L’attivismo di Elena Cecchettin, gli haters e l’antipatia della stampa di destra

Non la solita parente della vittima chiusa nel suo dolore. Ma un’attivista che sta provando a non rendere del tutto vana la morte della sorella. Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, ma anche nelle ore immediatamente successive alla scomparsa, stanno avendo grande eco le parole di Elena Cecchettin, tra social e interviste tivù, che l’hanno persino trasformata in bersaglio politico. «Non fate un minuto di silenzio per Giulia, ma bruciate tutto, e dico questo in senso ideale, per far sì che il caso di Giulia sia finalmente l’ultimo. Ora serve una rivoluzione culturale», è stato uno degli appelli lanciati. Dell’assassinio è accusato l’ex fidanzato di Giulia, Filippo Turetta, arrestato sabato 19 novembre in Germania. Ma non è solo su di lui che si sta concentrando Elena, che ha chiamato in causa il sistema culturale patriarcale della nostra società, rispolverando slogan e battaglie femministe.

Cecchettin: «Non è un delitto passionale, è un delitto di potere, è un omicidio di Stato»

Tra venerdì e domenica sono state migliaia le persone che sono scese in strada nelle principali città venete per protestare contro la violenza di genere. Elena Cecchettin, dopo la fiaccolata a Vigonovo, si è fermata a parlare con i cronisti di Dritto e rovescio, su Rete4. «In questi giorni si è sentito parlare di Turetta e molte persone ne hanno parlato come se fosse un mostro, come un malato. Ma mostro non è, perché il mostro è l’eccezione della società. È quello che esce dai canoni di quella che è la nostra società», mentre lui è «un figlio sano della società patriarcale che è pregna della cultura dello stupro», ha spiegato Cecchettin, aggiungendo che questo tipo di cultura è «un insieme di azioni che sono volte a limitare la libertà della donna, come controllare un telefono, essere possessivi». «Non tutti gli uomini sono cattivi, mi viene detto spesso. Ed è vero. Però in questi casi ci sono sempre uomini, che comunque traggono beneficio da questo tipo di società. Quindi tutti gli uomini devono stare attenti. Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere, è un omicidio di Stato perché lo Stato non ci tutela e non ci protegge», ha aggiunto Cecchettin. E poi l’appello: «Bisogna quindi prevedere l’educazione sessuale e affettiva in maniera da prevenire questi fatti. Bisogna finanziare i centri antiviolenza in modo tale che ci siano risposte».

La stampa di destra e le insinuazioni sulla “mano” del Pd dietro le parole di Cecchettin

Le dichiarazioni di Cecchettin le hanno già fatto guadagnare le antipatie della stampa di destra, che non riconoscono l’autonomia intellettuale della giovane, sostenendo sia invece in atto una strumentalizzazione politica delle opposizioni contro il governo. «Adesso Boldrini e Pd sono contenti?», ha titolato Libero, in un editoriale in cui il giornale sostiene che dietro le parole della ragazza sia «lecito ipotizzare che ci sia la mano dei “cattivi maestri” che hanno scelto di fare politica su questa tragedia». «Accusano il governo, non il killer», ha aperto invece in prima pagina il Giornale lunedì 20 novembre. Il riferimento è alla risposta di Elena Cecchettin al post su X del vicepremier Matteo Salvini in cui diceva: «Se colpevole, nessuno sconto di pena e carcere a vita», lasciando spazio alla possibilità che Turetta possa anche essere innocente. «Il ministro dei Trasporti che dubita della colpevolezza di Turetta. Perché bianco, perché di “buona famiglia”. Anche questa è violenza, violenza di Stato», ha scritto Elena Cecchettin su Instagram, rilanciando un post dell’attivista Carlotta Vagnoli. La ragazza ha poi pubblicato un altro post di Vagnoli, che ricordava l’astensione al parlamento Ue della Lega e di Fratelli d’Italia sulla ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Più che sufficiente per essere bollata come “nemica” da stampa governativa e simpatizzanti di destra. Con immancabile accompagnamento di haters sui social.

Carol Bugin, ritrovata la ragazza di 16 anni scomparsa a Mestre

È stata ritrovata Carol Bugin, la 16enne di cui si erano perse le tracce da giovedì 16 novembre a Mestre. La giovane era stata vista all’interno di un bar della stazione pochi minuti prima di allontanarli. Ad annunciare il ritrovamento della minorenne è stato il presidente della Regione Veneto Luca Zaia attraverso il suo profilo Instagram.

L’allontanamento e l’appello di Elena Cecchettin

La ragazza al momento della scomparsa si trovava con un’amica che, all’improvviso, l’ha persa di vista. Dopo aver allertato la madre, è scattata la denuncia alle forze dell’ordine e per quattro giorni di lei non si hanno avuto notizie. Anche la sorella di Giulia Cecchettin, uccisa a coltellate dall’ex fidanzato, aveva sentito l’urgenza di lanciare il suo appello attraverso le storie Instagram del suo profilo: «Vi prego, non di nuovo». Poche ore dopo, la notizia del ritrovamento.

Studentessa bresciana morta in un incidente d’auto a Madrid

Una studentessa bresciana di 17 anni, Guia Moretti, è morta in un incidente avvenuto a Madrid, dove la giovane si trovava per frequentare l’anno scolastico all’estero. La ragazza, che in Italia era iscritta al liceo Bagatta di Desenzano, era nell’auto della famiglia che la ospitava a Madrid e anche la coppia, di 56 e 57 anni, è morta nello schianto. Il bilancio potrebbe ulteriormente aggravarsi visto che anche un’altra passeggera verterebbe in gravi condizioni.

Lo scontro violentissimo e il decesso della ragazza

Così come riferito da Brescia Oggi, la ragazza è rimasta coinvolta in uno scontro con un altro veicolo. L’impatto è stato descritto come molto forte, con le forze del pronto intervento che, giunte sul posto, si sarebbero rese subito conto dell’estrema gravità della situazione. Guia sarebbe stata estratta ancora viva dal veicolo sul quale viaggiava, ma le ferite e i traumi derivanti dall’incidente l’avrebbero uccisa poco dopo. Completamente distrutti i veicoli coinvolti, con le autorità spagnole che ora dovranno cercare di chiarire la dinamica del sinistro. I genitori di Guia, ricevuta la terribile notizia, si sono recati in Spagna per effettuare le pratiche di riconoscimento della salma.

