Bufera dopo l’indiscrezione di Dagospia sulla possibile partecipazione della giornalista palestinese alla kermesse musicale. Bordate da Capezzone a Gervasoni. Dubbi del consigliere Rai Rossi: «Sarebbe divisiva».
Con l’arrivo di Sanremo arrivano anche le immancabili polemiche. L’ultima in ordine di tempo è arrivata dopo un’indiscrezione uscita su Dagospia sulla possibile partecipazione alla kermesse canora della giornalista Rula Jebreal al fianco di Amadeus per condurre una delle serate. Secondo il sito online di Roberto D’Agostino, il conduttore Rai avrebbe incontrato Rula in un albergo milanese proponendole di affiancarlo per una sera sul palco dell’Ariston. E lei avrebbe dato la sua disponibilità. Subito dopo la pubblicazione della notizia, giornali e social dell’area sovranista sono insorti contro la reporter palestinese.
L’ATTACCO DELLA DESTRA SOVRANISTA
In prima linea Daniele Capezzone, cronista de La Verità, che ha attaccato a testa bassa su Twitter: «Mi par di capire che con i soldi del canone #Rai #RulaJebreal potrebbe essere incaricata a #Sanremo di spiegarci quanto le facciamo schifo. Se poi qualcuno si lamenterà sui social, seguiranno accuse di: -razzismo -sessismo – machismo. Pure nel 2020, ci avete già rotto….». Per gli haters, la eventuale presenza di Rula sul palco di Sanremo sarebbe «un insulto a tutti gli italiani». Durissima anche la presa di posizione di Marco Gervasoni docente dell’Università del Molise (noto alle cronache per aver pubblicato tweet offensivi nei confronti della senatrice a vita Liliana Segre) che sempre su Twitter ha commentato: «Mitica la definizione che ne diede in un talk show anni fa Sapelli “gnocca senza testa”. Aspettatevi un Sanremo pro clandestini, pro islam, pro lgbt, pro utero in affitto, pro sardine, pro investitori d’auto (purché con suv)». Nel frattempo sui social qualcuno ha lanciato l’hashtag #BoicottaSanremo.
Mi par di capire che con i soldi del canone #Rai#RulaJebreal potrebbe essere incaricata a #Sanremo di spiegarci quanto le facciamo schifo. Se poi qualcuno si lamenterà sui social, seguiranno accuse di: -razzismo -sessismo -machismo. Pure nel 2020, ci avete già rotto i coglioni.
I DUBBI DEL CONSIGLIERE RAI ROSSI: «RULA SAREBBE DIVISIVA»
Sentito dall’Adnkronos, il consigliere Rai in quota Fratelli d’Italia, Giampaolo Rossi, ha esconfermato i contatti «tra la direzione artistica del Festival di Sanremo e la signora Rula Jebreal», e si è detto «piuttosto stupito». «Sono note le sue posizioni ideologiche radicali, filoislamiste e dichiaratamente antisraeliane così come le fake news raccontate sulla guerra in Siria, ma ignoravo che Rula Jebreal fosse esperta di musica italiana», ha attaccato. «Credo», ha aggiunto, «che il Festival di Sanremo debba essere un momento di unione del nostro Paese e non lasciare spazio, quindi, a sentimenti divisivi e a persone che li alimentano».
LE VOCI IN DIFESA DI RULA
Tra Facebook e Twitter arrivano però anche dei messaggi di sostegno. «Io sono italiano, pago le tasse, e non mi sono mai sentito schifato da Rula Jebreal», ha scritto un utente. «Grazie #Amadeus per aver scelto #RulaJebreal, stai mandando in tilt i cervelli dei razzisti perché è una donna, straniera, che ha detto chiaramente che l’Italia è un paese fascista. Spero faccia qualche discorsetto durante il festival», ha attaccato un altro.
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Online gli indirizzi di oltre mille destinatari dei New Year Honours: tra loro politici, star del calibro di Elton John.
Il governo britannico è in imbarazzo dopo la pubblicazione, per errore, degli indirizzi di oltre mille destinatari dei cosiddetti New Year Honours, le tradizionali onorificenze reali: tra loro politici, star del calibro di Elton John, ma anche decine di funzionari della difesa e dell’antiterrorismo, con evidenti implicazioni per la sicurezza. Una svista, ha ammesso l’ufficio del gabinetto che si è scusato per quanto accaduto, assicurando di aver rimediato in breve tempo.
