Chi sono i candidati al governo della Calabria

È corsa a quattro per le elezioni del 26 gennaio 2020: Jole Santelli per il centrodestra, Pippo Callipo, per il centrosinistra, Francesco Aiello per il Movimento 5 Stelle e l’outsider Carlo Tansi.

È corsa a quattro in Calabria dove il 26 gennaio 2020 sono in programma le elezioni regionali. A puntare alla poltrona di Governatore ci sono, per il centrodestra, la deputata e coordinatrice regionale di Forza Italia Jole Santelli, sostenuta da sei liste (Fi, Fratelli d’Italia, Lega, Santelli presidente, Udc, Cdl); l’imprenditore Pippo Callipo, che ha dalla sua il Pd, una lista filiazione dell’associazione Io resto in Calabria, i Democratici e progressisti e 10 idee per la Calabria, formazione quest’ultima sulla quale però pende la scure di una possibile esclusione. Della partita anche il docente universitario Francesco Aiello, per il Movimento 5 Stelle e per la lista Calabria Civica, e l’ex capo della Protezione civile regionale Carlo Tansi, sostenuto dalle liste Tesoro Calabria, Calabria Pulita e Calabria Libera.

EX PD CON FRATELLI D’ITALIA

Ricompattato il fronte dopo le fibrillazioni legate al “niet” di Matteo Salvini ad Mario Occhiuto, il centrodestra ritrova l’unità intorno alla candidata presidente Jole Santelli e schiera tanti uscenti e alcune singolari new entry. Il consigliere regionale Giuseppe Neri, eletto nella passata legislatura con la lista Democratici e progressisti, emanazione diretta del Pd, è ad esempio candidato con Fratelli d’Italia. L’Udc, altro partito che è a fianco della fedelissima di Silvio Berlusconi, ospita nelle sue fila anche Antonio Scalzo, eletto nel Pd e che, sempre in quota dem, è stato per un periodo presidente del Consiglio regionale, transitato di recente nei Moderati, vicini a Raffaele Fitto.

GLI SCONTENTI A SINISTRA

Novità anche dalle parti del candidato Pippo Callipo, che é riuscito a imporre le sue condizioni sulla formazione delle liste. Scende in campo con l’industriale del tonno anche l’ex sindaco di Isola Capo Rizzuto Carolina Girasole, in lista con il Pd, messa fuori gioco a suo tempo dallo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune che amministrava ma assolta, di recente, dall’accusa di avere agevolato la cosca di ‘ndrangheta degli Arena. Punta alla conferma anche il presidente uscente del Consiglio regionale, Nicola Irto. In lizza anche Maria Saladino, già in corsa per la segreteria nazionale del Partito democratico. Non mancano, da una parte e dall’altra, i mugugni degli esclusi: dall’ex Pd Enzo Ciconte, dato in approdo nel centrodestra, che ha optato per il ritorno alla professione medica (é primario cardiologo) a Francesco D’Agostino, che ha espresso tutto il suo disappunto per il veto posto da Callipo sul suo conto.

AIELLO E TANSI «LIBERI DALLA CASTA»

Acque decisamente più tranquille per il candidato pentastellato Aiello, che sottolinea la «pulizia» delle proprie liste, e per il civico Tansi. Che dichiara: «Noi restiamo liberi dalla casta».

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Perché le Presidenziali post Bouteflika in Algeria sono inutili

Elezioni il 12 dicembre, per volere del capo dell’esercito Salah. In corsa solo ex premier, ex ministri o politici parte dell’establishment. Le piazze rifiutano tutti i candidati e boicottano le urne. Ma ai giovani manifestanti pro-cambiamento manca un nuovo leader.

Un voto rimandato e infine imposto, forse l’ultimo colpo di coda dell’ancient regime algerino, di certo un punto interrogativo per tutti, fuori e dentro l’Algeria. La piazza non vuole le Presidenziali del 12 dicembre 2019 ma il pouvoir, il «potere» da spazzare via, le ha imposte entro la fine dell’anno. Così detta la Costituzione algerina, ma soprattutto così ha voluto il nuovo uomo forte, il capo di stato maggiore Ahmed Gaïd Salah.

