Collaboratori parlamentari, l’ennesimo gap tra Italia e Ue
Il caso Nicosia riporta alla luce l’annosa battaglia dei portaborse. Che, nonostante le promesse, sono ancora sottopagati e spesso irregolari. A differenza dei colleghi europei. Lo scenario.
Spesso mal pagati, con contratti di vario tipo e senza alcuna tutela. Anzi: nei casi peggiori c’è il rischio di essere retribuiti in nero. È questa la vita del collaboratore parlamentare, figura chiave per il funzionamento di Camera e Senato, ma che si muove tra i Palazzi con poche garanzie. In questa instabilità una cosa è certa: a Montecitorio basta avere un contratto, indipendentemente dall’ammontare dello stipendio. «La nostra è una situazione da far west che mortifica la funzione parlamentare e alimenta il sentimento di antipolitica e antiparlamentarismo. Quanti casi Nicosia nelle Camere? Quanti ‘Nicosia’ può ancora sopportare l’istituzione parlamentare?», dice a Lettera 43 il presidente dell’Associazione italiana collaboratori parlamentari (Aicp), Josè De Falco.
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CONTRATTI DA 50 EURO AL MESE
La vicenda di Antonello Nicosia, ex collaboratore della deputata di Italia Viva (eletta con Liberi e uguali), Giuseppina Occhionero, arrestato per mafia è proprio quella che ha acceso un faro sulla situazione. Una luce sinistra che ha fatto emergere come siano cambiati i tempi rispetto a quando l’incarico di “portaborse” rappresentava un trampolino di lancio della carriera politica. Da quanto è emerso, Nicosia era infatti considerato a pieno titolo un collaboratore, munito di tesserino, con un contratto da 50 euro al mese. Ed era tutto regolare.
PER IL QUESTORE DEL SENATO DE POLI È TUTTO REGOLARE
Per il senatore, Antonio De Poli, questore a Palazzo Madama, non ci sono problemi dal punto di vista retributivo rispetto ad altri lavori. Il motivo? Il regolamento del Senato fissa il minimo a 375 euro per 25 ore e quindi con «40 ore di lavoro il compenso mensile è di 2.400 euro, se le ore sono 36 è di 2.160 euro», ha scandito il senatore, durante il dibattito sul bilancio di Palazzo Madama. «Sto parlando», ha aggiunto De Poli, «di retribuzioni minime, poi chiaramente se ne possono avere di ben più importanti. Ma si tratta di cifre superiori alle retribuzioni odierne previste ad esempio per le qualifiche più alte dei dipendenti degli studi professionali, secondo i contratti nazionali del lavoro vigenti». Quindi «rientriamo nei parametri europei», ha concluso, pur condividendo la necessità di «trovare una soluzione» condivisa.
L’AICP: «CI DICANO QUANTI SONO I COLLABORATORI CONTRATTUALIZZATI»
Una versione che ha fatto saltare dalla sedia i vertici dell’Aicp. «Sono dichiarazioni fantasiose. Nessun collaboratore guadagna tanto», replica Josè De Falco. «Dalla lettura di una delibera che disciplina l’accesso dei collaboratori al Senato», incalza il presidente dell’Aicp, «il senatore De Poli trae delle conclusioni sconcertanti. Parla come se non fosse uno dei questori di Palazzo Madama e non conoscesse i contratti depositati negli uffici. Quella documentazione descrive un mondo totalmente diverso da quello raccontato in Aula. Tanti hanno co.co.co o partite Iva, e anche chi ha contratti di lavoro subordinato non raggiunge 2.400 euro». Da qui la richiesta dell’Aicp: «Serve una fotografia della realtà. Il Collegio dei Questori e il consiglio di presidenza del Senato pubblichino quanti sono i collaboratori contrattualizzati e descrivano i tipi di contratto, così da poter calcolare la retribuzione media. Sarebbe il primo passaggio da fare».
IL CONFRONTO CON L’EUROPA
Documenti alla mano il quadro normativo europeo è diverso dalla situazione italiana. A Bruxelles i collaboratori definiti “assistenti parlamentari accreditati” sono assunti direttamente dal parlamento europeo. La retribuzione ha 19 livelli, da un minimo di 1.680 a un massimo da 7.740 euro. Mentre il servizio studi della Camera ha spiegato, in un dossier, che in Italia «deputato e collaboratore possono regolare tale rapporto secondo le diverse tipologie contrattuali previste dall’ordinamento, in quanto compatibili (in sintesi: rapporto di lavoro subordinato, di collaborazione a progetto, di lavoro autonomo)». E soprattutto tra la Camera e il collaboratore non si instaura alcun rapporto, è il parlamentare a retribuire il collaboratore all’interno delle spese per l’esercizio del mandato.
Con una delibera dell’Ufficio di Presidenza del 30 gennaio 2012, è stato infatti reso possibile ammettere la retribuzione del collaboratore tra le spese a rimborso, dietro la presentazione del contratto di lavoro. In altri Paesi europei ci sono meccanismi diversi e meno incerti per i lavoratori. In Germania «ogni deputato può assumere collaboratori a carico dell’amministrazione del Bundestag fino a un importo massimo determinato sulla base della legge di bilancio, attualmente pari a 15.798 euro» e «i deputati, che assumono i propri collaboratori sulla base di contratti di diritto privato», riporta il documento predisposto dal centro Studi di Montecitorio. In Francia vige un meccanismo simile, ma il budget per i collaboratori è di 9.504 euro. Tuttavia, «nel bilancio dell’Assemblea nazionale, la voce relativa alla retribuzione dei collaboratori (a oggi, circa 2.100) è molto alta e supera anche la voce relativa al pagamento delle indennità ai deputati», spiega ancora il dossier della Camera.
LA PROMESSA DI FICO E I SILENZI DI CASELLATI
L’annosa battaglia per cambiare le cose in Italia ha quindi ripreso vigore con l’esplosione del caso-Nicosia. I collaboratori parlamentari hanno però avviato da tempo un’interlocuzione con le istituzioni. Nelle scorse legislature non si è arrivati ad alcuna soluzione. In questa, invece, qualcosa sembrava muoversi fino a qualche mese fa. Il presidente della Camera, Roberto Fico, ha incontrato due volte, a febbraio e a luglio, i rappresentanti dell’Aicp. Il numero uno di Montecitorio ha garantito la volontà di impegnarsi. La promessa è che entro la fine del 2019 la delibera sarà discussa nell’Ufficio di presidenza. A Palazzo Madama la situazione è più complessa. La presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati, ha organizzato un incontro tra il suo staff e l’Aicp. Al termine del confronto c’è stato l’impegno a regolamentare la posizione dei collaboratori. Dopo le promesse, però, il silenzio: le sollecitazioni, attraverso almeno tre lettere indirizzate alla presidente, sono cadute nel vuoto.
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