Tutti i misteri della vicenda Romano

Dal giallo del riscatto all’identità del gruppo jihadista che avrebbe commissionato il rapimento. Fino alla conversione che la cooperante assicura essere stata spontanea. Le tappe della prigionia della 25enne liberata dopo 18 mesi.

Provata ma «serena». Così è apparsa agli inquirenti Silvia Romano, la cooperante italiana tornata libera dopo 18 mesi di prigionia in Somalia, ascoltata per quasi 4 ore nella caserma del Ros in via Salaria, a Roma, alla presenza del pm titolare del fascicolo Sergio Colaiocco.

Un atto istruttorio lungo e sul quale chi indaga mantiene il più stretto riserbo. Restano ancora alcuni punti non chiariti: dal riscatto pagato ai rapitori all’identità degli stessi.

«Voglio dire subito», ha detto Silvia agli inquirenti, «che durante la prigionia sono stata trattata bene, non sono mai stata minacciata di morte». Un concetto, quello dell’assenza di coercizione, ribadito più volte anche in relazione alla conversione all‘Islam. Con l’aiuto di chi da Roma ha condotto le indagini sulla sua vicenda, la cooperante milanese ha cercato di mettere a fuoco i ricordi, partendo dal giorno in cui è stata prelevata da una banda armata in Kenya probabilmente su commissione di un gruppo jihadista.

IL TRASFERIMENTO IN SOMALIA

Erano in otto, una azione compiuta forse su commissione dei militanti del gruppo islamista al Shabaab a cui la ragazza è stata poi ceduta dopo un lungo viaggio di trasferimento in Somalia. Un trasferimento che è durato circa un mese, in moto ma anche a piedi. «Mi hanno assicurato che non sarei stata uccisa e così è stato, non ho subito violenze», ha aggiunto la ragazza che ha poi raccontato di avere cambiato spesso luoghi di prigionia. «Avvenivano spesso i trasferimenti», ha proseguito. «Sono stata portata sempre in luoghi abitati, non sono mai stata legata, ho cambiato quattro covi. Mi chiudevano in stanze di abitazioni, sono sempre stata da sola, non ho visto altre donne». Covi che, ha precisato Silvia, «erano raggiunti sempre a piedi camminando per chilometri». Silvia ha spiegato agli investigatori di essere stata sempre con gli stessi carcerieri. «Loro erano armati e a volto coperto, ma sono sempre stata trattata bene ed ero libera di muovermi all’interno dei covi, che erano comunque sorvegliati», ha precisato.

LA LETTURA DEL CORANO E LA CONVERSIONE SPONTANEA

Per quanto riguarda, infine, la sua conversione, la 25enne ha ribadito che è stata una scelta «spontanea» e di aver preso il nome di Aisha. «È successo a metà prigionia, quando ho chiesto di poter leggere il Corano e sono stata accontentata», ha spiegato. Insomma una conversione spontanea non legata, stando al suo racconto, al matrimonio con un carceriere: «Non c’è stato alcun matrimonio né relazione, solo rispetto», ha detto ai pm. I carcerieri, ha detto Silvia, erano sempre presenti almeno in tre. «Mi hanno spiegato le loro ragioni e la loro cultura, ho imparato anche un po’ l’arabo: il mio processo di riconversione è stato lento e spontaneo».

IL GIALLO DEL RISCATTO E LE POLEMICHE

Parlando con gli inquirenti Silvia Romano ha detto di non aver mai sentito parlare di riscatto, ma ha aggiunto «avevo capito che volevano soldi». Come scrive il Corriere, il gruppo è accusato di aver rapito altri occidentali. «Io non ho mai visto nessun altro», ha assicurato però la 25enne. Stando sempre al Corriere la cifra pagata oscillerebbe tra i 2 e i 4 milioni di euro provenienti, come sempre, da fondi riservati. La svolta per l’intelligence è un video del 17 gennaio visionato a metà aprile in cui la donna diceva di stare bene. I servizi turchi presenti in Somalia hanno confermato. Parte così l’ultima trattativa per il rilascio. E proprio sull’ipotesi che l’intelligence abbia pagato un riscatto si è innestata la polemica politica a Roma. A partire da Matteo Salvini: «È chiaro che nulla accade gratis ma non è il momento di chiedere chi ha pagato cosa», ha affermato il leader leghista, mettendo in guardia sui «rischi» corsi dalle forze dell’ordine per questo tipo di operazioni. «Se Salvini è a conoscenza del pagamento di un riscatto il presidente del Copasir lo convochi per riferire tutto», ha replicato il segretario del comitato parlamentare sui servizi Federica Dieni.

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I mesi di trattativa e l’arrivo in Italia: la liberazione di Silvia Romano

La cooperante è atterrata a Ciampino avvolta in un abito verde e con il capo coperto. «Ora voglio stare solo con la mia famiglia». A partire da metà gennaio si erano intensificate le trattative con i sequestratori. Un lavoro sottotraccia dell’intelligence italiana con la collaborazione di quella turca e somala. Intanto montano le polemiche sul riscatto.

Sorridente e avvolta in un lungo abito verde con il capo coperto. Appena atterrata a Ciampino, con mascherina e guanti, Silvia Romano si è aperta in un sorriso. Ad attenderla oltre alla famiglia, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il premier Giuseppe Conte.

