Perché l’incidente di Gaia e Camilla deve farci riflettere sulle nostre abitudini

Attraversare col rosso non è colpa del caso, però l’abbiamo fatto tutti e continuiamo a farlo. Perché è una piccola sfida. In alcuni casi un rito di passaggio.

Cecilia, un’amica delle due ragazze romane morte mentre attraversavano col semaforo rosso il punto “cieco” di corso Francia, Gaia von Freymann e Camilla Romagnoli, ha raccontato a Repubblica che attraversare «a quel modo» è quasi un’abitudine e che lo fanno in tanti. «Pensi sempre: ce la farò». Farcela proprio lì è abbastanza un miracolo, e lo sa chiunque abbia percorso almeno una volta quella strada a veloce scorrimento che – non lo scriviamo per difendere Pietro Genovese, l’investitore – quasi nessuno in questo nostro Paese dove non si rispettano nemmeno le sentenze del Consiglio di Stato, percorre entro i limiti di velocità. Se Genovese avesse guidato entro i 50 chilometri orari previsti, forse sarebbe riuscito a frenare efficacemente. A 70, inchiodare è stato impossibile. Anzi, inutile. Dunque, eccoci a piangere le due ragazze imprudenti, ma anche Pietro, che paga anche per il padre famoso (è figlio del regista Paolo), purtroppo, sempre per via di questo nostro Paese a contrariis dove soldi e fama, anche di riflesso, sono un’aggravante a prescindere.

SPINTI DAL GUSTO DELLA SFIDA

Non ci è piaciuto il parroco della chiesa del Preziosissimo Sangue che nella sua omelia si è scagliato con violenza inaudita (e lessico da tv del pomeriggio) contro il guidatore come se le due vittime non fossero state, ahinoi, agenti primari di quanto è successo. E non ci piacciamo nemmeno noi stesse, vogliamo dirlo, quando, per non perdere l’unico taxi posteggiato a Chiesa Nuova, per saltarci sopra al volo, attraversiamo corso Vittorio Emanuele a cinquanta metri dal semaforo che ci garantirebbe un passaggio ipoteticamente tranquillo e protetto. Di sicuro, quel corso in centro città non è pericoloso come corso Francia, non è una strada a veloce scorrimento. Però ha tre corsie, due sensi di marcia, ci passano autobus e mostruosi car di pellegrini alti cinque metri che impediscono la visuale di chi li affianca o li segue. Nel 2018, una ragazzina che attraversava nell’esatto punto dove noi cerchiamo di compiere il salto fino al parcheggio dei taxi è stata investita e schiacciata. Dunque? Dunque ci limitiamo a percorrere i famosi cinquanta metri fino al semaforo solo in caso di pioggia o quando c’è buio pesto, meglio se in combinato disposto. Se appena intravvediamo una possibilità di farla franca, via. Quei 40 secondi in più ci paiono l’eternità, pure quando l’alternativa è l’eternità vera e propria. Abbiamo fretta? Anche, ma non solo. A guidarci verso il (possibile) disastro è il gusto della sfida, e anche un malcelato senso di onnipotenza e di invincibilità. Che sì, si può dominare con il tempo e con l’esperienza, ma che è connaturato allo spirito umano. La sfida al destino, l’autodeterminazione oltre ogni ragione, il misurarsi contro l’eterno e l’ignoto, saggiando le proprie forze.

UN RITO DI PASSAGGIO?

Nei giorni successivi all’incidente, gli stessi compagni delle due ragazze investite da Pietro Genovese hanno parlato di roulette russa. Lo hanno fatto anche i colleghi: lo facciamo per abitudine, perché il luogo comune è comodo, ma anche perché è la verità: attraversare col semaforo rosso in un punto potenzialmente mortale ha molto da spartire con il gioco, meglio se a esito potenzialmente mortale, con le sfide estreme. Leggete i testi di chi ha descritto quell’eccitazione, quella scarica di adrenalina, quel gioco a rimpiattino con la morte, e capirete benissimo perché quanto è accaduto a Gaia e Camilla forse (non) potrebbe più succedere a noi perché abbiamo imparato a scendere a patti con il nostro super io e a non sfidare troppo la nostra buona stella – si chiama senso di responsabilità e maturità – ma che il motivo per cui continuiamo a scrivere e a parlare di questo caso, a qualunque età, è perché sappiamo che il patto concluso con noi stessi non è proprio definitivo, e neanche strettissimo. Gaia e Camilla attraversavano nel «punto maledetto» perché farlo equivaleva, probabilmente, a uno dei tanti riti di passaggio che la nostra società evoluta e contemporanea ha eliminato, lasciandoli alle cosiddette “culture tribali” o “tradizionali”, ma davvero tutti noi cinquantenni o sessantenni rispettiamo fino in fondo, fino all’ultimo centimetro, il codice della strada? Facciamo i cinquanta, cento metri in più e aspettiamo diligenti il semaforo verde? E quando siamo stati a New York non ci hanno detto che è meglio attraversare Park Avenue col semaforo rosso, pur stando bene attenti, perché la luce verde non è una garanzia? Sì, ci capiterà ancora di sgarrare, di metterci alla prova ancora una volta. Sperando che ci vada bene come dice Cecilia, l’amica di Camilla: «Pensi sempre: ce la farò».

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È morto il bimbo scosso dalla mamma che lo cullava

«Non dormiva, l’ho cullato troppo forte», aveva detto la madre che adesso deve rispondere dell’accusa di omicidio colposo del figlio di cinque mesi.

