La caccia ai frutti proibiti (o quasi) del mare

Dall’abusivismo nella pesca di ricci al contrabbando dei datteri: viaggio tra divieti e consumi che mettono a rischio l’ecosistema.

Ormai più moda che tradizione: quel sapore di mare in pieno inverno scuote desideri di palato, coscienze ambientaliste ed economie nascoste – di contrabbando. La caccia ai frutti proibiti (o quasi) da Nord a Sud è infatti anche affare di soldi e conoscenze giuste. E talvolta di petizioni contro una pesca legale ma che mette a rischio il futuro dell’ecosistema. Spuma di mare, ricci, datteri: un viaggio tra divieti, consumi legali ma al limite e tam tam social.

RICCI DI MARE: LA PESCA È LEGALE, MA GLI ABUSIVI…

Nessuno stop imposto a ristoratori e pescatori professionisti, ma in Sardegna da Alghero a Cagliari – ben prima dei preparativi natalizi – è polemica. Attorno alla pesca e al consumo dei ricci di mare si sono scatenate fazioni contrapposte. La Regione, da prassi – tramite l’assessorato all’Agricoltura – ha autorizzato i circa 200 pescatori professionisti: 2 mila ricci al giorno da novembre fino al 15 aprile. Secondo una ricostruzione degli ambientalisti il prelievo potrebbe arrivare a 50 milioni di esemplari nell’intera stagione. In più, ci sono gli abusivi camuffati da hobbisti che si immergono per un bottino da rivendere ad amici e amiche, a bordo strada in città: ricci confezionati nei vasetti proibitissimi anche per il rispetto inesistente delle norme sulla conservazione. Sequestri e sanzioni amministrative delle forze dell’ordine non bloccano il giro: si tratta di un’entrata certa, una specie di ammortizzatore sociale in tempi di lavori precari o inesistenti.

L’unico ostacolo agli spaghetti ai ricci arriva dal boicottaggio personale o di chi li cucina

Al chilo la quotazione può superare i 200 euro. Eppure, come sottolineano gli ambientalisti del Gruppo d’intervento giuridico, alla Regione è noto lo stato dei mari e della specie: ricci sempre più piccoli, o con gusci vuoti, pescati anche sotto quota, piccolissimi. Così è partita di nuovo la campagna Nessun riccio nel mio piatto. Se vuoi mangiarne anche nel futuro (ideata dall’associazione Qui Etica) a cui hanno aderito alcuni ristoratori, con un tam tam sui social network e una petizione da 7 mila firme su charge.org. Grig e altri chiedono uno stop di tre anni, monitoraggi marini e aiuti per i pescatori ufficiali che non possono lavorare. Una presa di posizione condivisa anche da alcune amministrazioni del Sud-Ovest: Portoscuso, Calasetta, Sant’Antioco. Ma, nulla da fare: l’unico ostacolo agli spaghetti ai ricci arriva dal boicottaggio personale o di chi li cucina.

DATTERI MARE, DATTERI DI CONTRABBANDO

È il frutto proibito per eccellenza, non solo al Sud. Prelevarli è illegale in Italia dal 1988, dal 2006 in tutta Europa. I datteri di mare sono al centro di una recente inchiesta di Report che ha dimostrato come si continui di notte, nonostante il divieto ormai trentennale, a spaccare le rocce in cui i molluschi – di forma allungata come quelli vegetali – si insediano in lunghi buchi cilindrici. Chi si immerge usa con forza martello e scalpello, ma anche esplosivi. Si stima che per averne un chilo si debba sacrificare un metro quadro di scogliera. Una distruzione irreversibile che si consuma nelle coste campane e lazionali – come dimostrano le immagini – ma non solo.

UNO SFIZIO SALATO ANCORA IN VOGA

Gustare datteri, quindi, non è mai passato di moda ed esiste una rete di contrabbando che paga bene e li fa arrivare nei vassoi dei ristoranti di lusso in tutta Italia. I costi per il consumatore finale – sempre consapevole – possono superare i 200 euro al chilo sotto le feste, un piatto di spaghetti con i datteri si può pagare fino a 70 euro. Il giro, con il supporto e il benestare dii nomi importanti della ristorazione, è ben avviato. Le squadre dei sub professionisti a caccia del ‘profumo di mare’ hanno un’organizzazione stabile e mezzi: barche, pali, vedette e personale per la consegna. Niente li ferma, se non i blitz della Finanza. Non il timore delle sanzioni: arresto da due mesi fino a due anni, confisca del pescato e dell’attrezzatura. E una multa da 200 fino a 2 mila euro.

