La Lega porta dentro la Camera l’odio contro Silvia Romano

Il deputato Pagano ha definito la cooperante liberata dopo 18 mesi di prigionia nelle mani di al Shabaab una “neo terrorista”. Proteste da Pd e M5s. Fico: “Parole inaccettabili”.

Non sono bastati giorni di insulti sui social, ora le offese e le ingiurie nei confronti di Silvia Romano, la cooperante liberata dopo 18 mesi nelle mani di al Shabaab, sono risuonate persino dentro la Camera dei deputati. Il deputato della Lega Alessandro Pagano l’ha infatti definita Silvia Romano “la neo-terrorista”.

PD, M5s, FICO E CARFAGNA CONTRO LA LEGA

Pagano è stato ripreso dalla vicepresidente Carfagna, cosa che non ha impedito vivaci proteste di molti deputati. Il Pd ha chiesto che la Lega chieda scusa. Il M5s ha definito gli insulti vergognosi. E il presidente Roberto ha definito quelle di Pagano “inaccettabili parole di odio”. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha commentato: “In questi giorni letto e ascoltato cose raccapriccianti”.

LE FORZE DELL’ORDINE CONTRO GLI ODIATORI

Intanto a Milano, dove il pm ha aperto un’inchiesta dopo la campagna d’odio sul web verso la ragazza, prosegue il passaggio di pattuglie di forze dell’ordine lungo la via dove si trova l’abitazione della cooperante liberata dopo 18 mesi.

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Taglio dei Parlamentari, raggiunto il numero di firme per referendum in Senato

Sono 71 le sottoscrizioni depositate in Cassazione. Fonti M5s: «A quanto pare, è arrivato “l’aiutino” della Lega».

Al Senato è stato raggiunto e superato il numero minimo di firme per presentare il quesito del referendum contro il taglio dei parlamentari. Sono in totale 71 le sottoscrizioni (ne servivano 64) che Andrea Cangini (FI), Tommaso Nannincini (Pd) e Nazario Pagano (FI), i tre promotori della consultazione, hanno depositato in Cassazione nel pomeriggio. Secondo fonti parlamentari, in mattinata, sarebbe arrivato un sostanzioso appoggio anche da parte di senatori leghisti.

LEGGI ANCHE: Taglio dei parlamentari, la battaglia sul referendum allunga la vita al governo

HANNO FIRMATO 12 “NEW ENTRY”

Dopo la rinuncia di sette senatori a sottoscrivere la richiesta di referendum per il taglio del parlamentari, sono 12 le “new entry” che hanno deciso di aderire, consentendo così la possibilità di depositare il quesito in Cassazione. Hanno aggiunto le loro firme: cinque senatori di Forza Italia (Francesco Battistoni, Dario Damiani, Maria Alessandra Gallone, Marco Siclari e Roberta Toffanin), sei della Lega (Claudio Barbaro, Massimo Candura, William De Vecchis Roberto Marti, Enrico Montani e Pasquale Pepe) e uno di Liberi e uguali (Francesco La Forgia).

LEGGI ANCHE: Cosa succede ora col referendum sul taglio dei parlamentari

M5S: «È ARRIVATO L’ “AIUTINO” DELLA LEGA»

Come riporta l’Ansa, fonti del Movimento 5 stelle hanno commentato subito l’appoggio dei senatori leghisti alla raccolta firme per il referendum: «Non hanno resistito alla voglia di tenersi strette le poltrone e a quanto pare è arrivato “l’aiutino” della Lega. Non vediamo l’ora di dare il via alla campagna referendaria per spiegare ai cittadini che ci sono parlamentari che vorrebbero bloccare questo taglio, fermando così il risparmio di circa 300mila euro al giorno per gli italiani che produrrebbe l’eliminazione di 345 poltrone».

LEGGI ANCHE: Quanto si risparmia con la legge sul taglio dei parlamentari

MARA CARFAGNA (FI) ATTACCA: «È UN REFERENDUM SALVA-POLTRONE»

«Quello sul taglio dei parlamentari è un referendum salva-poltrone», ha scritto in una nota Mara Carfagna, vicepresidente della Camera e deputata di Forza Italia. «Siamo e saremo sempre all’opposizione di questo governo dannoso, vogliamo andare al voto anche domani, ma vogliamo farlo in totale trasparenza eleggendo da subito un Parlamento più snello. Non abbiamo alcun interesse a sostenere un finto referendum, vogliamo dire la verità agli italiani. Per questo ai colleghi senatori che mi hanno chiesto un parere ho detto: non prestatevi a un giochino di Palazzo che screditerà la politica, squalificherà Forza Italia, resusciterà il populismo», ha proseguito la vicepresidente della Camera nel documento. La Carfagna ha ricordato anche che «la riduzione dei parlamentari è stata approvata con il sì di Forza Italia appena tre mesi fa, dopo quattro letture» e che il partito è «sempre favorevole al taglio delle poltrone» e che il presidente Silvio Berlusconi «è stato tra i primi a volere una riforma costituzionale di questo tipo». Mara Carfagna ha poi concluso: «Chi vuole il referendum per rimandare il taglio dei parlamentari lo dica apertamente, ci metta la faccia e non utilizzi giochi di palazzo».

SUL REFERENDUMStamattina ho ritirato la firma sul referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. L'ho ritirata,…

Posted by Mario Michele Giarrusso on Friday, January 10, 2020

CHI HA RITIRATO LA FIRMA PER IL REFERENDUM SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI

C’è anche chi ci ha fatto dietrofront, ritirando la propria firma, come i senatori Mario Michele Giarrusso (M5s), Francesco Verducci (Pd) e Vincenzo D’Arienzo (Pd). «Stamattina ho ritirato la firma sul referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. L’ho ritirata, perché la mia posizione è stata strumentalizzata da alcuni e travisata da altri», ha scritto il senatore pentastellato. Al contrario, i dem hanno cambiato idea in conseguenza «di un fatto politico nuovo» e cioè la presentazione di quella proposta di legge elettorale proporzionale, che fin dall’inizio era stata chiesta dal Pd in relazione al taglio dei parlamentari.

LA RACCOLTA FIRME DEI RADICALI

Intanto il Partito radicale ha raccolto 669 firme per promuovere un referendum sulla riforma che taglia il numero dei parlamentari. Peccato che ne sarebbero servite 500 mila. Le sottoscrizioni sono state comunque depositate in Cassazione. «Abbiamo voluto verbalizzare la violenta censura attuata dai media e dal servizio pubblico – ha spiegato Maurizio Turco, il segretario del Partito radicale – ai quali si era rivolto per la prima volta nel discorso di fine anno il Presidente della Repubblica». Turco si è anche detto contrario alla riforma «che prevede la cessione di rappresentanza da parte dei cittadini».

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Taglio dei parlamentari, la battaglia sul referendum allunga la vita al governo

A tre giorni dalla scadenza del 12 gennaio, si tirano indietro quattro senatori di Forza Italia vicini a Mara Carfagna. Ma le defezioni sono almeno otto. Ora diventa cruciale il ruolo della Lega, che potrebbe decidere di invertire la rotta.

Il destino del referendum contro il taglio dei parlamentari è appeso a una manciata di firme. A tre giorni dalla scadenza del termine per la presentazione della richiesta, prevista per il 12 gennaio, si sono infatti tirati indietro quattro senatori di Forza Italia vicini a Mara Carfagna. Ma le defezioni sarebbero di più, almeno otto. E sono pronti al ritiro anche tre senatori del Pd.

La consultazione rischia quindi di saltare: se ciò accadesse, la legge entrerebbe subito in vigore. Ma a “salvare” il referendum potrebbero pensarci altri senatori di Forza Italia, o più probabilmente della Lega. Perché in un intreccio pericolossimo per le sorti del governo, solo se ci sarà il referendum sul taglio dei parlamentari ha buone probabilità di tenersi anche il referendum promosso dal Carroccio per il maggioritario in tema di legge elettorale, su cui il 15 gennaio è chiamata a esprimersi la Corte Costituzionale.

