L’Europa è sempre più calda: 2,3 gradi in più nel 2022 rispetto al 1900

La temperatura media in Europa è aumentata di 2,3 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, cioè alla seconda metà del XIX secolo. Lo afferma il rapporto Stato del clima in Europa 2022, redatto dalla Wmo, l’Organizzazione meteorologica mondiale, e da Copernicus, il servizio dell’Unione Europea di osservazione della Terra. Nel documento vengono analizzati i dati raccolti e si evidenzia come dal 1980 l’Europa si sia riscaldata del doppio rispetto alla media mondiale. Basti pensare che la temperatura media della Terra nel 2022 è salita di 1,15 gradi sopra la media del 1850-1900, rispetto al già citato 2,3 del solo Vecchio Continente.

Il report di Wmo e Copernicus evidenzia l'aumento delle temperature medie
Un termometro in Spagna mostra la temperatura di 44°C (Getty).

Gli effetti: «Siccità intense e violenti incendi boschivi». 195 mila morti dal 1980

Il report è stato redatto non soltanto a fini statistici ma per analizzare anche le conseguenze di questo vistoso aumento delle temperature. In Europa, si legge nel documento, «le alte temperature hanno esacerbato siccità intense e diffuse, alimentato violenti incendi boschivi, responsabili della seconda più grande superficie mai bruciata nel continente, e provocato migliaia di morti». Per il database delle situazioni di emergenza, 156 mila persone sono state colpite da eventi meteorologici, idrologici o climati nel solo 2022, con oltre 16 mila morti. Le vittime dei disastri ambientali legati al surriscaldamento del continente dal 1980 al 2022 sono state, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, 195 mila.

Il report di Wmo e Copernicus evidenzia l'aumento delle temperature medie
La secca di un fiume in Spagna (Getty).

Buontempo: «Una tendenza che porterà a episodi frequenti e intensi»

Il direttore dell’Osservatorio sui cambiamenti climatici Copernicus, Carlo Buontempo, lancia l’allarme e spiega che il 2022 «purtroppo non è un caso unico o una stranezza climatica». Per il numero uno del C3S dell’Unione Europea, infatti, il fenomeno è «parte di una tendenza che renderà gli episodi estremi di stress da caldo più frequenti e più intensi in tutta la regione». Nel report si parla anche dei danni economici complessivi. Inondanzioni e tempesta in tal senso sono i fenomeni che creano maggiori problemi. Nel 2022 si parla di due miliardi di dollari, ma nel 2021 a causa di eccezionali inondazioni si è arrivati addirittura a 50 miliardi.

Russia, il piano fallito per uccidere la “talpa” Alexander Poteyev

La Russia ha tentato di assassinare negli Stati Uniti l’ex ufficiale dell’intelligence Alexander Poteyev in un’operazione che – fallita – ha portato all’espulsione di 10 diplomatici dagli Usa. Lo scrive il New York Times, citando tre ex alti funzionari statunitensi rimasti anonimi. Dal 2000 al 2010 vice capo del Služba vnešnej razvedki (SVR), primo organismo di intelligence a prendere vita dopo lo scioglimento del KGB, Poteyev a partire dal 1999 aveva iniziato a lavorare segretamente con la Cia, contribuendo a rivelare l’esistenza di una rete nascosta di spie russe operanti negli Stati Uniti, tra cui anche Anna Chapman.

Russia, il piano fallito per uccidere la “talpa” Alexander Poteyev, che aveva contribuito all'arresto di 10 spie russe.
La notizia dell’arresto di Anna Chapman sul giornale russo Tvoi den (Getty Images).

Il compito di trovare Poteyev affidato a un microbiologo messicano

Anna Chapman, nata Anna Vasilyevna Kushchenko, abitava a New York quando il 27 giugno 2010 fu arrestata assieme ad altri nove agenti segreti, con l’accusa di lavorare per il cosiddetto “Illegals Program”, una rete di spie dormienti facenti parte non ufficialmente dell’SVR. Fuggito negli Usa pochi giorni prima che l’Fbi arrestasse le spie russe, il colonnello Poteyev è stato poi condannato in contumacia a 25 anni di carcere per tradimento. Secondo quanto rivelato dalle fonti del New York Times, Mosca nel 2019 ha reclutato al microbiologo messicano Hector Alejandro Cabrera Fuentes per localizzarlo a Miami Beach, in Florida: nel 2016, incredibilmente, Poteyev aveva fornito il suo vero nome per ottenere la licenza di pesca e iscriversi alle liste elettorali. L’operazione avrebbe varcato una linea: mai, per quanto si sappia, la Russia aveva preso di mira un informatore degli Usa sul suolo americano. L’intenzione c’era, ma non è andata come sperato dai russi: dopo aver attirato l’attenzione delle guardie che sorvegliavano il complesso residenziale all’interno del quale viveva Poteyev, Fuentes è stato infatti arrestato a febbraio del 2020 all’aeroporto di Miami, mentre cercava di tornare in Messico.

Russia, il piano fallito per uccidere la “talpa” Alexander Poteyev, che aveva contribuito all'arresto di 10 spie russe.
Un’immagine aerea di Miami Beach (Getty Images).

L’arresto di Fuentes e l’espulsione di 10 diplomatici russi dagli States

Incastrato da una foto della targa dell’auto di Poteyev sul suo smartphone, una volta in arresto Fuentes ha rivelato alle autorità statunitensi i suoi contatti con un funzionario russo, che il Dipartimento di giustizia ha dettagliato in una denuncia: il messicano nei mesi precedenti si era incontrato più volte con il suo contatto, scambiandosi informazioni sull’uomo finito nel mirino di Mosca. A seguito di quanto accaduto, gli Stati Uniti hanno annunciato sanzioni e l’espulsione di 10 diplomatici russi, presunte spie, nell’aprile 2021. In risposta, poco dopo la Russia ha espulso 10 diplomatici americani. Dato più volte per molto dalla Russia, Poteyev continua a vivere negli Stati Uniti con una nuova identità.

Uruguay, l’aquila nazista della Admiral Graf Spee non diventerà una colomba

Marcia indietro da parte di Luis Lacalle Pou. Il presidente dell’Uruguay ha annunciato di aver abbandonato il suo controverso piano di fondere l’aquila di bronzo – larga quasi tre metri e pesante 350 chilogrammi – che adornava la prua dell’Admiral Graf Spee, corazzata tedesca della Seconda Guerra mondiale affondata al largo delle coste del Paese sudamericano nel 1939, per trasformarla in una colomba simbolo di pace.

Uruguay, l'aquila nazista della Admiral Graf Spee non diventerà una colomba. Passo indietro del presidente Luis Lacalle Pou.
Luis Lacalle Pou, presidente dell’Uruguay dal 2020 (Getty Images).

La decisione di Lacalle Pou aveva sollevato critiche anche da parte della coalizione di governo

Da quando Lacalle Pou aveva annunciato venerdì 16 maggio l’idea di fondere la polena trovata 17 anni fa sul relitto della nave da guerra nazista, una delle più grandi del Terzo Reich, si erano levate pesanti critiche negli ambienti culturali e politici, anche all’interno della sua coalizione di governo. E così alla fine l’artista uruguaiano Pablo Atchugarry, che era stato scelto per realizzare la colomba entro novembre, è stato informato che il progetto è stato annullato. Il futuro dell’aquila di bronzo rimane a questo punto incerto.

Uruguay, l'aquila nazista della Admiral Graf Spee non diventerà una colomba. Passo indietro del presidente Luis Lacalle Pou.
L’autoaffondamento dell’incrociatore nazista Admiral Graf Spee, avvenuto il 17 dicembre 1939 (Getty Images).