LO STOP DELL’UE PER I MICRO-PESCI

Lì dove il buon senso non arriva, alla fine è intervenuta l’Unione europea con uno stop alla pesca per il novellame o bianchetto. È successo con un apposito regolamento nel 2006 per motivi di sostenibilità ambientale, prima di allora in Italia alcuni decreti ministeriali ne regolavano tempi parziali di pesca. Si tratta della schiuma di mare, ovvero neonata in Sicilia o gianchetti in Liguria: insomma la taglia micro di sardine e acciughe. Regione che vai, nome e ricetta che trovi. Ma la pesca blocca la crescita e lo sviluppo della specie: provoca un impoverimento per l’intero ecosistema che – se praticato con l’insistenza dei ritmi dei ristoratori – potrebbe portare alla scomparsa. Ragioni che non intaccano ancora convinzioni, abitudini e desiderio di guadagno dei bracconieri di mare. A monte il cliente paga, la domanda regge.

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Nuovo record per le emissioni di gas serra

Nessun rallentamento nell’ultimo bollettino pubblicato dall’Organizzazione meteorologica mondiale. Ancora in crescita i livelli di anidride carbonica.

Nuovo, preoccupante record dei livelli di gas serra. Lo ha comunicato l’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm) nel bollettino pubblicato il 25 novembre. Questa tendenza a lungo termine, dicono gli esperti, si traduce in «impatti sempre più gravi dei cambiamenti climatici, con temperature in aumento, condizioni meteo più estreme, stress idrico, innalzamento del livello del mare e perturbazione degli ecosistemi marini e terrestri». Inoltre, «non vi è alcun segno di rallentamento, per non parlare di un calo», ha detto il segretario generale dell’Omm, Petteri Taalas.

ANCORA IN CRESCITA I LIVELLI DI ANIDRIDE CARBONICA

Il bollettino dei gas serra dell’Omm ha dimostrato che le concentrazioni medie globali di anidride carbonica (Co2) hanno raggiunto 407,8 parti per milione nel 2018, rispetto a 405,5 parti per milione (ppm) nel 2017. L’aumento di Co2 dal 2017 al 2018 è stato molto vicino a quello osservato dal 2016 al 2017 e appena sopra la media nell’ultimo decennio. I livelli globali di Co2, che resta in atmosfera per secoli e negli oceani ancora più a lungo, hanno attraversato il benchmark simbolico e significativo di 400 parti per milione nel 2015. Anche le concentrazioni di metano e protossido di azoto sono aumentate in misura maggiore rispetto allo scorso decennio, secondo le osservazioni della rete Global Atmosphere Watch che comprende stazioni nell’Artico remoto, aree montane e isole tropicali.

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Nuovo record per le emissioni di gas serra

Nessun rallentamento nell’ultimo bollettino pubblicato dall’Organizzazione meteorologica mondiale. Ancora in crescita i livelli di anidride carbonica.

Nuovo, preoccupante record dei livelli di gas serra. Lo ha comunicato l’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm) nel bollettino pubblicato il 25 novembre. Questa tendenza a lungo termine, dicono gli esperti, si traduce in «impatti sempre più gravi dei cambiamenti climatici, con temperature in aumento, condizioni meteo più estreme, stress idrico, innalzamento del livello del mare e perturbazione degli ecosistemi marini e terrestri». Inoltre, «non vi è alcun segno di rallentamento, per non parlare di un calo», ha detto il segretario generale dell’Omm, Petteri Taalas.

