«Non è un movimento di estrema destra, ad esempio io penso che la vittoria di Milei sia un problema grave per il popolo argentino e critico molto il governo Netanyahu». Così Gianni Alemanno durante una conferenza alla Camera parla del Forum per l’Indipendenza. «Di fronte al governo più atlantista della storia, che ci fa rimpiangere Craxi e Fanfani, bisogna uscire dalle definizioni di destra e sinistra e mettere al centro l’indipendenza dell’Italia, superare il dogma del neoliberismo e rimettere al centro il sociale. Partiamo dalla destra sociale e facciamo uno sforzo all’insegna del dialogo con tutte le forze antisistema», ha continuato Alemanno dando appuntamento all’assemblea di fondazione del soggetto politico, sabato 25 e domenica 26 novembre al Midas Palace Hotel.
Su cosa punterà il nuovo soggetto politico
Il nuovo soggetto politico punterà anche a partecipare alle future tornate elettorali, ma non si sa se già alle prossime europee. «Da quando è nata l’idea di questo movimento sono stato prima associato a Pillon, poi dovevo per forza fare un partito con Vannacci, ora devo fare per forza un partito con Marco Rizzo. In realtà ci sarà una tavola rotonda per confrontarci. Con Rizzo abbiamo raccolto le firme per il referendum per bloccare l’invio di armi in Ucraina e ci sono delle convergenze importanti. Ci sarà questo confronto, poi vedremo cosa uscirà fuori».
A seguito del terribile epilogo della storia di Giulia Cecchettin, 22enne uccisa dall’ex fidanzato e ritrovata nei pressi del Lago Barcis sabato 18 novembre 2023, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha individuato un nuovo piano da attuare nelle scuole. L’idea del ministro è quella di introdurre un’ora di «educazione alle relazioni» negli istituti superiori, aggiunta come attività extracurricolare con una durata di tre mesi all’anno e un’ora in più in classe.
Le nuove linee guida del ministero per la scuola
Si tratta di 12 incontri in totale, durante i quali gli studenti sono disposti in cerchio, divisi in gruppi dedicati alla «discussione e autoconsapevolezza». Al centro un docente che funge da moderatore, occasionalmente supportato da psicologi, avvocati, assistenti sociali e organizzazioni impegnate nella lotta contro la violenza di genere. La partecipazione di testimonial vicini ai giovani, come influencer, cantanti e attori, completa l’approccio educativo.
Il piano del ministro Valditara: «No è no»
Il progetto si fonda su dei concetti fondamentali: «un no è un no», «un vestito non è un invito», «le parole sono pietre», «innamorata da morire è un modo di dire», «non rinunciare a denunciare» e così via. Ha spiegato il ministro che «La scuola deve educare a sentire l’altro, all’empatia, alla cultura del rispetto, superando il pregiudizio, la cultura maschilista, la discriminazione, la prepotenza. Questo e altro sta alla base del mio progetto Educare alle relazioni».
Oltre al consigliere regionale veneto Stefano Valdegamberi, un altro esponente della Lega è stato travolto dalle polemiche dopo alcune frasi sul caso del femminicidio di Giulia Cecchettin. Si tratta della deputata Simonetta Matone, ex magistrata e ora parlamentare del Carroccio, invitata a partecipare alla trasmissione Domenica In. Ed è stato lì che nel pomeriggio del 19 novembre ha pronunciato parole che ora hanno vengono rilanciate sui social. Matone ha infatti dichiarato: «Io non ho mai incontrato soggetti gravemente maltrattati e gravemente disturbati che avessero però delle mamme normali».
Matone: «I maltrattamenti sono una catena di Sant’Antonio»
La deputata, parlando con la conduttrice Mara Venier, ha spiegato il proprio punto di vista: «In tutti i casi di maltrattamenti gravissimi di cui mi sono occupata nella mia purtroppo lunghissima attività professionale il soggetto era il classico maschio italico, così lo definisco nella peggiore accezione, frutto e figlio di una madre italica. Cosa voglio dire. Che sono archetipi che si perpetrano attraverso l’educazione, l’esempio, il perdonargliele tutte, il pensare che quella ossessione sia amore. Io non voglio crocifiggere questa povera donna che sarà distrutta, però il problema è quello. Io non ho mai incontrato soggetti gravemente maltrattati e gravemente disturbati che avessero però delle mamme normali. Non le avevano. Vuol dire prendere le botte dal padre e non reagire, far vivere il figlio in un clima di terrore e violenza e fargli credere che tutto questo è normale, non ribellarsi mai, subire ricatti di tutti i generi e imporre questo modello familiare al proprio figlio che lo perpetrerà. Perché i maltrattamenti sono una catena di Sant’Antonio. Non è questo il caso, però anche qui nessuno ha intercettato i segnali».
Bonelli contro Matone e la Rai:
La leghista è stata criticata da molti utenti sui social e anche da colleghi in ambito politico. Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avs, ha commentato su Facebook: «Occuparsi di femminicidio non è di destra e né di sinistra dice Mara Venier oggi a Domenica In ma a parlarne invitano 2 deputate di dx: Dalla Chiesa e Matone. La Matone, Lega, dice che i colpevoli di femminicidio avevano sempre modelli materni diseducativi e non avevano mamme normali ! Donne che avevano mariti che le picchiavano e non si ribellavano, per esempio. Quindi il modello diseducativo, per i figli assassini era la madre che subiva, non l’uomo che picchiava. Questa è la Rai del pluralismo e del contratto di servizio contro la violenza di genere?». Tra gli altri, ha commentato anche la giornalista Selvaggia Lucarelli: «Colpa nostra. Delle madri. Il padre picchiatore invece un modello».
Colpa nostra. Delle madri. Il padre picchiatore invece un modello. (Simonetta Matone, ex magistrata, oggi nella Lega) pic.twitter.com/TyxTTaTtGT
La carne coltivata può piacere o meno, ma di sicuro bisognerebbe coltivare meglio i modi. Lo scontro di piazza tra il focoso presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, e i deputati di +Europa, Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi, segnala che la situazione è un po’ sfuggita di mano. Perché se in democrazia e nelle istituzioni la forma è sostanza, non è edificante vedere dei qualificati rappresentanti politici e dei corpi economici intermedi accapigliarsi proprio davanti a Palazzo Chigi come adolescenti di borgata. Ora capiremo che ne sarà della denuncia inoltrata da Della Vedova e Magi al commissariato di Polizia di Montecitorio, ma di certo Prandini, un po’ in imbarazzo nel ricostruire i fatti, ha prima toccato vette di surrealtà situazionista e poi ha corretto il tiro in modo alquanto pasticciato.
Carne coltivata, rissa sfiorata davanti Palazzo Chigi tra i deputati di #PiùEuropa Riccardo #Magi e Benedetto #DellaVedova e il presidente di Coldiretti Ettore Prandini. I due parlamentari erano lì per manifestare contro il provvedimento che introduce il divieto di carne… pic.twitter.com/ksQKlXFYTv
Siamo infatti partiti con un «non c’è stata alcuna aggressione, solo una piccola spinta nell’allontanarlo», riferito a Della Vedova. E allora, volendo seguire il ragionamento dell’imprenditore agricolo, quale è la soglia di intensità entro la quale una spinta si può definire «piccola»? Poi siamo passati a un accenno di velata autocritica, parlando al Messaggero: «Certo, avrei potuto agire diversamente». Salvo infine negare qualunque contatto fisico con il parlamentare d’area radicale: «Come dimostrano le immagini, al di là di quello che è stato raccontato si è limitato tutto a un confronto verbale acceso. Come abbiamo sempre detto, nessuno ha alzato le mani». In ogni caso, all’ombra della Colonna Antonina, mentre a Montecitorio si approvava il ddl che vieta di produrre la carne cosiddetta “sintetica”, c’erano due manifestazioni contrapposte sul tema, a poche decine di metri l’una dall’altra. E Prandini non ha negato di essere andato lui incontro ai parlamentari di +Europa per uno scambio ravvicinato, giustificando il proprio atteggiamento con la natura dei cartelli «offensivi» sventolati dagli oppositori del partito liberal-centrista.