Danneggiata nella battaglia del Rio de la Plata, la Admiral Graf Spee fu poi autoaffondata

Varata nel 1934, la Admiral Graf Spee era un incrociatore pesante della classe Deutschland, che servì nella Kriegsmarine tedesca durante le primissime fasi della seconda guerra mondiale. Il 13 dicembre 1939 fu protagonista della battaglia del Río de la Plata, breve scontro a fuoco che la vide opposta a tre incrociatori della Royal Navy britannica. Colpita e danneggiata, la Admiral Graf Spee fu costretta a riparare nel porto neutrale di Montevideo: scaduto il termine di 72 ore per la permanenza concesso dal governo uruguaiano, fu obbligata a ripartire e il capitano Hans Langsdorff ne decise l’autoaffondamento la sera del 17 dicembre. La scultura di bronzo era stata poi recuperata nel 2006, dopo un decennio di ricerche nelle acque uruguaiane. Al termine di una lunga battaglia procedurale, la Corte Suprema dell’Uruguay aveva stabilito che l’aquila era interamente di proprietà dello Stato.

Uruguay, l’aquila nazista della Admiral Graf Spee non diventerà una colomba

Marcia indietro da parte di Luis Lacalle Pou. Il presidente dell’Uruguay ha annunciato di aver abbandonato il suo controverso piano di fondere l’aquila di bronzo – larga quasi tre metri e pesante 350 chilogrammi – che adornava la prua dell’Admiral Graf Spee, corazzata tedesca della Seconda Guerra mondiale affondata al largo delle coste del Paese sudamericano nel 1939, per trasformarla in una colomba simbolo di pace.

Uruguay, l'aquila nazista della Admiral Graf Spee non diventerà una colomba. Passo indietro del presidente Luis Lacalle Pou.
Luis Lacalle Pou, presidente dell’Uruguay dal 2020 (Getty Images).

La decisione di Lacalle Pou aveva sollevato critiche anche da parte della coalizione di governo

Da quando Lacalle Pou aveva annunciato venerdì 16 maggio l’idea di fondere la polena trovata 17 anni fa sul relitto della nave da guerra nazista, una delle più grandi del Terzo Reich, si erano levate pesanti critiche negli ambienti culturali e politici, anche all’interno della sua coalizione di governo. E così alla fine l’artista uruguaiano Pablo Atchugarry, che era stato scelto per realizzare la colomba entro novembre, è stato informato che il progetto è stato annullato. Il futuro dell’aquila di bronzo rimane a questo punto incerto.

Uruguay, l'aquila nazista della Admiral Graf Spee non diventerà una colomba. Passo indietro del presidente Luis Lacalle Pou.
L’autoaffondamento dell’incrociatore nazista Admiral Graf Spee, avvenuto il 17 dicembre 1939 (Getty Images).

Danneggiata nella battaglia del Rio de la Plata, la Admiral Graf Spee fu poi autoaffondata

Varata nel 1934, la Admiral Graf Spee era un incrociatore pesante della classe Deutschland, che servì nella Kriegsmarine tedesca durante le primissime fasi della seconda guerra mondiale. Il 13 dicembre 1939 fu protagonista della battaglia del Río de la Plata, breve scontro a fuoco che la vide opposta a tre incrociatori della Royal Navy britannica. Colpita e danneggiata, la Admiral Graf Spee fu costretta a riparare nel porto neutrale di Montevideo: scaduto il termine di 72 ore per la permanenza concesso dal governo uruguaiano, fu obbligata a ripartire e il capitano Hans Langsdorff ne decise l’autoaffondamento la sera del 17 dicembre. La scultura di bronzo era stata poi recuperata nel 2006, dopo un decennio di ricerche nelle acque uruguaiane. Al termine di una lunga battaglia procedurale, la Corte Suprema dell’Uruguay aveva stabilito che l’aquila era interamente di proprietà dello Stato.

Alfredo Cospito, oggi la sentenza sull’attentato alla scuola dei carabinieri di Fossano

È attesa per il pomeriggio di lunedì 19 giugno 2023 la sentenza sul processo legato all’attentato alla scuola dei carabinieri di Fossano in cui sono imputati l’anarchico Alfredo Cospito e la sua ex compagna Anna Beniamino. Il procedimento era stato sospeso a dicembre dopo che i giudici torinesi avevano chiesto che la Corte costituzionale si pronunciasse in merito alla norma che vieta la concessione di attenuanti per lieve entità nel caso di reati puniti col fine pena mai (come la strage politica) a chi, come Cospito, è recidivo. Senza la pronuncia della Consulta, l’inserruzionalista sarebbe stato condannato all’ergastolo. Ma, grazie al parere di quest’ultima, potrebbe ottenere una pena meno dura. Intervenuto in videocollegamento dal carcere di Sassari, l’anarchico ha parlato per una decina di minuti evidenziando come la sua vicenda «sia stata usata dal governo come una clava per colpire la cosiddetta opposizione».

Cospito, l’accusa di strage politica per l’attentato alla scuola carabinieri di Fossano

Il processo riguarda i fatti accaduti a giugno 2006 presso la scuola allievi carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa di Fossano, dove vennero piazzati due ordigni temporizzati programmati per esplodere in due fasi. Il primo, che avrebbe dovuto attirare i militari nell’agguato, esplose alle 3:05 del mattino, mentre il secondo, che nelle intenzioni anarchiche avrebbe dovuto colpirli, 25 minuti dopo. Solo il caso fece sì che non ci fossero morti né feriti.

Per i fatti, Cospito sta già scontando vent’anni di reclusione con l’accusa di strage. La Cassazione, però, ha riqualificato il reato in strage politica, punito in Italia con l’ergastolo (indipendentemente dal fatto che sia tentato o consumato), chiedendo alla Corte d’appello di Torino di rideterminare la pena. I difensori dell’imputato, di fronte ad un fatto senza vittime, puntavano al riconoscimento dell’attenuante della «lieve entità» che, se riconosciuta, avrebbe eliminato il rischio di condanna all’ergastolo riportando i termini sanzionatori nella forbice compresa tra i 21 e i 24 anni.

Il parere della Corte costituzionale e le possibili attenuanti

Ma i giudici si sono trovati davanti alla strettoia dell’articolo 69 quarto comma del codice penale, che non consente di concedere le attenuanti per la lieve entità del fatto a chi, come Cospito, è recidivo. Di qui la decisione di chiedere un parere alla Corte costituzionale, che si è espressa a favore dell’anarchico. «Nel caso di reati puniti con la pena edittale dell’ergastolo, è illegittimo il divieto per il giudice di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata», ha sentenziato. Ciò vuol dire che il giudice può operare un bilanciamento tra l’attenuante della «lieve entità» e l’aggravante della recidiva. E siccome quella di Fossano fu una strage di entità minore (non ci furono feriti né morti), l’imputato potrebbe beneficiare di una pena minore rispetto all’ergastolo.

 

 

 

 

 

Alfredo Cospito, oggi la sentenza sull’attentato alla scuola dei carabinieri di Fossano

È attesa per il pomeriggio di lunedì 19 giugno 2023 la sentenza sul processo legato all’attentato alla scuola dei carabinieri di Fossano in cui sono imputati l’anarchico Alfredo Cospito e la sua ex compagna Anna Beniamino. Il procedimento era stato sospeso a dicembre dopo che i giudici torinesi avevano chiesto che la Corte costituzionale si pronunciasse in merito alla norma che vieta la concessione di attenuanti per lieve entità nel caso di reati puniti col fine pena mai (come la strage politica) a chi, come Cospito, è recidivo. Senza la pronuncia della Consulta, l’inserruzionalista sarebbe stato condannato all’ergastolo. Ma, grazie al parere di quest’ultima, potrebbe ottenere una pena meno dura. Intervenuto in videocollegamento dal carcere di Sassari, l’anarchico ha parlato per una decina di minuti evidenziando come la sua vicenda «sia stata usata dal governo come una clava per colpire la cosiddetta opposizione».

