L’iter per la nomina dei ministri Azzolina e Manfredi

Prima un decreto per lo spacchettamento del dicastero; quindi la nomina da parte del presidente della Repubblica e il successivo giuramento.

Prima il decreto in Consiglio dei ministri per lo spacchettamento tra ministero dell’Istruzione e ministero dell’Università e della Ricerca di competenze finora accorpate in un solo dicastero; quindi la nomina da parte del presidente della Repubblica e il successivo giuramento. È il timing che attende Lucia Azzolina e Gaetano Manfredi, i ministri indicati dal premier Giuseppe Conte per il post-Fioramonti: la prima messa a capo del ministero della Scuola, il secondo titolare dell’Università e della Ricerca. Per l’ufficialità, tuttavia, a quanto spiegano fonti di governo, bisogna attendere almeno i primi di gennaio. Anche perché l’iter richiede più tappe.

L’ITER CHE PORTA ALL’INSEDIAMENTO DEI DUE MINISTRI

Innanzitutto è necessario un decreto legge (ipotesi altamente più probabile di un Decreto del presidente del Consiglio dei ministri – Dpcm) che spacchetti le competenze assegnate all’attuale Ministero dell’Istruzione, dell’università e della Ricerca, che è un dicastero con portafoglio. Quindi il Consiglio dei ministri deve dare il via libera all’operazione, in modo che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, su indicazione del premier Giuseppe Conte, possa procedere alla nomina. Solo allora i ministri nominati potranno salire al Quirinale per il giuramento e insediarsi nei loro nuovi uffici. A quel punto i ministri del governo Conte Bis passeranno da 21 a 22.

UN ESECUTIVO COMPOSTO DA 63 PERSONE

Come precisato dallo stesso presidente del Consiglio non è prevista la nomina di nuovi sottosegretari. Che in totale, compresi i viceministri, erano 42. Con le nomine del 28 dicembre diventano 41 per il passaggio di Azzolina dalla sottosegreteria alla guida del nuovo dicastero della Scuola. In totale i componenti dell’Esecutivo sono quindi 63. Il governo Conte Uno con la maggioranza gialloverde era arrivato a 64, uno in più. I cinque premier precedenti hanno totalizzato rispettivamente: Paolo Gentiloni 60 elementi, Matteo Renzi 63, Enrico Letta 63, Mario Monti 47. Quest’ultimo, il “governo dei professori”, risulta il più magro di tutti. Il record assoluto di affollamento spetta invece al secondo governo di Romano Prodi che, insediatosi nel 2006, in due anni di durata arrivò alla cosiddetta «carica dei 102», il totale tra ministri e sottosegretari. L’Andreotti VII nel ’91 si era fermato a 101.

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L’iter per la nomina dei ministri Azzolina e Manfredi

Prima un decreto per lo spacchettamento del dicastero; quindi la nomina da parte del presidente della Repubblica e il successivo giuramento.

Prima il decreto in Consiglio dei ministri per lo spacchettamento tra ministero dell’Istruzione e ministero dell’Università e della Ricerca di competenze finora accorpate in un solo dicastero; quindi la nomina da parte del presidente della Repubblica e il successivo giuramento. È il timing che attende Lucia Azzolina e Gaetano Manfredi, i ministri indicati dal premier Giuseppe Conte per il post-Fioramonti: la prima messa a capo del ministero della Scuola, il secondo titolare dell’Università e della Ricerca. Per l’ufficialità, tuttavia, a quanto spiegano fonti di governo, bisogna attendere almeno i primi di gennaio. Anche perché l’iter richiede più tappe.

L’ITER CHE PORTA ALL’INSEDIAMENTO DEI DUE MINISTRI

Innanzitutto è necessario un decreto legge (ipotesi altamente più probabile di un Decreto del presidente del Consiglio dei ministri – Dpcm) che spacchetti le competenze assegnate all’attuale Ministero dell’Istruzione, dell’università e della Ricerca, che è un dicastero con portafoglio. Quindi il Consiglio dei ministri deve dare il via libera all’operazione, in modo che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, su indicazione del premier Giuseppe Conte, possa procedere alla nomina. Solo allora i ministri nominati potranno salire al Quirinale per il giuramento e insediarsi nei loro nuovi uffici. A quel punto i ministri del governo Conte Bis passeranno da 21 a 22.

UN ESECUTIVO COMPOSTO DA 63 PERSONE

Come precisato dallo stesso presidente del Consiglio non è prevista la nomina di nuovi sottosegretari. Che in totale, compresi i viceministri, erano 42. Con le nomine del 28 dicembre diventano 41 per il passaggio di Azzolina dalla sottosegreteria alla guida del nuovo dicastero della Scuola. In totale i componenti dell’Esecutivo sono quindi 63. Il governo Conte Uno con la maggioranza gialloverde era arrivato a 64, uno in più. I cinque premier precedenti hanno totalizzato rispettivamente: Paolo Gentiloni 60 elementi, Matteo Renzi 63, Enrico Letta 63, Mario Monti 47. Quest’ultimo, il “governo dei professori”, risulta il più magro di tutti. Il record assoluto di affollamento spetta invece al secondo governo di Romano Prodi che, insediatosi nel 2006, in due anni di durata arrivò alla cosiddetta «carica dei 102», il totale tra ministri e sottosegretari. L’Andreotti VII nel ’91 si era fermato a 101.

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Chi sono i candidati al governo della Calabria

È corsa a quattro per le elezioni del 26 gennaio 2020: Jole Santelli per il centrodestra, Pippo Callipo, per il centrosinistra, Francesco Aiello per il Movimento 5 Stelle e l’outsider Carlo Tansi.

È corsa a quattro in Calabria dove il 26 gennaio 2020 sono in programma le elezioni regionali. A puntare alla poltrona di Governatore ci sono, per il centrodestra, la deputata e coordinatrice regionale di Forza Italia Jole Santelli, sostenuta da sei liste (Fi, Fratelli d’Italia, Lega, Santelli presidente, Udc, Cdl); l’imprenditore Pippo Callipo, che ha dalla sua il Pd, una lista filiazione dell’associazione Io resto in Calabria, i Democratici e progressisti e 10 idee per la Calabria, formazione quest’ultima sulla quale però pende la scure di una possibile esclusione. Della partita anche il docente universitario Francesco Aiello, per il Movimento 5 Stelle e per la lista Calabria Civica, e l’ex capo della Protezione civile regionale Carlo Tansi, sostenuto dalle liste Tesoro Calabria, Calabria Pulita e Calabria Libera.

EX PD CON FRATELLI D’ITALIA

Ricompattato il fronte dopo le fibrillazioni legate al “niet” di Matteo Salvini ad Mario Occhiuto, il centrodestra ritrova l’unità intorno alla candidata presidente Jole Santelli e schiera tanti uscenti e alcune singolari new entry. Il consigliere regionale Giuseppe Neri, eletto nella passata legislatura con la lista Democratici e progressisti, emanazione diretta del Pd, è ad esempio candidato con Fratelli d’Italia. L’Udc, altro partito che è a fianco della fedelissima di Silvio Berlusconi, ospita nelle sue fila anche Antonio Scalzo, eletto nel Pd e che, sempre in quota dem, è stato per un periodo presidente del Consiglio regionale, transitato di recente nei Moderati, vicini a Raffaele Fitto.

GLI SCONTENTI A SINISTRA

Novità anche dalle parti del candidato Pippo Callipo, che é riuscito a imporre le sue condizioni sulla formazione delle liste. Scende in campo con l’industriale del tonno anche l’ex sindaco di Isola Capo Rizzuto Carolina Girasole, in lista con il Pd, messa fuori gioco a suo tempo dallo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune che amministrava ma assolta, di recente, dall’accusa di avere agevolato la cosca di ‘ndrangheta degli Arena. Punta alla conferma anche il presidente uscente del Consiglio regionale, Nicola Irto. In lizza anche Maria Saladino, già in corsa per la segreteria nazionale del Partito democratico. Non mancano, da una parte e dall’altra, i mugugni degli esclusi: dall’ex Pd Enzo Ciconte, dato in approdo nel centrodestra, che ha optato per il ritorno alla professione medica (é primario cardiologo) a Francesco D’Agostino, che ha espresso tutto il suo disappunto per il veto posto da Callipo sul suo conto.

AIELLO E TANSI «LIBERI DALLA CASTA»

Acque decisamente più tranquille per il candidato pentastellato Aiello, che sottolinea la «pulizia» delle proprie liste, e per il civico Tansi. Che dichiara: «Noi restiamo liberi dalla casta».