Nella notte tra il 27 e il 28 dicembre è stata staccata la spina ai macchinari che tenevano in vita il bambino di cinque mesi finito in coma una settimana prima dopo essere stato scosso dalla madre, perché non si addormentava. La commissione medica dell’ospedale di Padova, composta da un medico legale, un neurologo e un anestesista, ha decretato la morte cerebrale in seguito a un secondo approfondito esame, ed è stato deciso lo stop all’accanimento terapeutico. Il decesso del piccolo cambia anche la posizione giudiziaria della mamma, una 29enne indagata inizialmente per lesioni gravissime, e per la quale sarà adesso formalizzata l’accusa di omicidio colposo. Un atto formale deciso definitivamente non prima di lunedì 30 dicembre dalla Procura di Padova. Che ha autorizzato l’espianto degli organi, una procedura che dovrebbe essere effettuata anche se sul corpo del piccolo è in programma, sempre per lunedì 30 dicembre, l’autopsia che dovrebbe interessare il solo cervello. Questo per confermare quanto già ampiamente diagnosticato in questi giorni, sia con esami effettuati nel tentativo di salvarlo, sia con i riscontri legati alla procedura di espianto.

LA MADRE HA SUBITO AMMESSO LE SUE RESPONSABILITÀ

Il bambino era giunto in ospedale sabato 21 dicembre, in stato di coma per le gravi lesioni cerebrali, dovute – è la prima ipotesi – allo scuotimento cui l’aveva sottoposto la mamma: «Non dormiva, l’ho cullato troppo forte», aveva confessato la donna agli investigatori. «La madre non ha mai lasciato il capezzale del piccolo», ha riferito Andrea Pettenazzo, direttore della terapia intensiva pediatrica di Padova . Era stata lei stessa il 21 dicembre, dopo aver visto che il figlio non reagiva, a chiamare i sanitari del Suem 118 e i carabinieri. Da subito aveva ammesso le proprie responsabilità, confermate poi al pm Roberto Piccione, raccontando dello scuotimento del piccolo, all’alba, dopo l’ennesima notte insonne. La 29enne, originaria di Vicenza, risiede con la famiglia a Mestrino (Padova). Secondo il suo avvocato difensore, Leonardo Massaro, non sarebbe stata in sé quando ha fatto del male al piccolo. Si sarebbe trattato, secondo il legale, di un black-out di pochi secondi, nel quale sarebbe stata completamente incosciente, salvo riprendersi subito dopo aver appoggiato il piccolo sul lettino. L’altra figlia della coppia, una bimba di un anno e mezzo, è stata affidata ai nonni. Il tribunale dei Minori di Venezia ha deciso così per tutelare la bambina che al momento non può contare su una stabile situazione familiare. Stando al dispositivo del Tribunale veneziano, la madre non sarebbe comunque pericolosa per la primogenita.

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Una valanga in Val Senales uccide una donna e una bimba di sette anni

Grave un bambino. Tre i feriti. Incidente anche in Val Passiria: una persona in ipotermia, continuano le ricerche di altre possibili vittime.

Due morti, una donna e una bimba di sette anni, e un bambino in gravi condizioni per una valanga che si è abbattuta su una pista da sci sul ghiacciaio della Val Senales. Sul posto sono subito intervenuti tre elicotteri e le squadre di soccorso per verificare la presenza di altre persone sotto le masse nevose. Le vittime, tra cui altri due feriti, sono tutte di nazionalità tedesca. Stessa tragedia con una vittima in grave stato di ipotermia anche in Val Passiria.

IL BAMBINO IN GRAVE CONDIZIONI È STATO RIANIMATO SUL POSTO

La valanga di grosse dimensioni si è staccata dal pendio che sovrasta le pista da sci e le masse nevose l’hanno invasa. Due sciatori sono stati trasportati con ferite lievi all’ospedale di Merano, mentre il bimbo è stato rianimato sul posto e portato con l’elicottero in gravissime condizioni all’ospedale di Trento. Per la bimba e per la donna invece non c’è più stato nulla da fare. Il medico d’urgenza ha solo potuto constatare la loro morte.

UNA VALANGA ANCHE IN VAL PASSIRIA

Un’altra valanga si è abbattuta sempre in Alto Adige, ma in Val Passiria, a Nordest di Merano tra le Alpi Venoste e le Alpi dello Stubai. Una persona è in grave stato di ipotermia. Ricerche sono in corso per verificare se altri sciatori sono rimasti coinvolti.

IL SOCCORSO ALPINO: «VALUTATE ATTENTAMENTE LE CONDIZIONI DEL TERRENO»

Gli incidenti del 28 dicembre sono gli ultimi di una serie che in pochi giorni ha già provocato sei vittime. Gli altri sono accaduti sul Gran Sasso e sul Terminillo. «Invitiamo tutti i frequentatori della montagna a valutare attentamente le condizioni del terreno prima di intraprendere un’escursione. In questi giorni infatti il manto nevoso risulta particolarmente instabile e con diversi tratti ghiacciati, spesso anche poco visibili», raccomanda il Soccorso Alpino a tutti gli escursionisti e scialpinisti che in questi giorni affollano le montagne italiane.

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Una valanga in Val Senales uccide una donna e una bimba di sette anni

Grave un bambino. Tre i feriti. Incidente anche in Val Passiria: una persona in ipotermia, continuano le ricerche di altre possibili vittime.