ANCHE OLIVIA NETWON JOHN E BEN STROKES TRA LE VITTIME DELLA ‘SVISTA’
Tra i 1.097 destinatari delle onorificenze del 2020 ci sono anche il giocatore di cricket Ben Stokes, l’attrice Olivia Newton John, l’ex leader del Partito conservatore Iain Duncan Smith, la cuoca televisiva Nadiya Hussain e l’ex capo dell’Ofcom (l’authority per le comunicazioni) Sharon White. Tra gli altri, diversi funzionari di governo, accademici, leader religiosi, sopravvissuti all’Olocausto. Ma anche funzionari della Difesa e alte gerarchie della polizia, quindi personalità considerate sensibili dal punto di vista della sicurezza. C’è chi ha preso questa vicenda con filosofia, come Mete Coban, pioniere delle attività caritatevoli che ha ricevuto un’onorificenza per il suo lavoro con i giovani, che si è detto non troppo preoccupato per l’errore. Al contrario, Big Brother Watch, organizzazione britannica che si occupa di privacy e tutela delle libertà civili, ha definito «estremamente preoccupante che il governo non mantenga una solida stretta sulla protezione dei dati e che le persone che ricevono alcuni dei più alti onori siano messe a rischio per questo». Ed il ministro ombra per l’ufficio del gabinetto, Jon Trickett, ha evidentemente rincarato la dose: «Se il governo non è in grado di proteggere dati sensibili, come possiamo aspettarci che risolva le importanti questioni del nostro Paese?».
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Il governo britannico è in imbarazzo dopo la pubblicazione, per errore, degli indirizzi di oltre mille destinatari dei cosiddetti New Year Honours, le tradizionali onorificenze reali: tra loro politici, star del calibro di Elton John, ma anche decine di funzionari della difesa e dell’antiterrorismo, con evidenti implicazioni per la sicurezza. Una svista, ha ammesso l’ufficio del gabinetto che si è scusato per quanto accaduto, assicurando di aver rimediato in breve tempo.
ANCHE OLIVIA NETWON JOHN E BEN STROKES TRA LE VITTIME DELLA ‘SVISTA’
Tra i 1.097 destinatari delle onorificenze del 2020 ci sono anche il giocatore di cricket Ben Stokes, l’attrice Olivia Newton John, l’ex leader del Partito conservatore Iain Duncan Smith, la cuoca televisiva Nadiya Hussain e l’ex capo dell’Ofcom (l’authority per le comunicazioni) Sharon White. Tra gli altri, diversi funzionari di governo, accademici, leader religiosi, sopravvissuti all’Olocausto. Ma anche funzionari della Difesa e alte gerarchie della polizia, quindi personalità considerate sensibili dal punto di vista della sicurezza. C’è chi ha preso questa vicenda con filosofia, come Mete Coban, pioniere delle attività caritatevoli che ha ricevuto un’onorificenza per il suo lavoro con i giovani, che si è detto non troppo preoccupato per l’errore. Al contrario, Big Brother Watch, organizzazione britannica che si occupa di privacy e tutela delle libertà civili, ha definito «estremamente preoccupante che il governo non mantenga una solida stretta sulla protezione dei dati e che le persone che ricevono alcuni dei più alti onori siano messe a rischio per questo». Ed il ministro ombra per l’ufficio del gabinetto, Jon Trickett, ha evidentemente rincarato la dose: «Se il governo non è in grado di proteggere dati sensibili, come possiamo aspettarci che risolva le importanti questioni del nostro Paese?».
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La popstar cancella la tappa di Miami e si scusa coi fan. Preoccupazioni per il suo stato di salute e il rischio di danni permanenti al fisico.
Ancora uno stop per il tour di Madonna. ‘Madame X’ si ferma ancora e ad annunciarlo è proprio la popstar con un video e un lungo messaggio su Instagram. Nel suo post, Madonna parla di un dolore fortissimo che è arrivato a farla piangere durante le prove per lo show a Miami. Per questo è stata fermata dai medici che la seguono, per evitare il rischio di danni permanenti al suo fisico.
CONFERMATO PER ORA IL TOUR EUROPEO
L’ultima parte del tour di Madonna in Nord America si sarebbe dovuta concludere a Miami. Restano per ora confermate, invece, le date in Europa, in programma a partire da gennaio. «Mentre salivo la scala per cantare ‘Batuka’ sabato sera a Miami», ha scritto Madonna su Instagram, «ero in lacrime per il dolore causato dalle mie lesioni che è stato indicibile negli ultimi giorni… Mi considero una guerriera, non mollo mai tuttavia ora è il momento di dare retta al mio corpo e di accettare che il dolore è preoccupante. Voglio dire quanto mi dispiace a tutti i miei fan per essere costretta a cancellare il mio ultimo spettacolo».
A consigliare lo stop alla popstar sono stati i medici: «Hanno detto chiaramente che se voglio continuare il mio tour devo riposarmi il più possibile in modo da non causare danni irreversibili al mio fisico», ha scritto Madonna. «Non ho mai lasciato che una lesione mi impedisse di esibirmi ma questa volta devo accettare che non c’è alcuna vergogna nell’essere umana e di premere il pulsante pausa».
