Chi è Giovanni Salvi, il nuovo procuratore generale della Cassazione

Si tratta di un “papa straniero”: per la prima volta il Consiglio superiore della magistratura non ha optato per una soluzione interna. A Roma da pm si è occupato di Ustica, Nar, Br e non solo. Poi togato di sinistra nel Csm e la nomina a Catania. Da n.2 dell’Anm si scontrò con Berlusconi.

La Cassazione ha un nuovo procuratore generale: è Giovanni Salvi, il “papa straniero” scelto dal Consiglio superiore della magistratura che per la prima volta non ha optato per una soluzione interna.

UNA LUNGA CARRIERA A ROMA

Salvi è in magistratura da 40 anni. Una lunga carriera segnata da due costanti: il legame con Roma, sua città di adozione, e con le funzioni di pubblico ministero, che non ha mai smesso se non per brevissimi periodi. Nato a Lecce, 67 anni fa, Salvi è arrivato alla procura della Capitale nel 1984 e ci è rimasto per 20 anni. Un lunghissimo arco di tempo in cui si è occupato di indagini delicate, come quelle sulla strage di Ustica, gli omicidi di Mino Pecorelli e Roberto Calvi e di inchieste sui Nar e le Brigate rosse.

NEL CSM CON MAGISTRATURA DEMOCRATICA

Esperienza interrotta nel 2002, quando Salvi è stato eletto componente togato del Csm, nella lista di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe confluita negli ultimi anni in Area, senza però sciogliersi.

A CATANIA FRA TRAFFICO DI MIGRANTI E MAFIA

A Roma è poi tornato da procuratore generale nel 2015, nominato all’unanimità dal Csm. Quattro anni prima invece era passata sul filo di lana la sua nomina a procuratore di Catania. E da quell’ufficio, che ha guidato dal 2011 al 2015, ha coordinato numerose inchieste sul traffico dei migranti e sulla mafia. Indagini che con la collaborazione dei capi di Cosa nostra catanese hanno consentito di individuare i responsabili di delitti centrali per la ricostruzione delle vicende nazionali dell’organizzazione mafiosa, come l’omicidio di Luigi Lardo.

GLI SCONTI ALL’ANM CON BERLUSCONI

Salvi in realtà non è del tutto estraneo all’ufficio che dovrà guidare: vi ha lavorato per quattro anni, dal 2007 al 2011, con le funzioni di sostituto pg. È stato anche vicepresidente dell’Associazione nazionale magistrati negli anni dello scontro tra le toghe e il governo Berlusconi. A cercare negli archivi non sono tante le sue esternazioni. L’ultima l’ha fatta per invocare rispetto per il lavoro della procura di Roma, dopo che la Cassazione ha fatto cadere l’accusa di associazione mafiosa per i condannati dell’inchiesta sul Mondo di mezzo.

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Per la Cassazione il decreto sicurezza non può essere retroattivo

Le nuove disposizioni sul permesso di soggiorno per motivi umanitari non si applicano a chi ha fatto domanda prima del 5 ottobre 2018. Ma per ottenerlo non basta dimostrare di essersi integrati.

Il decreto sicurezza fortemente voluto dall’ex ministro dell’interno Matteo Salvini ed entrato in vigore il 5 ottobre 2018 non può essere applicato in maniera retroattiva. Il provvedimento ha introdotto norme più rigide in materia di immigrazione e in particolare per quanto riguarda la concessione di permessi di soggiorno per motivi umanitari.

Le Sezioni Unite della Cassazione, tuttavia, hanno chiarito che il decreto non si applica ai richiedenti che hanno fatto domanda prima del 5 ottobre 2018, i quali potranno quindi ottenere il riconoscimento della vecchia protezione umanitaria e il relativo permesso. Il verdetto è arrivato dopo che il Viminale aveva fatto ricorso contro tre casi di concessione.

Per un altro verso, tuttavia, i giudici hanno dato ragione al ministero dell’Interno, affermando che il semplice fatto di essersi socialmente ed economicamente inseriti nella società italiana non è sufficiente per dare ai migranti il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Non basta quindi dimostrare di essersi integrati, occore anche comprovare la «specifica compromissione» dei diritti umani nel Paese d’origine.

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