato la fondazione Open. Uno dei membri nominato in Cassa depositi e prestiti.

Il settimanale l’Espresso, con un’inchiesta esclusiva in edicola domenica 1 dicembre e anticipata dal sito web, mette in imbarazzo il leader di Italia viva Matteo Renzi.

Secondo i giornalisti Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian, un imprenditore nominato dal governo Renzi in Cassa depositi e prestiti, e che figura tra i finanziatori della fondazione Open, avrebbe prestato 700 mila euro all’ex premier tramite l’anziana madre, per comprare una villa sulle colline di Firenze.

L’acquisto, per un totale di 1,5 milioni di euro, risale a luglio 2018. La villa è intestata per metà a Renzi e per l’altra metà alla moglie Agnese Landini. Il prestito sarebbe arrivato, sempre secondo l’Espresso, dalla famiglia Maestrelli.

La stessa famiglia cui appartiene Riccardo Maestrelli, nominato dal governo Renzi il 5 maggio 2015 nel cda di Cassa depositi e prestiti. Contattato da l’Espresso, il leader di Italia viva ha risposto così: «Vi risulta il prestito e non vi risulta la restituzione? Sicuro sicuro? Non confermo e non smentisco nulla. Andremo in causa».

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