Cosa c’è dietro l’abuso di colpi di fiducia del governo

Lavori in Aula compressi e parlamentari ridotti a spettatori votanti delle leggi. Così il Conte II reagisce all’aumento di attriti in maggioranza fra Pd, M5s e Italia viva. Ma anche gli esecutivi precedenti hanno fatto allo stesso modo. Rischio di esercizio provvisorio e proteste delle opposizioni: il quadro.

In attesa del chiarimento tra le forze di maggioranza e del conseguente cronoprogramma di legislatura, il governo va avanti a colpi di fiducia. A conferma che il livello di scontro politico tra i partiti è molto alto e bisogna mettere un freno alle liti. L’esito è sotto gli occhi di tutti: i lavori in Aula vengono compressi sempre di più e i parlamentari sono spesso ridotti a spettatori votanti dei provvedimenti. La fiducia infatti, solitamente usata per compattare la maggioranza ed evitare l’ostruzionismo dell’opposizione, fa decadere tutte le proposte di modifica alla legge che deve essere quindi votata così come è stata presentata.

GIÀ OTTO QUESTIONI DI FIDUCIA IN QUATTRO MESI

Entro fine 2019, infatti, potrebbero salire a otto le questioni di fiducia poste fin dal giuramento del Conte II. Una media di due al mese. Ufficialmente sono già cinque, ma «ne arriveranno altre», ha previsto il navigato parlamentare di Forza Italia, Simone Baldelli. E per le «altre» si intende la doppia fiducia sulla legge di bilancio, prima al Senato e poi alla Camera, e quella sul decreto fiscale, che entro Natale deve essere licenziato da Palazzo Madama, pena la decadenza.

IL FRENO DI FICO: «SONO TROPPE»

Il presidente della Camera, Roberto Fico, si è sentito in dovere di sollevare la questione: «Ci sono troppe fiducie», ha scandito, ricordando di aver già scritto al presidente del Consiglio per rimarcare questo problema. La tendenza è addirittura peggiorata rispetto al precedente esecutivo: anche in quel caso si era arrivati a fine anno con otto fiducie, ma il giuramento c’era stato a giugno, tre mesi prima. E soprattutto è la sequenza a destare perplessità: da fine ottobre in poi, il Conte II ha fatto ricorso a questo strumento in maniera sistematica, a partire dall’approvazione del dl imprese. Un segnale dell’aumento degli attriti tra Movimento 5 stelle, Partito democratico e Italia viva.

SI RISCHIA L’ESERCIZIO PROVVISORIO

Dopo la fiducia posta sul decreto fiscale è toccato al dl clima il 9 dicembre. In entrambi i casi alla Camera. E il numero, come preconizzato dalle opposizioni, è destinato a salire, altrimenti si rischia l’esercizio provvisorio. Da qui la necessità di contingentare i tempi. Sempre che per la manovra si riesca a evitare una terza lettura: c’è il pericolo di qualche lieve modifica, leggasi incidente, nel percorso a Montecitorio. A quel punto il testo dovrebbe per forza tornare a Palazzo Madama: l’approvazione slitterebbe tra le festività natalizie e il Capodanno (come è avvenuto nel 2018) con fiducia aggiuntiva.

L’OBIETTIVO: CHIUDERE ENTRO NATALE

L’obiettivo del governo è comunque quello di evitare ulteriori rallentamenti, chiudendo la partita in due letture e quindi prima di Natale. È una necessità tecnica, ma soprattutto politica: prima del vertice del nuovo anno, fondamentale per stabilire l’agenda, si punta a evitare inciampi. Che potrebbero risultare fatali. Un cosa è comunque certa: «Sulla manovra non toccheremo palla», ammettono i deputati, senza peraltro grosse sorprese.

TENSIONI CHE HANNO FRENATO I LAVORI

Le tensioni a mezzo stampa alla fine si sono riversate sui lavori in parlamento. Nonostante i tentativi di confronto costruttivo in Commissione, le forze di maggioranza hanno dovuto prendere atto delle divisioni interne, allungando i tempi per la preparazione dei provvedimenti più attesi. L’iter della legge di bilancio è stato accidentato, per usare un eufemismo.

GIOVEDÌ IL TESTO NELL’AULA DEL SENATO

Non da meno, però, è stato il decreto fiscale con continui vertici e mediazioni. Le cronache hanno riportato le lacerazioni. E anche nelle ultime ore si è andati a avanti a fatica. Solo giovedì il testo arriva nell’Aula al Senato per essere approvato venerdì, come ha riferito il capogruppo del Partito democratico, Andrea Marcucci.

I PRECEDENTI: HA FATTO PEGGIO GENTILONI

Il tema della fiducia ha sempre surriscaldato gli animi. Il primo governo Conte vi ha fatto ricorso in totale 15 volte in poco più di 14 mesi di vita. L’ultimo caso è stato il voto sul decreto sicurezza. Un percorso decisamente migliore, finora, rispetto al Conte II. La magra consolazione è che c’è chi ha fatto di peggio: l’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni, l’ultimo della precedente legislatura, ha chiesto in totale 28 volte la fiducia con la media 2,5 volte al mese.

PER MONTI TRE FIDUCIE AL MESE

Mentre il dato dell’attuale governo è in linea con quello presieduto da Matteo Renzi, che ha fatto ricorso a questo strumento in 66 casi con una media di circa due al mese. E per trovare ancora di peggio bisogna tornare all’esperienza di Mario Monti a Palazzo Chigi: il suo governo aveva posto la questione di fiducia, in media, tre volte al mese.

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