IL POPOLO RIGETTA TUTTI E CINQUE I CANDIDATI

Dalle dimissioni dell’ex presidente ottuagenario Abdelaziz Bouteflika, destituito ad aprile dal generale Salah per «manifesta incapacità», entro 90 giorni doveva essere rieletto un capo dello Stato. A luglio il voto era stato annullato, mancando i candidati. Ma oltre l’anno non si può temporeggiare, poco importa se il fiume umano che dal 22 febbraio invade le strade dell’Algeria rigetti tutti i cinque candidati «del sistema, ex premier, ex ministri o oligarchi».

Algeria presidenziali proteste Bouteflika
Il candidato di punta delle Presidenziali in Algeria del 2019, l’ex premier Alis Benflis. (Getty)

L’IMBARAZZANTE 75ENNE BENFLIS

L’accoglienza dei comizi non è stata, per usare un eufemismo, calorosa. L’ex primo ministro (dal 2000 al 2003) Alis Benflis, 75enne naturalmente del Fronte di liberazione nazionale (Fln) di Bouteflika, suo avversario fantoccio delle Presidenziali, è il candidato di punta e tra i più imbarazzanti della rosa. Un insulto per il popolo dell’hirak, il «movimento» che chiede e pretende lo «smantellamento totale» dell’apparato di potere dell’Algeria. Il capo della campagna elettorale di Benflis nella regione della Cabilia, roccaforte delle contestazioni, si è dovuto dimettere su pressione dei familiari, per il timore di tumulti.

LE PIAZZE SEMI VUOTE PER L’EX PLURI MINISTRO

Abdelmadjid Tebboune, classe 1945, ex premier ed ex ministro praticamente di tutto, in politica dal 1975 e parente di Bouteflika, è il prediletto di Salah. E non lo aiuta: Tebboune ha dovuto cancellare il primo raduno perché la piazza era semi vuota, anche il suo manager ha mollato l’incarico.

L’ISLAMISTA MODERATO PRESO A UOVA E POMODORI

Peggio ancora è andata al candidato islamista Abdelkader Bengrina, un moderato intenzionato a rappresentare l’hirak. Meno organico, ma anche lui ex ministro, sebbene più di 20 anni fa, di un governo Bouteflika. Bengrina, 57 anni, ha promesso aiuti alle donne single e si era messo ad arringare sul cambiamento dalla piazza di Algeri delle proteste. Ma è dovuto scappare in auto, preso a uova e pomodori dai dimostranti che non lo ritengono una degna opposizione.

NON CONVINCE L’EX TITOLARE DELLA CULTURA

Alla vigilia del voto anche il Movimento della società per la pace, la maggiore rappresentanza degli islamisti nell’Algeria, ha preso le distanze da «tutti i candidati», appoggiando in linea di principio le Presidenziali ma «non in queste circostanze, senza consenso». Allo stesso modo, non convince l’ex ministro della Cultura Azzedine Mihoubi, 60 anni, già sottosegretario alla comunicazione, leader del Raggruppamento democratico nazionale (Rdn) alleato del Fln.

Algeria presidenziali proteste Bouteflika
Militari in pensione governativi manifestano ad Algeri per le Presidenziali del 2019. (Getty)

CAMPAGNA CONSIDERATA UNO SPRECO DI DENARO

Né si salva Abdelaziz Belaïd, 56enne leader del Fronte del futuro, piccolo partito considerato di sponda tattica del pouvoir. E certo Belaïd, che all’hirak assicura lotta alla corruzione, lo è stato di Bouteflika, come Benflis, alle passate Presidenziali. La società civile algerina è giovane, ostinatamente pacifica e molto consapevole dello status quo: considera la campagna «uno spreco di denaro» da parte di chi «non si è fatto ancora carico delle richieste popolari», cioè di un «vero ricambio», precondizione per «elezioni trasparenti e sane».

AI MANIFESTANTI PERÒ MANCA UN LEADER

Alle masse di manifestanti mancano però dei leader politici nuovi e preparati: dall’indipendenza il partito unico del Fln ha soffocato la fondazione di altri partiti che non fossero collaterali e funzionali al sistema. Agonizzante, come il malato Bouteflika, ma pronto anche alle Presidenziali del 2019 a giocare la carta della paura.