La maggioranza vuole provare a evitarli entrambi. Da una parte pressa i senatori per il ritiro delle firme, dall’altra deposita il “Germanicum”, una proposta di legge elettorale proporzionale. Mentre prosegue il lavoro sotterraneo per “blindare” la maggioranza e metterla al riparo dagli smottamenti nel M5s, magari con l’ingresso di un gruppetto di senatori in uscita da Forza Italia.

LE APERTURE DI CONTE

Tra i parlamentari non sono passate inosservate le parole con cui il premier Giuseppe Conte ha risposto a una domanda del quotidiano Il Foglio sulla possibilità che una parte degli azzurri possa appoggiare maggioranza, votando con Pd e M5s come già avvenuto al parlamento europeo: «Se si dovesse verificare questa condizione la valuteremo. Sarebbe un passaggio senz’altro significativo». Antonio Tajani ha subito parlato di «ipotesi dell’irrealtà», ma di un gruppo di deputati e senatori cosiddetti “responsabili” si vocifera con insistenza.

IL GESTO DEGLI AZZURRI VICINI ALLA CARFAGNA

Del resto i quattro senatori Franco Dal Mas, Massimo Mallegni, Laura Stabile e Barbara Masini, che hanno annunciato di aver ritirato le firme sulla richiesta di referendum per «impedire a qualcuno di farsi prendere dalla tentazione di andare a votare senza ridurre prima il numero degli eletti», sono tutti di Forza Italia. Il gesto prelude allo sbarco in maggioranza degli azzurri che fanno riferimento a Mara Carfagna? Fonti vicine alla vice presidente della Camera, per il momento, negano: «Voce libera vuole che il governo cada. Ma non si può andare a votare con mille parlamentari, alimentando ancora il M5s anti casta».

I CALCOLI CHE STANNO DIETRO AI GIOCHI POLITICI

La tesi prevalente è che se venisse indetto il referendum, si aprirebbe una finestra per far saltare il governo e andare a votare per eleggere 630 deputati e 315 senatori, prima che vengano ridotti a 400 e 200. In tal caso chi vince vincerebbe di più, e chi perde perderebbe di meno. Ma nei giochi politici di queste ore viene fatto anche un altro calcolo: per un cavillo giuridico, se verrà indetto il referendum costituzionale, avrà più probabilità di essere ammesso anche il referendum promosso dalla Lega per una legge elettorale maggioritaria. A quel punto potrebbe essere indetto un election day capace di far fibrillare l’esecutivo, in coincidenza con le elezioni regionali di primavera.

LA MAGGIORANZA PROVA A SMINARE IL CAMPO SULLA LEGGE ELETTORALE

«Rischierebbe di essere un mega-referendum su Salvini», osservano fonti del Pd. E anche per non dare all’ex ministro dell’Interno altre armi di propaganda, il governo prova a tenersi fuori dalla battaglia. Conte e i capi delegazione di maggioranza hanno deciso infatti di non costituire l’esecutivo in giudizio di fronte alle Corte costituzionale. Per “sminare” la questione e dimostrare alla Consulta che sul sistema di voto sta già legiferando il parlamento, è stata accelerata anche la presentazione del Germanicum, nato da un primo accordo di maggioranza che non convice in pieno Liberi e uguali.

IL SEGNALE SALVINI: «FAREI REFERENDUM SU TUTTO»

Il testo è stato depositato da Giuseppe Brescia del M5s. Prevede un sistema con soglia di sbarramento al 5% (nell’iter parlamentare, complici i voti segreti, c’è il rischio che scenda) e diritto di tribuna per i piccoli partiti. Anche in nome di questa prima bozza di legge elettorale tre senatori del Pd, Roberto Rampi e gli orfiniani Francesco Verducci e Vincenzo D’Arienzo, potrebbero ritirare le firme sul taglio dei parlamentari. I senatori dem che hanno firmato in tutto sono sette, gli altri quattro resistono. Il 10 gennaio anche i Radicali presenteranno i risultati della loro raccolta. Ma adesso sarà determinante il ruolo della Lega: «Io farei referendum su tutto», ha detto in serata Salvini. E sembra un segnale chiaro rivolto ai suoi: invertire la rotta sul tema della riduzione del numero dei parlamentari, firmare e metterci la faccia.

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Chi sono i candidati al governo della Calabria

È corsa a quattro per le elezioni del 26 gennaio 2020: Jole Santelli per il centrodestra, Pippo Callipo, per il centrosinistra, Francesco Aiello per il Movimento 5 Stelle e l’outsider Carlo Tansi.

È corsa a quattro in Calabria dove il 26 gennaio 2020 sono in programma le elezioni regionali. A puntare alla poltrona di Governatore ci sono, per il centrodestra, la deputata e coordinatrice regionale di Forza Italia Jole Santelli, sostenuta da sei liste (Fi, Fratelli d’Italia, Lega, Santelli presidente, Udc, Cdl); l’imprenditore Pippo Callipo, che ha dalla sua il Pd, una lista filiazione dell’associazione Io resto in Calabria, i Democratici e progressisti e 10 idee per la Calabria, formazione quest’ultima sulla quale però pende la scure di una possibile esclusione. Della partita anche il docente universitario Francesco Aiello, per il Movimento 5 Stelle e per la lista Calabria Civica, e l’ex capo della Protezione civile regionale Carlo Tansi, sostenuto dalle liste Tesoro Calabria, Calabria Pulita e Calabria Libera.

EX PD CON FRATELLI D’ITALIA

Ricompattato il fronte dopo le fibrillazioni legate al “niet” di Matteo Salvini ad Mario Occhiuto, il centrodestra ritrova l’unità intorno alla candidata presidente Jole Santelli e schiera tanti uscenti e alcune singolari new entry. Il consigliere regionale Giuseppe Neri, eletto nella passata legislatura con la lista Democratici e progressisti, emanazione diretta del Pd, è ad esempio candidato con Fratelli d’Italia. L’Udc, altro partito che è a fianco della fedelissima di Silvio Berlusconi, ospita nelle sue fila anche Antonio Scalzo, eletto nel Pd e che, sempre in quota dem, è stato per un periodo presidente del Consiglio regionale, transitato di recente nei Moderati, vicini a Raffaele Fitto.

GLI SCONTENTI A SINISTRA

Novità anche dalle parti del candidato Pippo Callipo, che é riuscito a imporre le sue condizioni sulla formazione delle liste. Scende in campo con l’industriale del tonno anche l’ex sindaco di Isola Capo Rizzuto Carolina Girasole, in lista con il Pd, messa fuori gioco a suo tempo dallo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune che amministrava ma assolta, di recente, dall’accusa di avere agevolato la cosca di ‘ndrangheta degli Arena. Punta alla conferma anche il presidente uscente del Consiglio regionale, Nicola Irto. In lizza anche Maria Saladino, già in corsa per la segreteria nazionale del Partito democratico. Non mancano, da una parte e dall’altra, i mugugni degli esclusi: dall’ex Pd Enzo Ciconte, dato in approdo nel centrodestra, che ha optato per il ritorno alla professione medica (é primario cardiologo) a Francesco D’Agostino, che ha espresso tutto il suo disappunto per il veto posto da Callipo sul suo conto.

AIELLO E TANSI «LIBERI DALLA CASTA»

Acque decisamente più tranquille per il candidato pentastellato Aiello, che sottolinea la «pulizia» delle proprie liste, e per il civico Tansi. Che dichiara: «Noi restiamo liberi dalla casta».

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La polemica sulle parole di Bossi al congresso della Lega

Diventa virale la dichiarazione del fondatore del partito: «I meridionali aiutiamoli a casa loro perché se no straripano al Nord». Salvini alla fine si dissocia dal Senatur.