L’asse tra Coldiretti e Fratelli d’Italia da cui proviene Borriello, capo di gabinetto di Lollobrigida
Dopo l’alterco, la maggioranza ha fatto quadrato attorno a lui e le opposizioni gli hanno del «bullo», del «fascista», dello «squadrista». Magi ha usato il fioretto: «Coltivatore di teppismo». Qualcuno ha osservato che il suo è l’atteggiamento di chi si fa forte in ragione della sponda politica del governo. «Prandini si è sentito legittimato ad aggredire nel momento del suo massimo potere visto che alla fine la Camera ha approvato il ddl», ha chiosato Della Vedova. E in effetti in piazza si è sentito un boato da stadio da parte degli agricoltori di Coldiretti quando si è saputo che la legge era passata. D’altronde la sigla, che dichiara 1,6 milioni di associati, è filogovernativa da sempre, ma adesso appare più influente e ascoltata che mai. Da Fratelli d’Italia in particolare e di rimando dall’esecutivo: la stessa premier Giorgia Meloni è stata il primo capo del governo a visitare il villaggio Coldiretti di Milano. Per non parlare del cognato d’Italia che guida il dicastero dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida: in nome della difesa della “sovranità alimentare” il ministero ha pure cambiato nome e l’attuale capo di gabinetto, Raffaele Borriello, viene dalle fila dell’associazione. Prandini e i suoi hanno vinto la battaglia contro la carne coltivata, ma fanno sentire il loro peso anche su altri dossier: dalle quote di migranti regolari per il lavoro agricolo ai biocarburanti, fino alla pesca a strascico, giusto per fare qualche esempio. Tanto che l’altro giorno lo stesso Lollobrigida ha dapprima condannato la “prodezza” del numero uno di Coldiretti, ma poi ha aggiustato un po’ il tiro: «Nessuna violenza, ha difeso gli agricoltori».
Figlio di un ex ministro Dc, Prandini è in Coldiretti dal 2006 e ora qualcuno lo dà candidato alle Europee (ma lui smentisce)
E pensare che una volta l’associazione giallo-verde faceva capo alla Democrazia cristiana. Dopotutto Prandini è figlio di cotanto padre: Giovanni, ex ministro scudocrociato della Marina mercantile e soprattutto dei Lavori pubblici, finito nel tritacarne di Tangentopoli e poi prosciolto. Ettore invece ha 51 anni, tre figli, è bresciano di Leno, una laurea in giurisprudenza e fa l’imprenditore agricolo a Lonato del Garda, dove è stato assessore comunale per 10 anni in una Giunta di centrodestra. Lo avevano dato come probabile ministro dell’Agricoltura quando nacque l’esecutivo Meloni. Adesso qualcuno lo dà come possibile candidato alle Europee, ma lui smentisce tutto e dice di voler continuare a guidare l’associazione, magari per un altro mandato. Il suo percorso inizia nel 2006 al comando di Coldiretti Brescia. Sei anni dopo prende le redini della sigla nell’intera Lombardia. E dopo altri sei anni, nel 2018, ecco lo scettro a livello nazionale. Una sua foto in pullover scuro, a braccia conserte, spicca sulla home page dell’azienda vitivinicola Perla del Garda, che produce Vini Garda, Valtenesi e Lugana Dop, avviata nel 2006 con la sorella Giovanna. Ma Prandini è pure presidente dell’Osservatorio Agromafie e guida il Cda dell’Istituto sperimentale italiano Lazzaro Spallanzani.
La battaglia dell’associazione contro la carne sintetica e le presunte lobby
Lui dice di voler tutelare la qualità, la sicurezza alimentare e l’italianità contro l’assalto delle perfide multinazionali. Una visione in cui spesso è sottilissimo il confine tra realtà e complottismo naïf. Ma tant’è: anche sul tema della carne coltivata Coldiretti denuncia le pressioni della piovra internazionale, della lobby globale del profitto, una sorta di grande macchinazione dei “signori della carne”, che quindi, celiando, potremmo definire “demo-pluto-sarco-massonica”. Restando sul centrodestra a trazione agricola viene in mente che «è l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende». E però la citazione del Duce sembra onestamente sproporzionata: dopotutto il fattaccio dell’altro giorno si è verificato sotto il balcone di Palazzo Chigi, mica sul balcone di Palazzo Venezia.
Leone d’Oro per meriti letterari al generale Roberto Vannacci. Possibile? Sì, ma «il prestigioso premio a livello mondiale» non c’entra nulla con la Biennale di Venezia, di mezzo c’è il presidente del Leone d’Oro per la Pace che risponde al nome di Mario Baccini, sindaco di Fiumicino e già sottosegretario al ministero degli Affari esteri ex Udc. Vannacci comunque con il suo Il mondo al contrario ha segnato il record di vendite, e di incassi. Sui meriti letterari le opinioni sono discordanti: comunque l’evento si svolgerà venerdì prossimo, 24 novembre, a Roma a Palazzo Giustiniani, nella sala Zuccari.
Pirelli, rissa per partecipare alla festa del celebre calendario
Sono tanti i giornalisti che attendono la fine dell’anno sperando di partecipare alla festa Pirelli per il calendario, ricco di immagini di top model e scenari da favola. E così anche nel 2023 si ripetono scene già viste: quando il direttore di un giornale, di un settimanale o di un mensile, ma ci sono anche i siti internet, declina l’invito mettendo in palio il viaggio premio, quest’anno in programma il 30 novembre a Londra, si scatena l’inferno. C’è chi racconta di grandi firme che arrivano quasi alla rissa per contendersi il prezioso “tour delle gomme”.
Tra il ministro Sangiuliano e Sgarbi, Borgonzoni gode
«Gli altri fanno i ministri, io faccio Sgarbi»: il sottosegretario non smette di polemizzare con Gennaro Sangiuliano, anzi. E pure all’esposizione genovese dedicata ad Artemisia Gentileschi attacca il titolare del dicastero della Cultura: «In questa mostra così importante il ministro non c’è, era distratto», ha dichiarato Sgarbi. Intanto, tra i due litiganti, come recita il detto popolare, il terzo gode. Di chi si tratta? Della sottosegretaria con delega al cinema Lucia Borgonzoni. Che nel caos ministeriale ha scelto da alcune settimane di adottare un bassissimo profilo. Tanto il festival di Venezia e la kermesse romana per il cinema sono ormai state messe in archivio.
Rai, Radio 1 contro Giorgia Meloni
Alla Rai succede di tutto: nella tarda mattinata di venerdì 17 novembre, RaiNews24 ha mandato in onda in diretta da Zagabria la conferenza stampa di Giorgia Meloni. Negli stessi minuti, su Radio 1, Francesco Storace e Vladimir Luxuria nella trasmissione Il rosso e il nero intervistavano Gianni Alemanno che “sparava” contro Meloni, accusandola di ogni male. A viale Mazzini ad alcuni è andato di traverso il caffè. Nero bollente, ovviamente. E lunedì si tiene la conferenza alla Camera dei Deputati di Alemanno, per presentare il suo nuovo movimento politico.
Caltagirone e la guerra contro i tram
A Roma c’è una guerra in corso, quella contro i tram: a guidarla è l’ingegner Francesco Gaetano Caltagirone, con Il Messaggero in prima linea contro il progetto comunale di mettere i binari a via Nazionale. Gli schieramenti sono chiari: se il quotidiano di via del Tritone ogni giorno spara contro il tram, facendo parlare commercianti, sacerdoti e personaggi di qualsiasi tipo, dall’altra parte la Repubblica si schiera a favore, con in testa il genero di Giulio Andreotti, Marco Ravaglioli, presidente di Per Roma, che insieme all’assessore alla Mobilità Eugenio Patané promuove seminari e incontri per promuovere «un sistema di trasporto pubblico moderno, efficiente e sostenibile». E il Corriere della Sera da che parte sta? Nella pagina romana delle lettere è apparsa una missiva, senza firma, intitolata Basta coi tram, accusando il mezzo di trasporto di essere ormai inadeguato «in un mondo che oggi corre e si evolve con grande velocità sicuramente superiore a quello di un tram».