LA RABBIA DEI FAN
Eppure, secondo il tabloid Daily Mail, alcuni fan non l’avrebbero presa bene, arrabbiandosi per la cancellazione dello spettacolo a due ore dal suo inizio. Nel suo ultimo post su Instagram, Madonna appare in posa da modella. «Se proprio devo riposarmi e fare niente almeno posso parlo con stile», ha scherzato Madonna, che già a fine novembre aveva cancellato alcune tappe a Boston. Anche se non ci sono notizie ufficiali sulle cause dei suoi problemi di salute, alcuni media hanno rivelato che si tratta di una lesione al legamento crociato.
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Il 18 dicembre è uscito L’ascesa di Skywalker, ultimo capitolo della nuova trilogia. Il film ha riscosso timide critiche e chiuso un cerchio non facile. Dimostrando tutte le lacune della produzione.
Diventare il conglomerato più grosso di Hollywood non è stato sufficiente a maneggiare una delle saghe più delicate della cinematografica contemporanea. Potrebbe essere sintetizzato così il tormentato rapporto tra la Walt Disney Company e il mondo di Star Wars. E l’uscita nelle sale di Star Wars – L’ascesa di Skywalker rappresenta l’epilogo di questa produzione travagliata. Il 18 novembre l’episodio nove della serie partorita dalla mente di George Lucas è sbarcato in sala. E le timide reazioni di critica e pubblico hanno confermato che il cerchio non si è chiuso al meglio. Il problema è che la parabola iniziata nel 2015 con l’uscita del Ritorno della forza ha subito talmente tante correzioni che centrare l’obiettivo era impossibile.
UN FILM TROPPO DENSO PER ESSERE APPREZZATO
Partiamo dal finale, ovviamente senza spoiler. Nelle oltre due ore e 22 minuti J.J. Abrams, che è tornato dietro la macchina da presa e alla sceneggiatura dopo la parentesi di Rian Johnson, è stato costretto agli straordinari. Sì, perché la direzione di Johnson, oltre a scontentare ampiamente i fan più ortodossi, aveva scardinato quasi completamente i piani originali di Abrams delineati due anni prima con l’episodio sette. La sensazione, mano mano che la pellicola scorre, è quella di vedere due film.
SMANTELLATA L’EREDITÀ DI JOHNSON
La prima ora circa è un film a sé. Smonta pezzo per pezzo quanto fatto ne Gli Ultimi Jedi, e riannoda i fili con il capitolo del 2015. Allo stesso tempo il vero episodio nove ha solo un ora e 20 per tirare le conclusioni. Ecco quindi che il montaggio è serrato, pure troppo. I personaggi, e gli spettatori, praticamente non respirano mai. Mancano i momenti per gustarsi i paesaggi e le situazioni, come ha scritto Adi Robertson su The Verge. Si può avere un’idea di questa altalena nei primi minuti forsennati quando il personaggio di Poe Dameron, interpretato da Oscar Isaac, guida il Millennium Falcon in una serie di salti nell’iperspazio che fanno più che altro girare la testa. Il resto del film risponde a molte delle domande che erano rimaste in sospeso. Johnson le aveva semplicemente ignorate, Abrmas, che le aveva poste, salva capra e cavoli cercando risposte coerenti, anche se non sempre ci riesce. Al termine della forsennata corsa dei personaggi resta un buon finale, scontato, ma non troppo, fedele ai fan, ma fino a un certo punto. Il problema è che in questa fetta restano indietro diversi dettagli che avrebbero meritato più respirto e che forse potrebbero trovare posto in spin-off dedicati.
Adam Driver nei panni di Kylo Ren in una scena di Star Wars – L’ascesa di Skywalker
GLI EFFETTI DELLE “INNOVAZIONI” DI JOHNSON SULLA SAGA
La sensazione è che Abrams abbia voluto sconfessare quanto fatto dal predecessore. E questo è uno dei limiti di questa nuova trilogia. Ci sono film simili, il primo e il terzo, e il secondo che si erge come barriera tra i due. Le “colpe” di Johnson sono evidenti. Ha deluso i fan soprattutto per non aver rispettato i personaggi, distorcendo quelle che erano le loro caratteristiche e questo ha complicato tutta la storyline principale. Quello che ha fatto il regista di Silver Spring non è stato però tutto da buttare. Gli Ultimi Jedi ha introdotto e allargato l’universo Jedi innovando, a modo suo, anche in maniera curiosa. E infatti quegli spunti sono rimasti anche nell’ultimo capitolo. La dicotomia tra Rian e Abrams non è però il frutto di due modi diversi in intendere la saga, ma dei pesanti limiti della produzione Disney.
