Le missioni italiane all’estero in numeri

Per le operazioni oltre confine sono stati previsti 7.434 uomini, per poco più di 1 miliardo di spesa. Dal Libano all’Iraq, dall’Afghanistan ai Balcani ecco dove il nostro Paese è presente e con quali forze.

L’attentato al contingente italiano in Iraq rivendicato dall’Isis in cui sono rimasti feriti cinque militari, accende nuovamente i fari sulle missioni all’estero che impegnano quotidianamente i nostri soldati.

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E se sono ormai lontani i tempi in cui i 5 stelle si battevano per accelerare il disimpegno delle nostre forze armate (il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, commentando l’accaduto, ha infatti ribadito che quella irachena «è una missione che incarna tutti i valori del nostro apparato militare»), è lecito chiedersi quanti siano attualmente gli uomini impegnati all’estero, in quali fronti operino e quale sia il loro costo.

Soldati italiani nella missione Unifil in Libano (foto d’archivio).

IMPEGNATE UN MASSIMO DI 7.343 UNITÀ PER 1 MILIARDO DI SPESA

Tutte informazioni contenute nella recente proroga approvata dal parlamento lo scorso luglio per il rifinanziamento per il 2019 della partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali in corso e, contestualmente, per l’approvazione del budget di quelle nuove. «La consistenza massima annuale complessiva dei contingenti delle Forze armate impiegati nei teatri operativi è pari 7.343 unità», si legge nel documento. «La consistenza media è pari a 6.290 unità». I costi? «Il fabbisogno finanziario per la durata programmata è pari complessivamente a euro 1.130.481.331».

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DAL 2004 A OGGI SPESI 17 MILIARDI

Nel 2019 si spenderà poco più di 1 miliardo, insomma. Costi tutto sommato in linea con gli anni passati. Perché sebbene con l’avvento della crisi ciascun ministero abbia dovuto fare i conti con la spending review, la Difesa non ha visto diminuire in modo significativo le somme allocate per le missioni all’estero. Negli ultimi 15 anni, ovvero dal 2004 a oggi, l’Italia ha speso più di 17 miliardi di euro. Il record lo si toccò sotto l’ultimo governo Berlusconi, proprio in piena crisi economica e tempesta dello spread, tra il 2010 e il 2011, quando a questo scopo vennero destinati oltre 1,5 miliardi.

CRESCE L’ATTENZIONE PER L’AFRICA

Il maggior numero di missioni che riguarda i militari italiani non sono in scenari mediorientali, bensì nel continente africano. Con riferimento invece alla consistenza numerica delle unità impiegate nei diversi teatri operativi, il fronte più caldo e impegnativo per il nostro Paese è certamente in Libano e, a seguire, gli scenari in Europa e quelli in Africa.

DAI BALCANI A LETTONIA E TURCHIA

Partendo dalle missioni più vicine, dunque nel Vecchio continente, quelle che impegnano maggiormente i contingenti italiani sono la Joint Enterprise (Nato) nei Balcani e la Eunavformed Sophia dell’Unione europea. Ai numerosi fronti balcanici, che spaziano dal Kosovo (Missione Kfor) all’Albania, partecipano 538 unità con 204 mezzi terrestri e lo scopo di assistere lo sviluppo delle istituzioni locali per assicurare la stabilità nella regione, mentre a Sophia sono state destinate 520 unità e tre mezzi aerei con il mandato di «adottare misure sistematiche per individuare, fermare e mettere fuori uso le imbarcazioni e i mezzi usati dai trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo centrale». C’è poi il fronte in Lettonia della missione Baltic Guardian. In questo caso il nostro contributo prevede un impiego massimo di 166 militari e 50 mezzi terrestri per la sorveglianza dei confini dei Paesi Nato. Infine, a cavallo tra Europa e Asia si posizionano i 130 militari e 25 mezzi terrestri su suolo turco della missione Active Fence con il compito di neutralizzare minacce provenienti dalla Siria.