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Il Milleproroghe rimanda l’assicurazione Rc familiare

Nell’ultima bozza del testo viene confermato anche il ruolo di Anas nella gestione di strade e autostrade.

L’ultima bozza del Milleproroghe prevede alcune modifiche rispetto a quanto anticipato prima di Natale. Slittano infatti l’entrata in vigore della Rc familiare e il pagamento dei canoni per le spiagge.

RC FAMILIARE DAL 16 FEBBRAIO 2020

Come spiega l’Ansa l’entrata in vigore della norma prevede che, al rinnovo delle polizze, l’assicurato possa beneficiare della fascia assicurativa più bassa fra i veicoli di proprietà del suo nucleo familiare, è posticipata al 16 febbraio.

I PAGAMENTI DEI CANONI PER LE SPIAGGE È SOSPESO FINO AL 30 GIUGNO 2020

La bozza prevede poi che sia «sospeso dal primo gennaio 2020 al 30 giugno 2020 il pagamento dei canoni» per gli stabilimenti balneari e le «strutture dedicate alla nautica da diporto».

RIMANE IL RUOLO DI ANAS NELLA GESTIONE DI STRADE E AUTOSTRADE

Conferme invece sul fronte Autostrade: «In caso di revoca, di decadenza o di risoluzione di concessioni di strade o di autostrade, in attesa del nuovo affidamento, può assumerne la gestione l’Anas», si legge nel testo. Se lo stop alla concessione deriva da suo inadempimento, al concessionario spetta ‘solo’ il «valore delle opere realizzate, al netto degli ammortamenti» e questo anche nel caso in cui vi siano norme precedenti che stabilivano altro, perché sono «da intendersi come nulle». Una norma che è una mina vagante per i concessionari come Benetton e il gruppo Gavio che sono tutti in agitazione. Il 21 dicembre l’associazione dei concessionari autostradali Aiscat aveva infatti espresso «sconcerto e incredulità» per l’articolo che «sembra inficiato da forti dubbi di incostituzionalità», e «genera una gravissima lesione dello Stato di diritto, in quanto modifica per legge e in modo unilaterale i contratti in essere tra lo Stato e i concessionari autostradali». Insomma il provvedimento «rischia di provocare conseguenze estremamente gravi nei confronti di diverse società concessionarie, in particolare di quelle quotate in Borsa».

LEGGI ANCHE: Via libera al Milleproroghe con una mina per i concessionari autostradali

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La brutta figura di Regione Lombardia sui denti delle persone disabili

Il centro Dama di Milano è un eccellente riferimento per l’igiene orale di chi soffre di problemi psichici, cognitivi e sensoriali. Ma rischia di chiudere per mancanza di risorse umane ed economiche. La politica cosa fa?

Durante le feste di Natale vi consiglio di stare attenti alla quantità di dolci che mangerete e di essere molto meticolosi quando vi laverete i denti. A dir la verità queste semplici ma necessarie regole sarebbero da seguire sempre in modo da assicurarci una corretta igiene orale, prevenendo l’insorgere di carie e altri problemi, ma va da sé che, nelle occasioni in cui si eccede con il consumo di zuccheri, questo rischio aumenti. Per alcune persone sarebbe particolarmente importante cercare di anticipare la necessità di dover rivolgersi al dentista a causa delle loro difficoltà a gestire positivamente una seduta da questo specialista. Mi riferisco a tutti quei pazienti con disabilità, le cui caratteristiche motorie, intellettive o psicologiche potrebbero far emergere esigenze particolari o criticità durante le sedute dal dentista o dall’odontoiatra.

UN MOMENTO DELICATO PER PAZIENTI CON DISABILITÀ

Credo che nessuno sia particolarmente entusiasta all’idea di farsi mettere in bocca le mani e gli strumenti del mestiere ma per alcune persone la cura dei denti può diventare una tortura. Per chi ha difficoltà a rimanere immobile come me, per, una banalissima estrazione dentaria può rivelarsi un’impresa titanica, sia per chi la subisce sia per il professionista che la esegue. Ma una seduta dal dentista potrebbe essere vissuta con ansia anche da chi non possiede tutti gli strumenti per comprendere gli elementi di contesto e quello che sta succedendo nella sua cavità orale oppure da chi fatica a gestire l’emotività per qualsiasi altro motivo.

NON TUTTI I DENTISTI SONO PREPARATI

Insomma curarsi i denti per una persona con disabilità non è sempre facile e banale anche perché, secondo me, non bisogna dare per scontato il fatto che tutti i dentisti siano preparati a relazionarsi e gestire pazienti con esigenze particolari. Fortunatamente il mio specialista di fiducia è anche un caro amico che mi conosce da anni e sa mettermi a mio agio. Prevede sempre un po’ di tempo in più da dedicarmi rispetto agli altri appuntamenti perché sa che ho bisogno di intervallare i momenti in cui devo stare immobile sul lettino a momenti in cui posso muovermi. Però prima di conoscerlo e diventare sua paziente ho anche avuto esperienze negative.

UNA BRUTTA ESPERIENZA PER DELLE RADIOGRAFIE

Ricordo, per esempio, quando da bambina mi hanno prescritto delle lastre alle cavità orale. La tecnica radiologa che doveva eseguire le radiografie si è spazientita perché non riuscivo a restare abbastanza ferma, il suo nervosismo mi ha fatto agitare e ha aumentato le mie distonie. Mia madre, vedendomi distrutta per la fatica e demoralizzata, si è imbestialita con la dottoressa e per poco non ci scappava un litigio. Penso che purtroppo molti medici non sappiano andare oltre ai “casi” standard in cui quindi è sufficiente seguire le procedure di routine. Appena ai loro occhi si presenta una situazione straordinaria, ossia fuori dall’ordinario, vanno in tilt o comunque sono in difficoltà.

A MILANO C’È UN ECCELLENTE CENTRO PUBBLICO

Fortunatamente però ci sono delle eccellenze sparse qua e là sul territorio italiano. Una di queste è il progetto Dama dell’ospedale San Paolo a Milano. Si tratta di una struttura d’eccellenza soprattutto nella cura dei pazienti con disabilità psichiche, cognitive e sensoriali. Ciò che rende il progetto ancora più prezioso è che si tratta di un centro pubblico. Tuttavia, nonostante il progetto rappresenti un importantissimo punto di riferimento per tante persone disabili, rischia la chiusura. Perché? Risorse umane ed economiche insufficienti a rispondere alle esigenze di cura dei pazienti.

MA L’EQUIPE MEDICA SI BASA SUL VOLONTARIATO

Il Dama sopravvive grazie al servizio di un’equipe medica formata da personale volontario, a eccezione del responsabile del reparto odontoiatrico. Il volontariato è un’attività davvero molto nobile, ma non si può pensare che la sopravvivenza di un progetto così utile e prezioso sia legata alla buona volontà di pochi professionisti che decidono di prestare servizio gratuito. Non è giusto nei loro confronti, ma non è nemmeno una scelta molto intelligente e strategica di Regione Lombardia a cui la direzione del centro ha chiesto aiuto e che sarebbe tenuta a intervenire visto che si sta parlando di sanità pubblica. Ma la Regione promette e non mantiene, stando a quanto dichiarato da Eugenio Romeo, direttore del Dama, e da Roberto Rozza, responsabile del reparto odontoiatrico del centro.

IL DIRITTO ALLA SALUTE NON VIENE RISPETTATO

Rozza spiega: «Per esempio la Regione finanzia le spese per la struttura e il personale infermieristico, ma non retribuisce i medici che al Dama sono sette e lavorano da volontari». Gran bella figura si sta facendo nei confronti delle persone con disabilità! Ma oltre a non intervenire per fare in modo che il diritto alla salute venga rispettato, non mi sembra che si stia muovendo nemmeno in difesa dei suoi interessi. Poter vantare un centro d’eccellenza nelle cure di pazienti con disabilità, infatti, non è una questione da poco e quindi non capisco questa esitazione nell’investire sul Dama.

E LA LOMBARDIA PERDEREBBE UN MODELLO

Se il progetto dovesse chiudere per mancanza di risorse i pazienti con disabilità perderebbero un importante punto di riferimento, ma anche il servizio sanitario regionale si priverebbe di un modello da esportare in altre Regioni. Senza dubbio chi ci rimetterebbe di più sarebbero ancora una volta i pazienti con disabilità e le loro famiglie e che aspettano con ansia e preoccupazione un intervento da parte della politica. Infatti servirebbe una forte volontà per risollevare le sorti del Dama e più in generale di tutta la sanità lombarda.