I LIMITI DELLA PRODUZIONE DISNEY
Visti tutti e tre insieme, i film della trilogia targata Disney sembrano slegati, sfilacciati. Sono capitoli consecutivi di una stessa storia che però procedono per contro proprio e questo non può essere responsabilità di questo o quel regista, ma delle scelte dei vertici che non hanno saputo disegnare un progetto coerente. La carenza più grave risiede nel fatto che è stato portato avanti un lavoro senza aver bene in mente dove arrivare. Quando negli Anni 80 Lucas si occupò degli episodi cinque e sei, lasciò sceneggiatura e regia ad altri per preoccuparsi della produzione. E infatti uscirono i migliori film dell’intera saga. Lucas aveva delineato i soggetti costruendo una storyline coerente che poi altri avevano arricchito. Così non ha fatto la Disney. Quando nel 2012 la major di Burbank completò l’acquisizione della Lucasfilm, Lucas lasciò in eredità un plot che indicava la possibile eredità dei personaggi, in particolare la famiglia Skywalker, ma in casa Disney venne ignorato tutto.
Daisy Ridley interpreta Rey in una scena di Star Wars – L’ascesa di Skywalker.
PERCHÈ A STAR WARS SAREBBE SERVITO UNO SHOWRUNNER
Kathleen Kennedy, storica produttrice dei film di Steven Spielberg, nel 2012 venne messa a capo della Lucasfilm e da allora si è occupata di creare, ammodernare ed espandere l’universo di Star Wars. Il problema è che ciò è stato portato avanti senza progettualità. Soprattutto nel gestire la trilogia è mancata una figura centrale di coordinamento. Una specie di “showrunner” che, come nelle serie tivù, si occupasse della coerenza interna. Qualcuno che tenesse a bada l’estro di Johnson e rendesse i tre film più amalgamati. Kennedy, intervistata da Rolling Stone in occasione dell’uscita de L’ascesa di Skywalker, ha spiegato che ogni film della trilogia «è difficile da completare. Non c’è materiale su cui basarsi. Non abbiamo i fumetti. Non abbiamo romanzi da 800 pagine. Non abbiamo altro che narratori pieni di passione che si riuniscono e parlano di quale potrebbe essere la prossima avventura». Un problema sicuramente reale, ma forse si poteva fare meglio e paradossalmente la Disney aveva la soluzione in casa.
COSA POTEVA FARE DISNEY PER GESTIRE LA SAGA
In anni recenti, dove il pubblico nutrito a base di Netflix si è abituato alla serialità, è paradossalmente diventato difficile costruire saghe cinematografiche. Ne sa qualcosa ad esempio la Warner Bros che ha cercato di creare un’universo intorno ai personaggi dei fumetti DC mancando il bersaglio, pur mettendo insieme degli stand-alone, come Wonder Woman e Aquaman, che hanno sbancato i botteghini. Il punto però è che Disney aveva in casa il know-how necessario per provare a fare qualcosa di meglio, e questo già dal 2009 quando ha acquisito la Marvel. In particolare la soluzione aveva un nome cognome: Kevin Feige. O meglio il suo metodo.
Il presidente dei Marvel Studios Kevin Feige.
UN “METODO FREIGE” PER SALVARE LA COERENZA DELLA SAGA
Proprio quest’anno con Endgame si è chiuso l’ampio ciclo del Marvel Cinematic Universe, unico, e per ora solo, esperimento riuscito di universo cinematografico. I giganteschi fumettoni Marvel, pur con tutti i limiti che queste produzioni portano con sé, avevano il merito di avere una visione, una linea abbastanza coerente. Vien da chiedersi se un po’ di questa esperienza non sarebbe servita alla Lucasfilm. Forse il “metodo Feige” resta più adatto per lo sviluppo dei fumetti, ma probabilmente avrebbe aiutato a sviluppare una saga in modo più equilibrato.
Ma in casa Disney non è tutto da buttare. Il 12 novembre 2019, con il lancio della propria piattaforma di streaming, Disney+, è stata resa disponibile The Mandalorian, serie ambientata tra il capitolo sei e sette e che vede tra i protagonisti un cacciatore di taglie e una nuova-vecchia creatura che ha fatto impazzire i social: Baby Yoda. Un prodotto che ha subito riscosso il plauso dei fan. Una serie costata moltissimo, quasi 100 milioni di dollari e ideata da Jon Favreau, lo stesso Favreau che ha prodotto e diretto i primi due Iron Man, un caso? Forse no.
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Da Leo Gasmann agli Eugenio in via di Gioia: i protagonisti che si sono aggiudicati il palco dell’Ariston. Che vedrà anche Tiziano Ferro presente tutte le sere.
I magnifici otto sono stati scelti. Il 19 dicembre i nomi dei partecipanti a Sanremo giovani 2020 sono stati finalmente svelati e così il prossimo festival targato Amadeus inizia a prendere forma. In attesa di conoscere i nomi dei Big e gli ospiti delle cinque serate in programma dal 4 all’8 febbraio – il conduttore ha già spiegato che Tiziano Ferro sarà presente tutte le sere, le porte dell’Ariston si sono spalancate agli otto cantanti che parteciperanno tra i Giovani.
