Perché in Spagna il governo Sanchez è nato già sotto scacco
Coalizione con otto partiti. Più o meno di sinistra. E due soli voti di margine in parlamento. L’esecutivo preannuncia turbolenze. Con la spina della questione catalana. E difficilmente avrà la forza di proporre riforme strutturali.
Con molta fatica e un margine risicatissimo, il parlamento spagnolo ha partorito un nuovo governo, il primo di coalizione nella storia del Paese. Ma la via crucis di Pedro Sánchez, diventato presidente dopo vari tentativi falliti, potrebbe essere solo all’inizio.
CATALOGNA SPINA NEL FIANCO
Una coalizione dalle molteplici posizioni (otto partiti in tutto, più o meno di sinistra) e la risposta all’interminabile questione catalana saranno spine nel fianco di una legislatura che si annuncia parecchio turbolenta. E il presidente dell’esecutivo deve fare attenzione a ogni sua mossa.
ACROBAZIE ALLA RICERCA DEI VOTI
Con i risultati delle elezioni del 10 novembre 2019 era chiaro che l’investitura di Sánchez non sarebbe stata una passeggiata, ma dopo l’accordo-lampo con Unidas Podemos (per fare il governo) e quello più complicato con gli indipendentisti di Esquerra Republicana de Catalunya (per assicurarsene l’astensione nel voto) la strada sembrava in discesa. Nel secondo dibattito di investitura, infatti, al numero uno dei socialisti non serviva più la maggioranza dei voti della Camera, ma soltanto un numero di “sì” superiore ai “no” fra i 350 seggi.
PRESENTE ANCHE UNA PARLAMENTARE COL CANCRO
L’aritmetica parlamentare della coalizione faticosamente cesellata in settimane di negoziati ha però rischiato seriamente di saltare per aria al momento della verità. La deputata di Coalición Canaria, Ana Oramas, aveva disatteso le indicazioni del suo partito e annunciato il voto contrario al governo, riducendo il margine di vantaggio a sole due lunghezze. Le sorti dell’investitura dipendevano quindi da ogni singola presenza, compresa quella di Aina Vidal, parlamentare catalana di Podemos malata di cancro che stoicamente si è presentata in Aula ricevendo l’applauso dell’emiciclo.
LO SPETTRO DEI FRANCHI TIRATORI
Nella Camera del Congresso, però, aleggiava comunque lo spettro del “tamayazo”, il termine usato in Spagna per connotare l’azione dei franchi tiratori, dal nome di Eduardo Tamayo, un socialista madrileno che nel 2003 regalò la presidenza regionale agli avversari. L’opposizione, sfaccettata tanto quanto la coalizione di governo, ha cercato fino all’ultimo di recuperare il singolo voto che avrebbe potuto bloccare l’investitura, che in Spagna avviene per voto palese a chiamata in ordine alfabetico. La leader di Ciudadanos, Inés Arrimadas, ha chiesto a viso aperto e con un discorso accorato l’intervento di franco-tiratori nel Psoe: «Non c’è nemmeno uno, un solo coraggioso in questa tribuna?».
DA DESTRA SI URLA AL «TRADIMENTO» DELLA SPAGNA
Da destra Pablo Casado e Santiago Abascal, a capo di Partido popular e Vox, hanno battuto sul ritornello del «tradimento alla Spagna» per l’intesa di Sánchez con i separatisti, nella speranza remota di convincere qualcuno a modificare il voto e in quella meglio riposta di aizzare l’elettorato. È finita 167 a 165, con 18 astensioni: tra citazioni di Manuel Azaña, Che Guevara e Groucho Marx, è risultata decisiva la fermezza di Tomás Guitarte, deputato del micro-partito provinciale Teruel Existe che ha ricevuto quasi 9 mila mail (alcune con contenuto intimidatorio) per cambiare lato della barricata e ha dovuto passare la notte prima del dibattito in un luogo segreto.
DIFFICILE FARE RIFORME SULL’ECONOMIA
Per arrivare alla Moncloa, Sánchez ha dovuto negoziare l’astensione di due partiti regionali con largo seguito, Eh Bildu (formazione di estrema sinistra basca, con ex sostenitori di Eta fra le sue fila) ed Esquerra Republicana de Catalunya, la voce più forte dell’indipendentismo catalano. Come spiegato da Ignacio Molina, senior analyst del Real Instituto Elcano, in una situazione del genere è molto difficile intraprendere riforme strutturali in ambito economico, dove i due soci maggioritari di governo potrebbero non essere d’accordo, mentre sarà relativamente più semplice lavorare sul welfare o sulla politica estera e di sicurezza.