Morgan fuori da X Factor? Le indiscrezioni dopo le polemiche del quarto live

Morgan potrebbe essere cacciato da X-Factor dopo che nell’ultimo live, che ha visto tra l’altro l’eliminazione di due concorrenti della sua squadra, si è lasciato andare a una serie di comportamenti e commenti discutibili, molto criticati anche dal pubblico a casa. Nella litigiosissima puntata di giovedì 16 novembre, Morgan ha sparato a zero su quasi tutti i suoi colleghi, prendendosela con Dargen D’Amico, con Fedez e non mancando di lanciare una frecciatina alla conduttrice Francesca Michielin. Una scheggia impazzita tanto che, secondo quanto riferito da Il Fatto Quotidiano, la società di produzione di X-Factor (Fremantle) starebbe preparando le carte per licenziare il cantante dal ruolo di giudice. Se così fosse il programma si ritroverebbe improvvisamente senza uno dei suoi personaggi di maggiore importanza.

Il tavolo infuocato di X-Factor

La gara di X-Factor è venuta meno nel corso dell’ultimo live, con i giudici che hanno passato più tempo a litigare tra di loro che a guardare e giudicare le performance dei talenti in gara. Il primo grande scontro c’è stato tra Morgan e Dargen D’Amico, con il primo che ha accusato il secondo di far parte «del sistema musica» che a detta dell’ex leader dei Blue Vertigo sarebbe una cosa di cui non andare fieri. L’altro scontro, quello forse più ridondante anche nei giorni a seguire, è stato quello che ha visto Morgan rivolgersi a Fedez in questi termini: «Mi vuoi fare da psicologo? Sei troppo depresso». Poi un attacco diretto alla conduttrice del programma, Francesca Michielin, rea nel precedente live di aver commesso una gaffe su Ivan Graziani, e per questo stuzzicata da Morgan: «Dai Francesca, vai dietro le quinte che ti aspetta Ivan Graziani».

Dargen D'Amico, Francesca Michielin e Fedez
Dargen D’Amico, Francesca Michielin e Fedez (Getty Images).

Morgan: «C’è molta ignoranza»

Al live di giovedì erano seguite una serie di critiche a Morgan, specie per aver preso in giro la depressione e chi ne soffre. Lo stesso cantante si era poi spiegato meglio sui social, dicendo di conoscere molto bene e da tanto tempo quel problema, precisando ancora di non aver avuto nessun intento offensivo con le sue parole. Molte anche le dichiarazioni rilasciate dal cantante alla stampa sul tema. A Mow ha detto: «C’è molta ignoranza, è un problema serio tutto italiano, in giro c’è il ritorno degli analfabeti. Chi ha ascoltato la mia musica mi dice di mollare la televisione, però gioisce quando mi vede portare informazioni culturali al popolo». E ancora, a Fanpage: «Io sono andato a X-Factor per risollevare le sorti di un programma che era agonizzante e la mia funzione è stata quella di analizzare come mai lo era. È stato molto chiaro che il motivo per cui non interessava più alla gente è che si era spento l’interesse sulla musica e sulla qualità dei commenti, dei discorsi sulla musica. La musica può essere pretesto per affrontare argomenti di attualità, di cultura, di società, di utilità».

Cdp, la battaglia sui nomi è l’ultimo capitolo della rivalità tra Fratelli d’Italia e Lega

Destino cinico e baro. Era un momento di bonaccia, tutti alle prese con i propri guai, la politica col premierato e relativi litigi, la finanza con la partita Tim di cui ancora non si riesce a scrivere il finale, fatto sta che di Cdp si erano dimenticati un po’ tutti. Compreso il suo amministratore delegato, quel Dario Scannapieco che sta tenendo un profilo bassissimo, e che nell’ultima uscita pubblica veniva ritratto mestamente accoccolato all’ombra della mole larger than life di Fabrizio Palenzona, vecchia volpe che ha attraversato indenne molte ere geologiche dell’italica finanza. E sul quale forse il banchiere ex Bei punta per prolungare la sua permanenza alla guida della Cassa, pur sapendo che se te lo ritrovi in casa anche se presidente non tocchi più palla.

Cdp, la battaglia sui nomi è l'ultimo capitolo della rivalità tra Fratelli d’Italia e Lega
Fabrizio Palenzona (Imagoeconomica).

Un articolo censurato internamente ma rimbalzato su siti e social

Questo è il momento buono, devono aver pensato in via Goito, per piazzare una paccata di miliardi di obbligazioni con tanto di relativa sontuosa campagna pubblicitaria, che oltretutto sarebbe venuta buona nel momento in cui i giornali avrebbero ricominciato a occuparsi di Cassa depositi e prestiti che, assieme a Ferrovie, costituisce il boccone più ghiotto delle nomine di aprile 2024. Invece ci ha pensato il Foglio di sabato 18 novembre a rovinare il fine settimana di Scannapieco e co., con un articolo sapientemente perfido, che l’affollato ufficio comunicazione (sono più di 60 persone, un paradosso per una gestione che all’inizio del suo mandato teorizzava il fatto che Cassa non dovesse comunicare) ha pensato bene di rimuovere dalla rassegna stampa interna, ignaro del fatto – imperdonabile errore di valutazione – che ci avrebbero pensato siti e social, anche quelli ironia della sorte beneficiati dai suoi investimenti pubblicitari, a farlo rimbalzare ovunque mostrando l’inutilità della grottesca censura.

Cdp, la battaglia sui nomi è l'ultimo capitolo della rivalità tra Fratelli d’Italia e Lega
Dario Scannapieco (Imagoeconomica).

Palazzo Chigi, Mef e le Fondazioni vogliono mettere il becco su Cdp

Così sono stati riportati al centro della scena i destini dell’ente che dovrebbe essere il perno della politica industriale dei governi. Ossia l’ineludibile scadenza di primavera, dove le rondini del potere vorrebbero nidificare, in una sfida che si preannuncia sapida e intricata. Perché sugli assetti di Cdp sono in tanti a mettere becco: Palazzo Chigi, Mef, le Fondazioni, e tutte con idee e uomini alcuni in cerca d’autore, altri invischiati in una matassa di relazioni che sovente cozzano tra di loro. Scannapieco in questi mesi ha cercato in tutti i modi di ingraziarsi Giorgia Meloni intrecciando solide relazioni con Giovanbattista Fazzolari, spugna per gli amici, uno che da sempre tiene il posto fisso nel suo cuore. Non importa che la vicenda Tim e la decisione di vendere la rete agli americani di Kkr se la sia gestita il capo di gabinetto Gaetano Caputi senza che Cdp venisse filata di pezza.

Cdp, la battaglia sui nomi è l'ultimo capitolo della rivalità tra Fratelli d’Italia e Lega
Giovanbattista Fazzolari con Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

Al Tesoro piace Turicchi, occhio però anche al banchiere Daffina

Invece il ministero dell’Economia, cui spetta la nomina dell’ad e che vede l’attuale numero uno come Superman la criptonite, punta le sue carte su Antonino Turicchi, sempre che si riesca a risolvere per tempo la sfinente vicenda Ita, di cui è presidente, che somiglia alla tela d Penelope, con l’Antitrust di Bruxelles impegnato a disfare di notte ciò che le controparti intessono di giorno. Ma la lista dei pretendenti è molto più lunga: c’è anche Alessandro Daffina, banchiere Rothschild e cuore a destra fin dai tempi della sua giovinezza (suo fratello Antonio, attivista della sezione Parioli del Fronte della Gioventù, eseguì l’autopsia sul corpo di Nanni De Angelis, figura di riferimento nel pantheon meloniano, ucciso dalla polizia).