DA LEO GASMANN A TECLA VINCITRICE DI SANREMO YOUNG
Leo Gassmann (con Va bene così), Fadi (Due noi), Marco Sentieri (Billy Blu), Fasma (Per sentirmi vivo), Eugenio in via di Gioia (Tsunami) sono i cinque protagonisti, in diretta tv su Rai1, si sono sfidati a colpi di duelli e musica per conquistare un posto in prima fila all’Ariston. A loro si aggiungono, da Area Sanremo, Gabriella Martinelli e Lula (Il gigante d’acciaio, dedicata a Taranto e alle vicende dell’ex Ilva) e Matteo Faustini (Nel bene e nel male). Approda di diritto all’Ariston anche la giovanissima Tecla Insolia, vincitrice di Sanremo Young.
TEMI SOCIALI E MALESSERE GENERAZIONALE
Temi sociali e malessere generazionale corrono tra i brani, gli stessi che arriveranno a febbraio. Sfide secche, dentro o fuori. Per quella che qualcuno considera l’occasione della vita, qualcuno un passaggio obbligato verso il successo. Sono emozionati i ragazzi (e si vede, dalle mani che si contorcono, dagli sguardi persi, dalle gambe che non stanno ferme), anche se molti di loro hanno già alle spalle talent e gavetta. Come Thomas che arriva da Amici, ma deve cedere il passo a Leo Gassmann, da X Factor, figlio di Alessandro – che via Twitter fa il tifo: be brave and rock on! – e nipote di Vittorio (e più di uno gli ricorda che porta un cognome “ingombrante”, mentre la rete ipotizza raccomandazioni, ma lui ribatte che «è la musica a vincere»). Gli Eugenio in via di Gioia portano una ventata di allegria e lasciano fuori il bravo Avincola (con un brano sui rider). Eliminati anche Shari e i Reclame.
I CINQUE GIUDICI SENIOR
A decidere i più meritevoli sono televoto, Commissione musicale del festival, giuria demoscopica e giuria televisiva, ovvero i cinque senatori del festival Pippo Baudo, Antonella Clerici, Carlo Conti, Gigi D’Alessio e Piero Chiambretti, alla quale spettava l’ultima parola in caso di parità. E non è mancata qualche stoccata via social, come quella di Enzo Mazza, ceo della FIMI, che in un tweet ha polemicamente sottolineato le differenze d’età tra giudicanti e giudicati. «Date di nascita super giuria #sanremogiovani: 1936, 1956, 1961, 1962, 1967. Artisti in gara secondo regolamento: non aver superato i 36 anni. Ovvero non essere nati dopo 1983. Età media utilizzatori di Spotify: 25 anni, ovvero nati nel 1994». I giudici, tutti veterani del festival, non raccolgono la provocazione, arrivata già nei giorni della loro ufficializzazione. Appuntamento, dunque, al 4 febbraio (e prima anche a Potenza con il Capodanno di Rai1, sempre condotto da Amadeus) con in testa già le canzoni
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La cantante, della squadra under di Sfera Ebbasta ha avuto la meglio sui tre finalisti Davide Rossi, La Sierra e i Booda.
La tredicesima edizione di X Factor ha il suo vincitore. Dopo un’accesa sfida, dove non sono mancati come da tradizione i colpi di scena, a spuntarla è stata Sofia Tornambene. Fuori dai giochi quindi Davide Rossi, La Sierra e i Booda che completavano il quartetto arrivato alla finale del talent show musicale in onda su Sky Uno.
CHI È SOFIA TORNAMBENE
GLI ELIMINATI DELLA FINALE DI X FACTOR
Il quarto classificato della finale di X Factor è stato Davide Rossi. Il cantante era nella squadra di Malika Ayane, che è rimasta così senza concorrenti come Mara Maionchi, ed è stato anche il primo ad abbandonare la competizione. Terzi classificati i La Sierra di Samuel che aveva a disposizione per la finalissima a due contro Sofia anche i Booda. Proprio questi ultimi si sono posizionati sul secondo gradino del podio lasciando il primo posto a Sofia Tornambene.
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Dai concorrenti rimasti in gara a quelli esclusi, passando per gli ospiti e i contenuti extra. Ecco tutte le curiosità sull’ultima puntata del talent di Sky.
È giunto il momento. Giovedì 12 dicembre, in prima serata su Sky Uno, gli appassionati di X Factor 2019 conosceranno il vincitore del talent musicale. Tutto pronto quindi al Mediolanum Forum di Assago per la sfida finale dei quattro concorrenti rimasti.