Il governatore lombardo Attilio Fontana «dovrebbe preoccuparsi anche un po’ dei suoi problemi perché i cittadini lombardi sono furiosi per le liste d’attesa della sanità e questo mi sembra un problema anche più grave» della sicurezza «perché tocca tutti». Lo ha detto il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, a margine dell’inaugurazione dell’anno accademico del Politecnico, replicando ai commenti dei giorni precedenti del presidente della Regione sul tema sicurezza a Milano.
Le accuse di Sala
«Non c’è una persona che incontro che non manifesti rabbia per il fatto che ormai se non vai attraverso il privato le visite e gli esami te li scordi», ha proseguito. E ancora: «Ogni tanto qualcuno può anche fare l’ammissione che questo tema è in grande parte in mano al governo, ma quando fa comodo si dice e quando non fa comodo invece la colpa è di Sala».
La risposta di Fontana
«Non c’è motivo di attaccarmi, Sala dovrebbe leggere i giornali e rendersi conto che il problema della sanità non è lombardo ma italiano. Sulla sanità ci stiamo già pensando, Sala stia tranquillo», ha replicato il governatore lombardo Attilio Fontana. E ancora: «Io non ho mai attaccato Sala» sulla sicurezza, «ho detto che bisogna riconoscere che il problema esiste e dobbiamo guardarlo e affrontarlo con determinazione», ha aggiunto a margine della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico del Politecnico di Milano.
Si è consumato sui social un dibattito acceso tra Arianna Meloni e la deputata del Movimento 5 stelle Vittoria Baldino, la quale si è rivolta alla sorella della premier chiedendosi se in politica conti più il merito o “l’essere parenti di”. Una frecciata a cui Arianna Meloni ha risposto senza mezzi termini, accusando Baldino di essere diventata parlamentare «senza aver dimostrato di avere un consenso personale e senza avere alle spalle una particolare militanza», e ricordandole le assunzioni di amici fatte dal M5s quando era al governo.
Le nomine dei parenti dei componenti del governo
«Altro che rivoluzione del merito, c’è un limite alla decenza!», ha scritto la deputata M5s su Facebook, in un post in cui riportava un elenco dei parenti dei componenti del governo assunti o promossi da quando Fratelli d’Italia è al governo: la stessa Arianna Meloni, capo segretaria di FdI, Francesco Lollobrigida (cognato della premier) ministro dell’Agricoltura, poi Marta Giorgetti (figlia del ministro Giancarlo Giorgetti) assunta alla Figc, Filippo Tajani (figlio del ministro Antonio Tajani) anche lui assunto alla Figc, Geronimo La Russa (figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa) assunto nel cda del teatro Piccolo di Milano per nomina dal ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, e Lorenzo La Russa (altro figlio di Ignazio La Russa) nominato nel comitato organizzatore delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina.
Arianna Meloni: «Quanti compagni di scuola di Di Maio erano assunti nella società partecipate?»
Non si è fatta attendere la dura risposta di Arianna Meloni, che su Instagram ha scritto: «Gentile “onorevole”, comprendo la necessità di farsi notare nella speranza di una nuova candidatura “blindata” nella prossima legislatura, ma quando si diventa parlamentari senza aver dimostrato di avere un consenso personale e senza avere alle spalle una particolare militanza, si farebbe almeno bene a non giudicare la storia di chi, pur avendo quella militanza politica alle spalle, a differenza sua non percepisce uno stipendio da 10 mila euro al mese pagato dai cittadini». Mentre sulla nomina del marito a ministro dell’Agricoltura: «Non aggiungo nulla per quello che riguarda Lollobrigida perché mi pare lei lo conosca, essendo un suo collega, e sono certa che al di là delle dichiarazioni di maniera abbia avuto occasione di valutare se meriti o meno di essere al suo posto. Se vuole, invece, possiamo parlare delle decine di articoli di stampa che, negli anni del governo del “partito dell’onestà”, ricordavano quanti compagni di scuola dell’allora ministro Di Maio erano stati assunti nelle società partecipate dallo Stato».
Non è tardata ad arrivare la controreplica di Baldino, che in una dichiarazione a Il Fatto Quotidiano ha detto: «Siamo alla difesa corporativa del familismo. Visto che lei ne fa una questione di soldi, potrei dire che finora ho restituito circa 150 mila euro della mia indennità. Ma se il tema è questo, Arianna Meloni ci potrebbe parlare di come la sorella viva da quasi 20 anni pagata dagli italiani. O magari ci parli di suo marito. Mi sembra si sia innervosita, ma io non sono mai stata nominata da nessuna parte da mia sorella. Quello che ho, ho dovuto guadagnarmelo e lei della mia militanza non sa nulla».
Destino cinico e baro. Era un momento di bonaccia, tutti alle prese con i propri guai, la politica col premierato e relativi litigi, la finanza con la partita Tim di cui ancora non si riesce a scrivere il finale, fatto sta che di Cdp si erano dimenticati un po’ tutti. Compreso il suo amministratore delegato, quel Dario Scannapieco che sta tenendo un profilo bassissimo, e che nell’ultima uscita pubblica veniva ritratto mestamente accoccolato all’ombra della mole larger than life di Fabrizio Palenzona, vecchia volpe che ha attraversato indenne molte ere geologiche dell’italica finanza. E sul quale forse il banchiere ex Bei punta per prolungare la sua permanenza alla guida della Cassa, pur sapendo che se te lo ritrovi in casa anche se presidente non tocchi più palla.
Un articolo censurato internamente ma rimbalzato su siti e social
Questo è il momento buono, devono aver pensato in via Goito, per piazzare una paccata di miliardi di obbligazioni con tanto di relativa sontuosa campagna pubblicitaria, che oltretutto sarebbe venuta buona nel momento in cui i giornali avrebbero ricominciato a occuparsi di Cassa depositi e prestiti che, assieme a Ferrovie, costituisce il boccone più ghiotto delle nomine di aprile 2024. Invece ci ha pensato il Foglio di sabato 18 novembre a rovinare il fine settimana di Scannapieco e co., con un articolo sapientemente perfido, che l’affollato ufficio comunicazione (sono più di 60 persone, un paradosso per una gestione che all’inizio del suo mandato teorizzava il fatto che Cassa non dovesse comunicare) ha pensato bene di rimuovere dalla rassegna stampa interna, ignaro del fatto – imperdonabile errore di valutazione – che ci avrebbero pensato siti e social, anche quelli ironia della sorte beneficiati dai suoi investimenti pubblicitari, a farlo rimbalzare ovunque mostrando l’inutilità della grottesca censura.
Palazzo Chigi, Mef e le Fondazioni vogliono mettere il becco su Cdp
Così sono stati riportati al centro della scena i destini dell’ente che dovrebbe essere il perno della politica industriale dei governi. Ossia l’ineludibile scadenza di primavera, dove le rondini del potere vorrebbero nidificare, in una sfida che si preannuncia sapida e intricata. Perché sugli assetti di Cdp sono in tanti a mettere becco: Palazzo Chigi, Mef, le Fondazioni, e tutte con idee e uomini alcuni in cerca d’autore, altri invischiati in una matassa di relazioni che sovente cozzano tra di loro. Scannapieco in questi mesi ha cercato in tutti i modi di ingraziarsi Giorgia Meloni intrecciando solide relazioni con Giovanbattista Fazzolari, spugna per gli amici, uno che da sempre tiene il posto fisso nel suo cuore. Non importa che la vicenda Tim e la decisione di vendere la rete agli americani di Kkr se la sia gestita il capo di gabinetto Gaetano Caputi senza che Cdp venisse filata di pezza.