Il fondatore della Lega Umberto Bossi sembra non aver cambiato alcune sue convinzioni sul tema Nord-Sud. E anche se il partito ha dovuto cambiare pelle per esigenze elettorali, al Congresso di sabato è venuto fuori tutto l’animo della vecchia Lega Nord.

«Mi sembra giusto aiutare il Sud, mi sembra giusto, sennò se non li aiutiamo a casa loro straripano e vengono qui. È un po’ come l’Africa, non è stata aiutata e ci arrivano tutti addosso», ha detto il Senatùr alla platea di fianco a Matteo Salvini, che indaffarato con il telefono non ha voluto rettificare le parole del vecchio leader. Il video del discorso ha iniziato a circolare sui social, con sempre più voci che chiedevano al nuovo “Capitano” di dissociarsi dall’”Umberto”. 

Dopo aver fatto indigestione di gol (il Milan di oggi inguardabile, peggio del governo PD-5Stelle) si riparte!Incontri con la gente previsti stasera a Chieti, domani a Pescara, Ancona, Cesena, Crevalcore e Sant’Agata Bolognese.Una preghiera per Gaia e Camilla, non si può morire così a 16 anni🙏.

Posted by Matteo Salvini on Sunday, December 22, 2019

Alla fine Salvini è stato costretto a prendere le distanze. «Se qualcuno pensa che ci sia una parte del Paese che merita meno dell’altra ha sbagliato. Qualcuno è fermo al passato. Solo uniti si vince», ha detto domenica pomeriggio in diretta Facebook. Così come il congresso ha sancito l’esistenza di due partiti, Lega Nord e Lega con Salvini, così lo scontro sul meridione ha rimesso in luce quelle che sembrano ancora essere le due anime del Carroccio: quella a vocazione nazionale e quella ancora legata alla battaglia per il secessionismo.

IL M5S: «LA LEGA NORD È TRAVESTITA DA LEGA SALVINI»

«Aiutiamoli a casa loro altrimenti straripano al Nord? Che Bossi avesse certe idee in testa non è una novità. Ma Salvini prenderà le distanze? O pensa anche lui che i cittadini del Sud debbano essere tenuti in gabbia? Diffidate dalla Lega Nord travestita da Lega Salvini: evidentemente sono la stessa cosa», aveva detto la deputata M5s Anna Macina.

FORZA ITALIA: «DISSENSO TOTALE»

«Dissento totalmente dalle inaccettabili parole in libertà del Senatore Bossi ricordandogli che quando la gente del Sud è andata a lavorare al Nord d’Italia ha realizzato strade, ponti, infrastrutture, ha creato diritto e ha tirato su intere generazioni di italiani ‘del Nord’», ha scritto su Twitter il senatore di Forza Italia Renato Schifani.

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Il congresso della Lega di Salvini sancisce l’esistenza di due partiti

Bossi dal palco: : «Ora c’è la possibilità di avere il doppio tesseramento». Quella al movimento storico e quello fondato dal Capitano. Ma per il vecchio leader c’è la stading ovation.

Non è la fine della Lega Nordista di Bossi, ma è l’inizio di una doppia vita, con due partiti paralleli, con la Lega Nazionale di Matteo Salvini che si affianca a quella del fondatore. Il Congresso del 21 dicembre pensato per celebrare definitivamente il nuovo corso del nuovo capo e per modificare lo statuto del partito si basa su un compromesso. E lo ha spiegato proprio il patriarca Bossi quando dopo essere stato accolto da applausi e standing ovation, ha dichiarato: «Sono contento di dirvi che oggi non si chiude nessuna Lega, questo congresso nella sostanza dà la possibilità di avere il doppio tesseramento, sarà possibile essere iscritti alla Lega e alla Lega per Salvini».

Il fondatore della Lega Nord Umberto Bossi (D) e il segretario della Lega Matteo Salvini (S) al congresso Federale del partito. Milano 21 Dicembre 2019.
ANSA / MATTEO BAZZI

«SIAMO NOI CHE CONCEDIAMO, SALVINI NON PUÒ IMPORCI UN C….»

«Questo», ha aggiunto il Senatùr, «glielo possiamo concedere, siamo noi che concediamo non è Salvini che ci impone. Salvini non può imporci un cazzo lo diciamo con franchezza. Le cose imposte non funzionano». E ancora: «Se Salvini vuole avere la possibilità di avere il simbolo della Lega nel partito chre sta facendo, deve raccogliere le firme», ha detto Bossi.

“Il nostro obiettivo è tornare al governo del Paese”, ha dichiarato Matteo Salvini dal palco del Congresso della Lega. Milano, 21 dicembre 2019. ANSA / MATTEO BAZZI

SALVINI:«BISOGNA APRIRE CON INTELLIGENZA LA LEGA»

Dal canto suo il segretario Salvini ha spiegato la sua linea. Bisogna «aprire con intelligenza», ma bisogna aprire la Lega. Secondo Salvini, infatti, con il 30% non si può «ragionare come se avessimo ancora il 3%». «Chi lascia fuori chi è più bravo» ha aggiunto il segretario, chi «tiene le porte chiuse fa il male del movimento», ovviamente «non subappaltando il movimento a portatori di voti dell’ultim’ora».

SALVINI SUL CASO GREGORETTI: «AUTODENUNCIAMOCI TUTTI»

«Propongo al congresso di autodenunciarci in massa se dovessero procedere», ha dichiarato poi il segretario della Lega sulla richiesta di autorizzazione a procedere per sequestro di persona riguardo al blocco della nave Gregoretti. «Non penso che questi giudici attacchino me, attaccano un popolo. Non c’è in ballo la libertà personale di Salvini è un attacco alla sovranità nazionale, alla sovranità popolare, al diritto alla sicurezza e alla difesa dei confini», aveva detto rispondendo ai giornalisti all’arrivo al Congresso del partito. «Io rispetto la stragrande maggioranza dei giudici che fanno bene il loro lavoro, qualcuno ha un pregiudizio», ha aggiunto Salvini.

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Perché la schietta Meloni ha futuro e il soggettone Salvini no

La leader di Fratelli d’Italia, premiata dai sondaggi, va di moda. A destra appare come il ritorno alla normalità, la realizzazione del sogno di Fini. E si giova dei difetti del “ragazzo della birreria” che se non parla di immigrati è muto.

Giorgia Meloni comincia a essere di moda da quando i sondaggi la premiano. Massimo Gramellini sul Corriere della Sera la elogia per le cose dette sulla madre nigeriana di Sondrio, Fausto Bertinotti la giudica molto bene, e si potrebbero citare altri entusiasti ammiratori. Il suo successo è parallelo all’insuccesso crescente di Matteo Salvini, uomo di molti voti virtuali che sta diventando antipatico come Matteo Renzi. In Meloni, nel suo avanzare nelle simpatie popolari, confluiscono più elementi.

UNA DESTRA TOSTA, FRANCA E BRUTALE

In primo luogo non dobbiamo mai dimenticare che questo Paese ha una forte componente di destra popolare, o forse, come diceva il mio amico Massimo D’Alema per richiamare alla realtà i sognatori di sinistra, «è un Paese di destra». Una destra tostissima, nostalgica al punto giusto ma non di quelle che si fanno incastrare nelle celebrazioni del passato, che parla con una franchezza che sfiora la brutalità.

TROPPI DIFETTI EVIDENTI DI SALVINI

In verità oggi Meloni si giova degli evidenti difetti di Salvini e del fatto che quel “soggettone” leghista se non parla di immigrati è praticamente muto. Tuttavia c’è dell’altro nel successo di Meloni, oltre il riemergere di una destra di tradizione e la sua migliore immagine rispetto a quella di Salvini. La Meloni appare, a destra, come il ritorno alla normalità.