A CHE ORA INIZIA LA FINALE DI X FACTOR 2019
Televisori sintonizzati quindi su Sky Uno già dalle ore 20.25. Prima della finale, infatti, è prevista una speciale edizione dell’Ante Factor condotta da Pilar Fogliati e Achille Lauro. Una puntata in stile amarcord dove è possibile rivedere i protagonisti dell’Extra Factor e le loro performance tra l’esilarante e il grottesco. Il pre-show ha in scaletta anche diversi ospiti di punta. Tra i più attesi i tre giudici di MasterChef Italia Antonino Cannavacciuolo, Bruno Barbieri e Giorgio Locatelli. Ma anche il giudice di Italia’s Got Talent Frank Matano e la conduttrice Lodovica Comello. Ma c’è spazio anche per I delitti del Barlume con Lucia Mascino, Enrica Guidi e Michele Di Mauro. Alle 21.15 è invece prevista la finale vera e propria con Alessandro Cattelan nel ruolo di conduttore e traghettatore della lunga serata Sky.
CHI SONO I FINALISTI DI X FACTOR
Dicevamo dei finalisti. Quattro in tutto, due dei quali sono stati portati avanti da Samuel. Il frontman dei Subsonica è riuscito ad avere la meglio sugli altri giudici vincendo la sua personalissima scommessa con i La Sierra e i Booda. Al contrario Malika Ayane punta tutto su Davide Rossi, mentre Sfera Ebbasta è ancora in gara grazie a Sofia Tornambene. Fuori dai giochi invece Mara Maionchi che quest’anno non è riuscita a portare in finale nessuno dei suoi artisti. Potrebbe quindi essere lei l’ago della bilancia per la finalissima al Forum di Assago.
CHI SONO GLI OSPITI DELLA FINALE
La 13esima edizione di X Factor ha in serbo anche ospiti eccezionali. Su tutti Robbie Williams chiamato a calcare il palco insieme ai concorrenti cantando Time for change e Let it snow. Oltre alla star britannica anche Ultimo, l’atteso ospite italiano della finalissima. Per lui è previsto un medley delle sue canzoni più belle. The last but not the least, direbbero gli inglesi, è la stella nascente Lous and the Yakuza. La giovanissima artista belga autrice del singolo Dilemme è l’ultima degli artisti famosi chiamati a esibirsi sul palco del talent di Sky Uno.
GLI ESCLUSI ILLUSTRI
Tra i papabili vincitori dell’edizione 2019 di X Factor c’era Eugenio Campagna. Era lui l’ultimo over della squadra di Mara Maionchi che si è ritrovata così senza concorrenti in finale. Anche Lorenzo Rinaldi era stato indicato dai giudici come uno dei possibili finalisti. Il cammino del concorrente finito nella squadra under di Malika Ayane si è però interrotto un paio di puntate prima. Un altro lutto per i fan sono state le eliminazioni di Giordana e Mariam tra le più apprezzate della 13esima edizione del talent.
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Dopo le polemiche legate all’ipotesi del conflitto di interessi di Giannotti con MN Italia, la tv di Stato decide di curarsi da sola la promozione del Festival.
Dopo le polemiche sui rapporti “incestuosi” con Mn Italia, alla fine Fabrizio Salini avrebbe deciso: niente appalto esterno per la comunicazione del Festival di Sanremo che sarà affidata in toto alla Direzione Comunicazione della Rai.
CONFLITTO DI INTERESSI
La decisione dell’amministratore delegato della tivù pubblica arriva dopo che Striscia la Notizia, Lettera43, e poi la Commissione parlamentare di vigilanza avevano sollevato l’ipotesi di un conflitto di interessi tra MN Italia – la societa’ che si sarebbe dovuta aggiudicare l’appalto (era già partita la richiesta, poi annullata) – e il Direttore della Comunicazione di viale Mazzini Marcello Giannotti – portato in azienda da Salini – e che fino a un anno fa lavorava proprio in MN.
SUL TAVOLO C’ERANO 40 MILA EURO
Un’inversione totale quella di Salini e di Giannotti, che quindi implicitamente conferma l’esistenza del conflitto di interessi tra Giannotti e MN e che contemporaneamente metterebbe in luce anche una gestione non trasparente delle risorse Rai: perché se l’ufficio stampa del festival “ora” può essere “fatto” internamente dalla Comunicazione Rai, una settimana fa l’azienda era pronta a sborsare fino a 40 mila euro per appaltarlo a un esterno?
LA PREOCCUPAZIONE DI GIANNOTTI
Fonti di corridoio vicine alla direzione comunicazione raccontano di un Giannotti chiuso nel suo ufficio a controllare e ricontrollare le mail inviate e ricevute sull’affaire MN, al centro di un altro appalto: quello per il nuovo programma di Fiorello su Raiplay. Un contratto arrivato in corsa per chiamata diretta, anche questo annullato dopo le polemiche.
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Quello di Nicastro e Mineo è uno spettacolo ibrido, tra teatro e giornalismo. Che attraverso storie mostra la paura per un guerrigliero che ti punta contro un’arma, la pietà per una famiglia di profughi, l’incredulità davanti a un aspirante kamikaze.