Cospito, l’accusa di strage politica per l’attentato alla scuola carabinieri di Fossano

Il processo riguarda i fatti accaduti a giugno 2006 presso la scuola allievi carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa di Fossano, dove vennero piazzati due ordigni temporizzati programmati per esplodere in due fasi. Il primo, che avrebbe dovuto attirare i militari nell’agguato, esplose alle 3:05 del mattino, mentre il secondo, che nelle intenzioni anarchiche avrebbe dovuto colpirli, 25 minuti dopo. Solo il caso fece sì che non ci fossero morti né feriti.

Per i fatti, Cospito sta già scontando vent’anni di reclusione con l’accusa di strage. La Cassazione, però, ha riqualificato il reato in strage politica, punito in Italia con l’ergastolo (indipendentemente dal fatto che sia tentato o consumato), chiedendo alla Corte d’appello di Torino di rideterminare la pena. I difensori dell’imputato, di fronte ad un fatto senza vittime, puntavano al riconoscimento dell’attenuante della «lieve entità» che, se riconosciuta, avrebbe eliminato il rischio di condanna all’ergastolo riportando i termini sanzionatori nella forbice compresa tra i 21 e i 24 anni.

Il parere della Corte costituzionale e le possibili attenuanti

Ma i giudici si sono trovati davanti alla strettoia dell’articolo 69 quarto comma del codice penale, che non consente di concedere le attenuanti per la lieve entità del fatto a chi, come Cospito, è recidivo. Di qui la decisione di chiedere un parere alla Corte costituzionale, che si è espressa a favore dell’anarchico. «Nel caso di reati puniti con la pena edittale dell’ergastolo, è illegittimo il divieto per il giudice di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata», ha sentenziato. Ciò vuol dire che il giudice può operare un bilanciamento tra l’attenuante della «lieve entità» e l’aggravante della recidiva. E siccome quella di Fossano fu una strage di entità minore (non ci furono feriti né morti), l’imputato potrebbe beneficiare di una pena minore rispetto all’ergastolo.

 

 

 

 

 

Lettera43 ritorna: l’editoriale del direttore Paolo Madron

Ritorna Lettera43. Nell’editoriale di commiato dalla sua precedente vita chiudevamo dicendo che non di addio si trattava, ma di un arrivederci. Sono passati tre anni. Tanti, forse troppi. Di mezzo c’è stato il Covid e il venir meno di alcuni potenziali compratori hanno ritardato la ripartenza. Nel frattempo, maggio del 2021, abbiamo creato Tag43. Nelle intenzioni un ponte che il prima possibile ci avrebbe dovuto riportare là dove avevamo cominciato.

Lettera43, un’identità editoriale che il mercato apprezzava

Lettera43 aveva chiuso dopo 10 anni di vita (debuttammo nell’ottobre 2010) pur forte di un archivio sterminato di articoli, molti dei quali su episodi importanti della storia recente, un’identità editoriale che il mercato ci riconosceva e, viste le mumerose reazioni di rammarico all’annuncio della chiusura, apprezzava. Per ricominciare abbiamo dovuto aspettare che il vecchio editore mettesse in liquidazione la testata. In più, cosa che ci ha sorpreso non poco, combattere in un’asta competitiva per riprendercela. Ma sarebbe stato un peccato lasciare andare tutto.

La nostra filosofia: molti retroscena, attenzione agli intrecci di potere e alle zone d’ombra dove politica, economia e finanza si fondono con esiti spesso perversi

Ora torniamo, e lo facciamo restando fedeli alla filosofia delle origini: molti retroscena, che i detrattori chiamano gossip, ma che restano imprescindibili per capire cosa accade sulla scena. Attenzione agli attori, noti ma più spesso poco noti, che in essa si muovono. E agli intrecci di potere che ne condizionano decisioni e comportamenti. Formula molto semplice, che si basa su un assunto: nel continuo bulimico scorrere dei flussi, la moltiplicazione delle informazioni e delle piattaforme che le veicolano offre un parziale servizio alla loro comprensione, nascondendo complessità e dinamiche. Questo vale soprattutto per quello che è sempre stato lo specifico di Lettera43, ossia l’esplorazione di quelle zone d’ombra dove politica, economia e finanza si fondono con esiti spesso perversi.

I confini tra informazione e promozione da noi resteranno distinti

Saremo molto indiscreti, decisi, fantasiosi. Cattivi con chi lo merita. Fare un giornale che ha come centro d’attenzione quei gruppi industriali e finanziari che in molti casi sono anche suoi investitori pubblicitari è un laborioso, a volte spericolato esercizio di equilibrio. Tanto più di fronte a un panorama editoriale economicamente deteriorato che ha fiaccato i confini tra informazione e promozione. Ma quei lettori che ci hanno scelto lo hanno fatto sapendo che da noi quei confini resteranno sempre distinti.

C’è ancora spazio per un giornalismo di notizie e contenuti

L’obiettivo è di far convivere qualità e quantità, impresa che già la precedente Lettera43 aveva dimostrato possibile visto che eravamo arrivati a una media quotidiana di oltre 200 mila lettori. Sulla prima e sul posizionamento del giornale siamo confidenti, sulla seconda abbiamo scelto una concessionaria e un partner tecnologico, Evolution adv, la cui competenza e reputazione fanno ben sperare. Durante la lunga pausa seguita alla chiusura di Lettera43, e nello spettrale contesto in cui la pandemia ci aveva precipitato, ci siamo chiesti più volte se avesse un senso tornare, se un certo tipo di giornalismo basato sul primato delle notizie non fosse stato inesorabilmente superato dallo straripante predominio dei social network. E se si potesse ancora ambire a un modello di business sostenibile. La risposta sta in questo nuovo inizio. Che il viaggio dunque cominci. E scusate il ritardo.

Lettera43 ritorna: l’editoriale del direttore Paolo Madron

Ritorna Lettera43. Nell’editoriale di commiato dalla sua precedente vita chiudevamo dicendo che non di addio si trattava, ma di un arrivederci. Sono passati tre anni. Tanti, forse troppi. Di mezzo c’è stato il Covid e il venir meno di alcuni potenziali compratori hanno ritardato la ripartenza. Nel frattempo, maggio del 2021, abbiamo creato Tag43. Nelle intenzioni un ponte che il prima possibile ci avrebbe dovuto riportare là dove avevamo cominciato.

Lettera43, un’identità editoriale che il mercato apprezzava

Lettera43 aveva chiuso dopo 10 anni di vita (debuttammo nell’ottobre 2010) pur forte di un archivio sterminato di articoli, molti dei quali su episodi importanti della storia recente, un’identità editoriale che il mercato ci riconosceva e, viste le mumerose reazioni di rammarico all’annuncio della chiusura, apprezzava. Per ricominciare abbiamo dovuto aspettare che il vecchio editore mettesse in liquidazione la testata. In più, cosa che ci ha sorpreso non poco, combattere in un’asta competitiva per riprendercela. Ma sarebbe stato un peccato lasciare andare tutto.