GLI ITALIANI SONO STANCHI DELLE BIZZARRIE

Cerco di spiegarmi meglio. Gli italiani sono stanchi di tutto questo ambaradan culminato nelle bizzarrie del Movimento 5 stelle e nel furore xenofobo leghista. Anche chi detesta la sinistra con tutte le proprie forze, e in Italia sono milioni di persone, cerca strade maestre e non scorciatoie inconcludenti. Dal lato opposto questo vociare razzista e con toni da guerra civile ha risvegliato le coscienze. Mi dispiace per i detrattori delle sardine che speravano di battere la destra con la vecchia lotta di classe, ma, come è sempre avvenuto nella storia, la prima fase della rivoluzione è “democratica”.

INTANTO I BUONI STANNO PROVANDO A RIBELLARSI

Le sardine, come si può leggere bene nella lettera che hanno inviato a la Repubblica, sono uno straordinario movimento civico che incrocia e contrasta lo spirito bellico di questi anni. I “buoni” si sono ribellati e hanno scoperto che la piazza non è naturaliter di destra. È probabile che in un tempo medio tutto ciò porterà a una formazione politica originale in grado di competere elettoralmente con la destra. Per ora non è così.

GIORGIA CORONA IL SOGNO DI FINI

Giorgia Meloni rappresenta l’inveramento del sogno di Gianfranco Fini. L’uomo lo abbiamo tutti dimenticato, ma ebbe un momento di celebrità che minacciò la popolarità di Silvio Berlusconi e questo segnò il suo destino. L’Italia di destra si fidava di più di questo ragazzo attempato in doppio petto, che parlava come un liberal ma che aveva solidi radici di destra. Fini era forse un po’ troppo un punto di compromesso fra passato e futuro della destra. Meloni, invece, ha talmente segnato su se stessa la sua natura di destra che non corre il rischio di apparire una che sta facendo mutare pelle al suo popolo.

PIÙ SOLIDA DEL LINGUAGGIO IMBROGLIONE SALVINIANO

La caratteristica che sembrava nuocerle, la sua romanità, anzi il suo essere donna di un quartiere bellissimo come la Garbatella, le ha dato il carattere di schiettezza che è cosa più solida del linguaggio imbroglione di Salvini.

ANCHE SE I GIORNALI NORDISTI STANNO ANCORA CON MATTEO

I giornali di destra non si sono accorti ancora di lei. Sono ancora tutti presi dal ragazzo della birreria anche perché i direttori di quei giornali sono nordisti nel profondo dell’anima. E poi Salvini sembra uno che i direttori di questi giornali possono manipolare mentre la “destra” Meloni non è gestibile.

ALLA LEGA RESTANO LE BUFFONATE DI MARIO GIORDANO

Sta di fatto che l’avanzare della Meloni è uno dei tanti segnali che la ricreazione sta finendo. Per i cinque stelle è finita tant’è che Beppe Grillo predica la buona educazione e un asse comune con la sinistra. La Lega di Salvini, che ha capito anzitempo gli umori neri del suo popolo, ora crede alle buffonate (intese come esibizioni clownesche) di Mario Giordano. Dura minga.

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Perché la schietta Meloni ha futuro e il soggettone Salvini no

La leader di Fratelli d’Italia, premiata dai sondaggi, va di moda. A destra appare come il ritorno alla normalità, la realizzazione del sogno di Fini. E si giova dei difetti del “ragazzo della birreria” che se non parla di immigrati è muto.

Giorgia Meloni comincia a essere di moda da quando i sondaggi la premiano. Massimo Gramellini sul Corriere della Sera la elogia per le cose dette sulla madre nigeriana di Sondrio, Fausto Bertinotti la giudica molto bene, e si potrebbero citare altri entusiasti ammiratori. Il suo successo è parallelo all’insuccesso crescente di Matteo Salvini, uomo di molti voti virtuali che sta diventando antipatico come Matteo Renzi. In Meloni, nel suo avanzare nelle simpatie popolari, confluiscono più elementi.

UNA DESTRA TOSTA, FRANCA E BRUTALE

In primo luogo non dobbiamo mai dimenticare che questo Paese ha una forte componente di destra popolare, o forse, come diceva il mio amico Massimo D’Alema per richiamare alla realtà i sognatori di sinistra, «è un Paese di destra». Una destra tostissima, nostalgica al punto giusto ma non di quelle che si fanno incastrare nelle celebrazioni del passato, che parla con una franchezza che sfiora la brutalità.

TROPPI DIFETTI EVIDENTI DI SALVINI

In verità oggi Meloni si giova degli evidenti difetti di Salvini e del fatto che quel “soggettone” leghista se non parla di immigrati è praticamente muto. Tuttavia c’è dell’altro nel successo di Meloni, oltre il riemergere di una destra di tradizione e la sua migliore immagine rispetto a quella di Salvini. La Meloni appare, a destra, come il ritorno alla normalità.

GLI ITALIANI SONO STANCHI DELLE BIZZARRIE

Cerco di spiegarmi meglio. Gli italiani sono stanchi di tutto questo ambaradan culminato nelle bizzarrie del Movimento 5 stelle e nel furore xenofobo leghista. Anche chi detesta la sinistra con tutte le proprie forze, e in Italia sono milioni di persone, cerca strade maestre e non scorciatoie inconcludenti. Dal lato opposto questo vociare razzista e con toni da guerra civile ha risvegliato le coscienze. Mi dispiace per i detrattori delle sardine che speravano di battere la destra con la vecchia lotta di classe, ma, come è sempre avvenuto nella storia, la prima fase della rivoluzione è “democratica”.

INTANTO I BUONI STANNO PROVANDO A RIBELLARSI

Le sardine, come si può leggere bene nella lettera che hanno inviato a la Repubblica, sono uno straordinario movimento civico che incrocia e contrasta lo spirito bellico di questi anni. I “buoni” si sono ribellati e hanno scoperto che la piazza non è naturaliter di destra. È probabile che in un tempo medio tutto ciò porterà a una formazione politica originale in grado di competere elettoralmente con la destra. Per ora non è così.

GIORGIA CORONA IL SOGNO DI FINI

Giorgia Meloni rappresenta l’inveramento del sogno di Gianfranco Fini. L’uomo lo abbiamo tutti dimenticato, ma ebbe un momento di celebrità che minacciò la popolarità di Silvio Berlusconi e questo segnò il suo destino. L’Italia di destra si fidava di più di questo ragazzo attempato in doppio petto, che parlava come un liberal ma che aveva solidi radici di destra. Fini era forse un po’ troppo un punto di compromesso fra passato e futuro della destra. Meloni, invece, ha talmente segnato su se stessa la sua natura di destra che non corre il rischio di apparire una che sta facendo mutare pelle al suo popolo.

PIÙ SOLIDA DEL LINGUAGGIO IMBROGLIONE SALVINIANO

La caratteristica che sembrava nuocerle, la sua romanità, anzi il suo essere donna di un quartiere bellissimo come la Garbatella, le ha dato il carattere di schiettezza che è cosa più solida del linguaggio imbroglione di Salvini.

ANCHE SE I GIORNALI NORDISTI STANNO ANCORA CON MATTEO

I giornali di destra non si sono accorti ancora di lei. Sono ancora tutti presi dal ragazzo della birreria anche perché i direttori di quei giornali sono nordisti nel profondo dell’anima. E poi Salvini sembra uno che i direttori di questi giornali possono manipolare mentre la “destra” Meloni non è gestibile.

ALLA LEGA RESTANO LE BUFFONATE DI MARIO GIORDANO

Sta di fatto che l’avanzare della Meloni è uno dei tanti segnali che la ricreazione sta finendo. Per i cinque stelle è finita tant’è che Beppe Grillo predica la buona educazione e un asse comune con la sinistra. La Lega di Salvini, che ha capito anzitempo gli umori neri del suo popolo, ora crede alle buffonate (intese come esibizioni clownesche) di Mario Giordano. Dura minga.