Cdp, la battaglia sui nomi è l'ultimo capitolo della rivalità tra Fratelli d’Italia e Lega
Antonino Turicchi, presidente di Ita (Imagoeconomica).

E buone possibilità ha pure Stefano Donnarumma, il più gettonato per le nomine di aprile 2023, alla fine rimasto inopinatamente a bocca asciutta. Non gli hanno dato Enel, come si pensava, e gli hanno tolto anche Terna dove stava, dovendo fare tassativamente posto a un’amica della sorella della premier.

Cdp, la battaglia sui nomi è l'ultimo capitolo della rivalità tra Fratelli d’Italia e Lega
Stefano Donnarumma (Imagoeconomica).

Ce n’è abbastanza per capire che la partita sui vertici di Cassa sarà l’ennesimo capitolo della rivalità tra Fratelli d’Italia e Lega, che tra l’altro arriverà a maturazione alla vigilia delle elezioni europee, quindi con i due partiti impegnati a darsele di santa ragione. Scannapieco, che ha subito il peggior scorno che può toccare a una manager pubblico, cioè essere nominato da un governo e poi dover fare i conti con un altro, confida di essere stato annesso nel novero della ristretta cerchia meloniana: dio patria famiglia, ma anche famigli. I dirigenti di Cassa non la pensano così e già stanno cercando di riposizionarsi altrove sconfessando in parole e azioni il loro attuale dante causa. Onestamente, non ce la sentiamo di dar loro torto.

Aggressione con machete fuori da una discoteca, due arresti

Aggredirono tre giovani usando anche un machete fuori da una discoteca di Sesto San Giovanni (Milano). Per questa ragione, la Polizia di Stato, coordinata dalla Procura di Monza, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un ecuadoriano e un italiano di origini sudamericana, entrambi di 20 anni e con precedenti, per tentato omicidio, rapina aggravata e lesioni. Vittime dell’aggressione tre ventenni all’uscita della discoteca “Glass Cube” di Sesto San Giovanni (Milano) il 9 luglio scorso, intorno alle 5 dopo una serata trascorsa nel locale. Le indagini svolte dagli agenti della Squadra Investigativa del commissariato di Sesto San Giovanni hanno accertato che che l’aggressione era cominciata nell’ambito di discussioni tra coetanei, tutti di origine sudamericana, e, alla fine, un ragazzo di 20 anni aveva avuto lesioni al torace e alle spalle con una prognosi di 90 giorni.

I due si trovano ora nel carcere di San Vittore

Un altro giovane, amico della vittima intervenuto in suo aiuto, colpito con calci e pugni al volto, aveva riportato contusioni e lesioni guaribili in 14 giorni ed era stato rapinato del telefono cellulare. Un terzo amico aveva subito un tentativo di aggressione con il machete riuscendo a schivarne i colpi. I due si trovano ora nel carcere di San Vittore e il questore di Milano aveva adottato subito dopo il provvedimento di chiusura del locale per dieci giorni.

In arrivo piogge e venti forti al Centrosud

Colpirà inizialmente il Centro, per poi toccare anche il Sud, la nuova perturbazione in arrivo martedì 21 novembre dalla Scozia. Sarà in queste parti dell’Italia, informa il direttore de iLMeteo.it Antonio Sanò, che ci sarà un’importante fase di maltempo, soprattutto su Marche, Umbria, Appennini e poi Abruzzo, Campania e zone interne di Toscana e Lazio. Inizialmente verrà coinvolta anche l’Emilia Romagna. La posizione del minimo depressionario favorirà l’ingresso di venti nord orientali al Nord e ancora da ovest/sudovest sul resto d’Italia. Mercoledì il ciclone, precisa Sanò, si sposterà rapidamente verso il basso Tirreno, sarà così che la ventilazione fredda da nordest aumenterà d’intensità. Le temperature inizieranno a diminuire e la neve potrà scendere diffusa sugli Appennini centrali anche sotto i 1200 metri pure sotto forma di temporale. Le precipitazioni raggiungeranno anche il Sud, ancora la Campania, ma pure Sicilia e Calabria e localmente Puglia.

Sole al Nord

Al Nord, continua Sanò, invece splenderà il sole. Il ciclone giovedì scenderà ulteriormente e raggiungerà la Sicilia. In questa giornata ci saranno condizioni di maltempo proprio sull’isola, ma anche su Calabria e Puglia meridionale, i venti a rotazione ciclonica soffieranno intensamente da nord sui bacini centro-meridionali, più deboli altrove. L’aria fredda inizierà a farsi sentire con un sensibile calo delle temperature. Torneranno le gelate notturne al Nord.

Il caso della lettera di Osama bin Laden diventata virale su TikTok

Lunedì 13 novembre 2023 un utente di TikTok con 371 follower che utilizza il nome “_monix2” ha pubblicato un video in cui leggeva parti della “Lettera all’America” di Osama bin Laden, in cui il defunto leader terrorista affermava, tra le altre cose, che gli attacchi dell’11 settembre erano stati giustificati anche dal sostegno degli Stati Uniti all’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele. Giovedì pomeriggio, quando TikTok ha annunciato di aver bandito l’hashtag, i video taggati #lettertoamerica avevano ottenuto più di 15 milioni di visualizzazioni.

Perché la lettera è diventata virale 

Una parte rilevante della lettera, originariamente pubblicata nel 2002 dal Guardian, riguarda appunto Israele e la Palestina, uno degli argomenti forti della propaganda di bin Laden. Il leader di Al Qaida sosteneva che «il sangue che sgorga dalla Palestina deve essere vendicato in maniera proporzionale», e accusava l’Occidente di essersi «arreso agli ebrei», aggiungendo numerosi pregiudizi antisemiti. Alcuni utenti di TikTok, dopo aver letto la lettera di bin Laden, hanno commentato di aver «aperto gli occhi» sui crimini degli Stati Uniti e di Israele. La lettera è stata diffusa in momento di estrema polarizzazione emotiva legata al conflitto tra Israele e Hamas. Ma la diffusione della lettera riflette anche uno dei problemi principali legati ai social media, dove le persone– molte delle quali sono giovani nati dopo l’11 settembre e che tendono ad essere più critici dei propri genitori nei confronti dell’Occidente – condividono e ricevono informazioni su delle app progettate per rendere i video virali, spesso disincentivando l’approfondimento delle notizie e degli eventi storici.

