Trump è in affanno, ma i democratici Usa restano senza leader

La sconfitta nel voto del Super Tuesday non basta per decretare l’inizio di una parabola discendente del presidente americano. I dem sono estremamente frammentati e hanno candidati molto deboli.

Super Tuesday da incubo per Donald Trump che perde con un secco due a uno: il risultato più grave è la perdita, dopo ben 20 anni, della maggioranza nel parlamento della Virginia, ma scotta al Grand old party anche la perdita del governatore del Kentucky, anche se sul filo di lana.

Unica consolazione, la vittoria del governatore repubblicano in Mississippi, Tate Reeves. Detto questo, il voto di martedì 5 novembre dà scarse indicazioni reali per fare profezie sulle Elezioni presidenziali del novembre 2020.

La ragione principale della vittoria dei democratici infatti risiede nella forte caratura personale e di leadership dei loro candidati sia in Virginia sia in Kentucky, dove Andy Beshear ha vinto sia pure di strettissima misura, là dove in campo democratico a un anno dal voto presidenziale è sempre più evidente un doppio fenomeno: innanzitutto una estrema frammentazione dei candidati alle primarie.

AI DEMOCRATICI AMERICANE MANCA ANCORA UN LEADER

Con tutta evidenza non c’è al momento un “cavallo di razza”, un leader carismatico e popolarissimo di suo come è stata la grande sconfitta di Trump: Hillary Clinton. Dentro questa frammentazione del campo democratico si è poi sempre più rafforzato un fenomeno non nuovo nel campo del partito dell’asino: un radicale spostamento verso la sinistra – anche estrema – di quasi tutti i candidati ad eccezione di Joe Biden. Ma Biden, il candidato centrista più pericoloso per Trump, soffre innanzitutto di una sua leadership personale scialba (non a caso fatica molto nella fondamentale raccolta fondi) ed è anche indebolito dalle vicende legate ai rapporti tra suo figlio e l’Ucraina.

Se Trump dovrà scontrarsi con candidati oggi apparentemente col vento in poppa come Elisabeth Warren, avrà strada facile,

Non è un caso che proprio su questa debolezza si sia puntato l’arsenale di guerra mediatica di Trump al quale i democratici hanno risposto con una procedura di impeachement che non arriverà mai a successo (la deve approvare il Senato con la maggioranza dei due terzi, là dove Trump gode di una maggioranza netta e per di più solida) e che rischia fortemente l’effetto boomerang. Se Trump dovrà scontrarsi con candidati oggi apparentemente col vento in poppa come Elisabeth Warren, avrà strada facile, visto il loro programma in certi punti ancora più radicale di quello di Bernie Sanders (oggi molto appannato).

PER LE PRESIDENZIALE DEL 2020 È ANCORA TUTTO DA DECIDERE

La seconda ragione per la quale questo Super Tuesday non può dare indicazioni utili per fare pronostici sulle prossime presidenziali è insita nello stesso sistema di voto americano. Si pensi solo che Hillary Clinton perse clamorosamente nella conta dei fondamentali Grandi Elettori pur avendo ricevuto ben 2.800.000 voti in più di Trump (il 2% di vantaggio). In realtà il sistema federale rigido degli Usa sacrifica alla rappresentatività delle volontà dell’elettorato, la necessità di premiare il peso – a volte determinante – dei piccoli Stati a scapito dei più popolosi, i primi sono sovra-rappresentati quanto a Grandi Elettori, mentre i secondi sono pesantemente penalizzati. Dunque, sino a quando il quadro delle primarie non sarà definito e sarà chiaro quale sarà lo sfidante, e partiranno sondaggi attendibili, è inutile delineare scenari. Senza dimenticare che Trump arriverà al voto con successi consistenti sia nell’economia che nell’incremento dell’occupazione. Temi centrali nel voto Usa.

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