Due morti, una donna e una bimba di sette anni, e un bambino in gravi condizioni per una valanga che si è abbattuta su una pista da sci sul ghiacciaio della Val Senales. Sul posto sono subito intervenuti tre elicotteri e le squadre di soccorso per verificare la presenza di altre persone sotto le masse nevose. Le vittime, tra cui altri due feriti, sono tutte di nazionalità tedesca. Stessa tragedia con una vittima in grave stato di ipotermia anche in Val Passiria.

IL BAMBINO IN GRAVE CONDIZIONI È STATO RIANIMATO SUL POSTO

La valanga di grosse dimensioni si è staccata dal pendio che sovrasta le pista da sci e le masse nevose l’hanno invasa. Due sciatori sono stati trasportati con ferite lievi all’ospedale di Merano, mentre il bimbo è stato rianimato sul posto e portato con l’elicottero in gravissime condizioni all’ospedale di Trento. Per la bimba e per la donna invece non c’è più stato nulla da fare. Il medico d’urgenza ha solo potuto constatare la loro morte.

UNA VALANGA ANCHE IN VAL PASSIRIA

Un’altra valanga si è abbattuta sempre in Alto Adige, ma in Val Passiria, a Nordest di Merano tra le Alpi Venoste e le Alpi dello Stubai. Una persona è in grave stato di ipotermia. Ricerche sono in corso per verificare se altri sciatori sono rimasti coinvolti.

IL SOCCORSO ALPINO: «VALUTATE ATTENTAMENTE LE CONDIZIONI DEL TERRENO»

Gli incidenti del 28 dicembre sono gli ultimi di una serie che in pochi giorni ha già provocato sei vittime. Gli altri sono accaduti sul Gran Sasso e sul Terminillo. «Invitiamo tutti i frequentatori della montagna a valutare attentamente le condizioni del terreno prima di intraprendere un’escursione. In questi giorni infatti il manto nevoso risulta particolarmente instabile e con diversi tratti ghiacciati, spesso anche poco visibili», raccomanda il Soccorso Alpino a tutti gli escursionisti e scialpinisti che in questi giorni affollano le montagne italiane.

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Facebook spiega ai giudici che CasaPound è «odio organizzato»

Il social network ha presentato un reclamo contro l’ordinanza del tribunale di Roma che aveva chiesto di riattivare l’account del movimento neofascista: «Abbiamo una policy sulle organizzazioni pericolose».

Facebook ha presentato un reclamo contro l‘ordinanza del Tribunale di Roma che il 12 dicembre scorso aveva ordinato al social di riattivare gli account di CasaPound. «Ci sono prove concrete che CasaPound sia stata impegnata in odio organizzato e che abbia ripetutamente violato le nostre regole. Per questo motivo abbiamo presentato reclamo», fa sapere un portavoce di Facebook.

«ABBIAMO UNA POLICY SULLE ORGANIZZAZIONI PERICOLOSE»

«Non vogliamo che le persone o i gruppi che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono utilizzino i nostri servizi, non importa di chi si tratti. Per questo motivo abbiamo una policy sulle persone e sulle organizzazioni pericolose che vieta a coloro che sono impegnati in ‘odio organizzato’ di utilizzare i nostri servizi», ha dichiarato il portavoce di Facebook.

«LE REGOLE VALGONO AL DI LÁ DELLA IDEOLOGIA»

«Partiti politici e candidati, così come tutti gli individui e le organizzazioni presenti su Facebook e Instagram, devono rispettare queste regole, indipendentemente dalla loro ideologia». Il reclamo di Facebook è contro l’ordinanza con cui il 12 dicembre il tribunale civile di Roma ha ordinato al social network la riattivazione immediata della pagina Facebook di CasaPound, oltre che del profilo personale e della pagina pubblica dell’amministratore Davide Di Stefano. Tali account erano stati disattivati da Facebook il 9 settembre.

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Gli sviluppi dell’incidente di Roma tra dubbi su domiciliari ed effetto degli stupefacenti

Genovese agli arresti con l’accusa di omicidio stradale plurimo. Ma per il Gip le sostanze trovate nel sangue potrebbero essere state assunte in un’epoca precedente. Chiesa gremita per i funerali a Roma di Gaia e Camilla.

Omicidio stradale plurimo. Questa l’accusa con cui è stato arrestato il 20enne che era alla guida dell’auto che, nella notte tra il 21 e il 22 dicembre ha travolto e ucciso le due 16enni Gaia e Camilla a Corso Francia, a Roma. Pietro Genovese, figlio del regista Paolo, è ora ai domiciliari, misura giudicata sin troppo lieve dai familiari delle vittime, L’ordinanza gli è stata notificata al termine dei primi accertamenti condotti dalla polizia locale di Roma Capitale e in base alla relazione trasmessa alla procura. La posizione del ragazzo si era aggravata già immediatamente dopo l’incidente mortale costato la vita alle due giovani. Le analisi alle quali era stato sottoposto, infatti, avevano rivelato un tasso alcolemico tre volte superiore al consentito e tracce di sostanze stupefacenti.

GLI STUPEFACENTI FORSE ASSUNTI IN UN’ALTRO PERIODO

Eppure, proprio queste tracce non sono sufficienti a dimostrare che Genovese la fosse alla guida sotto effetto di quelle sostanze. È questo il ragionamento fatto dal Gip di Roma per escludere nei confronti del 20enne l’aggravante dell’alterazione psicofisica dovuta all’uso di stupefacenti. Per il giudice «le sostanze riscontrate, sebbene presenti, ben potevano essere state assunte dal Genovese in epoca precedente».