TikTok e il Guardian hanno rimosso il contenuto dalle loro piattaforme

Quando nel 2002 il Guardian aveva pubblicato la “Lettera all’America”, l’aveva collegata a un articolo di spiegazione in cui forniva il contesto su chi era bin Laden e su quali erano gli intenti della lettera, cioè di giustificare gli attacchi terroristici del gruppo. Sui social network, invece, alcuni utenti hanno interpretato la lettera come un appello morale contro gli Stati Uniti. Il portavoce di TikTok, Alex Haurek, ha dichiarato che la società sta rimuovendo i video che diffondo la lettera per aver violato le regole dell’azienda sul «sostegno a qualsiasi forma di terrorismo» sulla piattaforma. Un portavoce del Guardian, invece, ha dichiarato in un comunicato che la lettera è stata rimossa dal sito della testata giornalistica inglese dopo essere stata «ampiamente condivisa sui social media senza il contesto completo».

La manovra 2024 alla prova del Parlamento: martedì il termine per gli emendamenti

Per la legge di Bilancio 2024 è tempo di affrontare il test del Parlamento. La scadenza per depositare gli emendamenti è fissata per martedì 21 novembre, prima prova per la maggioranza e l’accordo di non presentare modifiche. Non significa che la manovra non cambierà, a partire proprio dal capitolo più caldo delle pensioni per alcune categorie di dipendenti pubblici, fra cui i medici, su cui il governo sta ancora lavorando. Anche gli affitti brevi sono in cima alla lista, mentre sale il pressing bipartisan sul rafforzamento del bonus psicologo.

Tajani: «Credo sulle pensioni si possa aggiustare qualcosa»

Il vincolo delle modifiche possibili solo a saldi invariati resta, ma lo spazio per evitare grossi tagli agli assegni previdenziali nel pubblico per colpa del ricalcolo si troverà, anche se dovesse essere solo temporaneo, cioè limitato al prossimo anno. Così il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani sul tema: «La manovra in Parlamento si può migliorare sicuramente, credo che sulla questione delle pensioni si possa aggiustare qualcosa per impedire che medici e infermieri lascino il lavoro per andare in pensione anticipatamente».

Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani
Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani (Imagoeconomica.

La soluzione verso cui si starebbe convergendo è limitare il pesante ricalcolo solo a chi andrà in pensione anticipata grazie al metodo contributivo, salvando chi va via avendo raggiunto l’età massima. L’ipotesi è però legata al nodo delle coperture: per garantire gli stessi risparmi della stretta in manovra (dagli 11,5 milioni netti nel 2024 ai 2,27 miliardi del 2043), la caccia alle risorse è ad ampio raggio e tra le ipotesi ci sarebbe anche un nuovo taglio all’indicizzazione delle pensioni più ricche (oltre 10 volte il minimo).

L’aumento della cedolare secca solo per i secondi immobili affittati

Sugli affitti brevi l’accordo in maggioranza, da trasferire nelle modifiche alla Manovra, prevede che la cedolare secca sulla prima casa messa a frutto rimanga al 21 per cento, e salga al 26 per cento solo dal secondo appartamento affittato. Sempre dagli azzurri c’è anche un altro emendamento per rafforzare con 40 milioni di euro il bonus psicologo, un tema su cui insiste anche il Pd.

Cina: «Siamo pronti a lavorare per la pace in Medio Oriente»

La Cina è disposta a lavorare per aiutare a «ristabilire la pace in Medio Oriente il prima possibile» e «per raffreddare rapidamente la situazione a Gaza». È quanto ha detto domenica 19 novembre il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, nel discorso di apertura tenuto a Pechino in occasione dell’incontro con una delegazione di diplomatici provenienti da Paesi arabi e a maggioranza musulmana.

Tra i paesi presenti Arabia Saudita, Giordania e Palestina

Tra i profili che si sono riuniti, i ministri degli Esteri di Arabia Saudita, Giordania, Indonesia, Egitto e Palestina, nonché il segretario generale dell’Organizzazione per la cooperazione islamica Hissein Brahim Taha.

Filippo Turetta ha accettato l’estradizione: in Italia entro 15 giorni

Si è conclusa in Germania, a Bad Durremberg, la fuga di Filippo Turetta, accusato di aver ucciso a coltellate e aver abbandonato il corpo dell’ex fidanzata di Giulia Cecchettin. Il giovane, nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto che si è tenuta in Germania nella giornata del 19 novembre, ha accettato l’estradizione in Italia, con le procedure che dovrebbero svolgersi in tempi rapidi, sembra entro un massimo di 15 giorni, trascorsi i quali Turretta sarà a disposizione della giustizia italiana.

La procedura per l’estradizione

A riferire del consenso all’estradizione è stato il suo avvocato Emanuele Compagno, informato a sua volta da un collega tedesco che lo ha assistito d’ufficio: «Dice di aver trovato il ragazzo provato, stanco, ma non in cattive condizioni. Per trasferirlo in Italia potrebbero servire una quindicina di giorni». Il giovane è attualmente detenuto nel carcere di Lipsia in attesa che la richiesta italiana venga esaminata e approvata dal Tribunale regionale tedesco.

Nordio: «Previsti tempi rapidi»

Così come sottolineato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, «tutto dipende dalla magistratura di Venezia, ma generalmente i tempi sono molto rapidi». Lo stesso concetto è stato ribadito dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, il quale ha sottolineato che Filippo Turetta «potrà essere affidato in pochi giorni alle forze dell’ordine e alla giustizia italiana per subire un giusto processo». L’Italia ha già provveduto a tradurre in tedesco il mandato di cattura internazionale e a inviarlo alle autorità competenti. Nel momento in cui tutte le pratiche per l’estradizione verranno svolte, la polizia giudiziaria italiana andrà in Germania a prendere il ragazzo per trasferirlo in Italia e metterlo a disposizione delle autorità giudiziaria. Solo in quel momento la magistratura potrà avviare il percorso volto a far emergere i dettagli ancora non noti dell’intera vicenda che ha portato alla morte e all’occultamento del cadavere di Giulia.