La nostra filosofia: molti retroscena, attenzione agli intrecci di potere e alle zone d’ombra dove politica, economia e finanza si fondono con esiti spesso perversi

Ora torniamo, e lo facciamo restando fedeli alla filosofia delle origini: molti retroscena, che i detrattori chiamano gossip, ma che restano imprescindibili per capire cosa accade sulla scena. Attenzione agli attori, noti ma più spesso poco noti, che in essa si muovono. E agli intrecci di potere che ne condizionano decisioni e comportamenti. Formula molto semplice, che si basa su un assunto: nel continuo bulimico scorrere dei flussi, la moltiplicazione delle informazioni e delle piattaforme che le veicolano offre un parziale servizio alla loro comprensione, nascondendo complessità e dinamiche. Questo vale soprattutto per quello che è sempre stato lo specifico di Lettera43, ossia l’esplorazione di quelle zone d’ombra dove politica, economia e finanza si fondono con esiti spesso perversi.

I confini tra informazione e promozione da noi resteranno distinti

Saremo molto indiscreti, decisi, fantasiosi. Cattivi con chi lo merita. Fare un giornale che ha come centro d’attenzione quei gruppi industriali e finanziari che in molti casi sono anche suoi investitori pubblicitari è un laborioso, a volte spericolato esercizio di equilibrio. Tanto più di fronte a un panorama editoriale economicamente deteriorato che ha fiaccato i confini tra informazione e promozione. Ma quei lettori che ci hanno scelto lo hanno fatto sapendo che da noi quei confini resteranno sempre distinti.

C’è ancora spazio per un giornalismo di notizie e contenuti

L’obiettivo è di far convivere qualità e quantità, impresa che già la precedente Lettera43 aveva dimostrato possibile visto che eravamo arrivati a una media quotidiana di oltre 200 mila lettori. Sulla prima e sul posizionamento del giornale siamo confidenti, sulla seconda abbiamo scelto una concessionaria e un partner tecnologico, Evolution adv, la cui competenza e reputazione fanno ben sperare. Durante la lunga pausa seguita alla chiusura di Lettera43, e nello spettrale contesto in cui la pandemia ci aveva precipitato, ci siamo chiesti più volte se avesse un senso tornare, se un certo tipo di giornalismo basato sul primato delle notizie non fosse stato inesorabilmente superato dallo straripante predominio dei social network. E se si potesse ancora ambire a un modello di business sostenibile. La risposta sta in questo nuovo inizio. Che il viaggio dunque cominci. E scusate il ritardo.

Il calciatore Quincy Promes condannato a 18 mesi, aveva accoltellato il cugino

Un tribunale dei Paesi Bassi ha condannato Quincy Promes, calciatore dello Spartak Mosca, a un anno e mezzo di carcere con l’accusa di aggressione: nell’estate del 2020, a una festa di famiglia, aveva accoltellato suo cugino a una gamba durante una discussione. L’ufficio del pubblico ministero aveva chiesto che fosse condannato a due anni, in quanto essendo un atleta famoso «funge da modello per gli altri». Promes, che al momento si trova in Russia, è pronto a fare ricorso. Lo ha reso noto il suo avvocato.

Il calciatore Quincy Promes condannato a 18 mesi, aveva accoltellato il cugino. È anche indagato per traffico di cocaina.
Quincy Promes con lo Spartak Mosca, in azione contro il Napoli nel 2021 (Getty Images).

Promes continua a dichiararsi innocente, ma in alcune intercettazioni ha praticamente ammesso la sua colpevolezza. «Siete fortunati che non giro più con un’arma da fuoco, altrimenti quel coso sarebbe finito pure peggio», ha detto in una telefonata poi acquisita dagli inquirenti.

Olandese, ha raccolto le principali soddisfazioni con la maglia dello Spartak Mosca

Nel 2020, quando si è verificato l’accoltellamento, Promes giocava in patria nell’Ajax, con cui a fine stagione era poi diventato campione dei Paesi Bassi. Dopo un inizio di carriera nei Paesi Bassi con Twente e Go Ahead Eagles, ha militato perlopiù nello Spartak Mosca, dove ha giocato dal 2014 al 2018 e poi di nuovo dal 2021. In mezzo all’anno e mezzo trascorso con l’Ajax, anche una stagione da dimenticare nel Siviglia. Una volta campione di Russia, Promes nel 2018 si è laureato capocannoniere della Prem’er-Liga. Nel corso della carriera, ha collezionato 50 presenze nella nazionale olandese, condite da sette reti.

Il calciatore Quincy Promes condannato a 18 mesi, aveva accoltellato il cugino. È anche indagato per traffico di cocaina.
Quincy Promes con la maglia dei Paesi Bassi: vanta 50 presenze in Nazionale (Getty Images)

Promes è anche indagato per il contrabbando di oltre una tonnellata di cocaina

Il caso dell’accoltellamento al cugino non è il principale grattacapo per Promes, che è attualmente indagato per traffico di cocaina: alla fine di maggio è stato infatti accusato di complicità nel contrabbando di due carichi del peso complessivo di 1.370 chilogrammi, dal valore di 75 milioni di euro, attraverso il porto di Anversa in Belgio. Il calciatore, che già in passato era stato sospettato di contrabbando di stupefacenti e di partecipazione a un’organizzazione criminale, rischia molti anni di carcere.

Il calciatore Quincy Promes condannato a 18 mesi, aveva accoltellato il cugino

Un tribunale dei Paesi Bassi ha condannato Quincy Promes, calciatore dello Spartak Mosca, a un anno e mezzo di carcere con l’accusa di aggressione: nell’estate del 2020, a una festa di famiglia, aveva accoltellato suo cugino a una gamba durante una discussione. L’ufficio del pubblico ministero aveva chiesto che fosse condannato a due anni, in quanto essendo un atleta famoso «funge da modello per gli altri». Promes, che al momento si trova in Russia, è pronto a fare ricorso. Lo ha reso noto il suo avvocato.

Il calciatore Quincy Promes condannato a 18 mesi, aveva accoltellato il cugino. È anche indagato per traffico di cocaina.
Quincy Promes con lo Spartak Mosca, in azione contro il Napoli nel 2021 (Getty Images).

Promes continua a dichiararsi innocente, ma in alcune intercettazioni ha praticamente ammesso la sua colpevolezza. «Siete fortunati che non giro più con un’arma da fuoco, altrimenti quel coso sarebbe finito pure peggio», ha detto in una telefonata poi acquisita dagli inquirenti.

Olandese, ha raccolto le principali soddisfazioni con la maglia dello Spartak Mosca

Nel 2020, quando si è verificato l’accoltellamento, Promes giocava in patria nell’Ajax, con cui a fine stagione era poi diventato campione dei Paesi Bassi. Dopo un inizio di carriera nei Paesi Bassi con Twente e Go Ahead Eagles, ha militato perlopiù nello Spartak Mosca, dove ha giocato dal 2014 al 2018 e poi di nuovo dal 2021. In mezzo all’anno e mezzo trascorso con l’Ajax, anche una stagione da dimenticare nel Siviglia. Una volta campione di Russia, Promes nel 2018 si è laureato capocannoniere della Prem’er-Liga. Nel corso della carriera, ha collezionato 50 presenze nella nazionale olandese, condite da sette reti.

Il calciatore Quincy Promes condannato a 18 mesi, aveva accoltellato il cugino. È anche indagato per traffico di cocaina.
Quincy Promes con la maglia dei Paesi Bassi: vanta 50 presenze in Nazionale (Getty Images)

Promes è anche indagato per il contrabbando di oltre una tonnellata di cocaina

Il caso dell’accoltellamento al cugino non è il principale grattacapo per Promes, che è attualmente indagato per traffico di cocaina: alla fine di maggio è stato infatti accusato di complicità nel contrabbando di due carichi del peso complessivo di 1.370 chilogrammi, dal valore di 75 milioni di euro, attraverso il porto di Anversa in Belgio. Il calciatore, che già in passato era stato sospettato di contrabbando di stupefacenti e di partecipazione a un’organizzazione criminale, rischia molti anni di carcere.