CHIESA GREMITA PER I FUNERALI DI GAIA E CAMILLA

Intanto, in una chiesa gremita di Collina Fleming gremita si sono tenuti i funerali di Gaia e Camilla. Tantissimi i ragazzi presenti, con decine le corone di fiori per le due amiche. Sul luogo dell’incidente è stato affisso uno striscione “Ciao angeli”. «Da giorni ci chiediamo il perché. Ci interroghiamo sull’insensatezza di quanto accaduto. Brancoliamo nel buio», ha detto il sacerdote nel corso delle esequie. « Ecco quello di oggi è il grande abbraccio che diamo ai genitori di Gaia e Camilla, in questa ora così buia». E ancora parole forti nell’omelia di don Matteo: «Il senso della vita, lo aveva chiesto giorni fa Camilla alla sua famiglia. Ecco, magari quando sei sbronzo o sei fatto ti metti a guidare? Questa è la vita? In fondo ci sentiamo onnipotenti e poi non riusciamo a seguire le regole base della convivenza. Ci riscopriamo tutti un po’ palloni gonfiati. Il senso della vita non è bere e fumarsela».

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Cosa cambia dopo la sentenza della Cassazione sulla coltivazione della cannabis

Non sarà più reato l’attività finalizzata all’uso personale e alla produzione in quantità minima. La pronuncia che ribalta i precedenti pareri della Consulta.

Non sarà più reato coltivare in casa la cannabis, il tutto beninteso se in quantità minima e solo per uso personale: è quanto hanno deciso le Sezioni unite penali della Cassazione con una pronuncia che è destinata a non passare inosservata. Secondo gli ‘ermellini’, che hanno preso la decisione il 19 dicembre scorso, «non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica». Se, raccomandano, «lo scarso numero di piante e il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale».

I PRECEDENTI PARERI DELLA CONSULTA

Su questo tema in passato la Corte Costituzionale si è pronunciata più volte, stabilendo in linea di principio che la coltivazione della cannabis costituisce sempre un reato, al di là della quantità, dall’uso personale che se ne può fare e dalla presenza dei cosiddetti principi attivi. Su quest’ultimo aspetto la Consulta ha sottolineato infatti il pericolo, sotto il profilo della salute, a cui possono andare incontro gli utilizzatori, nonché la creazione «potenziale di più occasioni di spaccio di droga». E finora proprio a questo principio si era uniformata la Cassazione.

NORMA PENALE NON CONFIGURABILE PER L’USO ESCLUSIVO

Ma con la nuova decisione i giudici della Cassazione hanno stabilito che «il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza», ma devono però «ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore».

IL RICORSO CONTRO UNA CONDANNA

La pronuncia ha preso le mosse dal caso di una persona che aveva fatto ricorso in Cassazione per l’annullamento di una condanna che riguardava la coltivazione di due piante di marijuana, una alta un metro e con 18 rami e l’altra alta 1,15 metri e con 20 rami.

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Disegnata una svastica sulla targa alla partigiana Tina Costa

Un altro oltraggio alla memoria del simbolo della Resistanza, morta nel marzo del 2019.

Una svastica ha danneggiato la targa che ricorda la partigiana e sindacalista Tina Costa a Roma, nel quartiere di Cinecittà, che inaugurata 20 giorni fa ha già subito un altro atto vandalico. Il gesto «vergognoso e oltraggioso contro una protagonista della nostra Repubblica», è stato fermamente condannato dalle istituzioni locali e dal mondo della politica.

I MESSAGGI DI ZINGARETTI E RAGGI

«Tina, nessuno può dimenticare la sua incredibile tenacia e non saranno quattro idioti ad infangarne la memoria». Così su Facebook Nicola Zingaretti, segretario del Pd e presidente della regione Lazio, mentre la sindaca Virginia Raggi ha definito una «vergogna» l’atto vandalico che sarà prontamente ripulita: «È la seconda volta che la targa per la partigiana Costa viene imbrattata con svastiche. L’avevo già fatta ripulire dopo l’episodio di qualche giorno fa. Domani faremo altrettanto e abbiamo già denunciato il fatto al comandante della polizia locale chiedendo di tenere più sotto controllo la zona» , ha detto la presidente del municipio VII di Roma Monica Lozzi.

UNA VITA DA ANTIFASCISTA

«Questa mattina», hanno raccontato Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Prc-Sinistra Europea, Vito Meloni, segretario della Federazione di Roma, e Giuseppe Carroccia, segretario del circolo Luigi Longo, «i compagni del circolo Luigi Longo di Rifondazione Comunista sono immediatamente intervenuti apponendo sopra al macabro simbolo nazista un cartello con la frase di Tina che è stata vigliaccamente imbrattata: ‘Sarò in piazza fino a quando avrò l’ultimo respiro perché so di essere dalla parte del giusto e che le mie idee sono condivise da tanti’. Tina – morta il 20 marzo 2019 a 93 anni – fino all’ultimo giorno è stata una militante dell’Anpi e di Rifondazione Comunista come Gennaro Di Paola che è venuto a mancare ieri a Massa Vesuviana. Erano giovanissimi quando entrarono nelle fila della Resistenza e non hanno mai smesso di testimoniare con la loro militanza la fedeltà ai principi di libertà e giustizia sociale dell’antifascismo».