L’ESERCITO RESTA ARBITRO: E LA DEMOCRAZIA DOV’È?

Il potere fa leva sul bisogno di stabilità degli algerini. Si pone come rimedio al caos, lascia filtrare il rischio di disordini il giorno del voto, e intanto manda in piazza i supporter governativi. Le Presidenziali decise dal generale Salah, vice ministro della Difesa, 80enne, sono un banco di prova anche per la tenuta dell’hirak, forte ad aggirare le trappole ma continuamente insidiato. Finché l’esercito resterà arbitro autoritario della “transizione” non ci sarà democrazia in Algeria: gli arresti di questi mesi sono trasversali. Colpiscono imprenditori e funzionari corrotti del pouvoir, con retate a effetto, come esponenti della sinistra all’opposizione e dimostranti berberi per «attentato alla nazione». I cortei sono tollerati, ma i giornalisti intimiditi. I magistrati protestano contro le ingerenze, ma parte di loro sono complici. E se il voto boicottato per il presidente sarà un flop, per il pouvoir c’è sempre il secondo turno.

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Perché le Presidenziali post Bouteflika in Algeria sono inutili

Elezioni il 12 dicembre, per volere del capo dell’esercito Salah. In corsa solo ex premier, ex ministri o politici parte dell’establishment. Le piazze rifiutano tutti i candidati e boicottano le urne. Ma ai giovani manifestanti pro-cambiamento manca un nuovo leader.

Un voto rimandato e infine imposto, forse l’ultimo colpo di coda dell’ancient regime algerino, di certo un punto interrogativo per tutti, fuori e dentro l’Algeria. La piazza non vuole le Presidenziali del 12 dicembre 2019 ma il pouvoir, il «potere» da spazzare via, le ha imposte entro la fine dell’anno. Così detta la Costituzione algerina, ma soprattutto così ha voluto il nuovo uomo forte, il capo di stato maggiore Ahmed Gaïd Salah.

IL POPOLO RIGETTA TUTTI E CINQUE I CANDIDATI

Dalle dimissioni dell’ex presidente ottuagenario Abdelaziz Bouteflika, destituito ad aprile dal generale Salah per «manifesta incapacità», entro 90 giorni doveva essere rieletto un capo dello Stato. A luglio il voto era stato annullato, mancando i candidati. Ma oltre l’anno non si può temporeggiare, poco importa se il fiume umano che dal 22 febbraio invade le strade dell’Algeria rigetti tutti i cinque candidati «del sistema, ex premier, ex ministri o oligarchi».

Algeria presidenziali proteste Bouteflika
Il candidato di punta delle Presidenziali in Algeria del 2019, l’ex premier Alis Benflis. (Getty)

L’IMBARAZZANTE 75ENNE BENFLIS

L’accoglienza dei comizi non è stata, per usare un eufemismo, calorosa. L’ex primo ministro (dal 2000 al 2003) Alis Benflis, 75enne naturalmente del Fronte di liberazione nazionale (Fln) di Bouteflika, suo avversario fantoccio delle Presidenziali, è il candidato di punta e tra i più imbarazzanti della rosa. Un insulto per il popolo dell’hirak, il «movimento» che chiede e pretende lo «smantellamento totale» dell’apparato di potere dell’Algeria. Il capo della campagna elettorale di Benflis nella regione della Cabilia, roccaforte delle contestazioni, si è dovuto dimettere su pressione dei familiari, per il timore di tumulti.

LE PIAZZE SEMI VUOTE PER L’EX PLURI MINISTRO

Abdelmadjid Tebboune, classe 1945, ex premier ed ex ministro praticamente di tutto, in politica dal 1975 e parente di Bouteflika, è il prediletto di Salah. E non lo aiuta: Tebboune ha dovuto cancellare il primo raduno perché la piazza era semi vuota, anche il suo manager ha mollato l’incarico.

L’ISLAMISTA MODERATO PRESO A UOVA E POMODORI

Peggio ancora è andata al candidato islamista Abdelkader Bengrina, un moderato intenzionato a rappresentare l’hirak. Meno organico, ma anche lui ex ministro, sebbene più di 20 anni fa, di un governo Bouteflika. Bengrina, 57 anni, ha promesso aiuti alle donne single e si era messo ad arringare sul cambiamento dalla piazza di Algeri delle proteste. Ma è dovuto scappare in auto, preso a uova e pomodori dai dimostranti che non lo ritengono una degna opposizione.