Al Tesoro piace Turicchi, occhio però anche al banchiere Daffina
Invece il ministero dell’Economia, cui spetta la nomina dell’ad e che vede l’attuale numero uno come Superman la criptonite, punta le sue carte su Antonino Turicchi, sempre che si riesca a risolvere per tempo la sfinente vicenda Ita, di cui è presidente, che somiglia alla tela d Penelope, con l’Antitrust di Bruxelles impegnato a disfare di notte ciò che le controparti intessono di giorno. Ma la lista dei pretendenti è molto più lunga: c’è anche Alessandro Daffina, banchiere Rothschild e cuore a destra fin dai tempi della sua giovinezza (suo fratello Antonio, attivista della sezione Parioli del Fronte della Gioventù, eseguì l’autopsia sul corpo di Nanni De Angelis, figura di riferimento nel pantheon meloniano, ucciso dalla polizia).
E buone possibilità ha pure Stefano Donnarumma, il più gettonato per le nomine di aprile 2023, alla fine rimasto inopinatamente a bocca asciutta. Non gli hanno dato Enel, come si pensava, e gli hanno tolto anche Terna dove stava, dovendo fare tassativamente posto a un’amica della sorella della premier.
Ce n’è abbastanza per capire che la partita sui vertici di Cassa sarà l’ennesimo capitolo della rivalità tra Fratelli d’Italia e Lega, che tra l’altro arriverà a maturazione alla vigilia delle elezioni europee, quindi con i due partiti impegnati a darsele di santa ragione. Scannapieco, che ha subito il peggior scorno che può toccare a una manager pubblico, cioè essere nominato da un governo e poi dover fare i conti con un altro, confida di essere stato annesso nel novero della ristretta cerchia meloniana: dio patria famiglia, ma anche famigli. I dirigenti di Cassa non la pensano così e già stanno cercando di riposizionarsi altrove sconfessando in parole e azioni il loro attuale dante causa. Onestamente, non ce la sentiamo di dar loro torto.
Per la legge di Bilancio 2024 è tempo di affrontare il test del Parlamento. La scadenza per depositare gli emendamenti è fissata per martedì 21 novembre, prima prova per la maggioranza e l’accordo di non presentare modifiche. Non significa che la manovra non cambierà, a partire proprio dal capitolo più caldo delle pensioni per alcune categorie di dipendenti pubblici, fra cui i medici, su cui il governo sta ancora lavorando. Anche gli affitti brevi sono in cima alla lista, mentre sale il pressing bipartisan sul rafforzamento del bonus psicologo.
Tajani: «Credo sulle pensioni si possa aggiustare qualcosa»
Il vincolo delle modifiche possibili solo a saldi invariati resta, ma lo spazio per evitare grossi tagli agli assegni previdenziali nel pubblico per colpa del ricalcolo si troverà, anche se dovesse essere solo temporaneo, cioè limitato al prossimo anno. Così il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani sul tema: «La manovra in Parlamento si può migliorare sicuramente, credo che sulla questione delle pensioni si possa aggiustare qualcosa per impedire che medici e infermieri lascino il lavoro per andare in pensione anticipatamente».
La soluzione verso cui si starebbe convergendo è limitare il pesante ricalcolo solo a chi andrà in pensione anticipata grazie al metodo contributivo, salvando chi va via avendo raggiunto l’età massima. L’ipotesi è però legata al nodo delle coperture: per garantire gli stessi risparmi della stretta in manovra (dagli 11,5 milioni netti nel 2024 ai 2,27 miliardi del 2043), la caccia alle risorse è ad ampio raggio e tra le ipotesi ci sarebbe anche un nuovo taglio all’indicizzazione delle pensioni più ricche (oltre 10 volte il minimo).
L’aumento della cedolare secca solo per i secondi immobili affittati
Sugli affitti brevi l’accordo in maggioranza, da trasferire nelle modifiche alla Manovra, prevede che la cedolare secca sulla prima casa messa a frutto rimanga al 21 per cento, e salga al 26 per cento solo dal secondo appartamento affittato. Sempre dagli azzurri c’è anche un altro emendamento per rafforzare con 40 milioni di euro il bonuspsicologo, un tema su cui insiste anche il Pd.
Non è ancora nato formalmente (la data prevista è quella tra il 25 e il 26 novembre) e già la nuova creatura politica promossa dall’inedito duo Gianni Alemanno e Marco Rizzo, costituita per concorrere alle elezioni europee 2024, fa piuttosto scalpore. Creato per occupare uno spazio ben preciso, quello del dissenso – a destra – nei confronti della svolta filo-europea e filo-americana di Giorgia Meloni e – a sinistra – nei confronti della svolta «fucsia e radical chic» (copyright dello stesso Rizzo) del Partito democratico di Elly Schlein, il nuovo movimento, denominato Indipendenza italiana, non rappresenta però, in questo senso, del tutto una novità: la formula del “terzaforzismo” ha avuto, negli anni, svariate concretizzazioni, basti pensare al “movimentismo” trasversale che ha partorito i vari No Tav, No Gronda, No trivelle, No vax, per non parlare, più in generale, del fenomeno No global, che mischiano attivismo di sinistra e rivendicazioni in qualche modo “sovraniste” sul “diritto dei popoli”.
Croce celtica, falce e martello
Per restare in Italia, possiamo dire che il terzaforzismo ha colto anche qualche successo, come nel caso del Movimento 5 stelle delle origini, presentatisi sul palcoscenico politico come soggetto «oltre la destra e la sinistra». Niente a che vedere, tuttavia, con Indipendenza italiana, in cui cercano di fondersi due culture antitetiche: quella della destra (sociale) nuda e pura, incarnata dal rautiano di ferro Gianni Alemanno, ma anche da altri esponenti della tradizione più ortodossa, come Fabio Granata e Francesco Toscano, e quella del comunismo irriducibile di Rizzo, presidente onorario del Partito comunista italiano. Non per caso, qualcuno ha parlato di «incontro tra croce celtica e falce e martello». Un incontro che dovrebbe trovare una sintesi nella contrapposizione al nemico comune: il modello neo-liberista «che sta distruggendo le società europee» (Alemanno) e riducendo l’Italia «a colonia americana» (Rizzo).
Il rossobrunismo ai tempi della Repubblica di Weimar
Per qualificare lo strano coacervo di Indipendenza italiana, si è fatto ricorso al termine di rossobrunismo, richiamando, forse in modo un po’ esagerato, la tradizione del cosiddetto nazionalcomunismo, che affonda le radici nei primi del 900 e che, nel tempo, ha assunto caratteristiche articolate e variegate. Col termine nazionalcomunismo si definisce una corrente politica e ideologica che nasce in Germania all’epoca della Repubblica di Weimar, nei primi Anni 20, mentre il Paese stava attraversando un periodo di grandi difficoltà per le durissime condizioni economiche, politiche, militari e territoriali imposte dal Trattato di Versailles.
Lenin bollò l’iniziativa come «madornale assurdità»
A promuovere questa corrente furono due politici socialdemocratici Heinrich Laufenberg e Friedrich Wolffheim, che lanciarono l’ipotesi di un’alleanza con la Russia bolscevica per riaprire il conflitto contro il capitalismo internazionale, reo, secondo loro, di puntare alla cancellazione del popolo tedesco con la complicità della socialdemocrazia, che si era fatta garante nei confronti del nemico. Bollata dallo stesso Lenin come «madornale assurdità», l’iniziativa dei due politici tedeschi – presto isolati anche all’interno del movimento operaio tedesco – crollò presto miseramente.
La grande crisi del ’29 rilanciò la critica al capitalismo
Il nazionalcomunismo riprese vigore con la crisi economica a cavallo del 1929 e 1930. Figura fondamentale in questa fase fu quella di Ernst Niekisch, già socialdemocratico, tra i fondatori della Repubblica sovietica bavarese (1919), ma in stretti rapporti con i principali esponenti della cosiddetta Rivoluzione conservatrice e persino con i vertici del neonato Nsdap (il nucleo originale del partito nazionalsocialista) Strasser e Goebbels. Fu in questo “miscuglio” di frequentazioni e ambienti che sviluppò la sua critica del capitalismo come sistema votato unicamente all’utile a scapito delle classi lavoratrici, e propose di organizzare una resistenza contro i nemici della volontà statale dei tedeschi, e cioè «la democrazia parlamentare e il liberalismo, il modo di vivere francese e l’americanismo», pienamente “accettati” da Weimar.