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Disegnata una svastica sulla targa alla partigiana Tina Costa

Un altro oltraggio alla memoria del simbolo della Resistanza, morta nel marzo del 2019.

Una svastica ha danneggiato la targa che ricorda la partigiana e sindacalista Tina Costa a Roma, nel quartiere di Cinecittà, che inaugurata 20 giorni fa ha già subito un altro atto vandalico. Il gesto «vergognoso e oltraggioso contro una protagonista della nostra Repubblica», è stato fermamente condannato dalle istituzioni locali e dal mondo della politica.

I MESSAGGI DI ZINGARETTI E RAGGI

«Tina, nessuno può dimenticare la sua incredibile tenacia e non saranno quattro idioti ad infangarne la memoria». Così su Facebook Nicola Zingaretti, segretario del Pd e presidente della regione Lazio, mentre la sindaca Virginia Raggi ha definito una «vergogna» l’atto vandalico che sarà prontamente ripulita: «È la seconda volta che la targa per la partigiana Costa viene imbrattata con svastiche. L’avevo già fatta ripulire dopo l’episodio di qualche giorno fa. Domani faremo altrettanto e abbiamo già denunciato il fatto al comandante della polizia locale chiedendo di tenere più sotto controllo la zona» , ha detto la presidente del municipio VII di Roma Monica Lozzi.

UNA VITA DA ANTIFASCISTA

«Questa mattina», hanno raccontato Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Prc-Sinistra Europea, Vito Meloni, segretario della Federazione di Roma, e Giuseppe Carroccia, segretario del circolo Luigi Longo, «i compagni del circolo Luigi Longo di Rifondazione Comunista sono immediatamente intervenuti apponendo sopra al macabro simbolo nazista un cartello con la frase di Tina che è stata vigliaccamente imbrattata: ‘Sarò in piazza fino a quando avrò l’ultimo respiro perché so di essere dalla parte del giusto e che le mie idee sono condivise da tanti’. Tina – morta il 20 marzo 2019 a 93 anni – fino all’ultimo giorno è stata una militante dell’Anpi e di Rifondazione Comunista come Gennaro Di Paola che è venuto a mancare ieri a Massa Vesuviana. Erano giovanissimi quando entrarono nelle fila della Resistenza e non hanno mai smesso di testimoniare con la loro militanza la fedeltà ai principi di libertà e giustizia sociale dell’antifascismo».

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Sul Gran Sasso sono morte tre persone in due giorni

Due alpinisti sono caduti mentre salivano verso la vetta il 26 dicembre. Ritrovato il corpo dell’escursionista dispersa a Natale.

Tre morti nel giro di poche ore, a cavallo tra Natale e Santo Stefano. È il tragico bilancio delle festività sul Gran Sasso. Il 26 dicembre hanno perso la vita due alpinisti che facevano parte di una cordata di tre arrampicatori. Avevano pernottato nel rifugio Franchetti, poi due di loro erano partiti per un’escursione in mattinata, decisi a salire in vetta. Durante la scalata, però, sono caduti e scivolati a valle. Il Soccorso Alpino ha avviato le operazioni di recupero dei due corpi.

RITROVATO IL CORPO DI UNA ESCURSIONISTA DISPERSA IL 25

È stato già ritrovato, invece, il cadavere dell’escursionista dispersa nel pomeriggio del 25. A lanciare l’allarme al 118 per il suo mancato rientro erano stati i familiari. Le intenzioni della donna erano di salire in vetta a Corno Grande, ma probabilmente un distaccamento nevoso ne ha causato la morte. L’elicottero del 118, partito dalla base di Preturo (L’Aquila) e in volo dalla mattina del 26 dicembre all’alba, ha avvistato il corpo nel Vallone dei Ginepri, a circa 2500 metri e sta provvedendo al recupero. Il ritrovamento è avvenuto dopo un’intera notte di ricerche, supportate anche dall’elicottero dell’Aeronautica Militare, che in volo notturno ha portato in quota le squadre di tecnici del Soccorso Alpino e Speleologico Abruzzo. La salma verrà trasportata dall’elicottero del 118 all’obitorio dell’ospedale di Teramo.

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Sul Gran Sasso sono morte tre persone in due giorni

Due alpinisti sono caduti mentre salivano verso la vetta il 26 dicembre. Ritrovato il corpo dell’escursionista dispersa a Natale.

Tre morti nel giro di poche ore, a cavallo tra Natale e Santo Stefano. È il tragico bilancio delle festività sul Gran Sasso. Il 26 dicembre hanno perso la vita due alpinisti che facevano parte di una cordata di tre arrampicatori. Avevano pernottato nel rifugio Franchetti, poi due di loro erano partiti per un’escursione in mattinata, decisi a salire in vetta. Durante la scalata, però, sono caduti e scivolati a valle. Il Soccorso Alpino ha avviato le operazioni di recupero dei due corpi.

RITROVATO IL CORPO DI UNA ESCURSIONISTA DISPERSA IL 25

È stato già ritrovato, invece, il cadavere dell’escursionista dispersa nel pomeriggio del 25. A lanciare l’allarme al 118 per il suo mancato rientro erano stati i familiari. Le intenzioni della donna erano di salire in vetta a Corno Grande, ma probabilmente un distaccamento nevoso ne ha causato la morte. L’elicottero del 118, partito dalla base di Preturo (L’Aquila) e in volo dalla mattina del 26 dicembre all’alba, ha avvistato il corpo nel Vallone dei Ginepri, a circa 2500 metri e sta provvedendo al recupero. Il ritrovamento è avvenuto dopo un’intera notte di ricerche, supportate anche dall’elicottero dell’Aeronautica Militare, che in volo notturno ha portato in quota le squadre di tecnici del Soccorso Alpino e Speleologico Abruzzo. La salma verrà trasportata dall’elicottero del 118 all’obitorio dell’ospedale di Teramo.