MOZIONE URGENTE PRESENTATA DAL PD

Carlo Borghetti, vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia – Partito democratico – ha scritto una mozione urgente in proposito. Speriamo che queste festività diano l’occasione ai politici lombardi di mettersi una mano sulla coscienza e l’altra al portafoglio affinché questo progetto possa continuare a essere un punto di riferimento importante per la salute di tanti pazienti con disabilità.

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Paragone fa l’elenco degli M5s che non versano i rimborsi

Il senatore punta il dito contro Ruocco, Catalfo, Dadone, D’Uva. E molti altri. «Il capo politico ha fatto finta di non sapere».

Non ci sta, Gianluigi Paragone, a farsi giudicare per una eventuale espulsione dal Movimento Cinque stelle. E in un video pubblicato su Facebook se la prende con tutti, con la ministra Fabiana Dadone chiamata a valutare il suo comportamento nei confronti del partito in qualità di probiviro e con tutti quelli che stanno nel Movimento senza versare i rimborsi. E li nomina uno per uno.

«DADONE IN CONFLITTO DI INTERESSE»

«A proposito di probiviri, la onorevole e ministro Fabiana Dadone che è ‘probiviro’ dovrà giudicarmi, ma è in conflitto di interesse, oltre ad essere incompatibile, perché non si può essere proboviro e ministro.. Ma soprattutto: la sue restituzioni sono ferme a 5 mensilità.. gliene mancano un bel pò!», ha attaccato Paragone, annunciando: «Allora, figlia mia, dovrai giudicare anche su te stessa perché io, se non ti metti in regola, sarò costretto a farti un esposto per chiedere l’espulsione dal gruppo perché io, invece, ho pagato e rendicontato tutto».

« IL CAPO POLITICO HA FATTO FINTA DI NON SAPERE»

Il senatore poi ha allargato il campo delle accuse: «Io rischio di essere espulso dal gruppo perché ho detto No e visto che ai probiviri piace il rispetto delle regole è giusto che anche io chieda il loro intervento: tra quelli che non sono in regola con i pagamenti ci sono ministri, presidenti di commissione… Mi sono rotto le scatole della gente che predica bene e razzola male!». E giù a fare l’appello nome per nome: Tutti lo sapevano. C’è gente che dall’inizio dell’anno non ha rendicontato nulla: Acunzo, Aprile, Cappellani, Del Grosso, Dieni, Fioramonti, che lo hanno anche fatto ministro, e poi Frate, Galizia, Grande, Lapia, Romano, Vacca, Vallascas, Giarrusso: lo sapevano tutti perché su Rendiconto c’è tutto e loro non hanno rendicontato nulla e allora il capo politico dov’è? Ha fatto finta di non sapere…».

«SEGNALERÒ TUTTI QUELLI SOTTO I SEI MESI»

Poi, continua il senatore, «tra chi ha pagato poco ho il piacere di segnalare la Nesci, che si voleva candidare in Calabria e soprattutto Carla Ruocco, presidente della Commissione Finanze e che vuole andare a fare la presidente della Commissione di inchiesta sulle banche: è ferma solo a tre mensilità. Poi c’è il ministro del lavoro Nunzia Catalfo, che è ferma a due mesi; è importante che proprio loro si mettano in regola”. Paragone cita poi anche quelli che hanno rendicontato “proprio tutto” e, tra i vari, cita anche Lucia Azzolina e Francesco D’Uva.. E conclude: «sarà mia premura segnalare ai probiviri tutti quelli che sono sotto i sei mesi».

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Dal primo gennaio stop alla prescrizione: le cose da sapere

Il Pd propone una sospensione dei tempi di due anni per l’appello e di un anno dopo la Cassazione. Cosa cambia.

Mitigare ad un livello «fisiologico» lo stop alla prescrizione, che il governo ha invece abolito da inizio 2020: è l’obiettivo della proposta di legge presentata in parlamento dal Pd. Ecco un quadro della situazione.

CHE COSA È LA PRESCRIZIONE

La prescrizione prevede che un reato sia estinto, dunque che il relativo processo penale che lo riguarda abbia fine, «decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria». Dunque, trascorso un certo periodo, il reato non può più essere perseguito, e chi è sospettato di averlo commesso non è più processato. Ciò in base alla convinzione che, passato un determinato numero di anni, non sia più nell’interesse della comunità perseguire alcuni reati oppure non ci siano più le condizioni per farlo. Fanno eccezione i reati di particolare gravità, per i quali è prevista la pena dell’ergastolo.

LA NORMA DELLO ‘SPAZZACORROTTI’

In base a quanto previsto dalla cosiddetta legge Spazzacorrotti, dal primo gennaio 2020, il corso della prescrizione viene sospeso dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado. Ciò accadrà sia in caso di condanna che di assoluzione.

LA PROPOSTA DEL PD

I dem propongono una sospensione dei tempi della prescrizione di due anni per l’appello e di un anno dopo la Cassazione, ai quali si possono aggiungere altri sei mesi se c’è il rinnovo dell’istruzione dibattimentale, per un totale di 3 anni e sei mesi. Il Pd lega la sua proposta al fatto che è in appello che oggi si prescrive il numero dei reati, mentre è trascurabile il loro numero in Cassazione.

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Facebook spiega ai giudici che CasaPound è «odio organizzato»

Il social network ha presentato un reclamo contro l’ordinanza del tribunale di Roma che aveva chiesto di riattivare l’account del movimento neofascista: «Abbiamo una policy sulle organizzazioni pericolose».

Facebook ha presentato un reclamo contro l‘ordinanza del Tribunale di Roma che il 12 dicembre scorso aveva ordinato al social di riattivare gli account di CasaPound. «Ci sono prove concrete che CasaPound sia stata impegnata in odio organizzato e che abbia ripetutamente violato le nostre regole. Per questo motivo abbiamo presentato reclamo», fa sapere un portavoce di Facebook.

«ABBIAMO UNA POLICY SULLE ORGANIZZAZIONI PERICOLOSE»

«Non vogliamo che le persone o i gruppi che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono utilizzino i nostri servizi, non importa di chi si tratti. Per questo motivo abbiamo una policy sulle persone e sulle organizzazioni pericolose che vieta a coloro che sono impegnati in ‘odio organizzato’ di utilizzare i nostri servizi», ha dichiarato il portavoce di Facebook.

«LE REGOLE VALGONO AL DI LÁ DELLA IDEOLOGIA»

«Partiti politici e candidati, così come tutti gli individui e le organizzazioni presenti su Facebook e Instagram, devono rispettare queste regole, indipendentemente dalla loro ideologia». Il reclamo di Facebook è contro l’ordinanza con cui il 12 dicembre il tribunale civile di Roma ha ordinato al social network la riattivazione immediata della pagina Facebook di CasaPound, oltre che del profilo personale e della pagina pubblica dell’amministratore Davide Di Stefano. Tali account erano stati disattivati da Facebook il 9 settembre.

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Incredibile che la sinistra tema gente come Borgonzoni, Santelli e Fitto

La candidata leghista in Emilia-Romagna non verrà votata nemmeno da suo padre, quella calabrese è assediata pure dai compagni di Forza Italia, l’ex enfant prodige pugliese sa di minestra riscaldata. Il problema è che dall’altra parte Bonaccini, Callipo ed Emiliano non sono così validi, anzi. Ditelo che volete morire.

I candidati della destra per la presidenza di Emilia-Romagna, Puglia e Calabria sono debolissimi. Lucia Borgonzoni è da anni inconsapevolmente in politica nelle fila di una Lega che, crescendo in voti, le ha dato una popolarità che di suo non sarebbe stata capace di guadagnare. Jole Santelli è stata una vivacissima parlamentare calabrese di Forza Italia, ma mai è riuscita a entrare nella top ten delle gradite del Cavaliere. Raffaele Fitto è un ex enfant prodige pugliese, democristianissimo, poi molto berlusconiano e infine meloniano, autore cioè di una serie di strappi nel suo elettorato che non possono non aver lasciate ferite sul campo. Ma, soprattutto, già presidente della Regione Puglia, mai rimpianto.

UNA SINISTRA NORMALE LI BATTEREBBE TUTTI FACILMENTE

Chi per manifesta inadeguatezza – la Borgonzoni -, chi è assediata dai compagni di partito ostili – la Santelli – chi rappresenta il “rieccolo”, i tre mostrano una destra priva di idee e di personaggi nuovi. Una sinistra normale li batterebbe facilmente. Ma c’è una sinistra normale di fronte a Borgonzoni, Santelli e Fitto?