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Così gli italiani si stanno scocciando del fannullone Salvini

La Lega scende nei sondaggi. Perché la gente si è accorta che l’ex ministro non sa niente, non studia e a parte viaggiare, bere e occupare le tivù non fa altro. Di Maio in confronto è uno stacanovista. Sotto quelle felpe manca la voglia di lavorare.

La Lega ha iniziato a scendere nei sondaggi sotto il 30%. Poca roba ancora, ma è un segnale. Per tutta risposta il leader del partito Matteo Salvini continua imperterrito a occupare le tivù sotto lo sguardo ancillare dei conduttori, prevalentemente Mediaset, che giocando a tombola con lui o facendo altre idiozie cercano di farlo apparire umano per far dimenticare la faccia feroce, e un po’ brilla, dell’estate 2019.

RIEQUILIBRIO A DESTRA A FAVORE DELLA MELONI

Come da tempo segnalato, e da me previsto, scusate la vanteria, Giorgia Meloni invece continua poco per volta a salire nelle intenzioni di voto. Non siamo alle viste di un rapido capovolgimento di fronte nel campo sovranista, ma a un riequilibrio.

SOTTO L’IMITAZIONE MUSSOLINIANA DI SALVINI NON C’È NULLA

Le due destre si faranno concorrenza, ma finora non è chiaro su che cosa. Su un punto, invece, la differenza appare evidente e sfavorevole a Salvini. Per una volta ha ragione Marco Travaglio: anche la pubblica opinione di destra comincia a capire che il pericolo Salvini non è la sua banale imitazione mussoliniana, ma il fatto che niente sa, niente studia e soprattutto, a parte viaggiare, bere e andare in televisione, non ha proprio voglia di fare alcunché. Siamo arrivati al punto che Luigi Di Maio appare una stacanovista di fronte al figlio del Nord che chiacchiera-chiacchiera.

ANCHE CHI CERCA L’UOMO FORTE SI STA STUFANDO

La Bestia salviniana ha avuto idee perverse ma geniali: la principale è stata quella di mettere Salvini in mezzo al popolo, facendogli indossare felpe d’occasione e innalzare cartelli ridicoli in cui tutto veniva prima di tutto. Molti italiani rincoglioniti, soprattutto al Sud, gli sono andati dietro. Ma anche quella tipologia di italiano meridionale che cerca l’uomo forte soprattutto se protegge e dà da mangiare, si sta scocciando di fronte a un signore che non lavora. Perché anche il politico più dissipatore di denaro pubblico, a un certo punto, deve lavorare.

ZERO LAVORO, SOLO PENOSE SCENETTE CON MARIO GIORDANO

Salvini invece pensa che una penosa scenetta con Mario Giordano porti molti voti. Quello che i leader – che salgono e poi inesorabilmente iniziano a scendere fino a rotolare – non capiscono è che la società della comunicazione in cui si sono infilati non è un artifizio tecnico, non è neppure la lettura disincantata degli umori peggiori degli italiani peggiori, è anche e soprattutto dare una risposta a problemi attraverso una leadership che lavori. Salvini capisce la parola “lavorare”?

perché matteo salvini non lavora
Matteo Salvini ospite della trasmissione di Rete 4 Fuori dal coro condotta da Mario Giordano.

LA SILENZIOSA LAMORGESE FA PASSI DA GIGANTE

Dopo un anno di urla contro i poveracci raggiungendo zero risultati, mentre la silenziosa Luciana Lamorgese ha fatto passi da gigante, dopo mesi in cui Salvini si è intrattenuto sull’economia scappando dal governo quando ha temuto di dover aumentare l’Iva, alcuni italiani, siamo ancora a pochi decimali, hanno cominciato a capire che sotto quella felpa c’è niente.

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Luciana Lamorgese, successore di Salvini al Viminale.

COMPRERESTE UN’AUTO USATA DAL CAPITANO?

Il segreto di Salvini è convincere la parte di quel 30% che vorrebbe scappare che la guerra civile che ha promesso si farà e che la vincerà lui. Intanto è costretto a chiedere la tregua nell’indifferenza generalizzata. Abbiamo così un leader che sulla carta ha molti voti, ma da cui nessuno comprerebbe un’auto usata.

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Sondaggi Ixè: la Lega sotto il 30%, Iv al 3,6%

I partiti di governo ottengono insieme meno del 40%, il M5s recupera al 16,3% Pd al 20,2% e Stabili i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni al 10,5%.

La Lega conferma la sua flessione scendendo sotto il 30%, al 29,9 – prima volta per le rilevazioni dell’istituto di ricerca Ixè, che aveva registrato un precedente al 30,6. Ma calano anche M5S al 16 dal 16,3% e Pd al 20,8% dal 20,2% mentre risale ma di poco Iv al 3,6% dal 3,3%. È quanto emerge da un sondaggio Ixè per la trasmissione Carta Bianca in onda sui Rai3. Stabile in doppia cifra Fratelli d’Italia al 10,5 dal 10,6% mentre Forza Italia scende al 7% dal 7,6%.

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Il senatore Ugo Grassi passa dal M5s alla Lega

Nel 2018 difendeva le multe per chi cambia casacca. Salvini lo accoglie a braccia aperte. Di Maio durissimo su Facebook: «Quelli come lui ci dicano quanto costa un senatore al chilo».

Il senatore Ugo Grassi ha lasciato il gruppo parlamentare del M5s per passare a quello della Lega. Il giurista napoletano, eletto nel 2018 nel collegio uninominale di Avellino, l’11 dicembre ha votato in dissenso sulla risoluzione con cui la maggioranza ha dato mandato al premier Giuseppe Conte di proseguire la trattativa sul Mes in sede europea. Altri due senatori pentastellati, Stefano Lucidi e Francesco Urraro, hanno votato in dissenso e sono passati al gruppo Misto, mentre Gianluigi Paragone ha votato contro ma non ha cambiato gruppo. Lucidi (che in Aula ha detto: «Voglio uscire dalla ruota del criceto») e Urraro potrebbero presto seguire le orme di Grassi. Il quale nel 2018 difendeva le multe per i “trasformisti”, come ha ricordato il sottosegretario agli Interni Carlo Sibilia, ripescando un vecchio post sul Blog delle Stelle. Grassi, per l’esattezza, scriveva che il principio del divieto di mandato imperativo «ha un suo interno limite: quello della lealtà verso l’elettore».

SALVINI LO ACCOGLIE A BRACCIA APERTE

Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha accolto il “disertore” con entusiasmo: «Diamo il benvenuto al senatore Grassi. Porte aperte per chi, con coerenza, competenza e serietà ha idee positive per l’Italia e non è succube del Pd. Sulla riforma della giustizia e sul rilancio delle università italiane col senatore Grassi lavoreremo bene».

DI MAIO FURIOSO SU FACEBOOK

Opposto il commento del capo politico del M5s, Luigi Di Maio, affidato a una diretta video su Facebook: «Senatori come Grassi possono passare alla Lega, ma non raccontino balle. Dicano che il tema non è il Mes, ma che gli hanno proposto altre contropartite. Il mercato delle vacche a cui stiamo assistendo è la solita logica dei voltagabbana che noi abbiamo sempre combattuto. Ci dicano quanto costa un senatore al chilo».

Grassi, da parte sua, ha scritto una lettera per rendere pubblici i motivi che lo avrebbero spinto a cambiare gruppo: «Il mio dissenso non nasce da un mio cambiamento di opinioni, bensì dalla determinazione dei vertici del M5s di guidare il Paese con la granitica convinzione di essere i depositari del vero e di poter assumere ogni decisione in totale solitudine. Gli effetti di questo modo di procedere sono così gravi ed evidenti (a chi vuol vedere), da non dover neppure essere esposti. Basti l’esempio della gestione dell’ex Ilva per dar conto dell’assenza di una programmazione nella gestione delle crisi».