Argentina, l’ultraliberista Milei è il nuovo presidente

L’ultraliberista di destra Javier Milei é il nuovo presidente eletto dell’Argentina. Con l’86 per cento dei voti scrutinati l’anarcocapitalista ha vinto con il 56 per cento il ballottaggio contro il candidato peronista progressista Sergio Massa (44,04 per cento), in un’elezione storica e cruciale per il Paese. «Oggi inizia la fine della decadenza argentina. Iniziamo la ricostruzione e a voltare la pagina della nostra storia. Riprendiamo il cammino che non avremmo mai dovuto perdere. Finisce il modello dello stato che impoverisce e benedice solo alcuni mentre la maggioranza soffre. È una notte storica, torniamo ad abbracciare l’idea della libertà», ha detto il nuovo capo dello Stato nel suo primo discorso. Milei si è presentato in giacca e cravatta al fianco della sorella Karina, suo sostegno durante tutta la campagna elettorale: «Sappiamo che ci sono persone che resisteranno per mantenere i loro privilegi. Saremo implacabili: dentro la legge tutto, fuori la legge niente», ha avvertito mettendo in guardia la casta, e chiedendo al governo peronista di Alberto Fernandez di «prendersi carico del Paese fino alla fine del mandato». La vittoria di Milei era già nell’aria già nell’immediato della chiusura dei seggi. «Disponiamo di dati preliminari che ci danno fiducia. In Argentina comincia un cambiamento», avevano spiegato i portavoce de La Libertad Avanza senza nascondere un certo entusiasmo.

Argentina, l'ultraliberista Milei è il nuovo presidente
Javier Milei, nuovo presidente dell’Argentina (Ansa)

Milei: «Non c’è spazio per la gradualità, per le mezze misure»

Milei assumerà il suo mandato il 10 dicembre, proprio nel quarantesimo anniversario della democrazia dall’ultima dittatura militare. «La situazione è drammatica, non c’è spazio per la gradualità, per le mezze misure», ha indicato il vincitore, elencando l’inflazione, la povertà, la miseria e l’insicurezza come le sfide più urgenti. «L’Argentina ha un futuro ed è liberale», ha poi osservato promettendo che, tra 35 anni, il Paese sarà «una potenza mondiale». Nella sua presentazione, Milei ha evitato di parlare dei suoi cavalli di battaglia come la dollarizzazione o la chiusura della Banca Centrale. Ma non ha potuto fare a meno di vibrare il suo motto: «Viva la libertà, maledizione», acclamato dal ruggito della sua gente, prima di abbracciare i suoi genitori, mentre nelle città del Paese, da Buenos Aires a Cordoba a Mendoza, a migliaia con le bandiere biancocelesti si sono riunite per festeggiare con canti, balli, rulli di tamburo e caroselli di auto.

Massa: «L’esito non è quello che ci aspettavamo»

Alcune ore prima in un drammatico discorso, Massa aveva ammesso la sconfitta abbandonando la scena mentre era ancora in corso lo spoglio delle schede. «L’Argentina ha un sistema democratico solido e forte che rispetta sempre i risultati. Ovviamente l’esito non è quello che ci aspettavamo e ho contattato Javier Milei per congratularmi con lui e augurargli buona fortuna perché sarà il prossimo presidente. È il presidente eletto dalla maggioranza per i prossimi quattro anni», ha spiegato il ministro dell’Economia, nella delusione dei supporter, che gli hanno comunque concesso l’abbraccio di un applauso. «L’ho fatto, ha commentato, convinto che la cosa più importante che dobbiamo lasciare stasera è il messaggio che la convivenza, il dialogo e il rispetto della pace di fronte a tanta violenza e squalificazione è la strada migliore che possiamo intraprendere». Gli argentini però «hanno scelto un’altra strada, ha evidenziato. «E da domani la responsabilità di dare certezze, di trasmettere garanzie sul piano sociale, politico ed economico, spetta al presidente eletto. Speriamo che lo faccia».

 

Finale Atp Finals 2023, Djokovic vince contro Sinner: è il suo settimo trionfo al torneo di Torino

Novak Djokovic ha vinto la finale delle Atp Finals 2023 sconfiggendo Jannik Sinner. Il serbo ha trionfato in due set con un doppio 6-3 in un’ora e 44 minuti di gioco. Un risultato che non cancella la straordinaria settimana del tennista azzurro, primo italiano in 54 anni di storia del torneo ad arrivare al match finale. Per Nole è il settimo trionfo alle Finals. Superato Roger Federer che era a quota sei.

Non solo Alemanno e Rizzo, la storia del terzaforzismo rossobruno

Non è ancora nato formalmente (la data prevista è quella tra il 25 e il 26 novembre) e già la nuova creatura politica promossa dall’inedito duo Gianni Alemanno e Marco Rizzo, costituita per concorrere alle elezioni europee 2024, fa piuttosto scalpore. Creato per occupare uno spazio ben preciso, quello del dissenso – a destra – nei confronti della svolta filo-europea e filo-americana di Giorgia Meloni e – a sinistra – nei confronti della svolta «fucsia e radical chic» (copyright dello stesso Rizzo) del Partito democratico di Elly Schlein, il nuovo movimento, denominato Indipendenza italiana, non rappresenta però, in questo senso, del tutto una novità: la formula del “terzaforzismo” ha avuto, negli anni, svariate concretizzazioni, basti pensare al “movimentismo” trasversale che ha partorito i vari No Tav, No Gronda, No trivelle, No vax, per non parlare, più in generale, del fenomeno No global, che mischiano attivismo di sinistra e rivendicazioni in qualche modo “sovraniste” sul “diritto dei popoli”.

Non solo Alemanno e Rizzo, la storia del terzaforzismo rossobruno
Gianni Alemanno (Imagoeconomica).

Croce celtica, falce e martello

Per restare in Italia, possiamo dire che il terzaforzismo ha colto anche qualche successo, come nel caso del Movimento 5 stelle delle origini, presentatisi sul palcoscenico politico come soggetto «oltre la destra e la sinistra». Niente a che vedere, tuttavia, con Indipendenza italiana, in cui cercano di fondersi due culture antitetiche: quella della destra (sociale) nuda e pura, incarnata dal rautiano di ferro Gianni Alemanno, ma anche da altri esponenti della tradizione più ortodossa, come Fabio Granata e Francesco Toscano, e quella del comunismo irriducibile di Rizzo, presidente onorario del Partito comunista italiano. Non per caso, qualcuno ha parlato di «incontro tra croce celtica e falce e martello». Un incontro che dovrebbe trovare una sintesi nella contrapposizione al nemico comune: il modello neo-liberista «che sta distruggendo le società europee» (Alemanno) e riducendo l’Italia «a colonia americana» (Rizzo).

Non solo Alemanno e Rizzo, la storia del terzaforzismo rossobruno
Marco Rizzo (Imagoeconomica).

Il rossobrunismo ai tempi della Repubblica di Weimar

Per qualificare lo strano coacervo di Indipendenza italiana, si è fatto ricorso al termine di rossobrunismo, richiamando, forse in modo un po’ esagerato, la tradizione del cosiddetto nazionalcomunismo, che affonda le radici nei primi del 900 e che, nel tempo, ha assunto caratteristiche articolate e variegate. Col termine nazionalcomunismo si definisce una corrente politica e ideologica che nasce in Germania all’epoca della Repubblica di Weimar, nei primi Anni 20, mentre il Paese stava attraversando un periodo di grandi difficoltà per le durissime condizioni economiche, politiche, militari e territoriali imposte dal Trattato di Versailles.