Previsioni meteo, ondata di caldo in arrivo: mercoledì 21 giugno fino a 43 gradi

L’anticiclone africano Scipione si appresta a riscaldare l’Italia. Dopo le recenti perturbazioni, infatti, è in arrivo la prima ondata di caldo che porterà le temperature nel nostro Paese regolarmente oltre i 30 gradi. Picchi previsti per la giornata di mercoledì 21 giugno, data del solstizio d’estate, con valori in rialzo da Nord a Sud. La calura colpirà soprattutto le zone interne della Sardegna, dove si supereranno i 40 gradi, ma non risparmierà l’intero meridione e la Pianura Padana. Giovedì 22 giugno invece il passaggio di forti temporali dovrebbe far scendere nuovamente le temperature, che però raramente caleranno sotto i 30 gradi. La tendenza dovrebbe protrarsi poi fino al weekend.

Il dettaglio delle previsioni meteo con l’arrivo di notti tropicali

Come riportano gli esperti de IlMeteo.it, fino a martedì 20 giugno i valori termici non subiranno grosse variazioni. Previste temperature tra i 28 e i 32 gradi sulla maggior parte delle città italiane. Con il primo giorno d’estate, mercoledì 21, si registreranno invece punte di 33-34 gradi da Nord a Sud fra Pianura Padana, vallate alpine, Toscana, Campania e Sicilia. Farà invece ancora più caldo in Puglia dove, fra Barese e Foggiano, si toccheranno i 38 gradi. Previsti 36 gradi invece nelle altre principali città italiane tra cui Roma, Firenze, Bolzano, Siracusa, Padova, Mantova e Ferrara. Più alti i valori in Sardegna, dato che soprattutto nelle zone interne si prevedono picchi di 43 gradi. La Protezione civile sconsiglia, soprattutto ai soggetti più fragili, di uscire nelle ore più calde, dalle 12 alle 18. In casa sempre meglio proteggersi con tende e persiane e idratarsi a sufficienza, evitando bevande alcoliche.

Dopo le perturbazioni, in Italia scoppia l’estate. Previste punte di 43 gradi e notti tropicali, ma giovedì 22 giugno arrivano i temporali.
In arrivo l’anticiclone Scipione che alzerà le temperature in tutta Italia (Getty Images)

Proveniente dal deserto del Sahara, l’anticiclone Scipione si caricherà di umidità non appena attraverserà il Mar Mediterraneo. Oltre al caldo, dunque, gli esperti prevedono alti tassi di afa, che porteranno anche alle temibili notti tropicali. In questi casi le temperature, mai al di sotto dei 20 gradi, sommandosi all’umidità porteranno il corpo umano a percepire un costante disagio, talvolta anche intenso. Per quanto riguarda il meteo, su tutta Italia splenderà il sole con qualche nube soltanto nelle regioni del Nord-Ovest. Possibili pertanto alcuni temporali di calore, localmente anche intensi, soprattutto sulle Alpi occidentali.

Previsioni meteo, ondata di caldo in arrivo: mercoledì 21 giugno fino a 43 gradi

L’anticiclone africano Scipione si appresta a riscaldare l’Italia. Dopo le recenti perturbazioni, infatti, è in arrivo la prima ondata di caldo che porterà le temperature nel nostro Paese regolarmente oltre i 30 gradi. Picchi previsti per la giornata di mercoledì 21 giugno, data del solstizio d’estate, con valori in rialzo da Nord a Sud. La calura colpirà soprattutto le zone interne della Sardegna, dove si supereranno i 40 gradi, ma non risparmierà l’intero meridione e la Pianura Padana. Giovedì 22 giugno invece il passaggio di forti temporali dovrebbe far scendere nuovamente le temperature, che però raramente caleranno sotto i 30 gradi. La tendenza dovrebbe protrarsi poi fino al weekend.

Il dettaglio delle previsioni meteo con l’arrivo di notti tropicali

Come riportano gli esperti de IlMeteo.it, fino a martedì 20 giugno i valori termici non subiranno grosse variazioni. Previste temperature tra i 28 e i 32 gradi sulla maggior parte delle città italiane. Con il primo giorno d’estate, mercoledì 21, si registreranno invece punte di 33-34 gradi da Nord a Sud fra Pianura Padana, vallate alpine, Toscana, Campania e Sicilia. Farà invece ancora più caldo in Puglia dove, fra Barese e Foggiano, si toccheranno i 38 gradi. Previsti 36 gradi invece nelle altre principali città italiane tra cui Roma, Firenze, Bolzano, Siracusa, Padova, Mantova e Ferrara. Più alti i valori in Sardegna, dato che soprattutto nelle zone interne si prevedono picchi di 43 gradi. La Protezione civile sconsiglia, soprattutto ai soggetti più fragili, di uscire nelle ore più calde, dalle 12 alle 18. In casa sempre meglio proteggersi con tende e persiane e idratarsi a sufficienza, evitando bevande alcoliche.

Dopo le perturbazioni, in Italia scoppia l’estate. Previste punte di 43 gradi e notti tropicali, ma giovedì 22 giugno arrivano i temporali.
In arrivo l’anticiclone Scipione che alzerà le temperature in tutta Italia (Getty Images)

Proveniente dal deserto del Sahara, l’anticiclone Scipione si caricherà di umidità non appena attraverserà il Mar Mediterraneo. Oltre al caldo, dunque, gli esperti prevedono alti tassi di afa, che porteranno anche alle temibili notti tropicali. In questi casi le temperature, mai al di sotto dei 20 gradi, sommandosi all’umidità porteranno il corpo umano a percepire un costante disagio, talvolta anche intenso. Per quanto riguarda il meteo, su tutta Italia splenderà il sole con qualche nube soltanto nelle regioni del Nord-Ovest. Possibili pertanto alcuni temporali di calore, localmente anche intensi, soprattutto sulle Alpi occidentali.

Un dirigente di Spotify attacca Harry e Meghan dopo la cancellazione del podcast: «Truffatori»

«Harry e Meghan sono dei truffatori». A parlare è Bill Simmons, giornalista sportivo e manager di Spotify. Il riferimento è alla fine dell’accordo da circa 20 milioni di euro con i duchi di Sussex per il loro podcast Achetypes annunciata venerdì scorso. Presentata come «decisione consensuale», a quanto pare non è stata così reciproca. Durante una puntata del suo podcast The Ringer, Simmons ha inoltre fatto riferimento a una telefonata con il principe Harry risalente ad alcuni mesi fa. «Dovrei ubriacarmi una notte e raccontare la storia della conversazione», ha detto in diretta. «È uno dei miei racconti migliori». I Sussex avrebbero dovuto realizzare più stagioni del loro progetto audio, ma si sono fermati dopo appena 12 episodi in cui l’ex attrice aveva incontrato diverse star, tra cui Serena Williams e Mariah Carey.

Non solo Spotify, per Harry e Meghan si moltiplicano le voci di divorzio

La conclusione dell’accordo con Spotify è però solo uno dei tanti e recenti problemi di Harry e Meghan. Negli ultimi giorni infatti si stanno moltiplicando i rumors di una crisi di coppia che starebbe spingendo i Sussex verso il divorzio. Secondo Jennie Bond, ex corrispondente reale della Bbc, un’eventuale separazione permetterebbe al principe di ottenere il perdono da re Carlo III e da tutta la famiglia. «Probabilmente non troverebbe alcun muro», ha sottolineato in esclusiva per Ok Magazine. «Potrebbe recuperare il terreno che ha perso nel tempo ed essere di nuovo accolto a corte». Secondo Paul Burrell, l’ex maggiordomo della principessa Diana, Harry avrebbe rimandato la decisione soltanto per «veder crescere i suoi due figli, Archie e Lilibet». Quanto alle ragioni del divorzio, i tabloid hanno fatto varie supposizioni. Fra queste anche un imbarazzo di Meghan per le dichiarazioni di Harry nella sua autobiografia Spare.