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Uccisa da un’auto fuori dalla chiesa alla vigilia di Natale

La ragazza di 26 anni si stava recando a messa col padre quando la loro macchina è stata centrata da una Giulietta nel parcheggio.

Stava andando in chiesa per la messa della Vigilia, Ilaria, la giovane volontaria laureata in sociologia rimasta uccisa la notte del 24 dicembre in un tragico e assurdo incidente. Mentre entrava nel parcheggio con la Lancia Y10 del padre, la ragazza di 26 anni è stata centrata in pieno da una Alfa Romeo Giulietta lanciata ad alta velocità. È successo ad Arce, nel Frusinate.

IL PADRE È RIMASTO FERITO

Lo scontro tra le due auto, su una delle quali viaggiava la 26enne con suo padre, sarebbe avvenuto a pochi metri dalla chiesa di Sant’Eleuterio, lungo la regionale ‘Valle del Liri’, poco prima della mezzanotte. Il padre e il conducente dell’altra auto, un 30enne residente a Colli, nella frazione di Monte San Giovanni Campano, sono rimasti feriti, ma non sarebbero in pericolo di vita. Sulla dinamica indagano i carabinieri di Sora e la procura di Cassino. La 26enne era una volontaria della protezione civile di Fontana Liri.

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Le previsioni meteo fino a Capodanno 2020

Il 2019 è stato il quarto anno più caldo per l’Italia dal 1800. A Natale temperature primaverili, in Puglia gli alberi di pero sono in fiore. L’allarme di Coldiretti: «Sconvolti i normali cicli stagionali».

Il clima primaverile che ha caratterizzato il Natale continuerà a farsi sentire sull’Italia fino a Capodanno 2020. Le feste proseguiranno all’insegna dell’alta pressione, che impedirà il passaggio di nuove perturbazioni. Il meteo sarà prevalentemente soleggiato, con temperature più alte della media, ma le ripercussioni del riscaldamento globale sono nefaste.

Il perché lo spiega (anche) Coldiretti, con un’elaborazione su dati del Cnr che certifica come il 2019 sia stato il quarto anno più caldo per il nostro Paese dal 1800, segnando 0,88 gradi in più rispetto alla media storica. Gli effetti del caldo anomalo pesano sulla natura: «I normali cicli stagionali sono sconvolti, in Puglia gli alberi di pero sono in fiore. A nulla vale più la programmazione degli agricoltori: broccoli, cavoli, sedano, prezzemolo, finocchi, cicorie e bietole sono tutti maturati contemporaneamente».

Adesso, se le temperature dovessero abbassarsi improvvisamente, potrebbero esserci «conseguenze disastrose» sulla raccolta dei frutti primaverile ed estiva. L’eccezionalità degli eventi atmosferici, sempre secondo Coldiretti, «è ormai diventata la norma anche in Italia». Evidente la «tendenza alla tropicalizzazione», caratterizzata da «una più elevata frequenza di eventi estremi con sfasamenti stagionali e territoriali, precipitazioni brevi ma intense e un rapido passaggio dal sole al maltempo». Ecco cosa ci attende nei prossimi giorni.

LE PREVISIONI PER IL 26 DICEMBRE

Per giovedì 26 dicembre gli esperti di 3bmeteo.com prevedono tempo stabile e soleggiato su tutte le regioni del Nord. Aumento della nuvolosità in serata, con fiocchi di neve sulle Alpi di confine. Temperature in calo, massime tra 10 e 13 gradi. Al Centro annuvolamenti su Marche e Abruzzo, qui con isolate precipitazioni il mattino; soleggiato altrove. Temperature in lieve calo sulle regioni adriatiche, massime tra 12 e 15 gradi. Al Sud nubi irregolari e residui rovesci al mattino su Basilicata e Salento; bel tempo prevalente altrove. Temperature in calo sulle regioni adriatiche, massime tra 13 e 17 gradi.

LE PREVISIONI PER IL 27 DICEMBRE

Venerdì 27 dicembre un piccolo nucleo di aria instabile attraverserà rapidamente il Centro-Sud. Al mattino un po’ di nubi al Centro, associate a brevi rovesci sul Lazio. Qualche annuvolamento anche nel Nord della Sardegna, sulle aree alpine di confine e al Nord-Est. Nel pomeriggio la nuvolosità si estenderà alle regioni meridionali e verso la Sicilia, ampie schiarite al Nord e sulla Toscana. Verso sera rovesci isolati in Sicilia, deboli precipitazioni isolate su Abruzzo e Molise, nevose sopra i 900 metri. Temperature in lieve calo: diminuzione più sensibile al Sud. Venti dai quadranti settentrionali in prevalenza deboli o moderati.

LE PREVISIONI PER IL 28 DICEMBRE

Nella giornata di sabato 28 dicembre si assisterà a un flusso di aria decisamente più fredda da Nord-Est, che si avvertirà maggiormente sui settori orientali del Paese, al Sud e sulla Sicilia. I venti soffieranno da moderati a forti su tutte le regioni peninsulari e sulle Isole, intensificandosi tra sabato e domenica 29 dicembre. Questo flusso di aria fredda sarà accompagnato da deboli nevicate sparse fino a quote collinari su Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata e Calabria. Fiocchi di neve fino a 500-600 metri anche nel Nord della Sicilia.