ANCORA IN CRESCITA I LIVELLI DI ANIDRIDE CARBONICA

Il bollettino dei gas serra dell’Omm ha dimostrato che le concentrazioni medie globali di anidride carbonica (Co2) hanno raggiunto 407,8 parti per milione nel 2018, rispetto a 405,5 parti per milione (ppm) nel 2017. L’aumento di Co2 dal 2017 al 2018 è stato molto vicino a quello osservato dal 2016 al 2017 e appena sopra la media nell’ultimo decennio. I livelli globali di Co2, che resta in atmosfera per secoli e negli oceani ancora più a lungo, hanno attraversato il benchmark simbolico e significativo di 400 parti per milione nel 2015. Anche le concentrazioni di metano e protossido di azoto sono aumentate in misura maggiore rispetto allo scorso decennio, secondo le osservazioni della rete Global Atmosphere Watch che comprende stazioni nell’Artico remoto, aree montane e isole tropicali.

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Quali sono i cibi che hanno il maggior impatto ambientale

Nutrirsi ha un costo. Che ricade anche sull’ecosistema. Dall’avocado alle mandorle, un elenco degli alimenti che hanno forti ripercussioni sull’equilibrio del nostro pianeta.

Deforestazione, lavoro minorile, inquinamento, spreco d’acqua. Conoscere i retroscena della produzione alimentare ha riempito di dubbi la nostra tavola. Le numerose informazioni su come vengono allevati gli animali o sull’impatto che hanno certi nostri vizi alimentari ha reso ogni boccone un po’ più controverso. E visto che separare la realtà dalle fake news non è sempre immediato, il Guardian ha stilato un elenco dei prodotti più “problematici” che oggi il mercato propone.

LO SPRECO D’ACQUA PER L’AVOCADO SICILIANO

Il Messico è il principale esportatore di avocado al mondo. Ma il consumo del frutto che va tanto di moda causa ogni anno la perdita di 700 ettari di foresta. Per rispondere alla crescente domanda gli agricoltori piantano sempre più alberi, sacrificando lo spazio dei pini secolari. Il surriscaldamento climatico, tuttavia, sta allargando le possibilità di acquistare il frutto tropicale a chilometro zero. L’aumento delle temperature ha, infatti, trasformato il Sud d’Italia in un habitat ideale per la produzione di avocado. In Sicilia esistono 100 ettari in cui è coltivato il frutto esotico. L’aspetto controverso? Per coltivare anche solo due o tre frutti sono richiesti oltre 272 litri di acqua.

LE EMISSIONI LEGATE AL CONSUMO DI CARNE

Lasciando da parte il tema etico sollevato dall’uccisione di animali, la discussione sul consumo della carne bovina ruota anche attorno ai gas serra. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), i bovini (allevati sia per la carne che per il latte) sono la specie animale maggiormente responsabile per le emissioni. Secondo i dati forniti dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) l’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi in Italia è passato dal 10,2% (nel 2000) al 15,1% (nel 2016), diventando così la seconda fonte di inquinamento totale da polveri.

L’IMPATTO DELL’OLIO DI PALMA E DELLA FRUTTA SECCA

Le grandi piantagioni di olio di palma hanno trovato posto a discapito di ampie regioni in Indonesia (maggiore produttore di olio di palma) e in Malesia. Queste aree del mondo sono state coinvolte in pesanti operazioni di disboscamento. Per mantenere il mercato sono state rase al suolo migliaia di chilometri di foresta tropicale, anche attraverso dei roghi, che hanno liberato nell’atmosfera diversi gas serra. Anche le mandorle e la frutta secca hanno un pesante impatto ambientale, per via di tutta l’acqua che la loro coltivazione richiede. Una mandorla per maturare richiede più di tre litri di acqua, una noce 19 litri .

GIAGUARO E ARMADILLO MESSI IN PERICOLO DALLA SOIA

L’impennata che ha coinvolto la soia destinata all’alimentazione animale è una delle cause della scomparsa di significative porzioni di foreste, savane e praterie, tra cui l’Amazzonia, il Cerrado, la foresta Atlantica, la foresta Chaco e Chiquitano che caratterizzano gran parte del territorio di Brasile, Argentina, Bolivia e Paraguay e le praterie del nord America. La soia è uno dei vegetali più coltivati al mondo, anche se la sua produzione sta mettendo a repentaglio l’esistenza di specie come il giaguaro, il formichiere gigante, l’armadillo e l’ara macao.