Settanta anni fa erano i kamikaze giapponesi a sacrificare la propria vita per l’imperatore e oggi sono gli shahid islamisti a farlo in nome di Allah. L’interrogativo, però, è molto difficile da affrontare per la nostra cultura illuminista, ed è sempre lo stesso: perché lo fanno? La risposta più semplice è quella che si sente a ogni tigì quando un uomo-bomba si fa esplodere. È la risposta più rassicurante, quella, in fondo, che ci auto-assolve: sono dei pazzi. Semplicemente dei pazzi.
UNO SPETTACOLO IBRIDO TRA CRONACA E TEATRO
Per 80 minuti, invece, i due autori-interpreti dello spettacolo Gli Altri, storie di burqa, amore e rabbia nel secolo del Jihad, in scena al teatro Officina di Milano, fanno di tutto per contestualizzare, problematizzare, rendere la complessità del reale in tutte le sue sfaccettature. Uno zigzagare tra luoghi, date, guerre alla ricerca di una risposta più elaborata. Possiamo noi occidentali, con la nostra razionalità, ma anche con le nostre rimozioni collettive davanti a una storia che non ci rende orgogliosi, capire tale sacrificio? Così, nel corso dello spettacolo, le ragioni umane, ma anche storiche e politiche del terrorismo islamista, prendono forma una dopo l’altra, incarnate in storie di persone reali, incontrate in Cecenia, Egitto, Iraq, Afghanistan. Gli Altri è uno spettacolo “ibrido”, di fusione tra cronaca e drammaturgia, e prova a rispondere a quella scomoda domanda «perché lo fanno?», con tutte le modalità espressive del genere. Non sono poche le lacrime alla fine della rappresentazione. Dal Vajont di Marco Paolini in avanti, le “orazioni civili” sembrano essere diventate l’elemento di maggiore impatto della scena teatralecontemporanea. In genere è l’attore o il drammaturgo che si spingono nel terreno dell’informazione. Nel caso de Gli Altri, storie di burqa, amore e rabbia nel secolo del Jihad sono invece due giornalisti a fare il percorso dalla cronaca verso le scene. Con tutti i limiti, ma anche i pregi del caso.
IL VIAGGIO DI NICASTRO E MINEO
Andrea Nicastro è inviato del Corriere della Sera, Francesca Mineo la voce di tante Ong che lavorano per lo sviluppo dei Paesi più poveri. Assieme hanno scritto e ideato un viaggio (immobile, ma coinvolgente) nei luoghi e nelle situazioni dove vivono gli Altri. Il loro peso attoriale non regge il confronto con i professionisti della scena, ma l’esposizione non ne risente perché gode della forza della verità. Come dice Massimo De Vita, direttore artistico dell’Officina, «i bravi attori devono essere capaci di “ascoltare e osservare” i personaggi che vogliono riprodurre in scena. Il duo Mineo-Nicastro non ha bisogno di padroneggiare la tecnica perché “recitano” semplicemente loro stessi. La paura per un guerrigliero che ti punta contro un’arma, la pietà per una famiglia di profughi, l’incredulità davanti a un aspirante uomo-bomba, non sono recitate, sono solo rievocate rispetto a episodi provati in prima persona. Non c’è bisogno di interpretare, basta che raccontino». Il risultato è un effetto verità che nessun attore può raggiungere. Aiuta anche la presenza di un enorme schermo che inonda l’intera scena con piccole clip o anche solo foto che mostrano le persone e gli eventi che si vogliono evocare. Tutti i sensi vengono così coinvolti. La regia è di Fabio Bettonica, le foto, intense e commoventi, di sguardi e volti “Altri” sono di Romano Cagnoni, Lorenzo Merlo e Mauro Sioli. Un intervento in audio è del direttore di Radio Popolare Massimo Bacchetta. Tre serate, tre sold out. Se c’era bisogno di verificare la fame di informazione di qualità nel nostro Paese, questo Gli Altri lo ribadisce con forza.
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La serie Netflix ideata da David Fincher potrebbe prendersi una pausa. Parola del protagonista Groff. Il regista è infatti impegnato sul set del suo nuovo film.
Mindhunter è una serie che si prende i suoi tempi. Non solo per raccontare le ricerche degli agenti Fbi Holden Ford e Bill Tench, ma anche per la sua stessa realizzazione. Tra la prima e seconda stagione la gestazione è stata di almeno 2 anni, e adesso per la terza potrebbe passare anche più tempo.
FINCHER IMPEGNATO SUL SUO NUOVO FILM
La conferma arriva da un’intervista di Jonathan Groff, l’attore che interpreta l’agente Ford, all’Hollywood Reporter. Groff non ha fatto cenno a conferme o inizio delle riprese, ma ha spiegato che per riprendere i lavori bisognerà attendere che David Fincher, creatore della serie, finisca il suo prossimo film. Il regista di Fight Club e The Social Network, sta lavorando a Mank, un biopic su Herman J. Mankiewicz, sceneggiatore di Quarto Potere.