BONACCINI E QUELLA BATTAGLIA PERSONALE

L’attuale governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini combatte una battaglia che ha voluto far diventare personale togliendo simboli di partito. Dicono che abbia fatto bene, certo non ha sfondato il muro dell’Emilia-Romagna a differenza di tutti, dicesi tutti, i suoi predecessori. È tuttavia, per comune riconoscimento, un buon amministratore anche se resta incomprensibile perché mai stia accadendo, se i sondaggi non ingannano, che viva con grandi patemi d’animo la concorrenza di una candidata che neppure suo padre voterà.

CALLIPO BRAVO IMPRENDITORE, MA DI DESTRA

Pippo Callipo, il candidato di sinistra per la Regione Calabria, non è di sinistra. La sinistra è ormai fuori moda, ce ne occupiamo in pochi appassionati, tuttavia resta tenace, come un segreto di Fatima, per quale ragione la gente di sinistra di una regione disperata debba infine votare per un imprenditore, bravo per carità, che è di destra.

Jole Santelli, candidata del centrodestra in Calabria. (Ansa)

CANDIDARE EMILIANO È DIRE ALLA PUGLIA CHE È CONDANNATA

Fitto è una minestra riscaldata ma, purtroppo, lo è anche Michele Emiliano se sarà lui a vincere le Primarie pugliesi. È singolare come la sinistra non si accorga mai quando è arrivato il momento di cambiare, di mostrare un altro volto. Votare due reperti come Fitto o Emiliano è dire alla Puglia, afflitta dalla Xylella, dal caso Ilva, dallo scandalo bancario della Popolare di Bari, che è condannata.

Silvio Berlusconi con Raffaele Fitto.

NON FACCIAMO RIAVVICINARE SALVINI A PALAZZO CHIGI

Accadrà così che un appuntamento elettorale che avrebbe potuto portare solo delusioni a Matteo Salvini (che a giudicare da certe foto ha ripreso a gonfiarsi di birra), si potrebbe risolvere in un suo successo e quindi nel suo riavvicinamento a Palazzo Chigi per fare i soliti danni. È tutto qui il dramma della sinistra: nascono e muoiono i cinque stelle, Salvini si inventa la Lega nazionalista, Giorgia Meloni va al 10%, oggi addirittura nascono le benedette sardine, ma a sinistra si mettono in campo sempre i soliti o gente che non c’entra niente con la sinistra. E allora ditelo che volete morire!

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Il sindaco di Cosenza Occhiuto si ritira dalla corsa alle Regionali in Calabria

L’annuncio è arrivato in un post su Facebook col quale il primo cittadino ha raccolto l’invito di Silvio Berlusconi. Via libera a Jole Santelli per il centrodestra,

Mario Occhiuto ritira la propria candidatura alla presidenza della Regione Calabria, accogliendo l’invito che gli era stato rivolto dal leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. «Sono abituato a costruire, non a distruggere», ha scritto il sindaco di Cosenza in un post su Facebook.

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La spesa militare non sta diminuendo neanche col governo Pd-M5s

I tagli erano un cavallo di battaglia dei due partiti. Ma ora il ministro della Difesa Guerini porta avanti i progetti degli F-35. Rischiando persino un ingorgo di acquisti in campo aeronautico. Così l’Italia è pronta a sborsare 3,5 miliardi nei prossimi anni. Sotto il pressing della Nato. Il quadro.

Cacciabombardieri di tutti i tipi. Con un’accelerazione sui programmi militari registrata nelle ultime settimane del 2019. E addirittura il rischio di creare un ingorgo di acquisti in campo aeronautico. Sulla spesa militare, insomma, il “governo della svolta” non ha affatto svoltato: è in continuità rispetto a quanto fatto (o non fatto) nelle ultime legislature.

DIREZIONE GIÀ PRESA CON LA MINISTRA TRENTA

Un deputato del Movimento 5 stelle con cui Lettera43.it ha interloquito sorride amaro: «Già con la ministra della Difesa Elisabetta Trenta si stava andando in quella direzione, ma ora col suo successore Lorenzo Guerini è meglio non parlarne proprio degli ideali di una volta…». Una spia del malumore celato in Transatlantico. Sì, perché tra i tanti temi scomodi sul tavolo c’è il capitolo della spesa militare. La cui riduzione un tempo era cavallo di battaglia del M5s e della sinistra, almeno quella più radicale.

ANCORA GLI F-35: VIA LIBERA DELLA CAMERA

L’ultimo tassello è arrivato con l’approvazione dell’esecutivo alla seconda fase del programma degli F-35, i caccia della Lockheed osteggiati da tutti a parole. Ma nei fatti mai bloccati dai vari governi che si sono susseguiti. Anche Matteo Renzi, quando soggiornava a Palazzo Chigi, era orientato a dimezzare il programma. Ma dietro le buone intenzioni non c’è stato nulla, né allora né adesso. Le avvisaglie c’erano state già a ottobre 2019, a sole poche settimane dall’insediamento di Guerini: il ministro della Difesa, in un’intervista, aveva scandito: «Avanti con gli F-35» perché c’è un «bisogno oggettivo e non rinviabile» e soprattutto «va garantita efficienza operativa dello strumento militare». Messaggio chiaro, seguito dalla prudente mozione proposta alla Camera dalla maggioranza. Che di fatto ha concesso il via libera, seppure con un giro di parole improntato alla cautela.

L’ESBORSO: 3,5 MILIARDI, 130 MILIONI PER AEREO

L’iter degli F-35 è diviso in tre fasi: la prima è stata una sorta di pre-serie e ha portato l’Italia ad acquistare 28 caccia (sui quali, come si sa, non possiamo tornare indietro); la seconda è la prima parte della produzione di serie; la terza è la ultima fase della full-rate production. Il sì alla seconda fase vuol dire acquistare il “blocco” di 27 aerei previsti per questo step: in totale saranno 55 gli F-35 acquistati. Insomma, nonostante i dubbi e le battaglie politiche, l’Italia spenderà nei prossimi anni oltre 3,5 miliardi di euro con un costo medio per aereo di 130 milioni.

ALTERNATIVA NAUFRAGATA: ED ERA MADE IN ITALY

Ma non è l’unico paradosso. Qualche strada alternativa, durante il Conte I gialloverde, era stata pure tentata dal M5s. Ma, a quanto pare, ogni ipotesi è naufragata. Nei mesi precedenti alla conferma della fase 2, secondo quanto risulta a Lettera43.it, sarebbe stato realizzato dai pentastellati un documento sottoposto al ministero della Difesa in cui si ragionava sull’opportunità di optare sui caccia M-346FA (Fighter Attack) al posto degli F-35. Le ragioni, a detta dei tecnici, sono molteplici: risultato più affidabili degli F-35, costano un quinto e sono già a disposizione perché non bisogna svilupparli. Con un altro “piccolo” particolare: essendo totalmente Made in Italy, ci sarebbero stati benefici esclusivi per le casse italiane.

CHE ATTIVISMO DI GUERINI: ALTRI 2,3 MILIARDI IMPEGNATI

Il progetto, però, non è andato avanti. Anzi, se ne sono aggiunti altri, ma orientati altrove. L’attivismo strategico di Guerini è stato visibile ancor prima dell’okay agli F-35. A pochi giorni dal suo insediamento al ministero, infatti, è arrivata l’adesione definitiva al programma per il Tempest britannico, il caccia di sesta generazione: il neo ministro ha apposto la firma sul progetto, dando seguito a quanto già tracciato dalla Trenta. Difficile stabilire, oggi, quale sarà l’impegno economico per l’Italia. Le stime più plausibili (ma che, ovviamente, non tengono conto dei costi indiretti) parlano di un impegno iniziale, quantificato dai britannici, in 2 miliardi di sterline, circa 2,3 miliardi di euro. Il processo è ancora lungo e mira a rendere i nuovi aerei militari operativi non prima del 2035.

guerini spesa militare italiana 2019
Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini in visita alla base militare di Shamaa, nel Sud del Libano. (Ansa)

INCOGNITE SUI CACCIA: RISORSE ANCHE PER I “CONCORRENTI”

Restano numerosi interrogativi. Perché avviare un nuovo programma militare, nonostante per mesi abbia tenuto banco l’idea di bloccare gli F-35? È quello che si chiede, tra gli altri, il portavoce della Rete per il disarmo, Francesco Vignarca, che al di là dell’opportunità “militare”, ragiona anche su questioni prettamente economiche: «L’Italia si troverà tra qualche anno, inspiegabilmente e illogicamente, ad avere più di tre programmi militari in campo aeronautico: l’Eurofighter, l’F-35 e ora il Tempest». Con un particolare ulteriore e non secondario: «Il nostro Paese partecipa anche al programma dell’eurodrone (progetto sponsorizzato direttamente dall’Unione europea, ndr). Ma alcuni elementi di questo progetto confluiranno nel Fcas (Future Air Combat System), il caccia franco-tedesco, che è competitor diretto del Tempest. Insomma, pagheremo indirettamente anche il concorrente del nostro nuovo progetto», spiega ancora il portavoce della Rete disarmo. A conti fatti, dunque, c’è l’adesione a un programma militare, nonostante siano in piedi altri due “concorrenti” e mentre c’è la partecipazione, indiretta, allo sviluppo del competitor naturale dello stesso Tempest.

