Dall’8 gennaio non potranno circolare: è la prima volta. Superati per dieci giorni consecutivi i 50 microgrammi al metro cubo. Restrizioni anche in Lombardia e Veneto.
Dopo dieci giorni consecutivi in cui le polveri sottili hanno superato i 50 microgrammi al metro cubo, a Torino scatta il blocco anche per i veicoli diesel euro 5. Dall’8 gennaio non potranno circolare quelli immatricolati entro il primo gennaio 2013, ovvero la maggior parte dei mezzi circolanti in Piemonte che fanno parte di tale categoria.
DIESEL EURO 5 FERMI PER LA PRIMA VOLTA
È la prima volta che succede da quando a ottobre 2019 sono entrati in vigore i provvedimenti sulla qualità dell’aria previsti dall’accordo di Bacino padano. Oltre ai venti comuni dell’area metropolitana di Torino, un livello di inquinamento intermedio (inferiore a dieci giorni consecutivi) si registra anche ad Asti, Alessandria, Casale, Tortona, Novi Ligure, Vercelli, Novara e Trecate.
SMOG ANCHE IN LOMBARDIA
In Lombardia la situazione non è migliore. A Milano sono fermi anche per il 7 gennaio i veicoli diesel euro 4. La concentrazione di polveri sottili è alta in tutta la provincia e le previsioni meteo non sono favorevoli. Stop alla circolazione anche a Como e Cremona, restrizioni nelle province di Lodi e Mantova. Mentre la Regione si riserva di far scattare divieti più rigidi nei prossimi giorni.
BLOCCHI IN VENETO
Passando al Veneto, a Padova dall’8 gennaio e per almeno 24 ore resteranno ferme le auto diesel da euro 1 a euro 4, e i motocicli immatricolati prima del 2000. E l’allarme Pm10 è stato esteso a tutta la provincia di Venezia, con il blocco a Mestre per le auto benzina euro 0 ed euro 1 e per quelle diesel da 0 a 4.
Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it
Tra le 70 e le 130 mila tonnellate di piccoli rifiuti ogni anno contaminano il Mediterraneo. Finendo dentro lo stomaco del 37% del pescato. Il fotografo Bertuccio ha documentato tutto in un reportage a bordo di feluche e lampare. La storia.
Sopra e poi d’un fiato giù, in profondità, negli abissi. “Dove si fermano gli occhi”, appunto. Il reportage di Davide Bertuccio è un pendolo che oscilla tra universi evidenti e nascosti, a volte persino impossibili da esplorare. Il filo conduttore è il mare, il suo, lo Stretto di Messina, con un enorme carico di segreti e uno stato di salute piuttosto precario.
ASSIEME AI RICERCATORI E AI PESCATORI
Lui, 28enne a bagnomaria, grande per la generazione Greta e giovane abbastanza per non sentirsi responsabile dei disastri ambientali, lo ha studiato con i ricercatori dell’università siciliana, lo ha vissuto assieme ai pescatori che a quella distesa blu hanno dedicato la vita, sotto il sole a picco e la pioggia battente. Senza lamentarsi mai, perché, insegnano i Malavoglia, per certe preghiere non è detto ci sia qualcuno disposto ad ascoltarle.
DUE APPROCCI SULLO STESSO PIANO (FOTOGRAFICO)
«Volevo mettere sullo stesso piano i due approcci», spiega il fotografo a Lettera43.it, «chi dice che una determinata situazione secondo criteri oggettivi non possa esistere e coloro che affermano il contrario per averlo vissuto sul campo. Entrambi hanno ragione».
L’INQUINAMENTO DA UNA PROSPETTIVA NUOVA
Un lavoro di un oltre un anno, tra laboratori e barche, affrontato con l’obiettivo di raccontare l’inquinamento da una prospettiva nuova, diversa e il più possibile completa: «Cercavo una storia e ho incominciato a leggere articoli sulle microplastiche, incuriosendomi al tema. Ho scoperto che, in proporzione alla grandezza, il Mediterraneo è uno dei mari che sono nelle peggiori condizioni». Qui ogni anno – si legge nel reportage – confluiscono tra le 150 mila e le 500 mila tonnellate di macroplastiche, mentre le micro, cioè con un diametro inferiore a cinque millimetri, oscillano tra le 70 e le 130 mila.