IL POLPO MINACCIATO DALLA PESCA INTENSIVA

La popolazione globale di polpo è minacciata dalla pesca intensiva. Il Marocco è stato uno dei più grossi produttori di polpo al mondo, con quasi 100 mila tonnellate annue nel 2000, più del doppio della quantità pescata dal secondo Paese nella classifica, il Giappone (in Italia ogni anno se ne pescano 3 mila tonnellate). Ma, a prescindere dalla quantità, la scoperta dell’elevata sensibilità del polpo mette il popolo di consumatori davanti a un dilemma etico: il polpo rappresenta infatti un modello di invertebrato complesso, sensibile e dotato della capacità di risolvere problemi.

LE FORESTE DELLA COSTA D’AVORIO IN PERICOLO PER IL CIOCCOLATO

Più del 70% del cacao mondiale viene prodotto in Costa d’Avorio e in Ghana. La pianta arriva dalla foresta pluviale che, nella Costa d’Avorio è caratterizzata da una scomparsa più rapida rispetto a qualsiasi altro Paese africano. Sul suo territorio, infatti, si è ridotta di oltre l’80% negli ultimi 60 anni. Ma di questo passo, la crescente domanda di cioccolato potrebbe portare alla totale scomparsa della foresta.

LE MANGROVIE A RISCHIO A CAUSA DEI GAMBERI

I gamberi di grandi dimensioni – tigre e reale – sono allevati nelle acque calde dei Paesi come la Thailandia, lo Sri Lanka e il Madagascar, dove la produzione è spesso fortemente coinvolta nella distruzione delle paludi di mangrovie. Secondo la Fondazione per la giustizia smbientale, il 38% circa del disboscamento globale di queste piante è collegato alla crescita delle aziende per l’allevamento dei gamberi.

LA PRODUZIONE DI LATTE A RISCHIO PER GLI OGM

L’Italia ha una posizione di rilievo nel settore caseario europeo, rappresenta il maggior produttore di formaggi a denominazione di origine protetta. Ogni anno, nel Paese, si producono 11 milioni di tonnellate di latte vaccino, 500 mila tonnellate di latte di pecora, oltre 200 mila di latte di bufala e 60 mila di latte caprino. Ma, anche se queste cifre sono alte, il consumo sta calando. Una diminuzione che va rintracciata soprattutto nel calo della natalità. Ma anche nella diffusione di fake news sul cosiddetto “oro bianco“. Una delle più radicate è che nel latte ci siano sostanze inquinanti. Ma tutte le fasi di produzione sono sottoposte a controllo. L’uso di ormoni, inoltre, è vietato in Italia e in tutta Europa. La qualità del latte dipende molto dalla derivazione: diventa poco sicura per l’organismo se arriva da un allevamento intensivo e se gli animali vengono nutriti con Ogm.

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E ora Greta Thunberg viaggerebbe pure nel tempo

Una fotografia del 1898 ritrae una ragazzina molto simile alla 16enne svedese. Lo scatto ha generato teorie cospirazioniste sull’attivista. Che, in realtà, arriverebbe dal passato.

Dopo la versione «Greta finanziata da Soros» e quella «Greta bambina manovrata dai potenti» è arrivato l’ultimo complotto che vede protagonista l’attivista ecologista impegnata a scuotere le coscienze ambientaliste a suon di Fridays For Future. È quella di «Greta viaggiatrice nel tempo».

Alla base della teoria cospirazionista su Greta Thunberg, secondo il Daily Mail, è una fotografia sbucata dagli archivi dell’University of Washington Libraries in cui è immortalata una bambina di 121 anni fa intenta a lavorare in una miniera d’oro, nello Yukon, in Canada. Gli occhietti vispi e due lunghe trecce a fare da contorno hanno subito rimandato al volto che da mesi è divenuto il simbolo della lotta a difesa del Pianeta. Un viso che, a settembre 2019, è arrivato fino al summit sul clima di New York. E che, si scopre ora, potrebbe addirittura appartenere a un’altra epoca.