NON CONVINCE L’EX TITOLARE DELLA CULTURA

Alla vigilia del voto anche il Movimento della società per la pace, la maggiore rappresentanza degli islamisti nell’Algeria, ha preso le distanze da «tutti i candidati», appoggiando in linea di principio le Presidenziali ma «non in queste circostanze, senza consenso». Allo stesso modo, non convince l’ex ministro della Cultura Azzedine Mihoubi, 60 anni, già sottosegretario alla comunicazione, leader del Raggruppamento democratico nazionale (Rdn) alleato del Fln.

Algeria presidenziali proteste Bouteflika
Militari in pensione governativi manifestano ad Algeri per le Presidenziali del 2019. (Getty)

CAMPAGNA CONSIDERATA UNO SPRECO DI DENARO

Né si salva Abdelaziz Belaïd, 56enne leader del Fronte del futuro, piccolo partito considerato di sponda tattica del pouvoir. E certo Belaïd, che all’hirak assicura lotta alla corruzione, lo è stato di Bouteflika, come Benflis, alle passate Presidenziali. La società civile algerina è giovane, ostinatamente pacifica e molto consapevole dello status quo: considera la campagna «uno spreco di denaro» da parte di chi «non si è fatto ancora carico delle richieste popolari», cioè di un «vero ricambio», precondizione per «elezioni trasparenti e sane».

AI MANIFESTANTI PERÒ MANCA UN LEADER

Alle masse di manifestanti mancano però dei leader politici nuovi e preparati: dall’indipendenza il partito unico del Fln ha soffocato la fondazione di altri partiti che non fossero collaterali e funzionali al sistema. Agonizzante, come il malato Bouteflika, ma pronto anche alle Presidenziali del 2019 a giocare la carta della paura.

L’ESERCITO RESTA ARBITRO: E LA DEMOCRAZIA DOV’È?

Il potere fa leva sul bisogno di stabilità degli algerini. Si pone come rimedio al caos, lascia filtrare il rischio di disordini il giorno del voto, e intanto manda in piazza i supporter governativi. Le Presidenziali decise dal generale Salah, vice ministro della Difesa, 80enne, sono un banco di prova anche per la tenuta dell’hirak, forte ad aggirare le trappole ma continuamente insidiato. Finché l’esercito resterà arbitro autoritario della “transizione” non ci sarà democrazia in Algeria: gli arresti di questi mesi sono trasversali. Colpiscono imprenditori e funzionari corrotti del pouvoir, con retate a effetto, come esponenti della sinistra all’opposizione e dimostranti berberi per «attentato alla nazione». I cortei sono tollerati, ma i giornalisti intimiditi. I magistrati protestano contro le ingerenze, ma parte di loro sono complici. E se il voto boicottato per il presidente sarà un flop, per il pouvoir c’è sempre il secondo turno.

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Pippo Callipo ha deciso di candidarsi alle Regionali in Calabria

L’imprenditore si candida alle Regionali del 26 gennaio 2020, sostenuto dal centrosinistra. «Ho scelto di accettare la sfida».

Ci sarà anche il re del tonno in scatola, Pippo Callipo, nella corsa alla carica di governatore della Calabria. L’imprenditore ha deciso di scendere in campo in vista della Regionali del 26 gennaio prossimo, con una coalizione di centrosinistra. «Esponenti della società civile, delle organizzazioni sindacali e datoriali mi chiedono un impegno diretto, forte e convinto per avviare un cambiamento reale, tangibile che sia in grado di mettere la nostra Regione al centro dell’agenda politica del Paese», ha scritto in una nota. «Ho scelto di accettare la sfida. Lancio un forte appello a partiti e movimenti civici: uniamoci e portiamo avanti questa battaglia di legalità, trasparenza e rinnovamento, facciamolo con coraggio senza badare a rendite di posizione e tatticismi. Io ci sono. Io Resto in Calabria».