FATTORE NATO: PRESSING PER INVESTIRE IL 2% DEL PIL

Sulla spesa militare la linea è chiara: Guerini è pronto a soddisfare il “fattore Nato”. La spinta agli investimenti potrebbe rispondere anche agli impegni assunti nel 2014 in Galles, in particolare al 2% del Pil da spendere nella Difesa entro il 2024, come richiesto dall’Alleanza atlantica. Del resto «la quantità di risorse investite è oggetto di costante e sempre più attento monitoraggio» da parte della Nato, viene riferito. Finora, ha ricordato il titolare della Difesa, essere il secondo contributore alle missioni comuni «ci ha posto al riparo da più severe osservazioni». Ma con l’attenzione dell’amministrazione Trump la cosa potrebbe cambiare. La quota «dell’1,22% ci vede ancor lontani dagli obiettivi fissati», però proprio per questo, ha assicurato Guerini, «intraprenderemo tutti gli sforzi per un percorso teso a incrementare gradualmente gli investimenti con l’obiettivo di allineare il rapporto budget Difesa e Pil ad altri partner europei». Una strategia contestata dalla Rete disarmo: «Non c’è alcun documento scritto, alcuna direttiva che obbliga i Paesi a destinare alla difesa il 2% del Pil. Mi piacerebbe avere un governo che dica questo invece di cedere per accontentare i desiderata di Trump», commenta Vignarca.

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Le reazioni politiche alle dimissioni del ministro Fioramonti

Voci critiche interne alla maggioranza e attacchi netti dall’opposizione. Mentre i presidi delle scuole sono sempre più preoccupati.

Le dimissioni del ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti tengono banco nel dibattito politico sotto le feste. E fioccano le polemiche, dentro e fuori dal governo, tra maggioranza e opposizione. Fioramonti è vittima anche di quello che dovrebbe essere fuoco amico. «Se veramente ci si vuole battere per avere più risorse per la scuola bisogna stare in parlamento non all’estero, non a presentare un libro o a fare conferenze stampa», hanno attaccato Gabriele Toccafondi e Daniela Sbrollini, capogruppo di Italia Viva in Commissione Cultura a Camera e Senato, che hanno difeso il lavoro del governo sul fronte scuola: «In quattro mesi questa maggioranza ha votato un decreto scuola, con 50 mila assunzioni e risorse. Non è quanto volevamo, ma nella legge di Bilancio, di risorse per l’istruzione, ci sono».

DADONE: «SE HAI CORAGGIO NON SCAPPI»

Non fa il nome di Fioramonti, ma forse non ce n’è bisogno, la ministra per la Pubblica amministrazione Fabiana Dadone: «Trovo stucchevole che chi professi coraggio agli elettori poi scappi dalle responsabilità politiche», ha scritto in un post su Facebook. «Se hai coraggio, non scappi. Se condividi davvero una battaglia, non scappi, ma mangi sale quando devi e porti avanti un progetto (ammesso che lo si abbia mai realmente condiviso). La coerenza è per lo più un pregio, ma a volte rischia di sconfinare nella sterile testimonianza che, peraltro, si addice poco a chi occupa posizioni di responsabilità».

CARFAGNA: «ORA UN MINISTRO INDIPENDENTE»

Mara Carfagna guarda invece avanti, a ciò che sarà poi, e auspica la nomina di un ministro che sia indipendente e autonomo dalle forze politiche della maggioranza: «Il ministero dell’Istruzione da anni è considerato un parcheggio per notabili di partito in cerca di collocazione. Dal 2013 abbiamo avuto ben cinque ministri, e in seguito alle dimissioni di Fioramonti verrà nominato il sesto», ha detto la vicepresidente della Camera.«È tempo di affidare l’incarico a una personalità autorevole e capace di far capire ai partiti che il sistema dell’istruzione è il “core business” di un Paese moderno».

FORZA ITALIA: «ATTO GRAVE E IRRESPONSABILE»

Durissimi i deputati di Forza Italia in commissione cultura alla Camera Valentina Aprea (capogruppo), Luigi Casciello, Marco Marin, Antonio Palmieri e Gloria Saccani. «Le dimissioni del ministro Fioramonti, costituiscono un atto grave e irresponsabile», hanno scritto in una nota congiunta. «Già minacciate sin dal suo insediamento, arrivano ora in un momento delicato e denso di appuntamenti amministrativi per l’attività del ministero dell’Istruzione. Avere maggiore disponibilità finanziarie per le politiche della scuola, dell’Università e della ricerca è da sempre aspirazione legittima di tutti i ministri dell’istruzione della Repubblica, ma Fioramonti sembra aver sottovalutato irresponsabilmente di essere arrivato a Viale Trastevere da soli quattro mesi, in un momento di crisi economica del Paese».

CALDEROLI RINGRAZIA BABBO NATALE

Sarcastico il senatore della Lega Roberto Calderoli: «Grazie a Babbo Natale per aver pensato ai nostri bambini mandando a casa con un sacco di carbone il pessimo ministro Fioramonti, uno dei peggiori ministri della storia repubblicana, quello che voleva tassare le merendine, quello che voleva togliere il crocifisso dalle aule perché non ci rappresenta. Grazie Babbo Natale per averlo fatto andare via, ora confidiamo nella Befana che magari nella calza ci farà trovare le dimissioni di tutto il governo».

PREOCCUPATI I PRESIDI

Preoccupazione è stata invece espressa dall’Associazione nazionale presidi: «Le dimissioni del ministro Lorenzo Fioramonti. nell’aria da alcuni giorni, ci preoccupano per l’inevitabile incertezza che si abbatte sul mondo della scuola e, soprattutto, per le ragioni delle dimissioni legate al mancato reperimento dei fondi necessari all’istruzione ed alla ricerca», ha affermato il presidente Antonello Giannelli. «Fioramonti, che ringrazio per l’impegno profuso durante il mandato, è stato un interlocutore sensibile e partecipe; questo suo gesto dimostra coerenza ma rende evidente la scarsa considerazione della politica per la scuola».

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Le parole di Fioramonti sulle sue dimissioni da ministro

La notizia dell’addio all’incarico era filtrato la sera di Natale. La spiegazione è arrivata la mattina dopo con un post su Facebook. «Si trovano risorse per tutto, ma mai per l’istruzione».

Non avrebbe voluto andarsene così, con tutto quel clamore la sera di Natale. Lorenzo Fioramonti, la sua lettera di dimissioni al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’aveva presentata il 23, prima della Vigilia, ma aveva deciso di aspettare a rendere pubblica la sua decisione e di collaborare per una transizione rapida ed efficace al vertice del ministero dell’Istruzione. La notizia però è filtrata nel bel mezzo delle feste, così anche lui si è trovato a fornire la sua versione dei fatti la mattina del 26.

L’ATTESA PER L’APPROVAZIONE DELLA MANOVRA

«Prima di prendere questa decisione, ho atteso il voto definitivo sulla Legge di Bilancio, in modo da non porre tale carico sulle spalle del parlamento in un momento così delicato», ha spiegato il ministro dimissionario con un post sulla sua pagina Facebook. «Le ragioni sono da tempo e a tutti ben note: ho accettato il mio incarico con l’unico fine di invertire in modo radicale la tendenza che da decenni mette la scuola, la formazione superiore e la ricerca italiana in condizioni di forte sofferenza».