Con l’ascesa del nazismo il progetto svanì
Bisognava lottare per «l’indipendenza e la libertà della Germania, la più alta valorizzazione dello Stato, il recupero di tutti i tedeschi che si trovavano sotto il dominio straniero». Niekisch riteneva che il proletariato fosse il soggetto più legittimato a condurre questa resistenza, e la Russia di Stalin l’alleato naturale. Inutile dire che con l’ascesa del nazismo anche il progetto nazionalcomunista del politico e scrittore tedesco svanì.
Jean Thiriart e il movimento transnazionale Jeune Europe
Il progetto nazionalcomunista conobbe una rifioritura negli Anni 60 del secolo scorso grazie al belga Jean Thiriart (ex Waffen Ss) e al suo movimento transnazionale Jeune Europe, con sezioni in Belgio, Francia, Germania, Portogallo e collegamenti in Sud America e Australia. A Thiriart, socialista anti-marxista, si devono molte “intuizioni” e persino molte parole d’ordine fatte proprie da molti movimenti politici della destra radicale (a cominciare dalla Nouvelle Droite francese) e ancora oggi in voga, da «Europa Nazione», il cui simbolo era la croce celtica, a «Europa impero di 400 milioni di uomini», dal concetto di Eurasia come «Impero Euro-sovietico da Vladivostok a Dublino» alla identificazione degli Usa come nemico principale dell’Europa, dalla definizione di Mondialismo come «nuovo ordine mondiale» da combattere senza riserve alla promozione costante dell’uscita dell’Europa dalla Nato.
In Italia, una delle piazze più importanti dell’internazionale nera dell’epoca, Jeune Europe si costituì come Giovane Europa, da cui nacque, nel 1969, Lotta di popolo, attiva fino al 1973, i cui aderenti (tra cui figuravano non poche figure legate a Gladio e ai Servizi segreti) venivano definiti nazi-maoisti.
Freda e Terracciano, tra comunismo aristocratico ed Eurasia nazionalcomunista
Sempre in Italia, e sempre nel 1969, Franco Freda, che nel 1962 aveva fondato a Padova il suo Gruppo di Ar, considerato un antesignano del rossobrunismo, diede alle stampe il suo celeberrimo La disintegrazione del sistema, in cui teorizzava uno Stato basato su un comunismo aristocratico, una sorta di via di mezzo tra la Repubblica di Platone, il Reich hitleriano e la Cina maoista.
Negli Anni 80, il nazionalcomunismo conobbe poi un rilancio teorico grazie soprattutto a Carlo Terracciano, che proponeva una approfondita analisi dell’esperienza tedesca rivoluzionario-conservatrice nazionalbolscevica, ma anche l’esperienza dell’ala sociale del fascismo e del nazionalsocialismo (il cosiddetto “fascismo rivoluzionario”) e suggeriva un’attualizzazione di tali esperienze, oltre il nazionalismo e il comunismo otto-novecentesco.
Con la disintegrazione sovietica, Terracciano tornò a interrogarsi sulla possibile attualità del nazionalcomunismo e la sua risposta fu che «un’Eurasia nazionalcomunista, quale haushoferiana Paidea di mobilitazione di masse, diseredate dal Mondialismo, è l’unica risposta valida che i popoli del Nord del mondo antico possono ancora dare, dopo l’affossamento dell’utopia egalitaria e libertaria del marxismo».
Gli Anni 90 e i teorici russi tra nazionalbolscevismo e Putin
A partire dai primi Anni 90 il nazionalbolscevismo (che gli storici distinguono dal nazionalcomunismo per una maggiore componente metafisica) conobbe una nuova stagione di attenzione in Russia, quando Eduard Limonov e Aleksandr Dugin fondarono il Partito nazional bolscevico che proponeva una sintesi tra patriottismo sovietico e post-fascismo. Concetto fondante del movimento era il cosiddetto “eurasismo”, una sorta di «terza via tra capitalismo e comunismo, capace di unire in un solo blocco Europa e Russia», che individuava, tanto per cambiare, «negli Usa liberali e liberisti» il nemico per eccellenza.
Più di recente, Dugin ha chiarito che l’Europa occidentale non appartiene in senso stretto allo spazio eurasiatico (che “filologicamente” nasce dalla simbiosi tra Russia, mondo turco-musulmano e persino cinese), ma può trovare nella Russia un prezioso alleato per combattere le tendenze egemoniche atlantiste. Alla Russia di Vladimir Putin spetta quindi il compito di condurre, anche oltre le sue frontiere, la sfida globale all’invadenza (e all’invasione) americana.
La rivoluzione antimondialista: Maurizio Murelli
Inutile dire che, come dimostrano Terracciano, e soprattutto Dugin, il tema della globalizzazione (mondialismo) offre nuovo slancio al cosiddetto rossobrunismo. Maurizio Murelli, già storico militante della destra radicale italiana, e che da tempo ha abbandonato posizioni passatiste per proporre ricette antagoniste del tutto sincretiche e originali, è partito proprio dalla necessità di creare una nuova sintesi politica, cioè una sorta di alleanza rivoluzionaria antimondialista tra soggetti antagonisti, che rifiutino cioè l’attuale modello di sviluppo, al di là dei vari steccati ideologici, e vogliano dare vita a una «alternativa globale di libertà e giustizia per i popoli oppressi dal materialismo, dal consumismo, dall’alta finanza, dall’oligarchia economica».
È però necessario, prima di tutto, smontare i luoghi comuni che, secondo Murelli, destra e sinistra, in questo parimenti reazionarie, propongono nella “difesa” anacronistica e granitica della loro storia e della loro identità, impedendo loro di riconoscersi, pur nell’antagonismo, una dignità reciproca. Il fascismo, in senso lato, non fu solo ed esclusivamente l’Impero del male, come non lo è stato il comunismo. Solo superando questa ottusa difesa reciproca dell’ortodossia – è la sua tesi – destra e sinistra potranno tentare una vera sintesi rivoluzionaria.
Dopo la svolta nel caso di Giulia Cecchettin, trovata morta nei pressi del lago di Barcis dopo essere stata uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, arrestato in Germania dopo una settimana di fuga, la segretaria dem Elly Schlein ha rivolto un appello alla premier Giorgia Meloni: «Almeno sul contrasto a questa mattanza di donne e di ragazze, lasciamo da parte lo scontro politico e proviamo a far fare un passo avanti al Paese. Non basta la repressione se non si fa prevenzione. Approviamo subito in Parlamento una legge che introduca l’educazione al rispetto e all’affettività in tutte le scuole d’Italia».
Schlein: «Bisogna partire dall’educazione»
La leader del Partito democratico ha poi allargato l’appello a tutte le forze del Parlamento, affinché la politica non si riduca a dichiarazioni e riti ripetuti su questi temi: «Dobbiamo fermare questa spirale di violenza, ci riguarda tutte e tutti. E riguarda anzitutto gli uomini, perché non può essere un grido e un impegno solo delle donne in lotta per la propria libertà. Il problema della violenza di genere è un problema maschile. Serve consapevolezza per sradicare la cultura patriarcale di cui è imbevuta la nostra società. Giulia Cecchettin avrebbe dovuto laurearsi due giorni fa, le è stato impedito, le è stato violentemente strappato via il futuro. È profondamente ingiusto, e finché le donne saranno meno libere non esisterà vera libertà in questo Paese». Di qui la proposta di partire dalle scuole: «Non basterà mai aumentare solo leggi e punizioni che intervengono dopo le violenze già compiute: serve l’educazione, serve la consapevolezza. Se non si agisce già a partire dalle scuole e nella cultura per sradicare l’idea violenta e criminale del controllo e del possesso sul corpo e sulla vita delle donne, sarà sempre troppo tardi».