Lenin bollò l’iniziativa come «madornale assurdità»

A promuovere questa corrente furono due politici socialdemocratici Heinrich Laufenberg e Friedrich Wolffheim, che lanciarono l’ipotesi di un’alleanza con la Russia bolscevica per riaprire il conflitto contro il capitalismo internazionale, reo, secondo loro, di puntare alla cancellazione del popolo tedesco con la complicità della socialdemocrazia, che si era fatta garante nei confronti del nemico. Bollata dallo stesso Lenin come «madornale assurdità», l’iniziativa dei due politici tedeschi – presto isolati anche all’interno del movimento operaio tedesco – crollò presto miseramente.

La grande crisi del ’29 rilanciò la critica al capitalismo

Il nazionalcomunismo riprese vigore con la crisi economica a cavallo del 1929 e 1930. Figura fondamentale in questa fase fu quella di Ernst Niekisch, già socialdemocratico, tra i fondatori della Repubblica sovietica bavarese (1919), ma in stretti rapporti con i principali esponenti della cosiddetta Rivoluzione conservatrice e persino con i vertici del neonato Nsdap (il nucleo originale del partito nazionalsocialista) Strasser e Goebbels. Fu in questo “miscuglio” di frequentazioni e ambienti che sviluppò la sua critica del capitalismo come sistema votato unicamente all’utile a scapito delle classi lavoratrici, e propose di organizzare una resistenza contro i nemici della volontà statale dei tedeschi, e cioè «la democrazia parlamentare e il liberalismo, il modo di vivere francese e l’americanismo», pienamente “accettati” da Weimar.

Con l’ascesa del nazismo il progetto svanì

Bisognava lottare per «l’indipendenza e la libertà della Germania, la più alta valorizzazione dello Stato, il recupero di tutti i tedeschi che si trovavano sotto il dominio straniero». Niekisch riteneva che il proletariato fosse il soggetto più legittimato a condurre questa resistenza, e la Russia di Stalin l’alleato naturale. Inutile dire che con l’ascesa del nazismo anche il progetto nazionalcomunista del politico e scrittore tedesco svanì.

Jean Thiriart e il movimento transnazionale Jeune Europe

Il progetto nazionalcomunista conobbe una rifioritura negli Anni 60 del secolo scorso grazie al belga Jean Thiriart (ex Waffen Ss) e al suo movimento transnazionale Jeune Europe, con sezioni in Belgio, Francia, Germania, Portogallo e collegamenti in Sud America e Australia. A Thiriart, socialista anti-marxista, si devono molte “intuizioni” e persino molte parole d’ordine fatte proprie da molti movimenti politici della destra radicale (a cominciare dalla Nouvelle Droite francese) e ancora oggi in voga, da «Europa Nazione», il cui simbolo era la croce celtica, a «Europa impero di 400 milioni di uomini», dal concetto di Eurasia come «Impero Euro-sovietico da Vladivostok a Dublino» alla identificazione degli Usa come nemico principale dell’Europa, dalla definizione di Mondialismo come «nuovo ordine mondiale» da combattere senza riserve alla promozione costante dell’uscita dell’Europa dalla Nato.

In Italia, una delle piazze più importanti dell’internazionale nera dell’epoca, Jeune Europe si costituì come Giovane Europa, da cui nacque, nel 1969, Lotta di popolo, attiva fino al 1973, i cui aderenti (tra cui figuravano non poche figure legate a Gladio e ai Servizi segreti) venivano definiti nazi-maoisti.

Freda e Terracciano, tra comunismo aristocratico ed Eurasia nazionalcomunista

Sempre in Italia, e sempre nel 1969, Franco Freda, che nel 1962 aveva fondato a Padova il suo Gruppo di Ar, considerato un antesignano del rossobrunismo, diede alle stampe il suo celeberrimo La disintegrazione del sistema, in cui teorizzava uno Stato basato su un comunismo aristocratico, una sorta di via di mezzo tra la Repubblica di Platone, il Reich hitleriano e la Cina maoista.

Negli Anni 80, il nazionalcomunismo conobbe poi un rilancio teorico grazie soprattutto a Carlo Terracciano, che proponeva una approfondita analisi dell’esperienza tedesca rivoluzionario-conservatrice nazionalbolscevica, ma anche l’esperienza dell’ala sociale del fascismo e del nazionalsocialismo (il cosiddetto “fascismo rivoluzionario”) e suggeriva un’attualizzazione di tali esperienze, oltre il nazionalismo e il comunismo otto-novecentesco.

Con la disintegrazione sovietica, Terracciano tornò a interrogarsi sulla possibile attualità del nazionalcomunismo e la sua risposta fu che «un’Eurasia nazionalcomunista, quale haushoferiana Paidea di mobilitazione di masse, diseredate dal Mondialismo, è l’unica risposta valida che i popoli del Nord del mondo antico possono ancora dare, dopo l’affossamento dell’utopia egalitaria e libertaria del marxismo».

Gli Anni 90 e i teorici russi tra nazionalbolscevismo e Putin

A partire dai primi Anni 90 il nazionalbolscevismo (che gli storici distinguono dal nazionalcomunismo per una maggiore componente metafisica) conobbe una nuova stagione di attenzione in Russia, quando Eduard Limonov e Aleksandr Dugin fondarono il Partito nazional bolscevico che proponeva una sintesi tra patriottismo sovietico e post-fascismo. Concetto fondante del movimento era il cosiddetto “eurasismo”, una sorta di «terza via tra capitalismo e comunismo, capace di unire in un solo blocco Europa e Russia», che individuava, tanto per cambiare, «negli Usa liberali e liberisti» il nemico per eccellenza.

Non solo Alemanno e Rizzo, la storia del terzaforzismo rossobruno
Aleksandr Dugin (Getty).

Più di recente, Dugin ha chiarito che l’Europa occidentale non appartiene in senso stretto allo spazio eurasiatico (che “filologicamente” nasce dalla simbiosi tra Russia, mondo turco-musulmano e persino cinese), ma può trovare nella Russia un prezioso alleato per combattere le tendenze egemoniche atlantiste. Alla Russia di Vladimir Putin spetta quindi il compito di condurre, anche oltre le sue frontiere, la sfida globale all’invadenza (e all’invasione) americana.