GRASSI: «LA LEGA MI OFFRE UNA SECONDA OPPORTUNITÀ»

Il senatore ha quindi rievocato l’esperienza del governo Conte I, quando avrebbe avuto modo di «comprendere che molti dei miei obiettivi politici erano condivisi dal partito partner di governo», ovvero dalla Lega. Lo stesso partito che oggi «mi offre una seconda opportunità per raggiungere quegli obiettivi, forte di una reciproca stima costruita nei mesi appena trascorsi e a fronte di un evidente fallimento della mia iniziale esperienza». Ma per Di Maio non basta: «Senatori come Grassi dicano semplicemente che vogliono cambiare casacca e tradire il mandato che i cittadini gli hanno dato. Non c’è nulla di male. Ma vadano a casa, altrimenti a quella lettera alleghino anche un listino prezzi sul mercato delle vacche aperto da Salvini in Senato, che ci ricorda lo stesso mercato delle vacche di Silvio Berlusconi ai tempi di Sergio De Gregorio».

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Il senatore Ugo Grassi passa dal M5s alla Lega

Nel 2018 difendeva le multe per chi cambia casacca. Salvini lo accoglie a braccia aperte. Di Maio durissimo su Facebook: «Quelli come lui ci dicano quanto costa un senatore al chilo».

Il senatore Ugo Grassi ha lasciato il gruppo parlamentare del M5s per passare a quello della Lega. Il giurista napoletano, eletto nel 2018 nel collegio uninominale di Avellino, l’11 dicembre ha votato in dissenso sulla risoluzione con cui la maggioranza ha dato mandato al premier Giuseppe Conte di proseguire la trattativa sul Mes in sede europea. Altri due senatori pentastellati, Stefano Lucidi e Francesco Urraro, hanno votato in dissenso e sono passati al gruppo Misto, mentre Gianluigi Paragone ha votato contro ma non ha cambiato gruppo. Lucidi (che in Aula ha detto: «Voglio uscire dalla ruota del criceto») e Urraro potrebbero presto seguire le orme di Grassi. Il quale nel 2018 difendeva le multe per i “trasformisti”, come ha ricordato il sottosegretario agli Interni Carlo Sibilia, ripescando un vecchio post sul Blog delle Stelle. Grassi, per l’esattezza, scriveva che il principio del divieto di mandato imperativo «ha un suo interno limite: quello della lealtà verso l’elettore».

SALVINI LO ACCOGLIE A BRACCIA APERTE

Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha accolto il “disertore” con entusiasmo: «Diamo il benvenuto al senatore Grassi. Porte aperte per chi, con coerenza, competenza e serietà ha idee positive per l’Italia e non è succube del Pd. Sulla riforma della giustizia e sul rilancio delle università italiane col senatore Grassi lavoreremo bene».

DI MAIO FURIOSO SU FACEBOOK

Opposto il commento del capo politico del M5s, Luigi Di Maio, affidato a una diretta video su Facebook: «Senatori come Grassi possono passare alla Lega, ma non raccontino balle. Dicano che il tema non è il Mes, ma che gli hanno proposto altre contropartite. Il mercato delle vacche a cui stiamo assistendo è la solita logica dei voltagabbana che noi abbiamo sempre combattuto. Ci dicano quanto costa un senatore al chilo».

Grassi, da parte sua, ha scritto una lettera per rendere pubblici i motivi che lo avrebbero spinto a cambiare gruppo: «Il mio dissenso non nasce da un mio cambiamento di opinioni, bensì dalla determinazione dei vertici del M5s di guidare il Paese con la granitica convinzione di essere i depositari del vero e di poter assumere ogni decisione in totale solitudine. Gli effetti di questo modo di procedere sono così gravi ed evidenti (a chi vuol vedere), da non dover neppure essere esposti. Basti l’esempio della gestione dell’ex Ilva per dar conto dell’assenza di una programmazione nella gestione delle crisi».

GRASSI: «LA LEGA MI OFFRE UNA SECONDA OPPORTUNITÀ»

Il senatore ha quindi rievocato l’esperienza del governo Conte I, quando avrebbe avuto modo di «comprendere che molti dei miei obiettivi politici erano condivisi dal partito partner di governo», ovvero dalla Lega. Lo stesso partito che oggi «mi offre una seconda opportunità per raggiungere quegli obiettivi, forte di una reciproca stima costruita nei mesi appena trascorsi e a fronte di un evidente fallimento della mia iniziale esperienza». Ma per Di Maio non basta: «Senatori come Grassi dicano semplicemente che vogliono cambiare casacca e tradire il mandato che i cittadini gli hanno dato. Non c’è nulla di male. Ma vadano a casa, altrimenti a quella lettera alleghino anche un listino prezzi sul mercato delle vacche aperto da Salvini in Senato, che ci ricorda lo stesso mercato delle vacche di Silvio Berlusconi ai tempi di Sergio De Gregorio».

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Perquisizioni della Finanza sui fondi della Lega

Le Fiamme gialle nella sede dell’Associazione Maroni presidente. Operazione nell’ambito dell’inchiesta sui 49 milioni confiscati al partito di Salvini.

Fondi della Lega, ci risiamo. L’assessore all’Autonomia e alla Cultura della Regione Lombardia Stefano Bruno Galli è indagato dalla procura di Genova nell’ambito dell’inchiesta sul presunto riciclaggio di parte dei 49 milioni dei rimborsi del partito di Matteo Salvini. Il 10 dicembre la guardia di finanza ha eseguito una serie di perquisizioni in uffici e domicili a Milano, Monza e Lecco. Le verifiche, secondo quando si è appreso, riguarderebbero in particolare l’Associazione Maroni presidente.

REATI PRESCRITTI MA CONFISCA CONFERMATA

L’inchiesta genovese è nata da quella sui rimborsi elettorali che la Lega avrebbe ottenuto ai danni del parlamento tra il 2008 e il 2010, falsificando rendiconti e bilanci. Il processo si è concluso il 6 agosto con una sentenza della Cassazione che ha dichiarato prescritti i reati per Umberto Bossi e per il tesoriere Francesco Belsito, ma ha confermato la confisca dei 49 milioni.

PRESUNTO RICICLAGGIO DI UNA PARTE DEI FONDI

L’ipotesi su cui stanno ora lavorando i magistrati genovesi riguarda il presunto riciclaggio di parte di quei fondi, che da settembre il partito sta restituendo allo Stato a rate: secondo i pm alcuni dei 49 milioni sarebbero stati fatti sparire in Lussemburgo attraverso la banca Sparkasse di Bolzano e poi fatti rientrare, in parte, subito dopo i primi sequestri disposti della procura.

ASSOCIAZIONE «TENUTA NASCOSTA»

La banca ha invece sempre sostenuto che quei fondi (circa 10 milioni) fossero soldi dello stesso istituto, slegati dal partito. A giugno 2019, inoltre, investigatori e inquirenti genovesi hanno ascoltato, come persona informata sui fatti, l’ex consigliere della lista Maroni presidente, Marco Tizzoni, che a Milano aveva presentato un esposto in cui aveva adombrato il sospetto che l’Associazione Maroni presidente «fosse stata tenuta nascosta ai consiglieri dovendo servire quale soggetto occulto di intermediazione finanziaria in favore della Lega o di terzi».

IL PRESIDENTE È L’ASSESSORE GALLI

Il presidente dell’Associazione – stando a quanto si legge nello statuto pubblicato sul sito – è Stefano Bruno Galli, che è anche assessore all’Autonomia e alla Cultura della Regione Lombardia, mentre il consiglio direttivo è composto da Andrea Cassani, Ennio Castiglioni e dall’ex sottosegretario Stefano Candiani. La tesoriera è Federica Moro.

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I sondaggi politici elettorali del 9 dicembre 2019

Lega saldamente al primo posto, ma in calo di quasi un punto percentuale. Cresce il Pd, stabile il M5s. Ancora in ascesa il partito di Calenda.