La sera del 23 dicembre, ho inviato al Presidente del Consiglio la lettera formale con cui rassegno le dimissioni da…

Posted by Lorenzo Fioramonti on Thursday, December 26, 2019

PER L’ISTRUZIONE SOLO 1,9 MILIARDI

Un fine che evidentemente non riteneva più raggiungibile, considerando che dei 3 miliardi che aveva chiesto per la scuola in linea di galleggiamento, ne sono arrivati solo 1,9. «Mi sono impegnato per rimettere l’istruzione – fondamentale per la sopravvivenza e per il futuro di ogni società – al centro del dibattito pubblico, sottolineando in ogni occasione quanto, senza adeguate risorse, fosse impossibile anche solo tamponare le emergenze che affliggono la scuola e l’università pubblica».

«NON È STATA UNA BATTAGLIA INUTILE»

Nonostante le dimissioni, per Fioramonti «non è stata una battaglia inutile e possiamo essere fieri di aver raggiunto risultati importanti: lo stop ai tagli, la rivalutazione degli stipendi degli insegnanti (insufficiente ma importante), la copertura delle borse di studio per tutti gli idonei, un approccio efficiente e partecipato per l’edilizia scolastica, il sostegno ad alcuni enti di ricerca che rischiavano di chiudere e, infine, l’introduzione dell’educazione allo sviluppo sostenibile in tutte le scuole (la prima nazione al mondo a farlo)».

«SERVIVA PIÙ CORAGGIO»

Ma non è bastato: «La verità è che sarebbe servito più coraggio da parte del governo per garantire quella ‘linea di galleggiamento’ finanziaria di cui ho sempre parlato, soprattutto in un ambito così cruciale come l’università e la ricerca. Pare che le risorse non si trovino mai quando si tratta della scuola e della ricerca, eppure si recuperano centinaia di milioni di euro in poche ore da destinare ad altre finalità quando c’è la volontà politica».

«COMBATTUTO PER OGNI EURO IN PIÙ»

Sulle tempistiche delle sue dimissioni ha precisato: «Alcuni mi hanno criticato per non aver rimesso il mio mandato prima, visto che le risorse era improbabile che si trovassero. Ma io ho sempre chiarito che avrei lottato per ogni euro in più fino all’ultimo, tirando le somme solo dopo l’approvazione della Legge di Bilancio. Ora forse mi criticheranno perché, in coerenza con quanto promesso, ho avuto l’ardire di mantenere la parola».

«UN GOVERNO CHE PUÒ ANCORA FARE BENE»

L’ormai ex ministro ha poi fatto capire di sostenere ancora il governo, invocando però quel coraggio necessario per fare le scelte giuste: «Le dimissioni sono una scelta individuale, eppure vorrei che – sgomberato il campo dalla mia persona – non si perdesse l’occasione per riflettere sull’importanza della funzione che riconsegno nelle mani del governo. Un governo che può fare ancora molto e bene per il Paese se riuscirà a trovare il coraggio di cui abbiamo bisogno».

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Micaela Biancofiore lascia Forza Italia

La deputata se ne va nel gruppo misto dopo 26 anni di militanza: : «Siamo diventati come i grillini, uno vale uno senza distinguo, senza storia, senza rispetto per le persone».

Passa al gruppo misto la deputata Micaela Biancofiore, 26 anni di militanza in Forza Italia. «Con la morte nel cuore, ma anche liberata. La Forza Italia nella quale sono nata e cresciuta, non esiste più». ha annunciato nella nottata della vigilia di Natale Biancofiore. La politica del Trentino Alto Adige sembra, infatti, non condividere più le scelte della dirigenza: «Siamo diventati come i grillini, uno vale uno senza distinguo, senza storia, senza rispetto per le persone», si limita a commentare.

GIAMMANCO: «SPERO CHE BERLUSCONI NE TENGA CONTO»

Sull’addio di Biancofiore forzista di lungo corso, dalla fondazione del partito, è arrivato il commento della vicepresidente del gruppo forzista al Senato Gabriella Giammanco: «Mi auguro che il Presidente Berlusconi, al quale Micaela Biancofiore ha sempre mostrato lealtà incondizionata, tenga nella giusta considerazione un gesto e un segnale così forte da parte di chi, in passato, non avrebbe mai lontanamente immaginato un simile epilogo». «Dal ’94», ha aggiunto Giammanco, «la collega Biancofiore ha militato con grande passione e abnegazione in Forza Italia ed è, quindi, con estrema amarezza che apprendo la notizia del suo passaggio al Gruppo misto. «Michaela è sempre stata in prima fila in qualsiasi competizione elettorale, anche candidandosi in prima persona ha dimostrato di avere un suo importante seguito elettorale e con costante impegno ha tutelato le istanze del Trentino Alto Adige, mostrando una conoscenza e un’attenzione rare nei confronti del suo territorio. Il nostro partito non può e non deve perdere figure così rappresentative della nostra storia politica, accadimenti simili dovrebbero indurre tutti ad una profonda riflessione», conclude Giammanco.

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Oliverio rinuncia alla ricandidatura in Calabria

Il governatore uscente fa un passo indietro con una lettera indirizzata al segretario del Pd Nicola Zingaretti. «Sarà la storia a fare giustizia».

Il governatore della Calabria Mario Oliverio si ritira dalla corsa alla riconferma alla guida della Regione. «Pur ritenendo di avere tutte le ragioni del mondo, non faccio dividere il bambino a metà. Di altri sono e saranno le responsabilità», ha scritto Oliverio in una lettera indirizzata al segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti. «La Storia si incaricherà di fare giustizia di tutto, presto o tardi. Io faccio un passo indietro per non consentire che venga distrutto e dilaniato un patrimonio che è la mia storia politica».

STRADA SPIANATA PER CALLIPO

Oliverio ha così accolto l’invito di Zingaretti, che aveva chiesto al governatore uscente di farsi da parte, spianando il campo alla candidatura di Pippo Callipo. Nella lettera al segretario dem, Oliviero cita la parabola biblica di Re Salomone, sulle due donne che reclamavano la maternità di un bimbo, e richiama «la storia di Fausto Gullo e dei braccianti poveri e diseredati, la storia dei morti di Melissa, la storia delle lotte contro la ‘ndrangheta, la storia di Giannino Losardo e di Peppe Valarioti e dei tanti uomini e donne assassinati per l’affermazione dei diritti, per la legalità e la giustizia; la storia di Riace e di ciò che rappresenta, la storia di tanti giovani che credono nel riscatto di questa terra; la storia della mia famiglia. La storia di ieri e di oggi che prosegue».

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Cappato ringrazia per il sostegno: «Ora andiamo avanti»

«Grazie», ha scritto oggi l’esponente radicale, «anche a chi mi è stato vicino per mia mamma».

Le prime parole su Facebook di Marco Cappato, l’esponente dei radicali assolto il 23 dicembre dalla Corte d’Assise di Milano dall’accusa di aiuto al suicidio per la vicenda di dj Fabo: «Grazie a chi mi ha sostenuto in questo percorso che ha portato al riconoscimento del diritto di Fabiano di non soffrire più». «Ora», ha aggiunto il leader dell’associazione Luca Coscioni’ – andiamo avanti per la libertà delle persone che sono nelle condizioni di Davide Trentini» (malato affetto da sclerosi multipla morto in Svizzera nel 2017, ndr).

LEGGI ANCHE: Cappato assolto per aver accompagnato a morire Dj Fabo

IL LUTTO PER LA MADRE

Durante il processo che si è concluso il 23 dicembre, Cappato, che era presente in aula, ha ricevuto la notizia della morte della madre, malata da tempo. «Grazie», ha scritto oggi l‘esponente radicale, «anche a chi mi è stato vicino per mia mamma. Le esequie si terranno in forma privata. Chi vorrà fare ‘opere di bene’ sa già come fare».

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Il M5s ruba al Pd l’imbarazzante idea della sitcom politica

I senatori Taverna e Castaldi protagonisti di una grottesca messinscena in cui elogiano la manovra fingendosi a Camera Café. Un format mutuato dal Partito democratico. Con gli stessi risultati tragicomici.

Il M5s ha preso in prestito dal suo nuovo alleato di governo, il Pd, un formato di dubbio gusto estetico: la sitcom politico-elettorale. Trattasi di una vera e propria messinscena in cui i politici di turno si improvvisano attori in un siparietto che vorrebbe dare l’illusione dell’autenticità (generando nello spettatore il risultato opposto, oltre che un certo imbarazzo). La clip regalata dal Movimento 5 Stelle agli italiani per Natale vede la vice presidente del Senato Paola Taverna e il sottosegretario per i Rapporti con il parlamento Gianluca Castaldi discutere animatamente delle novità per le famiglie passate con la manovra.