La replica di Valditara: «Ci stiamo già lavorando»
Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha così risposto all’appello di Schlein: «Apprezzo che l’onorevole condivida con noi l’idea di educare al rispetto nelle scuole contro la violenza e la cultura maschilista. Già ci stiamo lavorando. Dopo aver consultato associazioni studentesche, associazioni dei genitori, sindacati, ordine degli psicologi la proposta è pronta e verrà nei prossimi giorni presentata ufficialmente».
Giorgia Meloni ha commentato l’invito rifiutato da parte di Elly Schlein di partecipare alla festa di Fratelli d’Italia ad Atreju. Incalzata dai giornalisti a Zagabria, la premier è stata chiara: «Cosa penso della scelta di Schlein di non accettare l’invito ad Atreju? La nostra è una festa aperta per antonomasia, è stata la prima festa a immaginare confronti anche con leader molto diversi tra loro. C’era un tempo molto lontano da oggi, anche in un altro clima, in cui Fausto Bertinotti non aveva timore a dialogare, pur dall’orgoglio della diversità delle proprie posizioni, con qualcuno che era molto distante da lui. Prendi atto che le cose sono cambiate».
Meloni: «Io mi sono sempre presentata quando invitata»
La presidente del Consiglio poi ha continuato: «Non so come interpretare la decisione di Schlein. Io mi sono sempre presentata quando sono stata invitata. E sono stata quella che ha aperto agli inviti ai leader della sinistra quando ero presidente di Azione giovani. I leader che hanno partecipato alla festa nel corso di questi oltre 25 anni sono stati tutti, ricordo diversi capi di governo della sinistra, dall’attuale commissario europeo a Enrico Letta. Sarebbe una delle pochissime volte in cui qualcuno dice di no, ma non mi sento di giudicarla. La manifestazione si svolge lo stesso: supereremo».
Schlein aveva risposto: «Parleremo in Parlamento»
La risposta al presunto invito arrivata dalla segreteria del Pd è stata: «Con FdI ci confrontiamo e discutiamo in parlamento, a partire dalla Manovra di bilancio». Nelle stesse ore, il responsabile organizzazione di FdI, Giovanni Donzelli, ha smentito l’invito spiegando di averlo «letto dai giornali» e che comunque «sembra tutto un po’ prematuro».
Giorgia Meloni ha risposto sul tema delle concessioni balneari, a 24 ore dalla lettera sulla procedura d’infrazione ricevuta dall’Italia e inviata dalla Commissione europea. La premier ha risposto ai giornalisti nel corso di un punto stampa a Zagabria, dov’è in programma la cena organizzata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel per proseguire il dibattito sull’Agenda strategica Ue da adottare per la prossima legislatura. Sulle concessioni ha mostrato serenità e affermato che bisognerà «iniziare una nuova contrattazione» con l’Unione Europea. Una tesi che la stessa Commissione Ue aveva ribadito già nelle scorse ore attraverso un portavoce.
Meloni: «Situazione ereditata, si trascina da anni»
La presidente del Consiglio ha spiegato: «Noi ereditiamo una situazione che si trascina da qualche anno. Il tavolo tecnico ha fatto una cosa che curiosamente non è stata fatta fino ad oggi e cioè la mappatura delle spiagge stabilendo che tecnicamente non c’è scarsità della risorsa. Oggi bisogna iniziare una nuova contrattazione con la Commissione Ue, noi dobbiamo dare la certezza del diritto, stiamo facendo dei passi in avanti». Proprio quello della mappatura resta uno dei nodi centrali. L’Italia ha redatto il documento mappando soltanto il litorale. Per l’Europa, però, va effettuata a livello nazionale, con un focus poi sulle coste, così da poterne determinare il valore economico reale.
Coldiretti, che per mano del suo presidente Ettore Prandini voleva prendere a ceffoni i mansueti Riccardo Magi e Benedetto Della Vedova che protestavano contro la legge che vieta produzione e uso delle carni coltivate, è la comfort zone dei Fratelli d’Italia e della sua leader Giorgia Meloni. Un rapporto talmente organico che spesso se ne confondono i confini, tale è la contaminazione di idee, uomini e battaglie identitarie nel nome del sovranismo alimentare. Il sindacato dei contadini è un esercito con oltre 1,6 milioni di iscritti, e dai tempi della Dc è sempre stato un formidabile serbatoio di consenso per chi governava o aspirava a farlo. È chiaro dunque che qualunque inquilino di Palazzo Chigi debba tenerne in massimo conto le istanze, coccolarlo e magari aizzarlo nel momento in cui ha bisogno di maggior sostegno.
Carne coltivata, rissa sfiorata davanti Palazzo Chigi tra i deputati di #PiùEuropa Riccardo #Magi e Benedetto #DellaVedova e il presidente di Coldiretti Ettore Prandini. I due parlamentari erano lì per manifestare contro il provvedimento che introduce il divieto di carne… pic.twitter.com/ksQKlXFYTv
Lollobrigida non sarebbe ministro senza Coldiretti
Per contro, chi nell’esecutivo si occupa delle sorti dell’agricoltura deve essere il portato di una nomina condivisa con l’organizzazione. Per intenderci, Francesco Lollobrigida non sarebbe diventato ministro solo in forza del fatto di essere cognato della premier se il suo rapporto con Coldiretti non fosse stato di amorosi sensi. Tant’è che giovedì, dopo aver tiepidamente criticato il minaccioso agitar di mani di contro i due ex Radicali, si è poi subito allineato alla teoria giustificazionista della provocazione evocata dal riottoso Prandini. Niente e nulla può incrinare la consustanzialità tra Coldiretti e governo che deve essere totale, senza alcun distinguo.
Un rapporto che Fratelli d’Italia ha sottratto all’egemonia della Lega
Sono molti i segnali che indicano la granitica solidità del rapporto. Per esempio il fatto che all’indomani delle Politiche del 2022, con i voti ancora caldi nelle urne, Meloni si sia precipitata al Villaggio Coldiretti di Milano ringraziare/omaggiare l’organizzazione firmando la loro petizione contro il cibo sintetico. Una visita che si è ripetuta uguale un anno dopo, allo stesso evento stavolta però ospitato nella cornice romana del Circo Massimo. E con lo stesso mantra: difendere l’eccellenza dell’italico mangiare dal rischio omologazione e la minaccia delle multinazionali e che a suon di ogm lo vogliono snaturare. Ma soprattutto difendere un rapporto che Fratelli d’Italia non può consentirsi di perdere, dopo averlo sapientemente sottratto all’egemonia della Lega e del suo segretario, ossia il partito che dai tempi della rivolta dei Forconi ne costituiva il naturale megafono, e che solo dopo una ferocia trattativa durante la composizione del governo si è rassegnato a lasciare l’Agricoltura nelle mani degli alleati rivali. Grossa perdita. Perché non c’è organizzazione sindacale, dalla trimurti confederale a Confindustria, il cui peso e relativo potere di rappresentanza sia così forte. C’è persino chi arriva a dire che senza Coldiretti dalla propria parte non si governa il Paese. Se poi a questa si aggiungono tassisti e balneari, chi siede Palazzo Chigi sta in una botte (vino italiano, ovviamente) di ferro.
Dicono dalle parti di largo del Nazareno, Roma, sede del Pd, che i confronti col governo si fanno in parlamento. Ed è per questo che Elly Schlein non andrà a dialogare, ma che dico, a duellare, alla convention nazionale di Fratelli d’Italia, Atreju. Meglio non fare la fine di Enrico Letta, che prima si prese gli applausi dai meloniani alla loro festa, e poi lanciò l’allarme fascismo e il rischio deriva autoritaria alle elezioni politiche (con noti risultati).
Pd in difficoltà tra sondaggi in calo, iperattivismo di Conte e una linea politica poco cristallina
Sarà che i conti dei sondaggi non tornano e che il Pd è sempre sotto il 20 per cento, nonostante piazza del Popolo e i 50 mila scesi a manifestare contro «le destre», come garba dire ai vertici dei democratici; sarà che le elezioni europee incombono e Beppe Conte imperversa sontuoso come nel 2022, per le Politiche, quando sembrava che dovesse diventare il capo di una forza politica extraparlamentare, e invece sopravvisse a tutto, persino a se stesso; sarà che serve urgentemente una linea politica chiara e il ‘no’ è sempre una risposta sufficientemente cristallina. Sarà insomma quel che sarà, ma tra i progressisti va fortissimo il Frontismo Democratico. Con i fascisti non ci si parla, nientemeno, perché il dialogo rivela debolezza.