Sondaggi senza grossi scossoni quella pubblicati da Swg per il TgLa7 nella serata del 9 dicembre. Dopo la crescita dell’ultima rilevazione (+0,7%) la Lega di Matteo Salvini fa segnare una nuova battuta d’arresto, ma si conferma comunque al 33% dal 33,8% della settimana precedente. Guadagna ancora terreno, invece, il Partito democratico, che nelle intenzioni di voto degli italiani conquista 0,3 punti percentuali, fermandosi al 18%.

Invariate le preferenze per il Movimento 5 stelle che rimane stabile al 15,5%. Segno negativo invece sia per Fratelli d’Italia che per Italia viva. I partiti di Giorgia Meloni e Matteo Renzi perdono rispettivamente 0,2 e 0,3 punti. In leggera crescita Forza Italia, che recupera 0,2 punti percentuali, al 5,3% dal precedente 5,1%. Andamento positivo anche per il neonato partito Azione di Carlo Calenda, che sale al 3,5%.

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Lega sotto il 30%, lontani i tempi del 35% di luglio

In calo Salvini. Ma le intenzioni di voto si spostano verso la Meloni: Fratelli d’Italia dall’8,6% di ottobre all’11,3%. Il M5s scivola al 18,1%. Pd al 18,7%. Italia viva al 3,5%. Forza Italia recupera al 6,5%. I sondaggi Demos.

Praticamente un travaso di voti. Da Matteo Salvini a Giorgia Meloni. Sempre più a destra. Secondo il sondaggio Demos per la Repubblica domenica 8 dicembre 2019 la Lega è scesa sotto il 30%, esattamente al 29,5%, in leggero calo rispetto al 30,2% di ottobre, ma ormai lontana dal 35,3 di luglio. In contemporanea però ha fatto boom Fratelli d’Italia, passando dall’8,6% di ottobre all’11,3%, molto avanti rispetto al 6,5% di settembre.

CONTINUA LA CRISI DEI CINQUE STELLE

Il Movimento 5 stelle si è confermato in crisi, scivolando al 18,1%, mentre due mesi prima era al 20,6%. Piccola flessione per il Partito democratico, al 18,7%: in ottobre era al 19,1%. E un leggerissimo progresso di Forza Italia: il partito di Silvio Berlusconi è salito al 6,5% rispetto al 6,1% di ottobre.

IN CALO RENZI, SALGONO LEU E +EUROPA

In calo Italia viva di Matteo Renzi, che è passata dal 3,9% di ottobre all’attuale 3,5%. Infine avanzata per Liberi e uguali, balzati dal 2,4% di ottobre all’attuale 3,2% e piccolo progresso anche per +Europa, dal 2,1% di ottobre al 2,4% di oggi.

La rilevazione è stata condotta nei giorni 2-6 dicembre 2019 da Demetra con metodo mixed mode (CatiCamiCawi). Il campione intervistato (N=1276, rifiuti/sostituzioni/inviti 8070) è rappresentativo per i caratteri socio-demografici e la distribuzione territoriale della popolazione italiana di età superiore ai 18 anni (margine d’errore 2,7%).

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«Il Pd in psichiatria», bufera sull’assessore leghista Icardi

Il responsabile alla Sanità della Regione Piemonte: «Ricoverare i residuati bellici della Sinistra torinese». I dem in rivolta: «Parole deliranti».

Una «torre psichiatrica», nella quale «ricoverare i residuati bellici della Sinistra torinese». L’assessore alla Sanità della Regione Piemonte, il leghista Luigi Icardi, replica così alle critiche del Pd in materia di edilizia sanitaria. Parole messe nero su bianco in un comunicato, che scatena l’immediata reazione dei democratici, con tanto di richiesta di intervento immediato da parte del governatore, Alberto Cirio, e minacce di denunce. Dopo le foto davanti alla tomba del Duce dell’addetto stampa dell’assessora Chiara Caucino, anche lei della Lega, la giunta di centrodestra guidata da Alberto Cirio si trova a dover gestire un’altra polemica.

«RICOVERIAMO LA SINISTRA IN UNA TORRE PSICHIATRICA»

«Sto pensando di modificare il Piano di edilizia sanitaria con la costruzione di una torre psichiatrica, nella quale ricoverare i residuati bellici della Sinistra torinese», scrive Icardi, cui evidentemente non sono andate giù le critiche dell’opposizione sul Parco della Salute di Torino e sugli altri progetti di edilizia sanitaria. Un invito, quello dell’assessore Icardi, «a riportare l’attenzione alla realtà dei fatti», che ha suscitato la pronta reazione del Pd.

IL PD IN RIVOLTA

«Il presidente Cirio prenda immediatamente le distanze da queste dichiarazioni deliranti», scrive su Facebook il segretario metropolitano, «mentre noi continuiamo a lavorare per sostenere un progetto fondamentale per il futuro della sanità e della città di Torino, loro fanno battutacce da bar. Abbiamo superato ogni limite, daremo mandato ai nostri legali per verificare se sussistono le condizioni per una denuncia». Si dice «sconcertato» dalle frasi «gravemente offensive» di Icardi anche il capogruppo Pd al Consiglio regionale del Piemonte, Domenico Ravetti.

GLI APPELLI AL PRESIDENTE CIRIO

«Facciamo fatica a credere che possano essere pronunciate da un assessore regionale», sostiene parlando di «una reazione volgare nei confronti di consiglieri regionali che pongono domande e formulano critiche nell’esercizio delle loro prerogative». Un comportamento «senza giustificazioni», conclude, «chiederemo a Cirio di intervenire a tutela del Consiglio regionale. Forse Icardi non è adatto a ricoprire il suo ruolo».

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Il Pd insiste sull’alleanza M5s-sinistra per arginare Salvini

Franceschini: «Costruiamo un campo contro questa destra o ci ritroviamo la Lega a Palazzo Chigi». Ma l’agenzia di rating Fitch: «Le tensioni tra i giallorossi mettono a rischio il governo».

Non riescono a trovare un’intesa sulla riforma della prescrizione. Erano in disaccordo a proposito di legge elettorale, salvo poi trovare una convergenza sul proporzionale. Li divide lo ius soli. E anche in tema di nomine Rai si sono sfidati a colpi di veti incrociati. Nonostante tutto, Partito democratico e Movimento 5 stelle sembrano orientati a prolungare la loro esperienza insieme. Soprattutto da parte piddina. Dario Franceschini, ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo nonché capodelegazione dem nel governo Conte II, ha detto a Porta a porta: «Al di là delle differenze, bisogna arrivare alla prospettiva di un’alleanza M5s-sinistra».

IN COMUNE C’È L’AVVERSARIO DA BATTERE

Un aspetto in comune pare ci sia: l’avversario da battere. «Per fermare questa destra bisogna arrivarci, la partita è troppo delicata per fermarsi. Va costruita questa prospettiva nel Paese, un campo che eviti Matteo Salvini a Palazzo Chigi e abbia alla base dei principi etici e politici», ha aggiunto Franceschini.

«GLI ITALIANI NON SONO DIVENTATI ESTREMISTI»

Poi bisogna sempre fare i conti col consenso elettorale, visto che stando ai sondaggi il centrodestra è a un passo dal 50%. Franceschini però non crede «che gli italiani siano diventati estremisti, intercettano un sentimento, lo cavalcano e i voti vanno in quella direzione. Bisogna costruire un campo competitivo contro quella destra estrema, e siamo competitivi solo stando insieme, lo dicono i numeri».