«UNA STAGIONE DI RINNOVAMENTO»

Nella nota, Callipo spiega che «gli appelli che si stanno susseguendo nelle ultime ore, seppur provenienti da ambienti diversi, esprimono l’esigenza comune di aprire in Calabria una stagione politica di profondo rinnovamento». La scelta di Callipo è ponderata: «In queste settimane ho molto riflettuto sull’opportunità di un mio impegno politico diretto e sono giunto alla conclusione che non posso non fare questa battaglia, non posso non ascoltare la voce di una nuova generazione che vuole essere protagonista di una rivoluzione pacifica ma decisa e non più procrastinabile. Sempre più giovani calabresi chiedono di non lasciare, per mancanza di opportunità di lavoro e di prospettive di futuro, la terra dove sono nati e cresciuti. Ho deciso quindi di ascoltare il mio cuore, il mio profondo desiderio di aiutare la mia terra perché da sempre coltivo il sogno di vederla cambiare, evolversi e dare opportunità a tutti. Sento inoltre un dovere morale verso i tanti giovani che incontro quotidianamente e che mi chiedono di diventare garante delle loro aspettative».

UNA SFIDA COMPLESSA

Callipo ha poi parlato delle difficoltà che riguardano la sfida: «Sono consapevole che i problemi e le priorità da affrontare non mancano e sono molto complessi. Penso ad esempio alla sanità e alla necessità di uscire dal commissariamento, allo sviluppo socio-economico agognato da decenni, alle infrastrutture per attrarre investimenti e dunque creare occupazione».

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Regionali in Calabria, caos candidati per Pd e M5s

A pochi giorni dalla scelta ufficiale, spunta un sondaggio commissionato dai dem che “affonda” Oliverio: l’86% non ha fiducia in lui. E l’imprenditore Callipo dice no ai pentastellati.

Quando mancano pochi giorni alla scelta del candidato ufficiale per le elezioni regionali in Calabria, in programma il 26 gennaio assieme a quelle in Emilia-Romagna, spunta un sondaggio commissionato dal Pd sull’apprezzamento di cui godrebbe – ma sarebbe meglio dire non godrebbe – il governatore uscente Mario Oliverio, espressione dello stesso Pd.

LEGGI ANCHE: La politica calabrese corteggia Pippo Marra in vista delle Regionali

Alla domanda «negli ultimi cinque anni lei ritiene che la qualità della vita nel suo territorio sia migliorata o peggiorata?», il 64% dei calabresi intervistati ha risposto «peggiorata», solo il 7% «migliorata». Ma il dato più eclatante riguarda proprio Oliverio: l’86% del campione dichiara infatti di non aver fiducia nel governatore uscente, a fronte di un 14% di favorevoli.

OLIVERIO BOCCIATO SU TURISMO E OCCUPAZIONE

Il sondaggio, apparso sul sito del quotidiano la Repubblica, è dell’istituto Swg e prende in considerazione anche altri parametri. Da 1 a 10, per esempio, gli intervistati hanno dato un voto di 3,9 alla promozione turistica della regione e di 3,2 agli interventi per favorire l’occupazione e la creazione di posti di lavoro. Elementi che, secondo i vertici del Pd, dovrebbero spingere Oliverio a farsi da parte. Ma il governatore appare determinato a ripresentarsi anche da solo, con una lista civica, senza l’appoggio del Nazareno.

I POSSIBILI PROFILI ALTERNATIVI

Nella rosa di nomi che il segretario Nicola Zingaretti è chiamato a valutare circolano diversi profili alternativi: dal catanzarese Giuseppe Gualtieri, il super-poliziotto che ha arrestato Bernardo Provenzano, al prefetto Arturo De Felice, ex capo della Dia e originario di Reggio Calabria. Ma ci sarebbero anche il prorettore dell’Università della Calabria, Luigino Filice, e la direttrice generale di Confindustria, Marcella Panucci, nata a Vibo Valentia.

IL PASSO INDIETRO DI CALLIPO

Come se non bastasse l’imprenditore del tonno Pippo Callipo, su cui puntava in particolare il M5s per una candidatura che avrebbe potuto essere sostenuta anche dai dem, ha deciso di non scendere in campo. Pesano i ritardi accumulati dai pentastellati, le indecisioni sulla linea da seguire e le alleanze da stringere. Un quadro pieno di incognite, che ha indotto Callipo a fare un passo indietro.