La rivoluzione antimondialista: Maurizio Murelli

Inutile dire che, come dimostrano Terracciano, e soprattutto Dugin, il tema della globalizzazione (mondialismo) offre nuovo slancio al cosiddetto rossobrunismo. Maurizio Murelli, già storico militante della destra radicale italiana, e che da tempo ha abbandonato posizioni passatiste per proporre ricette antagoniste del tutto sincretiche e originali, è partito proprio dalla necessità di creare una nuova sintesi politica, cioè una sorta di alleanza rivoluzionaria antimondialista tra soggetti antagonisti, che rifiutino cioè l’attuale modello di sviluppo, al di là dei vari steccati ideologici, e vogliano dare vita a una «alternativa globale di libertà e giustizia per i popoli oppressi dal materialismo, dal consumismo, dall’alta finanza, dall’oligarchia economica».

È però necessario, prima di tutto, smontare i luoghi comuni che, secondo Murelli, destra e sinistra, in questo parimenti reazionarie, propongono nella “difesa” anacronistica e granitica della loro storia e della loro identità, impedendo loro di riconoscersi, pur nell’antagonismo, una dignità reciproca. Il fascismo, in senso lato, non fu solo ed esclusivamente l’Impero del male, come non lo è stato il comunismo. Solo superando questa ottusa difesa reciproca dell’ortodossia – è la sua tesi – destra e sinistra potranno tentare una vera sintesi rivoluzionaria.

Carol Bugin scomparsa a Mestre: ha 16 anni ed è irreperibile da giovedì

Sono in corso le ricerche di Carol Bugin, una ragazza di 16 anni scomparsa giovedì 16 novembre da Mestre. La famiglia, che ha presentato una denuncia ai carabinieri, ha lanciato un appello sui social mettendo un numero di cellulare al quale fornire notizie in caso di avvistamenti. L’appello è stato rilanciato anche da Elena Cecchettin, sorella di Giulia, accoltellata e uccisa dall’ex fidanzato. «Vi prego, non di nuovo», ha scritto a corredo della storia Instagram.

Carol scomparsa da Mestre: era con un’amica che l’ha persa di vista

Carol è alta 1.68, ha capelli castani, occhi verdi e tante lentiggini sul naso. Al momento della scomparsa indossava un giaccone nero poco più lungo della vita e probabilmente un jeans chiaro. Chiunque l’avesse vista è invitato a contattare le forze dell’ordine o la famiglia al numero 3385866576. Secondo quanto ricostruito, la giovane si trovava con un’amica di Spinea con la quale ha poi raggiunto la stazione di Mestre. A un certo punto Carol si è allontanata e l’amica l’ha persa di vista, informando la madre che è subito giunta sul posto. È stata vista l’ultima volta al bar Enjoy sotto i portici della stazione. Da allora la 16enne, che non avrebbe né denaro né telefono né documenti, non ha più dato sue notizie.

Giulia Cecchettin, la sorella contro Salvini: «Dubita della colpevolezza di Turetta perché bianco»

Elena Cecchettin, sorella di Giulia, ha pubblicato una storia sul suo profilo Instagram accusando Matteo Salvini di «violenza di Stato». Lo sfogo è giunto dopo che il leader della Lega ha commentato la notizia dell’arresto di Filippo Turetta, accusato dell’omicidio della giovane, con un «se colpevole, nessuno sconto di pena e carcere a vita». È stato quel “se” ad aver indignato Elena, che ha così reagito: «Un ministro dei Trasporti che dubita della colpevolezza di Turetta perché bianco, perché “di buona famiglia”. Anche questa è violenza, violenza di Stato».

Giulia Cecchettin, la sorella contro Salvini: «Dubita della colpevolezza di Turetta perché bianco»
Storia di Elena Cecchettin (Instagram).

La replica di Salvini: «Filippo evidentemente colpevole ma condanna da stabilire in Tribunale»

A poca distanza temporale, pur non facendo esplicito riferimento alla storia della 24enne, Salvini ha pubblicato un post chiarendo la sua posizione sulla vicenda: «Per gli assassini carcere a vita, con lavoro obbligatorio. Per stupratori e pedofili – di qualunque nazionalità, colore della pelle e stato sociale – castrazione chimica e galera. Questo propone la Lega da sempre, speriamo ci sostengano e ci seguano finalmente anche altri. Ovviamente, come prevede la Costituzione, dopo una condanna stabilita in Tribunale augurandoci tempi rapidi e nessun buonismo, anche se la colpevolezza di Filippo pare evidente a me e a tutti».

Sinner-Djokovic, la finale delle Atp Finals in diretta su Rai 1: come cambia il palinsesto

La finale delle Atp Finals tra Jannik Sinner e Novak Djokovic verrà trasmessa in diretta su Rai 1 e non su Rai 2 come originariamente previsto. Così ha deciso Viale Mazzini vista l’importanza del match e l’impresa del tennista italiano, primo nella storia del torneo ad arrivare così in alto. Il palinsesto dell’ammiraglia verrà quindi modificato, con Domenica In che andrà in onda regolarmente fino alle 17.15 e Da noi… a ruota libera che terminerà alle 17.55 (invece che alle 18.45).

Saltano Reazione a Catena e Affari tuoi per lasciar spazio alla finale delle Atp Finals

Dopodiché il testimone passerà alla diretta dal PalaAlpitour di Torino, con la telecronaca di Marco Fiocchetti supportato in postazione di commento tecnico da Adriano Panatta. Saltano dunque Reazione a Catena e, con ogni probabilità, Affari Tuoi. Anche se tutto dipenderà dalla durata della gara. Il Tg1 dovrebbe andare in onda al termine della partita mentre resta confermata la trasmissione della fiction Lea – I nostri figli.

La decisione dopo i buoni ascolti delle partite precedenti

Il cambio di programmazione è stato deciso anche sulla base dei buoni dati di ascolto registrati dai match giocati da Sinner. Su Rai 2 la semifinale contro il tennista russo Medvedev ha tenuto davanti ai televisori 2 milioni e 370 mila spettatori (18.3 per cento di share). Su Sky Sport la stessa gara ha registrato 819 mila teste con un 5.4 per cento di share. Complessivamente, considerando quindi sia gli ascolti Rai che quelli Sky, si parla di oltre 3 milioni di persone sintonizzate. La partita contro il danese Rune fu seguita da 2 milioni e 581.000 spettatori su Rai 2 e 653 mila su Sky.

Giulia Cecchettin, martedì un minuto di silenzio nelle scuole

Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha lanciato un invito alle scuole a rispettare un minuto di silenzio nella giornata di martedì 21 novembre 2023 in onore di Giulia Cecchettin e di tutte le donne abusate e vittime di violenze. La decisione si inserisce nell’elenco di iniziative organizzate in memoria della giovane, accoltellata e uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, tra cui quella di conferirle la laurea in Ingegneria biomedica che avrebbe dovuto ottenere pochi giorni dopo l’omicidio.