Nel botta e risposta, cui fa da sottofondo un’allegra canzone natalizia, il sottosegretario assume il ruolo dell’ingenuo che si chiede candidamente come mai una legge di Bilancio così perfetta non sia stata votata dall’opposizione. E in particolare dalla «madre del popolo», un chiaro riferimento a Giorgia Meloni. «Quella i soldi ce l’ha, ma che vuoi che ne sappia delle famiglie che non arrivano a fine mese. Altrimenti questa manovra, vedevi come la votava», la risposta della pasionaria pentastellata (che sottintende, tra l’altro, l’idea per cui chi «c’ha i soldi» se ne dovrebbe fregare della famiglie). Il tutto si chiude con risate di dubbia spontaneità e un bicchierino di caffè con la scritta “Parlamento Cafè” e il simbolo del M5s.

L’IDEA MUTUATA DAL PD

L’idea della sitcom come mezzo politico per attaccare un avversario non è però marchio originale Movimento 5 Stelle. I primi ad adottarla nel formato della messinscena erano stati i rappresentanti del Partito democratico nel settembre 2018, quando ancora erano all’opposizione del governo Conte I.

I tre deputati Alessia Rotta, Alessia Morani e Franco Vazio, seduti su un divanetto, si mostrano indignati per una festa del Carroccio a base di porchetta nella sede del Ministero dell’Interno. Anche qui il meccanismo è quello di uno degli attori che finge di chiedere agli altri spiegazioni per un fatto increscioso. Anche qui il risultato era grottesco, ma evidentemente è piaciuto al M5s tanto da replicarlo.

LA CRITICA DI LUCA BIZZARRI

Il tentativo pentastellato di rifarsi a Camera Café è stato subito criticato proprio da uno dei protagonisti della fortunata sitcom, Luca Bizzarri. L’attore ha stroncato su Twitter il video mettendone in luce i difetti. D’altronde ben visibili anche ai non addetti ai lavori.

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Il Gratterismo è la malattia senile del giustizialismo

Il magistrato calabrese Gratteri si lamenta di come i giornali hanno trattato la retata contro la ‘ndrangheta. Ma chi non si inchina e attende l’esito del processo non va demonizzato. Siamo l’unico Paese che affronta il rapporto giudici-politici in modo non sobrio.

Nicola Gratteri è un magistrato calabrese in prima fila contro la ‘ndrangheta. Clamorose sono le sue inchieste e nell’ultima ha portato in galera alcune centinaia di persone offrendo alla pubblica opinione nomi di politici eccellenti che sarebbero collusi. Un minuto dopo ha dedicato il suo tempo a lamentarsi per come i grandi giornali hanno trattato la mega-retata. Nel frattempo è tornata circolare la notizia, in verità una indiscrezione mai accertata, che a suo tempo il presidente Giorgio Napolitano non lo avrebbe voluto come ministro della Giustizia, dove, dice ora Gratteri, avrebbe smontato e rimontato tutto.

FALCONE ERA UN UOMO DI DIRITTO, UNO SCIENZIATO

Io sono rimasto a Giovanni Falcone. Ho letto i suoi libri e le sue interviste e mi restano ancora in mente la qualità di uomo di diritto, un vero scienziato, e la sobrietà del suo modo di intendere il ruolo. Paolo Borsellino diventò più loquace nelle settimane successive all’assassinio del suo amico e compagno (si può dire “compagno” a uno che era di destra?) che ritenne vittima anche di una sottovalutazione dello Stato. Dopo loro due, la magistratura ha avuto moti magistrati bravi, molti “tragediatori” con le mani fra i capelli, molti dalle manette facilissime, alcuni che volevano rovesciare l’Italia come un guanto.

TANTI MAGISTRATI FINITI IN POLITICA

Tanti di loro sono finiti in politica, diventati ministri, presidenti di Regione e sindaci o hanno avuto incarichi apicali in parlamento. Non c’è categoria che non sia sta più premiata dei magistrati, anche se sono numerosi ormai i casi di inchieste fallite che non hanno retto la prova dei processi e persino, prima, del controllo del giudice istruttore.

DI MATTEO E GRATTERI VOGLIONO CHE L’ITALIA SI INCHINI

Eppure il siciliano Nino Di Matteo e il calabrese Gratteri vogliono che l’Italia gli si inchini, qualunque cosa loro dicano e qualunque bizzarra teoria espongano nelle loro indagini. Si crea, dopo le loro parole, una immediata corrente di sostenitori che li elegge a eroi moderni contro i politici, fra i quali vi sono tanti colleghi di Gratteri e di Di Matteo.

MA SI PUÒ NON PARTECIPARE AL CORO CONFORMISTA

La speranza è che lo Stato protegga loro due e tanti altri più di quanto abbia fatto con Falcone, Borsellino e i magistrati eroi silenziosi. Tuttavia chi non sente di partecipare al coro conformista pro Gratteri, attendendo l’esito delle indagini e dello stesso processo, non va demonizzato. Né la deputata calabrese del Partito democratico che critica Gratteri e difende il consorte invischiato nell’inchiesta deve perdere il diritto di parola per lesa “gratterità”. Il dilagare dei magistrati ha portato allo sfascio del sistema politico e all’avanzare di questa orribile destra che oggi è diventata garantista per paura.

SIAMO L’UNICO PAESE SENZA SPIRITO ISTITUZIONALE

Siamo l’unico Paese che non ha sobrietà e spirito istituzionale nell’affrontare il rapporto fra magistratura e politica. In Israele, per fare un solo esempio, sono caduti pezzi grossi e l’opinione pubblica non ha sospettato di protagonismo i magistrati che ne hanno falciato la carriera. In Brasile, invece, un magistrato legato a doppio filo alla presidenza ha mandato in galera ingiustamente Lula, ora scarcerato.

SI DIA UNA CALMATA: PIÙ CARTE E MENO INTERVISTE

Gratteri si dia una calmata. Se ha ragione, l’opinione pubblica se ne convincerà. Prosegua nel suo lavoro, produca carte invece che parole per interviste. Di queste ultime è affollato il sistema mediatico e ormai non le legge più alcuno. Buon Natale a tutti, arrivederci al 27 dicembre.

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Cappato assolto per aver accompagnato a morire dj Fabo

L’esponente radicale: «Ho agito per la libertà di scelta». Per la procura c’è l’esigenza di una legge. Ma il parlamento è fermo dal 2013.

Ora il parlamento deve agire: «L’esigenza di una legge sussiste». Così ha dichiarato la procura di Milano nel pronunciare la richiesta di assoluzione per Marco Cappato, imputato per aiuto al suicidio nel caso di dj Fabo. Richiesta accolta dalla corte d’Assise di Milano che ha assolto l’esponente radicale con formula piena «perché il fatto non sussiste».

«HO AGITO PER LA LIBERTÀ
DI SCELTA»

L’esponente dei radicali era imputato per aiuto al suicidio per la vicenda di dj Fabo, accompagnato a morire in Svizzera nel febbraio 2017. Nel chiedere l’assoluzione, l’accusa aveva ricordato la recente sentenza della Corte costituzionale, spiegando che nella vicenda ricorrono tutti e 4 i requisiti indicati dalla Consulta, che ha tracciato la via sulla non punibilità dell’aiuto al suicidio. «Ho agito per libertà di scelta e per il diritto di autodeterminazione individuale», ha detto Cappato, che durante il processo ha ricevuto la notizia della morte della madre, malata da tempo.

IL PARLAMENTO FERMO DAL 2013

«L’assoluzione di oggi di Marco Cappato dà libertà alla libertà», ha commentato Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni, commentando la sentenza di oggi aggiungendo che «la strada che abbiamo intrapreso era giusta fin dall’inizio» e sottolineando che «la politica è ferma su questi temi» in quanto su fine vita ed eutanasia il Parlamento dal 2013 non fa alcuna legge». L’avvocato Massimo Rossi ha precisato che “c’è stato un passo in più verso la civiltà, non soltanto giuridica»

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L’ex ministro Bray e la cultura come mezzo di rilancio per l’Italia

Un patrimonio da valorizzare. Nonostante i pochi fondi. Mentre la spinta digitale e il crollo della lettura dei libri sono un freno al sapere. «Ma il nostro Paese può ricostruirsi un ruolo importante valorizzando le nostre capacità». L’intervista.