EPPURE LO STRETTO DI MESSINA DOVREBBE ESSERE PULITO
Secondo i dati elaborati dall’Ismar-Cnr con l’università di Ancona, se negli oceani le tracce di materiali simili per chilometro quadrato sono 335 mila, soltanto moltiplicandoli per quattro si avrà una fotografia del “Mare Nostrum”. Non esistono isole felici: «Lo Stretto di Messina, per via delle fortissime correnti, dovrebbe rappresentare un’eccezione ed essere pulito. Condizionale d’obbligo perché la realtà è opposta».
CRATERI SOTTOMARINI PIENI DI PLASTICA
I motivi essenzialmente due: «Innanzitutto i canyon sottomarini», prosegue Bertuccio, «hanno la capacità di attrarre qualunque cosa ruoti nella loro orbita. Dentro si trova di tutto: pneumatici, macchine, elettrodomestici ammassatisi nel tempo che progressivamente si deteriorano nell’acqua. Con le moderne tecnologie si può pensare di fotografarli, tuttavia il mio budget non era sufficiente per intraprendere l’impresa. L’altro fattore è l’inquinamento in senso lato. L’aumento progressivo delle temperature, per esempio, ha comportato modifiche all’ecosistema e lo spostamento definitivo di numerose specie».
UN PESCE SU TRE È MALATO
Il climate change non fa sconti, ma chi resta non se la passa meglio e i numeri sono spietati. «Il 37% sul totale del pescato si porta nello stomaco microplastiche», continua Bertuccio. «Per dimostrarlo, sono stato con gli scienziati al mercato, dove abbiamo comprato tre pesci che sarebbero potuti arrivare facilmente sulle nostre tavole. Giunti in laboratorio li abbiamo aperti e sezionati: come volevasi dimostrare, uno era malato».
PICCOLISSIME PARTICELLE ANNIDATE OVUNQUE
A rendere peggiore il quadro c’è una serie di constatazioni: «Nella normalità dei casi ed escludendo pesci che per piccole dimensioni si consumano interi, le plastiche risiedono in parti dell’organismo che non vengono mangiate dagli esseri umani. Siamo ben lontani, però, dal poter tirare un sospiro di sollievo. Esistono, infatti, le nanoplastiche di dimensioni ridottissime e annidate ovunque».
IL FOTOGRAFO SICILIANO CHE HA GIRATO IL MONDO
Trasferitosi dalla Sicilia a Milano dopo il diploma, Bertuccio si era iscritto alla facoltà di biotecnologie mediche, presto abbandonata per inseguire la passione della vita. Quattro anni dopo si è laureato allo Ied e ha iniziato a girare il mondo, macchinetta rigorosamente in spalla. Inserito nel 2014 tra i 10 fotografi under 25 più promettenti d’Italia e nel 2019 tra i nominati al prestigioso 6×6 World Press Photo Global Talent, pur giovanissimo, ha già allestito mostre da Tokyo a Parigi, passando per gli Stati Uniti e facendo ovunque incetta di premi: «Eppure narrare le vicende di casa ha un sapore speciale. Gran parte dei miei coetanei è stata costretta a emigrare per inseguire i propri sogni, soprattutto se coincidevano con professioni creative. Tornare e contribuire nel mio piccolo a fare qualcosa per questo posto è motivo d’orgoglio. Chi ha il mare dentro, d’altronde, se lo porta sempre dietro».
SULLE IMBARCAZIONI SI CONDIVIDE TUTTO
Nell’ultimo anno ha vissuto fianco a fianco con i pescatori, invadendo il loro universo fino a diventarne parte integrante: «Sono stato sulle feluche, le tradizionali imbarcazioni su cui si caccia lo spada nello Stretto o ospite delle “lampare”, piccole barche che attraggono i pesci attraverso un raggio di luce. Si usavano un tempo per pescare le aguglie, ora è l’usanza è praticamente scomparsa». Il motivo piuttosto scontato: «Non si prende nulla, l’ho constatato di persona». Sono le conseguenze dello sfruttamento intensivo: «Le reti hanno certamente apportato un contributo pesante in termini di devastazione, i fondali sono colmi di residui in cui gli animali continuano intrappolarsi». Con la pesca magra rimangono i ricordi, sugellati dagli scatti: «A bordo impari a condividere tutto, non esistono i concetti di mio e tuo. Le giornate sono dure, segnate dal sole: iniziano all’alba e si concludono al tramonto». In mezzo, tanto lavoro e lo spazio di un panino, sperando che almeno stavolta il mare sia clemente.
Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it