LE PREVISIONI FINO A CAPODANNO 2020

Nei giorni successivi un intenso anticiclone associato ad aria particolarmente mite si consoliderà sull’Europa Occidentale e sull’Italia. Di conseguenza l’afflusso di aria fredda sulle regioni meridionali si esaurirà rapidamente, già da lunedì 30 dicembre, mentre sulle regioni centro-settentrionali si farà strada una massa d’aria eccezionalmente mite per la stagione. Gli ultimi giorni dell’anno e l’inizio del 2020 saranno quindi caratterizzati da tempo stabile in tutto il Paese. Temperature primaverili al Centro-Nord e in particolare in montagna, con valori anche di 10-12 gradi sopra la norma.

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Nel 2019 gli sbarchi dei migranti si sono ridotti del 50%

I dati del ministero dell’Interno rispetto al 2018. In calo anche furti (-11,8%) e rapine (-17,6%). Ma crescono i maltrattamenti in famiglia (+6,8%) e le multe per eccesso di velocità (+35%).

Nel 2019 gli sbarchi dei migranti in Italia si sono ridotti del 50%. I dati arrivano dal ministero dell’Interno, secondo cui nell’anno che sta per finire sono arrivate sulle nostre coste 11.439 persone, rispetto alle 23.210 del 2018. La differenza con il 2017, quando gli sbarchi furono 118.914, è ancora più netta: -90,3%.

AL PRIMO POSTO CITTADINI TUNISINI

Nel 2019 la maggior parte degli approdi via mare ha riguardato cittadini tunisini (2.654), seguono i pachistani (1.180) e gli ivoriani (1.135). I minori stranieri non accompagnati sono stati invece 1.618, circa mille in meno rispetto al 2018 e 14 mila in meno sul 2017.

L’APPELLO DEL PAPA

Proprio il 25 dicembre papa Francesco, davanti a 50 mila fedeli radunati a piazza San Pietro, ha voluto lanciare un appello definendo i migranti «gli schiavi di oggi». Gesù, ha detto il papa, «sia difesa e sostegno per quanti, a causa delle ingiustizie, devono emigrare nella speranza di una vita sicura. È l’ingiustizia che li obbliga ad attraversare deserti e mari, trasformati in cimiteri. È l’ingiustizia che li costringe a subire abusi indicibili, schiavitù di ogni tipo e torture in campi di detenzione disumani. È l’ingiustizia che li respinge da luoghi dove potrebbero avere la speranza di una vita degna e fa loro trovare muri di indifferenza».

IN CALO ANCHE OMICIDI E RAPINE

I dati del Viminale dicono che sono calati anche gli omicidi, le rapine, le violenze sessuali e i furti. Ma non i maltrattamenti in famiglia, che risultano in crescita del 6,8%. In questo caso occorre tuttavia verificare se davvero sono aumentati gli episodi o se le donne che spesso ne sono vittime hanno finalmente trovato il coraggio di denunciare. Entrando nei dettagli, le rapine sono scese del 17,6% e i furti dell’11,8%. Gli omicidi volontari sono calati del 9,6%, le violenze sessuali dell’8,9%. Mentre sulle strade c’è stato un incremento del 35% delle multe per eccesso di velocità.

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La storia di Jenni Cerea e della sua patologia genetica rara

La 36enne bergamasca ha la sindrome di Ehlers Danlos da 14 anni. È costretta a letto e i sintomi sono dolorosi: dal mal di testa alle parestesie su tutto il corpo. Solo in America è riuscita a curarsi. Ma gli interventi sono costosi. Così ha fondato una onlus per raccogliere fondi. La videointervista di Lettera43.

Una cascata di morbidi capelli ricci raccolti in una coda, intensi occhi castani e una voce tranquilla ma determinata. Jenni Cerea è una giovane donna bergamasca di 36 anni. Da quando ne aveva 22 è costretta a trascorrere le sue giornate a letto a causa di una patologia genetica rara, molto grave e invalidante.

PROBLEMA AL TESSUTO CONNETTIVO

Si chiama sindrome di Ehlers Danlos e colpisce il tessuto connettivo che circonda la maggior parte degli organi. La componente principale del tessuto connettivo è il collagene, che si occupa dell’elasticità e che nei pazienti affetti da questa malattia è mutato, ossia più elastico. Questa mutazione comporta varie conseguenze negative a livello muscolare e scheletrico.

TANTI FARMACI DA PRENDERE OGNI GIORNO

Ma tutto questo si traduce anche in una valanga di sintomi molto dolorosi con cui Jenni è costretta a convivere quotidianamente da 14 anni. Mal di testa e vertigini costanti, parestesie a tutto il corpo e insensibilità in varie parti, dolore al torace alla schiena, problemi cardiocircolatori come la tachicardia che aumenta in posizione seduta, crisi della pressione, difficoltà di coordinazione, difficoltà di movimento a volte di deglutizione e respirazione, nausea e mancanza di equilibrio. E per cercare di lenire almeno un poco lo straziante dolore fisico Jenni assume tutti i giorni una dose di farmaci da cavallo.