SUI SOCIAL C’È CHI LANCIA LA TEORIA DI GRETA GIUNTA DAL PASSATO

«Questa foto non può che convincervi. Greta Thunberg viaggia nel tempo!», ha commentato qualche utente su Twitter, postando l’immagine in bianco e nero dove la sosia dell’attivista svedese appare in un campo, in compagnia di altri due ragazzini. E ancora. «Greta è arrivata dal passato fino a noi per salvarci». Tra il serio e il faceto, la teoria cospirazionista sta rimbalzando sui social, tratteggiando un’attivista svedese addirittura in grado di riavvolgere il nastro del tempo. Per curare l’emergenza climatica del caso (e del secolo).

L’ATTIVISTA IN VIAGGIO VERSO IL VERTICE SUL CLIMA DI MADRID

Sono in tanti gli animi rimasti affascinati dalla fotografia, scattata da Eric A. Hegg. Ma, per il momento, ancora nessuna replica da parte dell’attivista svedese. Per qualcuno, chissà, potrebbe essere troppo impegnata a fare le valigie per cavalcare i secoli e raggiungere la prossima crisi climatica. Più verosimilmente, però, Greta è diretta a Madrid, dove spera di prendere parte alla Cop25, la conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici del 2019 che si tiene nella capitale spagnola dal 2 al 13 dicembre. Sta attraversando l’Atlantico insieme con due YouTuber australiani Riley Whitelum e Alayna Carausu, che le hanno dato uno strappo a bordo del loro catamarano di nome Le Vagabonde. A emissioni zero, ça va sans dire.

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E ora Greta Thunberg viaggerebbe pure nel tempo

Una fotografia del 1898 ritrae una ragazzina molto simile alla 16enne svedese. Lo scatto ha generato teorie cospirazioniste sull’attivista. Che, in realtà, arriverebbe dal passato.

Dopo la versione «Greta finanziata da Soros» e quella «Greta bambina manovrata dai potenti» è arrivato l’ultimo complotto che vede protagonista l’attivista ecologista impegnata a scuotere le coscienze ambientaliste a suon di Fridays For Future. È quella di «Greta viaggiatrice nel tempo».

Alla base della teoria cospirazionista su Greta Thunberg, secondo il Daily Mail, è una fotografia sbucata dagli archivi dell’University of Washington Libraries in cui è immortalata una bambina di 121 anni fa intenta a lavorare in una miniera d’oro, nello Yukon, in Canada. Gli occhietti vispi e due lunghe trecce a fare da contorno hanno subito rimandato al volto che da mesi è divenuto il simbolo della lotta a difesa del Pianeta. Un viso che, a settembre 2019, è arrivato fino al summit sul clima di New York. E che, si scopre ora, potrebbe addirittura appartenere a un’altra epoca.

SUI SOCIAL C’È CHI LANCIA LA TEORIA DI GRETA GIUNTA DAL PASSATO

«Questa foto non può che convincervi. Greta Thunberg viaggia nel tempo!», ha commentato qualche utente su Twitter, postando l’immagine in bianco e nero dove la sosia dell’attivista svedese appare in un campo, in compagnia di altri due ragazzini. E ancora. «Greta è arrivata dal passato fino a noi per salvarci». Tra il serio e il faceto, la teoria cospirazionista sta rimbalzando sui social, tratteggiando un’attivista svedese addirittura in grado di riavvolgere il nastro del tempo. Per curare l’emergenza climatica del caso (e del secolo).

L’ATTIVISTA IN VIAGGIO VERSO IL VERTICE SUL CLIMA DI MADRID

Sono in tanti gli animi rimasti affascinati dalla fotografia, scattata da Eric A. Hegg. Ma, per il momento, ancora nessuna replica da parte dell’attivista svedese. Per qualcuno, chissà, potrebbe essere troppo impegnata a fare le valigie per cavalcare i secoli e raggiungere la prossima crisi climatica. Più verosimilmente, però, Greta è diretta a Madrid, dove spera di prendere parte alla Cop25, la conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici del 2019 che si tiene nella capitale spagnola dal 2 al 13 dicembre. Sta attraversando l’Atlantico insieme con due YouTuber australiani Riley Whitelum e Alayna Carausu, che le hanno dato uno strappo a bordo del loro catamarano di nome Le Vagabonde. A emissioni zero, ça va sans dire.

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