COSA DI DICE DI MANK
Il film, che nel cast annovera Gary Oldman, Amanda Seyfried e Lily Collins, è attualmente in lavorazione e le riprese dovrebbero terminare all’inizio del 2020, con possibile diffusione in autunno, in tempo per prendere parte alla corsa a Golden Globe e Oscar. Questo significa che difficilmente Mindhunter vedrà la luce prima del 2021, forse addirittura nel 2022.
GLI ALTRI LAVORI DI FINCHER CON NETFLIX
Su tutto questo ovviamente manca ancora il via libera di Netflix e dei produttori della serie, tra i quali Charlize Theron. Secondo John Douglas, l’autore del libro che ispirato la serie, ci sarebbero ancora molti crimini e serial killer da raccontare ed esplorare. Ma a preoccupare i fan della serie ci sono anche altri programmi di Fincher. Secondo il sito Deadline il cineasta di Denver potrebbe lavorare alla realizzazione come sceneggiatore e produttore esecutivo di una nuova serie Netflix ispirata Chinatown, film del 1974 di Roman Polanski.
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Secondo gli analisti entro il 2025 il settore supererà i 500 milioni di abbonati. Netflix in testa con 235, seguita da Amazon Video 135 e dalla nuova piattaforma a 101.
Con l’arrivo del servizio Disney+ riparte tra i big della tecnologia la sfida sullo streaming video, un settore in crescita per utenti e propensione alla spesa. Stando ad un’analisi di Digital Tv Research, il settore raddoppierà entro il 2025 e andrà ben oltre la cifra di 500 milioni di abbonati nel mondo.
Netflix guiderà la lista, seguita a distanza da Amazon Prime Video. Per la neonata Disney+ si prevede un exploit. Nello specifico, gli analisti prevedono, entro sei anni, che Netflix raggiungerà 235,6 milioni di abbonati (un incremento di 70 milioni, solo 6 milioni negli Stati Uniti); Amazon Prime Video raggiungerà quota 135,9 milioni di utenti paganti; Disney+ 101,2 milioni; HBO Max 30,1 milioni e Apple TV+ 27,1 milioni. Per un totale di 529,9 milioni di abbonati nel mondo ai servizi video in streaming e a pagamento.
Gli Stati Uniti, sottolinea Digital Tv Research, sono «di gran lunga il paese più importante per queste piattaforme», ma anche «il più maturo» con «i mercati internazionali che stanno diventando sempre più significativi». «La concorrenza è intensa con una guerra dei prezzi in atto e offerte di distribuzione esclusive», ha spiegato Simon Murray, analista della società.
AMERICANI DISPOSTI A SPENDERE 44 DOLLARI AL MESE
Per i big della tecnologia statunitensi, quindi, il resto del mondo sarà sempre più importante e dovranno lottare per ogni abbonamento con un occhio ai prezzi. Basti pensare ad Apple, entrata di recente nel settore della tv in streaming con una politica commerciale aggressiva, proponendo abbonamenti a 5 dollari al mese. Secondo il Wall Street Journal, gli americani sono disposti a spendere 44 dollari al mese già da ora, prima che tutte le piattaforme decollino. Un aumento di 14 dollari rispetto all’attuale spesa media.
LA CRESCITA DELLO STRAMING IN ITALIA
I fruitori dello streaming video sono in forte aumento anche in Italia. Nel 2018 – secondo l’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano – il 19% della popolazione Internet italiana ha utilizzato servizi di ‘Subscription video on demand’ rispetto all’8% dell’anno precedente, per un valore di mercato pari a 177 milioni di euro, in crescita del 46%. Si stima che già nel 2019 il numero di sottoscrizioni possa superare quello degli abbonamenti alla PayTv. Nei prossimi anni, inoltre, la banda ultralarga e la diffusione del 5G potrebbero migliorare la fruizione e incrementare ulteriormente il numero di abbonati.
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Il cantante, malato da tempo, si è spento all’età di 84 anni. La sua canzone più famosa era “Una rotonda sul mare”.
È morto la notte scorsa, nella sua abitazione a Roma, Fred Buongusto. Il cantante, che aveva 84 anni, era malato da tempo. A renderlo noto il suo ufficio stampa. La sua canzone più famosa era Una rotonda sul mare.
In una nota l’ufficio stampa del cantante scrive che «la notte scorsa, alle 3,30 circa, ha cessato di battere il cuore di Fred Bongusto». Il celebre artista, nato a Campobasso, e il cui nome all’anagrafe era Alfredo Antonio Carlo Buongusto.
I funerali saranno celebrati a Roma, lunedì 11 novembre, alle 15, nella Basilica di Santa Maria in Montesanto, la Chiesa degli artisti in piazza del Popolo. Bongusto fu molto popolare negli anni Sessanta e Settanta come il classico cantante confidenziale che spopolava in quegli anni.
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