La laurea in Ingegneria e il fiocco rosso nel giorno dei funerali

«Domani inviterò tutte le scuole», ha annunciato Valditara a proposito del minuto di silenzio in memoria della vittima. Lo stesso ha annunciato che mercoledì verrà presentato il piano Educare alle relazioni, il progetto pensato dal suo ministero per combattere la violenza sulle donne e introdurre la cultura del rispetto nelle scuole. Contestualmente, la ministra dell’Università Annamaria Bernini ha reso noto che Giulia riceverà la sua laurea in Ingegneria biomedica all’università di Padova. Non si tratterà di una laurea honoris causa ma di una laurea vera e propria, avendo di fatto la ragazza concluso il suo percorso di studi: «Le mancava solo la discussione della tesi. È già dottore, manca solo la formalità». Tra le altre iniziative proposte per onorare la memoria di Cecchettin anche quella di indossare un fiocco rosso, divenuto simbolo contro la violenza di genere, e di esporre nei luoghi pubblici e privati oggetti di colore rosso nel giorno dei suoi funerali. Si tratta di un’idea del governatore del Veneto Luca Zaia, che per quella giornata ha anche disposto il lutto regionale.

Materiali critici, terre rare, rapporti con Cina e Usa: così l’Indonesia punta a diventare la prossima tigre asiatica

Investimenti mirati per sviluppare il business delle terre rare e dei minerali critici. Un inserimento programmato nei settori chiave dell’economia globale, in primis quello delle auto elettriche. Una posizione geografica strategica, a metà strada tra l’Oceano Indiano e il Pacifico, a due passi dal tumultuoso Mar Cinese Meridionale epicentro di possibili conflitti. L’Indonesia di Joko Widodo, presidente del quarto Paese più popoloso al mondo (273 milioni di abitanti) e prossimo alla fine del suo mandato, è questo e molto altro. È, ad esempio, la terza democrazia più grande del Pianeta dopo Stati Uniti e India, nonché una nazione desiderosa di scalare i vertici dell’economia globale. Candidandosi a essere la prossima Tigre asiatica.

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Il presidente dell’Indonesia Joko Widodo (getty Images).

Nel 2022 il Pil indonesiano ha segnato un +5,31 per cento, la crescita più rapida dal 2013

Già nel 2015, considerando il Pil complessivo e a parità di potere d’acquisto l’Indonesia risultava essere l’ottava economia del Pianeta. Nel 2022 ha fatto registrare un Pil pari a 1.391 miliardi di dollari, in aumento su base annua del 5,31 per cento, la crescita più rapida dal 2013. Per la cronaca, soltanto il Vietnam (+6,2 per cento) era riuscito a far meglio. Per quanto riguarda il 2023, secondo i dati riportati da BPS-Statistics Indonesia, l’economia nazionale ha continuato a crescere pur mostrando timidi segnali di rallentamento: +4,94 per cento annuo nel trimestre luglio-settembre, al di sotto della crescita del 5,17 per cento rilevata nel periodo compreso tra aprile e giugno. Sono tuttavia le proiezioni future a tratteggiare un futuro ancora più brillante per il sistema economico dell’Indonesia. Il report The Path to 2075 di Goldman Sachs, per esempio, ipotizza che Giacarta possa trasformarsi nella quarta potenza mondiale nell’arco dei prossimi 50 anni, dietro a Cina, India e Stati Uniti. La stessa banca statunitense ha inserito lo Stato indonesiano nei cosiddetti Next Eleven, ovvero gli 11 Paesi emergenti considerati ad alto potenziale di sviluppo economico mondiale grazie al binomio di stabilità politica e investimenti diretti esteri.

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Una moschea a Giacarta (Getty Images).

Dal petrolio al gas, dal gas naturale al nichel e al carbone: l’export di Giacarta

Il successo economico dell’Indonesia non è certo casuale. Il Paese dispone infatti di un numero enorme di materie prime. Dal petrolio al gas naturale, dall’olio di palma al caucciù, dal carbone al nichel rappresentano la maggior parte dell’export. Peraltro cresciuto in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina, e di pari passo all’aumento delle tensioni internazionali. Scendendo nei dettagli, a trainare le esportazioni di Giacarta troviamo i bricchetti di carbone, con un giro d’affari annuo di circa 28,4 miliardi di dollari secondo i dati Oec e una quota pari all’11,5 percento dell’export nazionale, gas di petrolio liquefatto (8,06 miliardi, 3,25 percento), ferroleghe (7,16 miliardi, 2,89 percento), olio di palma (27,3 miliardi, 11 percento) e acciai inossidabili laminati di grandi dimensioni (6,68 miliardi, 2,7 percento). In uno scenario del genere, nel bel mezzo del braccio di ferro tra Usa e Cina, l’Indonesia è stata abile a ritagliarsi uno spazio d’azione economico, iniziando a sfruttare anche la carta delle terre rare. Secondo le stime, le riserve del Paese si aggirano sulle 300 mila tonnellate, al momento concentrate tra Bangka Belitung, Kalimantan e Sulawesi. Nel frattempo, l’Indonesia dispone già l’80 per cento dei minerali necessari per produrre batterie al litio. Per questo il governo punta a potenziare l’industria dei veicoli elettrici.

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Uno stabilimento per la lavorazione del nichel nel Sulawesi (Getty Images).

L’equidistanza tra Cina e Usa e l’incognita del futuro politico

Sul fronte politico, l’Indonesia mantiene una posizione equidistante tra Stati Uniti e Cina, attenta a non farsi risucchiare in una contesa che le farebbe smarrire ogni possibilità di guadagnarsi un posto al sole. Recentemente, prima di incontrare Xi Jinping, il presidente statunitense Joe Biden ha accolto alla Casa Bianca Widodo. Forte della presidenza indonesiana del G20 nel 2020 e di quella dell’Asean nel 2023, il leader di Giacarta ha firmato con Washington un accordo di cooperazione in materia di Difesa, consentendo così agli Usa di aggiungere un’altra intesa alla collezione dei patti stipulati con i partner asiatici per contrastare l’influenza cinese nell’Indo-Pacifico. Durante l’incontro sono stati discusse modalità per portare avanti la cooperazione sul fronte dei minerali critici, così da aprire il mercato indonesiano del nichel alle aziende Usa. Attenzione però, perché da quando Widodo è entrato in carica, la Cina è diventata il principale partner commerciale e investitore dell’Indonesia. Secondo il database Comtrade delle Nazioni Unite, le importazioni cinesi verso Giacarta sono passate da meno di 40 miliardi di dollari del 2014 a 71,32 miliardi di dollari nel 2022. Le prossime elezioni presidenziali indonesiane sono in programma il prossimo 14 febbraio. Sarà importante capire cosa avrà intenzione di fare il successore di Widodo: continuare a promuovere una sorta di terza via economica o avvicinarsi a una delle due superpotenze.