NESSUNA ALTERNATIVA POSSIBILE
Al contrario di quanto succede in Italia, secondo Molina in Spagna un governo eletto con un margine ristretto non è una condizione particolarmente grave perché non c’è nessuna alternativa possibile, vista anche l’attuale polarizzazione del parlamento. «Ci sono due casi in cui l’esecutivo potrebbe cadere: la rottura fra Psoe e Unidas Podemos, che porterebbe Sánchez alle dimissioni e il Paese alle elezioni, oppure il blocco di leggi importanti come quella di bilancio da parte di Erc e Eh Bildu».
Con la nostra gente in carcere non mi importa nulla della governabilità del Paese
Montserrat Bassa di Esquerra Republicana de Catalunya
In particolare è l’accordo fra Psoe ed Erc a destare preoccupazione, visto che i primi vorrebbero pacificare la Catalogna e i secondi ottenere l’indipendenza dalla Spagna. Montserrat Bassa di Erc, nel caso qualcuno nutrisse dubbi, durante il suo intervento ha detto: «Con la nostra gente in carcere non mi importa nulla della governabilità del Paese. Ma il dialogo è l’unica via per raggiungere una Repubblica catalana cordialmente con gli spagnoli».
CAOS NEL GOVERNO CATALANO
A questa naturale differenza di intenti si aggiunge il caos nel governo catalano, visto che l’attuale presidente della Generalitat, Quim Torra, separatista radicale, ha subìto dalla Junta electoral central un’inabilitazione come parlamentare per disobbedienza e se non vince il ricorso dovrà lasciare la presidenza: provvedimento che è subito (e alquanto paradossalmente, almeno dal punto di vista linguistico) stato definito «colpo di Stato» dagli indipendentisti. Nell’accordo scritto si conviene soltanto «il riconoscimento di un conflitto politico in Catalogna» e «la creazione di un tavolo di dialogo per risolverlo». Parole ricche di buoni propositi, ma di difficile traduzione in misure concrete.
SANCHEZ NON ACCETTERÀ UN REFERENDUM SULL’INDIPENDENZA
Ignacio Molina ha affermato: «Questi concetti hanno un forte impatto simbolico, ma vogliono dire molto poco dal punto di vista pratico. Il governo non farà nulla che alteri la Costituzione, e anche volendo non potrebbe perché gli mancano i numeri necessari. Sicuramente non accetterà un referendum sull’indipendenza catalana. Il tavolo di dialogo servirà per raffreddare il conflitto in atto e parlare di possibili riforme minori sull’autonomia, al massimo per risolvere la questione dei politici catalani in carcere».
I POPOLARI ASSUMONO POSIZIONI PIÙ RADICALI
Il dibattito di investitura ha anche mostrato un’accesa lotta per accreditarsi come leader dell’opposizione fra Casado e Abascal. Casado, che abitualmente viaggia in ambo i sensi di marcia tra il centro e la destra a seconda della convenienza, sembra avere assunto posizioni più radicali e puntare dritto a recuperare per il Pp i voti di Vox. Abascal, invece, non aveva certo bisogno di rinsaldare la sua immagine di uomo forte e intransigente difensore della nazione. Tuttavia non ha rinunciato a definire il nuovo governo come «un golpe istituzionale, matrimonio tra la bugia e il tradimento» e a concludere il suo intervento con un doppio «Viva España» e «Viva el rey» da capo ultrà, ricevendo per tutta risposta il coro dei suoi.
CIUDADANOS LOTTA PER NON SPARIRE
Molto di questa sfida intestina alla destra dipende per Molina dalla sinistra, cioè da cosa farà il governo: «Se nella legislatura dominano temi economici e sociali ne trarrà vantaggio Casado. Ma più il dibattito si polarizza, peggio è per lui: il leader del Pp deve allo stesso tempo trattenere i suoi elettori più nazionalisti dalle lusinghe di Vox ed evitare le “guerre culturali” che il partito di Abascal potrebbe mettere in agenda». Lotterà invece per la sopravvivenza Inés Arrimadas, erede di Albert Rivera alla guida di Ciudadanos, che aveva proposto a Sánchez un patto di governo di costituzionalisti moderati. Nella Spagna profondamente divisa di oggi, una pura utopia.
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