Massimo Bray, direttore generale della Treccani e già ministro per i Beni, le Attività culturali e il Turismo del governo presieduto da Enrico Letta, ha scritto un libro importante per questo nostro presente, un testo per molti aspetti intimo e utile a riflettere sull’importanza cruciale del patrimonio culturale italiano – inteso nella sua accezione più ampia possibile. Il titolo del volume rimanda al gesto della consultazione, della ricerca: Alla voce cultura. Diario sospeso della mia esperienza di ministro, in libreria per i tipi Manni editori.

CULTURA E CAPACITÀ DI FARE POLITICA

Spiega Bray: «Valorizzare la cultura significa sviluppare la nostra capacità di fare politica. Per decenni siamo stati capaci di ascoltare le esigenze di un quadrante fondamentale quale è l’area del Mediterraneo, facendo di tutto questo un’esperienza costruttiva per il nostro Paese. Oggi l’Italia ha smarrito questo ruolo che invece va ricostruito, sia come Paese ma anche come Unione europea».

DOMANDA. Direttore, se oggi in Italia andassimo a leggere alla voce “cultura” cosa troveremmo?
RISPOSTA. Sicuramente la presenza di un grandissimo fermento, di energie giovani che vogliono non solo difendere il nostro patrimonio artistico ma intuiscono come la cultura possa fare da collante, creare comunità, avere la forza del cambiamento. Di fronte a una crisi economica – che indubbiamente è anche una crisi di valori, come ripeto più volte nel libro – c’è una parte dell’Italia che crede di poter affidare alla cultura la capacità di una svolta antropologica che bisogna mettere in campo e mira a valorizzare non solo i monumenti ma anche le biblioteche, gli archivi, tutti quei luoghi di cui si parla troppo poco e che invece dovrebbero recuperare la storia e il ruolo importante che nel tempo hanno avuto nel nostro Paese.

Nel libro vengono citate le parole di Aldo Moro sulla «capacità creativa» degli italiani.
Leggevo qualche giorno fa gli scritti del periodo in cui Moro predispose l’insegnamento dell’Educazione civica nelle scuole – Aldo Moro insieme con Concetto Marchesi fu l’estensore dell’articolo 9 della Costituzione: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione» – e in cui riconosceva quella grande capacità della cultura di fare politica estera, andando incontro alle grandi sfide globali della sua epoca, che poi sono per altri aspetti le stesse che affrontiamo in questi anni. L’Italia quindi deve essere anche oggi capace di giocare un ruolo importante nel mondo proponendo e sviluppando un modello che sappia partire dalle fondamenta di una forte valorizzazione culturale.

Eppure assistiamo spesso a una dinamica per cui i fondi per la conservazione dei Beni culturali nel nostro Paese si fermano al Nord Italia: a malapena arrivano a Roma, raramente scendono oltre il Centro Italia, nel Meridione.
L’Italia ha pochi fondi per la cultura dappertutto. Nel libro affronto il problema di Taranto, oggi purtroppo di grande attualità. Ricordo gli sforzi per far partire il museo nazionale di Taranto, con un tessuto civico di associazioni che avevano grandi attese proprio nei confronti delle istituzioni, una tensione che sento tutt’oggi. Taranto è una città che ha bisogno di un progetto a lungo termine sia sul fronte culturale ma soprattutto relativo alla politica industriale, problema che riguarda in realtà tutto il Mezzogiorno. Un territorio in cui la popolazione da un lato invecchia e dall’altro assiste a una continua partenza dei giovani dai paesi e ha sempre meno quella energia necessaria a rilanciare il Paese. Sul Mezzogiorno è necessario un discorso corale su più aspetti.

La lettura e tanti settori della cultura oggi passano anche e soprattutto attraverso le piattaforme digitali, con la carta che sta perdendo posizioni a favore di altri supporti. Qual è il ruolo dei social e del digitale nella diffusione delle tematiche culturali in Italia?
Questo è un aspetto importante e bisogna porsi il problema di come utilizzare il mondo digitale in relazione ai contenuti. Quello che sottolineo è che non ci dobbiamo meravigliare dello strumento ma utilizzarlo al meglio, con una attenzione alla certificazione delle fonti. Ed è una capacità questa che stiamo smarrendo in molti settori della comunicazione: il rischio per il prossimo futuro è che i nostri figli studino e si informino su piattaforme digitali – web e social – i cui contenuti non sono certificati. Bisogna fare in modo di certificare ciò che si legge online. Il portale Treccani, per esempio, ha una rubrica chiamata “Una poesia al giorno” ed è visitata da moltissimi utenti. Una delle grandi scommesse del futuro sia a livello di Paese sia di Unione europea, è proprio lavorare per rendere affidabili i contenuti veicolati sul web.

Restando sui temi della lettura, oggi le statistiche dicono che sei italiani su 10 non leggono nemmeno un libro all’anno. Cosa manca? Perché questa disaffezione?
Quello della lettura è un tema importante. Ma mi domando e domando: facciamo abbastanza per far leggere? Stiamo davvero investendo nella scuola? Sento da anni ripetere in continuazione che «bisogna ripartire dalla scuola», ma nella pratica quali reali risorse stiamo dando al corpo dei docenti? Come recita la Costituzione, ai docenti è affidata la formazione dei cittadini del futuro: ma stiamo davvero dando agli insegnanti la dignità e le risorse per fare al meglio il loro mestiere? Queste sono le vere domande e non mi meraviglio se poi gli italiani leggono poco. Bisognerebbe quindi discutere di tutto questo una volta fatti questi investimenti. C’è poi un altro dato: probabilmente sta cambiando anche il modo di leggere. Adesso abbiamo i tablet e gli smartphone che sono supporti utili anche alla lettura. Ma torniamo al problema precedente sulla qualità dei contenuti online.

Nel suo libro riporta una bellissima poesia di Natalia Ginzburg scritta dopo la morte del marito, Leone. Cosa ci insegna quella generazione?
A me colpiscono le parole di Natalia Ginzburg e immagino lo strazio nell’andare a Regina Coeli e trovare Leone massacrato dalla violenza nazifascista. Quella era una generazione che affidava ai libri, alla lettura e alla cultura una nuova forma di opposizione a qualunque privazione di libertà. Era una generazione che aveva coraggio, che difendeva una grande esperienza editoriale come quella dell’Einaudi nella situazione più difficile come la privazione della libertà. Non desistevano, avevano energia, coraggio. Ed è quello di cui oggi ha bisogno questo nostro Paese per affrontare l’attuale momento di difficoltà. L’Italia ha bisogno di quegli esempi. Ovviamente si tratta di due periodi storici molto diversi ma il mio invito alle nuove generazioni è ad avere coraggio – il coraggio delle idee – a difendere le idee e portarle avanti. In fondo ho un approccio molto ottimistico nei confronti del nostro Paese.

Il momento più bello nella sua esperienza da Ministro?
La festa a Carditello, un luogo pieno di simboli e di emozioni. Fu davvero per me una emozione fortissima. Ricordo una signora che mi venne incontro dicendomi «grazie, non solo per aver recuperato la Reggia prima in completo abbandono, ma anche perché finalmente ieri al telegiornale hanno parlato bene della Terra dei Fuochi».

E il più difficile?
Il momento più complicato da affrontare: i giorni delle nomine a Pompei, perché volevo assolutamente premiare il merito, tutelare il valore dello straordinario patrimonio di Pompei; sapevo che avevamo fatto un grande progetto su quel sito archeologico ma bisognava affidarlo a mani esperte. Furono giorni tesi in cui non mi è mai mancato il sostegno di Enrico Letta che conoscevo poco e con cui approfondii il rapporto proprio durante quella esperienza. Fu una fase davvero non facile.

Un’ultima domanda: a chi è rivolto il suo libro?
Il libro mi auguro lo leggano i ragazzi e le ragazze che sono convinto sapranno ridare un ruolo a questo nostro Paese, sperando che possano capire quanto abbiamo creduto in alcuni valori forti che sono scritti nella Costituzione. Ma mi piacerebbe anche che a leggerlo fosse una classe dirigente che deve ritrovare la fiducia in se stessa e capire che non deve stare in un angolo ma venire incontro alle attese del Paese, facilitandone la capacità di fare impresa, di creare forme di solidarietà. Siamo un’Italia per tanti aspetti ricchissima di esperienza ma purtroppo spesso ripiegata su se stessa. Siamo un Paese che deve saper guardare avanti, ripartendo da quello spirito che aveva Leone Ginzburg.

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