Bill Simmons di Spotify attacca Harry e Meghan dopo la conclusione del contratto: «Sono dei truffatori». E aumentano le voci di divorzio.
Una copia di “Spare”, la discussa autobiografia di Harry (Getty Images)

Un dirigente di Spotify attacca Harry e Meghan dopo la cancellazione del podcast: «Truffatori»

«Harry e Meghan sono dei truffatori». A parlare è Bill Simmons, giornalista sportivo e manager di Spotify. Il riferimento è alla fine dell’accordo da circa 20 milioni di euro con i duchi di Sussex per il loro podcast Achetypes annunciata venerdì scorso. Presentata come «decisione consensuale», a quanto pare non è stata così reciproca. Durante una puntata del suo podcast The Ringer, Simmons ha inoltre fatto riferimento a una telefonata con il principe Harry risalente ad alcuni mesi fa. «Dovrei ubriacarmi una notte e raccontare la storia della conversazione», ha detto in diretta. «È uno dei miei racconti migliori». I Sussex avrebbero dovuto realizzare più stagioni del loro progetto audio, ma si sono fermati dopo appena 12 episodi in cui l’ex attrice aveva incontrato diverse star, tra cui Serena Williams e Mariah Carey.

Non solo Spotify, per Harry e Meghan si moltiplicano le voci di divorzio

La conclusione dell’accordo con Spotify è però solo uno dei tanti e recenti problemi di Harry e Meghan. Negli ultimi giorni infatti si stanno moltiplicando i rumors di una crisi di coppia che starebbe spingendo i Sussex verso il divorzio. Secondo Jennie Bond, ex corrispondente reale della Bbc, un’eventuale separazione permetterebbe al principe di ottenere il perdono da re Carlo III e da tutta la famiglia. «Probabilmente non troverebbe alcun muro», ha sottolineato in esclusiva per Ok Magazine. «Potrebbe recuperare il terreno che ha perso nel tempo ed essere di nuovo accolto a corte». Secondo Paul Burrell, l’ex maggiordomo della principessa Diana, Harry avrebbe rimandato la decisione soltanto per «veder crescere i suoi due figli, Archie e Lilibet». Quanto alle ragioni del divorzio, i tabloid hanno fatto varie supposizioni. Fra queste anche un imbarazzo di Meghan per le dichiarazioni di Harry nella sua autobiografia Spare.

Bill Simmons di Spotify attacca Harry e Meghan dopo la conclusione del contratto: «Sono dei truffatori». E aumentano le voci di divorzio.
Una copia di “Spare”, la discussa autobiografia di Harry (Getty Images)

Crimea, turismo in crisi per colpa della guerra in Ucraina

L’industria del turismo in Crimea si prepara a una nuova estate di crisi. Per il secondo anno consecutivo, la penisola sul Mar Nero assiste a una diminuzione dei flussi turistici, dato che i vacanzieri russi rivolgono la loro attenzione su mete più sicure e tranquille. Come riporta il Moscow Times, decine di strutture ricettive rischiano la chiusura, in quanto non sono più in grado di comprare l’occorrente per ospitare i viaggiatori. A nulla sono servite le promesse e le rassicurazioni di Vladimir Putin che, dopo l’annessione del 2014, aveva garantito prosperità e ricchezza grazie anche a investimenti di Mosca. Spaventati ristoratori e proprietari di alberghi: «Abbiamo abbassato i prezzi, ma con l’aumento dei costi non ce la facciamo».

La guerra in Ucraina spaventa i vacanzieri russi. In Crimea l’1 per cento delle prenotazioni, tanto che due aziende su tre sono in rosso.
Una veduta delle spiagge di Sebastopoli frequentate dai turisti (Getty Images)

In Crimea appena l’1 per cento delle prenotazioni alberghiere russe

I turisti provenienti dalla Russia sono in costante calo da tre anni. Come mostrano i dati del governo di Mosca, nel 2022 in Crimea si è registrato appena il 3 per cento delle prenotazioni a fronte del 19 per cento di 12 mesi prima. Un dato che, secondo le previsioni, è destinato a scendere quasi allo zero quest’anno, assestandosi attorno all’1 per cento. Non sorprende dunque che il 60 per cento delle strutture turistiche siano in rosso, con perdite complessive di 709 milioni di rubli (circa 7,7 milioni di euro). Nel mezzo, la breve ripresa dovuta alla chiusura dei confini per la pandemia, che aveva spinto oltre 9 milioni di cittadini russi a trascorrere l’estate 2021 in Crimea. Il «gioiello della Corona», come lo ha definito Putin nel 2014, non può nulla però contro la guerra in Ucraina.

La guerra in Ucraina spaventa i vacanzieri russi. In Crimea l’1 per cento delle prenotazioni, tanto che due aziende su tre sono in rosso.
Gli elicotteri russi sul suolo della Crimea (Getty Images)

Cresce intanto la tensione di ristoratori e proprietari di alberghi, che temono di non superare l’anno. «Metà delle strutture potrebbe non aprire più», ha dichiarato al Moscow Times il gestore di un hotel. Ha preferito però mantenere l’anonimato, temendo che i suoi commenti negativi possano fargli perdere i sostegni finanziari di Mosca. Come ha sottolineato nell’intervista, prima della guerra la struttura era perennemente sold out durante l’estate, mentre quest’anno difficilmente riempirà metà camere. Se a luglio e agosto le perdite potrebbero essere contenute, per giugno le prenotazioni coprono appena il 30 per cento della capienza. «I costi sono cresciuti fra il 30 e il 50 per cento», ha ricordato.

Mosca intanto rassicura: «La guerra non minaccia la Crimea»

La crisi del turismo ha spinto diversi funzionari a intervenire per calmare i viaggiatori, ricordando la sicurezza della penisola. «Molti hanno semplicemente paura», ha sottolineato all’agenzia Ria Novosti il governatore della Crimea Sergei Aksyonov. «Nulla minaccia i turisti». La realtà dei fatti però è ben diversa, visto che la penisola è stata oggetto di diversi attacchi. Lo scorso anno, per esempio, varie esplosioni hanno colpito la base aerea di Saki, uno dei tanti siti militari russi alla portata delle armi ucraine.

Crimea, turismo in crisi per colpa della guerra in Ucraina

L’industria del turismo in Crimea si prepara a una nuova estate di crisi. Per il secondo anno consecutivo, la penisola sul Mar Nero assiste a una diminuzione dei flussi turistici, dato che i vacanzieri russi rivolgono la loro attenzione su mete più sicure e tranquille. Come riporta il Moscow Times, decine di strutture ricettive rischiano la chiusura, in quanto non sono più in grado di comprare l’occorrente per ospitare i viaggiatori. A nulla sono servite le promesse e le rassicurazioni di Vladimir Putin che, dopo l’annessione del 2014, aveva garantito prosperità e ricchezza grazie anche a investimenti di Mosca. Spaventati ristoratori e proprietari di alberghi: «Abbiamo abbassato i prezzi, ma con l’aumento dei costi non ce la facciamo».