IL COMPLICATO SCACCHIERE LIBICO

Nel difficile teatro libico sono presenti 400 militari, 130 mezzi terrestri e mezzi navali e aerei tratti dal dispositivo Mare sicuro – che in totale impiega 754 unità, 6 mezzi navali e 5 aerei. «La nuova missione, che ha avuto inizio a gennaio 2018», si legge sul sito del ministero della Difesa, «ha l’obiettivo di rendere l’azione di assistenza e supporto in Libia maggiormente incisiva ed efficace, sostenendo le autorità libiche nell’azione di pacificazione e stabilizzazione del Paese e nel rafforzamento delle attività di controllo e contrasto dell’immigrazione illegale».

Soldati italiani in Kosovo (foto d’archivio).

L’IMPEGNO IN NORD AFRICA

Nel Nord Africa segue per numero di uomini la missione in Egitto che prevede un impegno massimo di 75 militari e 3 mezzi navali. Nella missione comunitaria antipirateria denominata Atalanta sono impegnate 407 unità di personale militare, due mezzi aerei e due navali. Proprio per la sorveglianza delle coste e del Golfo di Aden, dal 20 luglio 2019 l’Italia contribuisce con la Fregata Europea Multi Missione Marceglia che ha assunto anche l’incarico di flagship della task force aeronavale. Nella missione bilaterale di supporto nel Niger abbiamo dato la disponibilità per un massimo di 290 unità, comprensive di 2 unità in Mauritania, 160 mezzi terrestri e 5 mezzi aerei. C’è poi la Somalia: per il 2019 l’impegno nazionale massimo è di 53 militari e 4 mezzi dei Carabinieri anche nella Repubblica di Gibuti per facilitare le attività propedeutiche ai corsi e i rapporti con le forze di polizia somale e gibutiane.

IN LIBANO E L’IMPEGNO CONTRO IL TERRORISMO

La partecipazione italiana più significativa è impiegata nella missione Unifil in Libano, per la quale possono essere dispiegati fino a 1.076 militari, 278 mezzi terrestri e 6 mezzi aerei. Dal 7 agosto 2018 il nostro Paese ha assunto nuovamente l’incarico di Head of Mission e Force Commander. Segue la missione della coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica del Daesh. In merito, i documenti parlamentari prevedono una partecipazione «per il 2019 di 1.100 unità, 305 mezzi terrestri e 12 mezzi aerei». I cinque militari feriti nell’attentato di domenica 10 novembre, secondo quanto si apprende, facevano parte della task force 44, impiegata in Iraq per attività di mentoring and training a supporto delle milizie locali da addestrare per contrastare l’Isis. 

Soldati italiani in Afghanistan (foto d’archivio).

IL PARZIALE DISIMPEGNO DALL’AFGHANISTAN

Un altro contingente importante è impiegato nella missione Resolute Support in Afghanistan con 800 unità di personale militare. «Analogamente all’anno 2018», si legge nei documenti, «si prevede l’invio di 145 mezzi terrestri e 8 mezzi aerei». Dopo 17 anni le nostre truppe sono passate da 900 unità del 2018 a 800 negli ultimi 12 mesi, destinate a scendere a 700 proprio nella seconda metà del 2019. E dire che solo lo scorso 28 gennaio l’allora ministra della Difesa Elisabetta Trenta aveva annunciato un celere ritiro entro 12 mesi, facendo esultare i 5 stelle («Finalmente riportiamo a casa i nostri ragazzi», scrivevano i portavoce del Movimento 5 stelle della commissione Difesa) ma lasciando interdetti sia il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, sia il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che non erano stati avvertiti. In generale e in tutti gli scenari di guerra, per l’anno in corso, i documenti certificano una riduzione della consistenza massima dei contingenti di 624 unità, con il passaggio da 7.967 unità a 7.343 unità. Mentre la consistenza media nelle intenzioni dovrebbe scendere di appena 19 unità, da 6.309 a 6.290. Per questo non ci sono significativi risparmi sul fronte dell’impegno economico, che resta superiore al miliardo di euro annuo.

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