MA L’INCERTEZZA POLITICA CREA ALLARMI

Il guaio è che stando assieme spesso si finisce a litigare. E non a caso Fitch è preoccupata per il clima di incertezza politica che persiste in Italia e che rappresenta un fattore di rischio per un’economia che resta praticamente in stagnazione. È l’allarme che si legge nel capitolo nel Global Economic Outlook pubblicato dall’agenzia di rating: «I negoziati sulla legge di bilancio del 2020 hanno messo in evidenza le tensioni politiche tra il M5s e il Pd. Le complesse relazioni tra le due formazioni rappresentano un rischio per la durata dell’esecutivo per l’intera legislatura».

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Chiesto il processo per il tesoriere della Lega

Al centro dell’inchiesta, un presunto finanziamento illecito da 40 mila euro concordato, tra il 2015 e il 2016, con l’allora patron di Esselunga Caprotti.

I pm di Milano Stefano Civardi e Gianluca Prisco hanno chiesto il rinvio a giudizio per il tesoriere della Lega Giulio Centemero per un presunto finanziamento illecito da 40 mila euro concordato, tra il 2015 e il 2016, con il patron di Esselunga Bernardo Caprotti (morto nel 2016). Finanziamento che doveva andare all’associazione ‘Più voci’, di cui Centemero era legale rappresentante, ma che sarebbe andato al Carroccio per rimpinguare le casse di Radio Padania. L’inchiesta era stata chiusa a ottobre.

Stando ai pm, Caprotti e Centemero avevano concordato un finanziamento di 150 mila euro, ma alla fine i soldi incassati dal Carroccio per risanare le casse di Radio Padania sarebbero stati “solo” i 40 mila euro contestati

Stando alle indagini della procura milanese, inizialmente Caprotti e Centemero avevano concordato un finanziamento per ‘Più voci‘ di 150 mila euro e poi, però, alla fine i soldi incassati dal Carroccio per risanare le casse di Radio Padania sarebbero stati “solo” i 40 mila euro contestati nell’imputazione. Gli inquirenti, infatti, avrebbero trovato traccia di bonifici dalla ‘Più voci’ verso Radio Padania. Dopo la richiesta di processo, verrà fissata l’udienza preliminare al termine della quale il giudice deciderà se mandare o meno a giudizio Centemero.

L’ALTRA INDAGINE SUL CASO PARNASI

Centemero, capogruppo della Lega in Commissione Finanze e tesoriere del Carroccio, è anche indagato, tra l’altro, nell’inchiesta romana, chiusa nelle scorse settimane, su un presunto finanziamento illecito da 250 mila euro, sempre all’associazione ‘Più voci’, da parte dell’imprenditore romano Luca Parnasi. Fascicolo della procura di Roma che vede indagato anche Francesco Bonifazi, ex tesoriere del Partito democratico, poi passato nelle fila di Italia Viva, per un altro presunto finanziamento illecito da Parnasi.

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I sondaggi politici elettorali del 5 dicembre 2019

Il centrodestra sfiora il 50% mentre le forze di governo si fermano al 41%. Crescono Lega e Fratelli d’Italia. Male Pd e M5s. Le rilevazioni di Emg Acqua.

Secondo un sondaggio Emg Acqua presentato il 5 ad Agorà, se si votasse oggi la Lega sarebbe il primo partito con il 32,5%, seguito dal Pd al 19,5% e dal M5s al 16,3%. Poi Fratelli d’Italia al 10,1%, Forza Italia al 6,9%. Italia Viva è al 5,3%, La Sinistra 1,8%, Azione(Calenda) al 1,8%, +Europa al 1,6%, Europa Verde al 1,2% e Cambiamo! (Toti) al 0,9%. Complessivamente il centrodestra sfiora il 50% fermandosi al 49,5%, mentre l’area giallorossa (Pd+M5s-Iv) si ferma al 41,1%.

LE VARIAZIONI RISPETTO ALL’ULTIMA SETTIMANA

Rispetto alle rilevazioni del 28 novembre il Carroccio conquista un altro 0,1%, mentre i dem perdono lo 0,2%, stesso calo registrato anche dai grillini. Balzo di 0,2 punti per il partito di Giorgia Meloni mentre nel centrodestra perde quota Forza Italia, in sette giorni perso lo 0,4%. Stabile Italia viva mentre scende ancora +Europa dopo l’1,9% del 28.

COME È STATO CONDOTTO IL SONDAGGIO

Autore: EMG Acqua Committente/Acquirente: RAI PER AGORA’ Criteri seguiti per la formazione del campione: Campione rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne per sesso, età, regione, classe d’ampiezza demografica dei comuni Metodo di raccolta delle informazioni: Rilevazione telematica su panel Numero delle persone interpellate, universo di riferimento, intervallo fiduciario: Universo: popolazione italiana maggiorenne; campione: 1.623 casi; intervallo fiduciario delle stime: ±2,3%; totale contatti: 2.000 (tasso di risposta: 81%); rifiuti/sostituzioni: 377 (tasso di rifiuti: 19%). Periodo in cui è stato realizzato il sondaggio: 04 DICEMBRE 2019

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Il caso dell’assessore leghista in Umbria condannato per razzismo

Luca Coletto, veneto, nella nuova Giunta Tesei. A Verona finì coinvolto in un episodio di diffusione di idee discriminatorie sui nomadi. Il Pd: «Inaccettabile, persona lontana dalla nostra terra a livello geografico e di valori».

Era stata usata come grimaldello leghista contro il governo giallorosso. E ora l’Umbria, passata al centrodestra con le elezioni regionali 2019, deve già fare i conti con un caso politico che puzza di razzismo.

RACCOLTA FIRME CONTRO UN CAMPO NOMADI

Alla prima riunione della nuova legislatura è approdata all’Assemblea la questione sollevata dal Partito democratico sul nuovo assessore regionale Luca Coletto, leghista veneto al quale sono state affidate tra le altre le deleghe a Salute e Politiche di parità di genere, che venne condannato a due mesi (con tutti i benefici di legge) come allora consigliere provinciale a Verona (insieme con altri cinque esponenti del Carroccio) per l’accusa di diffusione di idee razziste per aver raccolto nell’estate 2001 firme per sgomberare un campo nomadi abusivo in città.

IL PD: «HA LA DELEGA ALLE DISCRIMINAZIONI…»

Secondo il capogruppo del Pd in Assemblea legislativa Tommaso Bori «avere in Giunta una persona che ha subito una condanna è grave, ma una condannata per razzismo è inaccettabile». Poi ha aggiunto: «L’Umbria respinge le idee portate avanti dal nuovo assessore. Chiediamo alla presidente se sapeva o era all’oscuro. La delega alle discriminazioni data a Coletto è un cortocircuito. Mi stupisce il silenzio della presidente circa la condanna dell’assessore Coletto. Avete scelto una persona esterna, lontana dall’Umbria a livello geografico e di valori».

COLETTO: «UN REATO DI OPINIONE»

Coletto ha replicato così: «Sfido a trovare su internet una mia frase razzista. È vero che c’è stata questa condanna, ma è anche vero che si trattava di un reato di opinione. Sono stato riabilitato a esercitare le mie funzioni, tanto che da quell’episodio sono stato assessore regionale alla Sanità del Veneto e anche sottosegretario e nessuno ha mai avuto da ridire».

Non c’è nulla di che preoccuparsi, da quell’episodio sono passati tanti anni


Luca Coletto

Coletto ha quindi spiegato di avere avuto una «interlocuzione» sulla vicenda con la presidente della Regione Donatella Tesei: «Non c’è nulla di che preoccuparsi, da quell’episodio sono passati tanti anni e non è mai successo nulla».

LA LEGA: «NON PRENDIAMO LEZIONI DAI DEM»

Il senatore della Lega Luca Briziarelli ha risposto così: «Che il Pd pretenda di dare lezioni agli altri su come governare l’Umbria con tutto quello che ha combinato in questi anni, dall’ambiente ai trasporti passando per l’economia è grave, ma che lo faccia in materia di sanità è addirittura offensivo nei confronti dei cittadini e degli operatori onesti che nonostante tutto tengono in piedi la nostra sanità».

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