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Cosa sapere delle elezioni in Spagna del 10 novembre

Il 10 novembre il Paese torna al voto. I socialisti di Sanchez in vantaggio sono ancora lontani dalla maggioranza. Occhi puntati sull’estrema destra di Vox che potrebbe diventare la terza forza del Paese cavalcando la crisi catalana. Una guida.

Domenica 10 novembre la Spagna torna al voto per la seconda volta nel 2019 (e per la quarta in 4 anni). Il socialista Pedro Sanchez, vincitore alle elezioni dello scorso aprile, non è infatti riuscito a formare un governo con la coalizione di sinistra Unidas Podemos.

Pedro Sanchez, leader socialista e premier uscente.

I CANDIDATI IN CORSA

A sfidare il premier uscente Pedro Sánchez (Partito socialista), ci sono: Pablo Casado (Partito Popolare), Pablo Iglesias (leader di Podemos), Albert Rivera (che guida i liberali di Ciudadanos) e Santiago Abascal, fondatore del partito di estrema destra Vox.

LA CRESCITA DELL’ESTREMA DESTRA DI VOX NEI SONDAGGI

Secondo i recenti sondaggi di Politico.eu difficilmente dalle urne uscirà una maggioranza chiara. I blocchi di centrodestra e centrosinistra sostanzialmente si equivalgono: i primi veleggiano intorno al 44% e i secondi al 42%. Il Psoe è dato comunque per favorito al 27%, i Popolari sono al 21%, Podemos al 12% e Ciudadanos al 9%. La vera novità di questa tornata elettorale è però rappresentata da Vox che potrebbe passare dal 10% delle scorse elezioni al 14%. Se così fosse scalzerebbe Ciudadanos diventando la terza forza politica del Paese. Dopo una frenata alle Europee, Vox ha ripreso a crescere nei sondaggi con l’inasprirsi, sostengono diversi osservatori, della crisi catalana.

spagna-elezioni-10-novembre-sondaggi

LA CATALOGNA AL CENTRO DEL VOTO

La nuova ondata di proteste indipendentiste, dopo le pesanti condanne ai 12 leader indipendentisti protagonisti dell’insurrezione dell’ottobre 2017, ha catalizzato il dibattito nazionale. E sarà l’ago della bilancia di queste elezioni. Sanchez, rivendicando la linea della fermezza, ha insistito sulla necessità di dialogo. «Abbiamo bisogno di aprire un nuovo capitolo basato sulla coesistenza pacifica in Catalogna attraverso il dialogo nei limiti della legge e della Costituzione spagnola», aveva detto in tivù a metà ottobre. «Nessuno è al di sopra della legge. In Spagna non ci sono prigionieri politici ma piuttosto alcuni politici in prigione per aver violato leggi democratiche». Sul tema Ciudadanos e Vox hanno mostrato i muscoli. Abascal, nell’ultimo confronto tivù, si è spinto oltre: non solo ha chiesto di revocare l’autonomia alla Generalitat ma ha anche accusato Sanchez di appoggiare di fatto un «colpo di Stato permanente» in Catalogna.

La bandiera catalana all’aeroporto di Barcellona durante la manifestazione del 14 ottobre.

Non solo. La recente proposta di Vox di bandire i partiti indipendentisti è stata approvata dall’Assemblea di Madrid con i voti del Partido Popular e di Ciudadanos, in una sorta di patto delle destre che ha fatto scattare più di un allarme in casa socialista. «Cominciamo a essere testimoni di cose preoccupanti», ha commentato il primo ministro in un’intervista a Cadena Ser, definendo la risoluzione una «deriva reazionaria molto pericolosa».

INCOGNITA ASTENSIONISMO

Sanchez deve vedersela anche con un altro concorrente: l’astensionismo, vista l’esasperazione degli elettori dopo il mancato accordo di governo tra Psoe e sinistra. L’affluenza dal 76% di aprile potrebbe così scendere intorno al 70% e a farne maggiormente la spese potrebbe essere proprio il Psoe di Pedro Sanchez.

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