La guerra in Ucraina spaventa i vacanzieri russi. In Crimea l’1 per cento delle prenotazioni, tanto che due aziende su tre sono in rosso.
Una veduta delle spiagge di Sebastopoli frequentate dai turisti (Getty Images)

In Crimea appena l’1 per cento delle prenotazioni alberghiere russe

I turisti provenienti dalla Russia sono in costante calo da tre anni. Come mostrano i dati del governo di Mosca, nel 2022 in Crimea si è registrato appena il 3 per cento delle prenotazioni a fronte del 19 per cento di 12 mesi prima. Un dato che, secondo le previsioni, è destinato a scendere quasi allo zero quest’anno, assestandosi attorno all’1 per cento. Non sorprende dunque che il 60 per cento delle strutture turistiche siano in rosso, con perdite complessive di 709 milioni di rubli (circa 7,7 milioni di euro). Nel mezzo, la breve ripresa dovuta alla chiusura dei confini per la pandemia, che aveva spinto oltre 9 milioni di cittadini russi a trascorrere l’estate 2021 in Crimea. Il «gioiello della Corona», come lo ha definito Putin nel 2014, non può nulla però contro la guerra in Ucraina.

La guerra in Ucraina spaventa i vacanzieri russi. In Crimea l’1 per cento delle prenotazioni, tanto che due aziende su tre sono in rosso.
Gli elicotteri russi sul suolo della Crimea (Getty Images)

Cresce intanto la tensione di ristoratori e proprietari di alberghi, che temono di non superare l’anno. «Metà delle strutture potrebbe non aprire più», ha dichiarato al Moscow Times il gestore di un hotel. Ha preferito però mantenere l’anonimato, temendo che i suoi commenti negativi possano fargli perdere i sostegni finanziari di Mosca. Come ha sottolineato nell’intervista, prima della guerra la struttura era perennemente sold out durante l’estate, mentre quest’anno difficilmente riempirà metà camere. Se a luglio e agosto le perdite potrebbero essere contenute, per giugno le prenotazioni coprono appena il 30 per cento della capienza. «I costi sono cresciuti fra il 30 e il 50 per cento», ha ricordato.

Mosca intanto rassicura: «La guerra non minaccia la Crimea»

La crisi del turismo ha spinto diversi funzionari a intervenire per calmare i viaggiatori, ricordando la sicurezza della penisola. «Molti hanno semplicemente paura», ha sottolineato all’agenzia Ria Novosti il governatore della Crimea Sergei Aksyonov. «Nulla minaccia i turisti». La realtà dei fatti però è ben diversa, visto che la penisola è stata oggetto di diversi attacchi. Lo scorso anno, per esempio, varie esplosioni hanno colpito la base aerea di Saki, uno dei tanti siti militari russi alla portata delle armi ucraine.

Prigozhin: «Tornati a casa 32 mila ex detenuti che hanno combattuto con la Wagner»

Sono 32 mila gli ex carcerati che, dopo aver combattuto in Ucraina con il Gruppo Wagner, sono tornati a casa in Russia, come uomini liberi. Lo ha detto il capo della milizia mercenaria Yevgeny Prigozhin. L’annuncio è arrivato pochi giorni dopo che il presidente Vladimir Putin ha confermato pubblicamente i rapporti investigativi secondo cui lo zar aveva graziato personalmente i detenuti russi che si erano arruolati per combattere con il gruppo paramilitare, che ha svolto un ruolo chiave a Bakhmut, nella battaglia più lunga e sanguinosa della guerra in Ucraina.

Prigozhin: «Tornati a casa 32 mila ex detenuti che hanno combattuto con la Wagner». L'annuncio del fondatore della milizia mercenaria.
La sede del Gruppo Wagner a San Pietroburgo (Getty Images)

Per i carcerati che si arruolano c’è la grazia dopo sei mesi al fronte

«Al 18 giugno 2023, 32 mila persone precedentemente condannate e che hanno preso parte all’operazione militare speciale tra i ranghi del Gruppo Wagner sono tornate a casa alla fine dei loro contratti», ha dichiarato Prigozhin, sottolineando che meno dell’1 per cento di tutti i soldati Wagner reclutati nelle carceri della Federazione Russa ha commesso crimini, una volta tornati in libertà dopo aver combattuto in Ucraina. «Le persone rilasciate dal carcere nello stesso periodo senza un contratto con il Gruppo Wagner hanno commesso 80 volte più crimini», ha affermato Prigozhin. La milizia dell’ex “cuoco di Putin” ha iniziato a reclutare prigionieri nel tentacolare sistema penale russo la scorsa estate, offrendo ai detenuti la grazia se fossero sopravvissuti a sei mesi di servizio in Ucraina.

Prigozhin: «Tornati a casa 32 mila ex detenuti che hanno combattuto con la Wagner». L'annuncio del fondatore della milizia mercenaria.
Una pubblicità del Gruppo Wagner: la campagna di reclutamento è finita a febbraio (Getty Images).

Secondo gli attivisti per i diritti dei detenuti i conti non tornano

Secondo Olga Romanova, principale attivista per i diritti dei detenuti, l’esercito privato di Prigozhin avrebbe reclutato in totale quasi 50 mila carcerati, di cui circa 30 mila sarebbero morti in combattimento: in base a queste stime, la cifra indicata da Prigozhin – che ha annunciato la fine della sua campagna di reclutamento di prigionieri a febbraio – risulterebbe dunque esagerata. Dopo aver negato per anni ogni legame con il gruppo mercenario, accusato di brutalità e destabilizzazione nelle zone di conflitto in tutto il mondo, Prigozhin ha confermato l’anno scorso di aver fondato la compagnia militare privata Wagner che, in base alla legge russa, sarebbe illegale.

Prigozhin: «Tornati a casa 32 mila ex detenuti che hanno combattuto con la Wagner»

Sono 32 mila gli ex carcerati che, dopo aver combattuto in Ucraina con il Gruppo Wagner, sono tornati a casa in Russia, come uomini liberi. Lo ha detto il capo della milizia mercenaria Yevgeny Prigozhin. L’annuncio è arrivato pochi giorni dopo che il presidente Vladimir Putin ha confermato pubblicamente i rapporti investigativi secondo cui lo zar aveva graziato personalmente i detenuti russi che si erano arruolati per combattere con il gruppo paramilitare, che ha svolto un ruolo chiave a Bakhmut, nella battaglia più lunga e sanguinosa della guerra in Ucraina.

Prigozhin: «Tornati a casa 32 mila ex detenuti che hanno combattuto con la Wagner». L'annuncio del fondatore della milizia mercenaria.
La sede del Gruppo Wagner a San Pietroburgo (Getty Images)

Per i carcerati che si arruolano c’è la grazia dopo sei mesi al fronte

«Al 18 giugno 2023, 32 mila persone precedentemente condannate e che hanno preso parte all’operazione militare speciale tra i ranghi del Gruppo Wagner sono tornate a casa alla fine dei loro contratti», ha dichiarato Prigozhin, sottolineando che meno dell’1 per cento di tutti i soldati Wagner reclutati nelle carceri della Federazione Russa ha commesso crimini, una volta tornati in libertà dopo aver combattuto in Ucraina. «Le persone rilasciate dal carcere nello stesso periodo senza un contratto con il Gruppo Wagner hanno commesso 80 volte più crimini», ha affermato Prigozhin. La milizia dell’ex “cuoco di Putin” ha iniziato a reclutare prigionieri nel tentacolare sistema penale russo la scorsa estate, offrendo ai detenuti la grazia se fossero sopravvissuti a sei mesi di servizio in Ucraina.

Prigozhin: «Tornati a casa 32 mila ex detenuti che hanno combattuto con la Wagner». L'annuncio del fondatore della milizia mercenaria.
Una pubblicità del Gruppo Wagner: la campagna di reclutamento è finita a febbraio (Getty Images).