Il ritorno del centralismo democratico e l’allergia per le primarie: il caso sardo
Per la verità, il Pd non sembra interessato a parlare nemmeno con i suoi e tra i suoi, sui territori, in giro per l’Italia. Eppure ne avrebbe di cose di cui occuparsi un partito che è all’opposizione e quindi ha la possibilità di ristrutturarsi senza la preoccupazione di governare. L’anno prossimo non ci sono, d’altronde, solo le elezioni europee ma pure quelle locali, dalle Amministrative alle Regionali, e con il passare del tempo si scopre che il Pd non ama solo il frontismo, ma pure il vecchio centralismo democratico: i candidati si scelgono nelle segrete stanze, come ai vecchi tempi. Il professor Arturo Parisi da giorni si sgola su X, ex Twitter, per spiegare quanto sarebbero necessarie le primarie in Sardegna, dove l’ex presidente di Regione e fondatore di Tiscali Renato Soru se n’è appena andato, dopo la scelta di candidare la candidata unica-unitaria di Pd e M5s, Alessandra Todde, contiana col turbo nonché vicepresidente del M5s. «Non si è capito che le primarie rappresentano il principale strumento disponibile per costruire la coalizione», ha detto Parisi all’AdnKronos.
Il gran caos fiorentino per il dopo Nardella
E dire che Schlein stessa è stata scelta con le primarie, ed è grazie alle primarie che è diventata segretaria, dopo che gli iscritti durante la fase congressuale avevano premiato il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. Senza le primarie insomma Schlein non avrebbe potuto lanciare un OccupyPd di successo. Anche a Firenze, città fondamentale per gli equilibri politici del sinistra-centro dei prossimi anni, il Pd sta decidendo di non fare le primarie per scegliere l’aspirante successore di Dario Nardella alla guida del Comune di Firenze nel 2024. La città è così strategica che anche a Roma e Milano si parla di quel che sta succedendo nel capoluogo toscano. In parlamento, sui divanetti del Transatlantico, si ragiona del gran casino fiorentino. Il Pd locale non vorrebbe fare le primarie, appunto, e avrebbe individuato – per interposto Nardella – la candidata giusta, Sara Funaro, attuale assessore in Comune. Funaro, qualora fosse candidata, non romperebbe mai le scatole a Nardella, che si giocherà l’elezione alle Europee in un collegio molto competitivo, quello dell’Italia Centrale, dove c’è anche il popoloso Lazio (e dove abbondano agguerriti aspiranti europarlamentari che conoscono bene le dinamiche del potere romano, tra cui Nicola Zingaretti). Il problema di Nardella, già coordinatore nazionale della mozione Bonaccini, si chiama però Cecilia Del Re. Ex assessora, cacciata da Nardella per alcune sue dichiarazioni favorevoli al passaggio della linea della tramvia dal Duomo di Firenze (un tabù della politica locale), Del Re, che è figlia di un avvocato del lavoro molto potente e che non dimentica gli spregi fatti alla figlia, ha organizzato, mercoledì scorso, una serata al Tuscany Hall da oltre 1000 persone, arrivate nonostante il boicottaggio dei vertici del Pd. Un boicottaggio denunciato dalla stessa possibile candidata sindaca: «C’è chi ha avuto paura stasera a venire qua, chi è stato impaurito a venire da telefonate e non è venuto, e ci dispiace», ha detto Del Re nel suo intervento. «Anche il rifiuto delle primarie nasce dalla paura di un confronto, di un movimento che non si governa, che può togliere la palla di mano a chi vuole mantenerla, e per questo si fa finta che non esista, tanto da spingerci a creare oggi questa iniziativa. Nessuno di noi è stato mai chiamato in questi mesi per un confronto, mentre chi chiedeva primarie è stato sempre disponibile al dialogo». Insomma a Elly Schlein, fra Sardegna e Toscana, fischieranno non poco le orecchie.
Prove di maturità per Fratelli d’Italia. Dopo un anno di governo, i big del partito si rendono conto che le scale di priorità sono cambiate. E mano a mano che si avvicina l’appuntamento identitario di Atreju, il festival per eccellenza di Fdi convocato dal 14 al 17 dicembre a Castel Sant’Angelo a Roma, ci si accorge che rispetto al passato la festa storicamente simbolo della “generazione” omonima che ha seguito Giorgia Meloni dalla lotta al governo potrà apparire sottotono rispetto al passato. Meloni, alla prima Atreju da premier, ha ottenuto la presenza di due leader internazionali come Rishi Sunak ed Edi Rama, primi ministri di Regno Unito e Albania, e ci sta provando con la mossa istituzionale dell’invito (per ora rifiutato) alla rivale Elly Schlein per consolidare una tradizione che ha visto il dialogo tra destra e sinistra centrale nella kermesse. Da Massimo D’Alema a Giuseppe Conte, passando per Fausto Bertinotti, gli inviti ai leader del campo avversario del centrodestra sono un classico. Ma la realtà dei fatti parla della prospettiva di un Atreju ridimensionata.
Da Azione Giovani a Fratelli d’Italia, la scalata verso il potere
«Il domani appartiene a noi», cantavano i giovani nati tra gli Anni 70 e 80 che al seguito di Meloni hanno scalato il partito, da Azione Giovani a Fratelli d’Italia. Dopo lunghi anni di lavoro, lotta identitaria e consolidamento di un “cerchio magico” interno, ora quel «domani» è arrivato. Bocche cucite da Fdi sugli ospiti papabili, al di là dell’indiscrezione Schlein. Ma la sensazione è di un festival scivolato, giocoforza, in secondo piano nella lista di priorità dei suoi storici promotori.
Arianna, Donzelli, Lollo: le storiche anime lavorano ad altro
Tra i registi di Atreju, oltre a Meloni, c’è chi è nel governo, come Francesco Lollobrigida. Chi, come il duplex Giovanni Donzelli–Andrea Delmastro, ha in passato incarnato posizioni divisive davanti all’opinione pubblica. Arianna Meloni, sorella di «Giorgia» (nel partito la premier è rigorosamente chiamata per nome), storica anima di Atreju, sta lavorando alla gestione dei congressi, a cui si sta impegnando in nome dell’opposizione interna anche il “Gabbiano” Fabio Rampelli.
Colosimo è sempre stata la regista della macchina organizzativa
Soprattutto, nell’economia dell’organizzazione di Atreju il vero cambio di passo è però quello dell’agenda di Chiara Colosimo, deputata romana vicinissima a Meloni e da sempre attiva nel tirare le fila della macchina organizzativa di Atreju. Colosimo oggi studia da big del partito di domani, guida la Commissione Antimafia del parlamento, un impiego che, spiegano fonti vicine al vertice Fdi romano, «è paragonabile a quello di un ministro per la mole di lavoro, atti e impegni che comporta, e soprattutto per la discrezione che impone» a chi la presiede.
Di convention nell’area romana Colosimo ne fa, ma di lavoro: ad Anzio e Nettuno, per esempio, si è tenuta di recente una seduta comune tra le Commissioni Antimafia di governo e Regione Lazio. Nelle quali molti romani di Fdi si sono trovati per motivi di lavoro, dai consiglieri regionali Emanuela Mari e Flavio Cera al presidente del Consiglio Regionale Antonio Aurigemma, passando per il senatore Giorgio Salvitti di Colleferro. Tutti presieduti dalla stessa Colosimo. Una riunione che è da esempio per capire quanto, in seguito alla crescita dimensionale del partito e degli impegni, la priorità debba essere giocoforza sull’attività istituzionale.