L’abbraccio tra Silvia Romano e la madre (Ansa).

«ORA VOGLIO STARE SOLO CON LA MIA FAMIGLIA»

«Sono stata forte», ha ribadito Silvia Romano abbracciando, tra le lacrime, i genitori e la sorella. «Grazie alle istituzioni. Ora voglio stare solo con la mia famiglia», ha aggiunto assicurando di stare bene «fisicamente e mentalmente». Nel pomeriggio la cooperante verrà ascoltata nella caserma dei Ros a Roma. L’atto istruttorio sarà svolto dal pm della Procura di Roma, Sergio Colaiocco e dagli ufficiali dell’antiterrorismo del Raggruppamento operativo dell’Arma che in questi mesi hanno svolto le indagini. Gli inquirenti intendono ricostruire le varie fasi del sequestro

LE 16 SETTIMANE DECISIVE

Un sequestro lungo 18 mesi, il suo, fatto di molti silenzi che in certi momenti avevano fatto temere il peggio. Fino alla tanto attesa svolta: la liberazione da parte dell’intelligence italiana con la collaborazione dei servizi turchi e somali.

Rapita in Kenya, Silvia Romano lavorava per l’onlus marchigiana Milele che opera nella contea di Kilifi, dove seguiva un progetto di sostegno all’infanzia con i bambini di un orfanotrofio. Dopo il sequestro era stata subito venduta a un gruppo jihadista legato agli al Shabaab.

🔴 Silvia Romano è in Italia

Posted by Luigi Di Maio on Sunday, May 10, 2020

LO SCAMBIO A 30 KM DA MOGADISCIO

L’operazione dell’Aise è scattata nella notte di venerdì 8 maggio. Silvia è stata liberata a 30 chilometri da Mogadiscio, in una zona in condizioni estreme perché colpita negli ultimi giorni dalle alluvioni. A blitz compiuto, la cooperante è stata condotta in un compound delle forze internazionali nella capitale somala e poi all’ambasciata italiana.

«È in forma, provata ovviamente dallo stato di prigionia ma sta bene», aveva reso noto il presidente del Copasir Raffaele Volpi, ringraziando «l’incessante lavoro mai alla luce della ribalta» dell’Aise e del suo capo, il generale Luciano Carta, che chiude in bellezza il suo incarico per assumere la presidenza di Leonardo.

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IL VIDEO DELLA “SVOLTA”

Un lavoro sottotraccia e complicato, quello dell’intelligence, visto l’ambiente in cui ha dovuto operare: una Somalia dove negli ultimi anni gli al Shabaab hanno seminato morte e terrore, mettendo in scacco le fragili istituzioni. Proprio dalla Somalia è arrivato l’input a rapire Silvia Romano, secondo quanto ha ricostruito la procura di Roma che ha coordinato le indagini in collaborazione con gli inquirenti kenioti. Come ricostruito dal Corriere, un video dei rapitori del 17 gennaio 2020 dimostrava che la cooperante italiana era in vita e in buone condizioni. La prova che l’intelligence aspettava per terminare la trattativa e dare l’ok al pagamento del riscatto. Anche se su questo non ci sono conferme ufficiali, è quasi certo che il rapimento – come accaduto anche nel caso di un cittadino britannico anni fa – fosse a scopo di estorsione. Da quel momento, sono seguiti quasi quattro mesi di attesa e trattative fino alla notte di venerdì.

Silvia Romano con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

SILVIA ROMANO AVREBBE DETTO DI ESSERSI CONVERTITA

La donna era vestita da somala. Quando, riporta ancora il Corriere, è stata portata all’ambasciata italiana in Somalia non si è voluta cambiare d’abito spiegando di essersi convertita all’Islam. Notizia confermata da fonti investigativa secondo cui la conversione potrebbe essere frutto «della condizione psicologica in cui si è trovata durante il rapimento».

LE POLEMICHE SUL RISCATTO: DA SALVINI A BIGNAMI

Come sempre, sul pagamento del riscatto la destra sta sollevando le solite polemiche politiche. Matteo Salvini, in collegamento con Lucia Annunziata a Mezz’ora in più su RaiTre ha ricordato il sequestro e la liberazione di Greta e Vanessa. «Una volta liberate dissero subito: ‘noi torneremo là’…Credo che fosse il caso di pensarci un po’…», ha sottolineato il segretario leghista. «È chiaro che nulla accade gratis ma non è il momento di chiedere chi ha pagato cosa. Io ho visto come lavorano le nostre forze dell’ordine e porto enorme rispetto verso chi corre rischi, penso a agente Apicella. Prima di fare cose che mettono a rischio la vita di donne e uomini delle forze dell’ordine, in Italia e all’estero, pensarci cento volte». Dello stesso avviso il deputato di FdI Galeazzo Bignami che su Fb ha scritto: «Siamo felici che una persona privata della libertà personale sia libera, anche se diverse zone d’ombra andranno chiarite. Ma sono molto preoccupato per il pericolo che d’ora innanzi tutti gli italiani, se all’estero, correranno: essere dei bancomat mobili alla mercé di terroristi e banditi, pronti per essere sequestrati perché il nostro governo riconosce candidamente che il crimine, questo crimine, paga».

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