Secondo gli attivisti per i diritti dei detenuti i conti non tornano

Secondo Olga Romanova, principale attivista per i diritti dei detenuti, l’esercito privato di Prigozhin avrebbe reclutato in totale quasi 50 mila carcerati, di cui circa 30 mila sarebbero morti in combattimento: in base a queste stime, la cifra indicata da Prigozhin – che ha annunciato la fine della sua campagna di reclutamento di prigionieri a febbraio – risulterebbe dunque esagerata. Dopo aver negato per anni ogni legame con il gruppo mercenario, accusato di brutalità e destabilizzazione nelle zone di conflitto in tutto il mondo, Prigozhin ha confermato l’anno scorso di aver fondato la compagnia militare privata Wagner che, in base alla legge russa, sarebbe illegale.

La relazione dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale: 1.094 attacchi nel 2022

Dal malware al phishing, dal ransomware alla compromissione della casella mail, nel 2022 sono stati 1.094 gli “eventi cyber” trattati dall’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Di questi, 126 hanno avuto un impatto confermato dalla vittima e per questo sono stati classificati come “incidenti”. È quanto emerge dalla prima relazione annuale dell’Agenzia trasmessa oggi al parlamento, che dà conto di «un deciso aumento di attività malevole ai danni di settori governativi e infrastrutture critiche». Il fenomeno si è acuito con la guerra in Ucraina: l’Italia «è tra i Paesi maggiormente interessati dalla diffusione generalizzata di malware e da attacchi cibernetici mirati, specie in danno del comparto sanitario e di quello energetico».

Agenzia per la cybersicurezza nazionale: 1.094 attacchi nel 2022. La prima relazione annuale in parlamento.
L’Italia ha subito 1.094 attacchi cyber nel 2022 (Pixabay).

L’Italia è il Paese europeo più colpito dai malware

Per quanto riguarda gli oltre mille attacchi, spiegano i curatori del report, è stato possibile individuare le tipologie più ricorrenti: diffusione di malware tramite email (517, Italia Paese europeo più colpito), brand abuse (204), phishing (203), ransomware (130), sfruttamento di vulnerabilità (126), information disclosure (103),  sfruttamento vulnerabilità verso web server (87), scansioni (74),  esposizione di dati (67), tentativi di intrusione tramite credenziali (64), Ddos (44), smishing (41). «È sicuramente cresciuta l’attenzione dell’opinione pubblica verso incidenti e attacchi di varia origine e intensità», tuttavia «dall’altra la piena consapevolezza dei rischi cyber – specie se comparata al livello di pervasività che le tecnologie dell’informazione hanno raggiunto nella nostra vita quotidiana – è di là da venire». Lo scrive nella relazione annuale al parlamento il prefetto Bruno Frattasi, che a marzo ha assunto la direzione dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. «Il necessario adeguamento ai continui mutamenti che l’ambiente impone non va disgiunto da un’azione programmatica di lungo termine, che sostenga lo sviluppo di capacità tecnologiche nazionali all’interno di un ecosistema virtuoso, anche ai fini del perseguimento di un’autonomia strategica di settore», scrive il sottosegretario Alfredo Mantovano, autorità delegata per la sicurezza della Repubblica.

Agenzia per la cybersicurezza nazionale: 1.094 attacchi nel 2022. La prima relazione annuale in parlamento.
La camera dei Deputati (Getty Images).

L’Agenzia per la cybersicurezza ha impegnato 70 milioni del Pnrr

Il 2022 è stato di fatto il primo anno di piena operatività dell’Agenzia per la cybersicurezza, che è nata a metà 2021 con il governo Draghi, sotto la direzione di Roberto Baldoni. Nel corso del primo anno di attività, l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale ha impegnato oltre 70 milioni dei 623 che ha in dote con il Pnrr, ovvero l’11 per cento del totale: 129 i progetti di cybersecurity finanziati, 67 le misure per l’affidabilità delle infrastrutture digitali realizzate, cinque le missioni internazionali, 19 gli incontri bilaterali, 27 le riunioni del Nucleo di cybersicurezza. Come spiega la relazione di 140 pagine, nel secondo semestre del 2022 è stato avviato il vero e proprio processo di pianificazione strategica per il triennio 2023-2025. Nel corso di quest’anno, invece, in linea con la Strategia nazionale di cybersicurezza 2022-2026, terminerà la fase di definizione degli obiettivi strategici e delle relative linee d’azione.

La relazione dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale: 1.094 attacchi nel 2022

Dal malware al phishing, dal ransomware alla compromissione della casella mail, nel 2022 sono stati 1.094 gli “eventi cyber” trattati dall’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Di questi, 126 hanno avuto un impatto confermato dalla vittima e per questo sono stati classificati come “incidenti”. È quanto emerge dalla prima relazione annuale dell’Agenzia trasmessa oggi al parlamento, che dà conto di «un deciso aumento di attività malevole ai danni di settori governativi e infrastrutture critiche». Il fenomeno si è acuito con la guerra in Ucraina: l’Italia «è tra i Paesi maggiormente interessati dalla diffusione generalizzata di malware e da attacchi cibernetici mirati, specie in danno del comparto sanitario e di quello energetico».

Agenzia per la cybersicurezza nazionale: 1.094 attacchi nel 2022. La prima relazione annuale in parlamento.
L’Italia ha subito 1.094 attacchi cyber nel 2022 (Pixabay).

L’Italia è il Paese europeo più colpito dai malware

Per quanto riguarda gli oltre mille attacchi, spiegano i curatori del report, è stato possibile individuare le tipologie più ricorrenti: diffusione di malware tramite email (517, Italia Paese europeo più colpito), brand abuse (204), phishing (203), ransomware (130), sfruttamento di vulnerabilità (126), information disclosure (103),  sfruttamento vulnerabilità verso web server (87), scansioni (74),  esposizione di dati (67), tentativi di intrusione tramite credenziali (64), Ddos (44), smishing (41). «È sicuramente cresciuta l’attenzione dell’opinione pubblica verso incidenti e attacchi di varia origine e intensità», tuttavia «dall’altra la piena consapevolezza dei rischi cyber – specie se comparata al livello di pervasività che le tecnologie dell’informazione hanno raggiunto nella nostra vita quotidiana – è di là da venire». Lo scrive nella relazione annuale al parlamento il prefetto Bruno Frattasi, che a marzo ha assunto la direzione dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. «Il necessario adeguamento ai continui mutamenti che l’ambiente impone non va disgiunto da un’azione programmatica di lungo termine, che sostenga lo sviluppo di capacità tecnologiche nazionali all’interno di un ecosistema virtuoso, anche ai fini del perseguimento di un’autonomia strategica di settore», scrive il sottosegretario Alfredo Mantovano, autorità delegata per la sicurezza della Repubblica.

Agenzia per la cybersicurezza nazionale: 1.094 attacchi nel 2022. La prima relazione annuale in parlamento.
La camera dei Deputati (Getty Images).

L’Agenzia per la cybersicurezza ha impegnato 70 milioni del Pnrr

Il 2022 è stato di fatto il primo anno di piena operatività dell’Agenzia per la cybersicurezza, che è nata a metà 2021 con il governo Draghi, sotto la direzione di Roberto Baldoni. Nel corso del primo anno di attività, l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale ha impegnato oltre 70 milioni dei 623 che ha in dote con il Pnrr, ovvero l’11 per cento del totale: 129 i progetti di cybersecurity finanziati, 67 le misure per l’affidabilità delle infrastrutture digitali realizzate, cinque le missioni internazionali, 19 gli incontri bilaterali, 27 le riunioni del Nucleo di cybersicurezza. Come spiega la relazione di 140 pagine, nel secondo semestre del 2022 è stato avviato il vero e proprio processo di pianificazione strategica per il triennio 2023-2025. Nel corso di quest’anno, invece, in linea con la Strategia nazionale di cybersicurezza 2022-2026, terminerà la fase di definizione degli obiettivi strategici e delle relative linee d’azione.