Com’è difficile evolversi in festa “di governo”
Logico che Atreju passi in secondo piano, anche se il crinale è stretto: Fdi si trova di fronte alla necessità di rimarcare nel suo impegno la visione ideologica e politica tradizionale, nazional-conservatrice e di destra sociale a cui la sua base fa riferimento, coniugandola con le conseguenze dei compromessi di un anno di governo su molti temi, dalle battaglie identitarie all’Europa. Dentro Fdi il leitmotiv è che Atreju nasce come kermesse di posizionamento ideale per un partito di opposizione, ma è difficile evolverla a festa “di governo”.
Il Consiglio dei ministri ha approvato nel pomeriggio di giovedì 16 novembre il nuovo decretosicurezza. Il governo ha voluto aumentare in maniera consistente le pene per chi truffa gli anziani, borseggiatori e per chi aggredisce un qualsiasi esponente delle forze dell’ordine. All’interno del documento, stretta anche su reati minori. E adesso anche per le mamme con figli piccoli potrà scattare la detenzione, soprattutto se recidive. Resta off limits il carcere per le donne incinte e per le madri con bambini sotto l’anno di età. Introdotto, inoltre, anche il reato di rivolta in carcere.
Stretta sulle truffe aggravate ad anziani e fragili
Le nuove regole sulle truffe prevedono una forte stretta, soprattutto se le vittime sono anziani o persone con fragilità. La pena di reclusione, nel nuovo decreto, passa da due a sei anni per la truffa aggravata. Inoltre in questi casi sarà data la possibilità agli agenti delle forze dell’ordine di procedere con l’arresto in flagranza.
Pene più severe per chi aggredisce esponenti delle forze dell’ordine
Saranno inasprite le pene per i reati di violenza, minaccia o resistenza a pubblico ufficiale. E questo varrà sia contro gli agenti di pubblica sicurezza sia contro la polizia giudiziaria. Costerà caro anche imbrattare il muro di una caserma o di un commissariato, oltre che di altri soggetti pubblici, qualora la finalità sia quella di ledere il prestigio o il decoro dell’istituzione stessa.
Il reato di rivolta in carcere
Inoltre il Consiglio dei ministri ha introdotto il nuovo reato contro chi organizza o partecipa a una rivolta in carcere. I detenuti non potranno compiere atti di violenza, minacce o altre condotte considerate pericoloso. La pena prevista va dai due agli otto anni per chi organizza la rivolta e da uno a cinque per chi partecipa. Chi istigherà gli scontri, invece, potrà essere punito, anche se a farlo dovesse essere qualcuno dall’esterno. Previste le aggravanti: in caso di armi si va fino a dieci anni di pena.
Meloni: «Orgogliosa»
Giorgia Meloni su X ha commentato: «Orgogliosa dell’importante “pacchetto sicurezza” approvato oggi in Consiglio dei Ministri». La premier ha proseguito sottolineando «tra le iniziative più rilevanti, più tutele per le Forze dell’Ordine; contrasto alle occupazioni abusive con procedure “lampo” per la liberazione degli immobili e l’introduzione di un nuovo delitto che prevede la reclusione da 2 a 7 anni contro gli occupanti abusivi; stretta sulle truffe commesse ai danni degli anziani e delle persone più fragili, con un aumento della pena di reclusione da 2 a 6 anni per il reato di truffa aggravata».
Orgogliosa dell’importante “pacchetto sicurezza” approvato oggi in Consiglio dei Ministri.
Tra le iniziative più rilevanti:
Più tutele per le Forze dell’Ordine. Contrasto alle occupazioni abusive con procedure “lampo” per la liberazione degli immobili e l’introduzione di… pic.twitter.com/NTAHGKdfDq
È arrivato il via libera definitivo dell’aula della Camera al divieto di produzione e vendita in Italia di carne coltivata. Il nostro è il primo Paese in Europa ad averlo introdotto.
Il Pd astenuto, M5s e Avs contrari
L’assemblea di Montecitorio ha approvato con 159 sì, 53 no e 34 astenuti il disegno di legge presentato dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che proibisce la produzione e l’immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati nonché di divieto della denominazione di carne per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali. Il testo è stato votato dalla maggioranza. Il Pd si è astenuto, mentre il M5s e Avs hanno votato contro il provvedimento. Un tema, quello della carne coltivata, che ha fatto sfiorare una rissa davanti a Palazzo Chigi. Durante la discussione in Aula, infatti, alcuni deputati di +Europa e Sinistra italiana hanno protestato con cartelli e cori. Durante la manifestazione, però, è arrivato il presidente di Coldiretti Ettore Prandini, che si è diretto verso Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi urlando loro «delinquenti».
Davanti Palazzo Chigi è stata sfiorata la rissa a causa della carne coltivata. Mentre è in Aula la legge con cui il governo vuole vietare la produzione di questo prodotto, alcuni deputati di +Europa e Sinistra italiana hanno protestato con cartelli e cori. Proprio durante la manifestazione, però, è arrivato il presidente di Coldiretti Ettore Prandini, che si è diretto verso Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi, urlando loro «delinquenti». Tra spintoni e urla, alcuni agenti di polizia hanno poi sedato gli animi separando i due gruppi.
Carne coltivata, rissa sfiorata davanti Palazzo Chigi tra i deputati di #PiùEuropa Riccardo #Magi e Benedetto #DellaVedova e il presidente di Coldiretti Ettore Prandini. I due parlamentari erano lì per manifestare contro il provvedimento che introduce il divieto di carne… pic.twitter.com/ksQKlXFYTv
I due parlamentari hanno poi chiesto le dimissioni del presidente della Coldiretti. Come rivela Repubblica, Magi ha commentato così la vicenda: «Prandini dovrebbe dimettersi. È un teppista». Rientrati in Aula, Della Vedova ha mostrato il video al ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida: «Guarda qui. Intimidazione e violenza, questo è il clima. Ma ti rendi conto?». E il ministro ha risposto: «Contrarietà e solidarietà. La violenza non è mai uno strumento di battaglia politica».
La scorsa estate, la Venere influencer di Open to Meraviglia è scomparsa dai social, per riapparire il 30 agosto. A distanza di quasi tre mesi, la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, è tornata a parlarne rispondendo alle domande ricevute durante la X Commissione. Il deputato di Azione, Fabrizio Benzoni, ha chiesto alla ministra di spiegare cosa sia successo nel lasso di tempo tra il 27 giugno e il 29 agosto. Per quei due mesi d’estate, infatti, i canali social della campagna di comunicazione sono stati in totale silenzio. Santanchè ha spiegato: «Era in vacanza».
Santanchè: «Fatte riprese e shooting»
«Non ha mai fatto una pausa dal 27 giugno al 29 agosto. La Venere di Botticelli era in vacanza in giro per tutta l’Italia. Abbiamo fatto tutta una serie di riprese, di shooting», ha spiegato Daniela Santanchè. La ministra ha parlato in generale anche dell’intera campagna di comunicazione: «La strategia social si poteva anche fare meglio? Forse sì. Non ho la presunzione di pensare che quello che facciamo al ministero sia il meglio in assoluto. Ma questo è ciò che siamo riusciti a fare».
Santanchè: «Grandi soddisfazione in Cina»
Daniela Santanchè poi ha parlato anche dell’impatto di Open to Meraviglia in Cina. Grazie a un accordo con Tencent, il colosso cinese che possiede la piattaforma WeChat utilizzata da 1,3 miliardi di persone, la Venere diventerà un videogioco. La ministra ha dichiarato: «Ho avuto una grande soddisfazione quando sono andata in Cina. WeChat, il loro social più popolare, sta lavorando per fare un gioco con la nostra influencer. Credo che sarebbe un risultato importante».
Benzoni: «Era in vacanza? Situazione ilare»
La spiegazione sulle vacanze della Venere, però, ha fatto ridere alcuni deputati di opposizione. Santanchè ha replicato: «Se vi fa ridere sono contenta». Poco dopo, l’attacco di Benzoni: «La campagna promozionale del nostro paese era in vacanza a fare shooting durante la stagione turistica. C’è molto poco da dire, la situazione è già abbastanza ilare».