  • Guarda la videointervista

GLI SPECIALISTI ITALIANI SENZA SOLUZIONI

Gli specialisti italiani non sono riusciti a fornirle risposte e soluzioni efficaci per contrastare la sua patologia, se non quella di rassegnarsi a un continuo e inesorabile peggioramento. Ma Jenni è una forza della natura e non si è arresa di fronte al loro ineluttabile verdetto. Si è rivolta ad altri luminari ma per farlo ha dovuto volare negli Stati Uniti.

SOLO IN AMERICA HA TROVATO LE CURE (COSTOSE)

Lì è stata presa in carico da medici molto competenti che l’hanno sottoposta a diversi interventi chirurgici, esami e visite specialistiche per farla stare meglio. Il percorso clinico sta dando buoni risultati ma non si è ancora concluso. Jenni dovrà sottoporsi ad altri interventi. In America però la sanità è privata e le spese mediche sono a completo carico suo e della famiglia. Ma non sono in grado di sostenerle interamente. Così, mettendo da parte il suo orgoglio, Jenni ha deciso di chiedere aiuto agli altri, a tutti noi. Ciascuno di noi, nel suo piccolo, può offrire il suo contributo affinché lei possa tornare a uscire di casa, andare al cinema, a ballare, a studiare e molto altro ancora. Tutte possibilità che alle sue coetanee sono concesse e che la malattia le ha distrutto con la violenza di un uragano.

LA ONLUS E IL SITO PER LE DONAZIONI

Jenni ha fondato la “giornopergiornoonlus (https://www.giornopergiornonlus.it/) tramite la quale chiunque lo voglia può aiutarla a sostenere il suo percorso medico e riabilitativo.

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Morto il campione di nuoto under 18 Dario D’Alessandro

Il giovane era in scooter e si è scontrato con un’auto mentre stava tornando a casa.

Incidente mortale a Capezzano Pianore, frazione di Camaiore in Versilia, in provincia di Lucca. La vittima è un 16enne del posto, Dario D’Alessandro, campione italiano under 18 di nuoto pinnato. Da quanto emerso, il ragazzo, mentre viaggiava lungo la via Sarzanese in sella allo suo scooter avrebbe prima urtato un’auto che lo precedeva e poi sarebbe finito contro un muretto. Sul posto l’auto medica della Misericordia e i carabinieri. Sembra che la vittima stesse tornando a casa dopo una serata trascorsa con gli amici a Pietrasanta.

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Un prete ha usato un aereo per benedire la comunità con 380 litri di acqua santa

La storia arriva dalla Lousiana, nel Sud-Est degli Stati Uniti. Ma non è la prima volta che succede.

La storia arriva dalla Lousiana, nel Sud-Est degli Stati Uniti. Un prete ha usato un piccolo aereo per spargere 380 litri di acqua santa sull’intera comunità di Cow Island, nei pressi della città di Lafayette.

UN FERTILIZZANTE “SPIRITUALE”

L’idea, secondo l’Independent, è stata del missionario L’Eryn Detraz, nativo della zona ma residente in Ohio. La proposta è stata accolta da padre Matthew Barzare, che ha benedetto l’acqua prima di farla caricare sul piccolo aereo, di solito utilizzato per spargere fertilizzanti o pesticidi sulle coltivazioni. «Così abbiamo potuto mandare la benedizione su una zona più vasta», ha raccontato il sacerdote, spiegando che al pilota è stato detto di sganciare l’acqua su chiese, scuole, negozi di alimentari e luoghi di ritrovo della comunità.

IL PRECEDENTE ORTODOSSO

Ma non è la prima volta che succede. In Russia, infatti, un gruppo di preti ortodossi l’11 settembre 2019 aveva sganciato 70 litri di acqua benedetta sulla cittadina di Tver, in occasione della giornata che ricorda la morte di Giovanni Battista. Lo scopo? «Liberare i residenti dai vizi dell’alcol e della fornicazione».

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Bimbo di cinque mesi in coma: la madre lo aveva scosso per farlo dormire

Condizioni disperate per il piccolo, ricoverato in terapia intensiva a Padova. La donna indagata per lesioni gravissime aggravate.

Sono disperate le condizioni del bimbo di cinque mesi che da sabato si trova in ospedale in coma a Padova. Il piccolo è nel reparto di terapia intensiva di Pediatria dopo che la madre lo ha violentemente scosso perché non dormiva. I medici hanno richiesto l’intervento della commissione per la morte cerebrale. I fatti sono accaduti nella casa che la giovane famiglia condivide a Mestrino.

LA MADRE INDAGATA PER LESIONI AGGRAVATE GRAVISSIME

La donna, 29 anni, è indagata per lesioni gravissime aggravate. È stata lei stessa a confessare ai carabinieri e al magistrato Roberto Piccione di aver «cullato troppo forte» il piccolo, che non ne voleva saperne di dormire. La mamma, di origini vicentine, ha chiamato il 118 dopo aver visto che il piccolo non respirava più. Se i fatti venissero confermati dalla visita di due esperti delegati dalla procura, che effettueranno un accertamento venerdì, il caso rientrerebbe nel “Baby shake syndrome”, la sindrome del bambino scosso che nei piccoli provoca gravissimi danni cerebrali e neurologici.

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Tecnico muore folgorato in una cabina elettrica in Liguria

Stefano Strada, 45 anni, sposato e padre di due figli, dipendente della ditta Temar di Chiavari, stava riparando un guasto. Inutili i soccorsi e l’intervento del 118.

Tragedia sul lavoro a Casarza Ligure, in via Tangoni, dove un tecnico della ditta Temar di Chiavari, Stefano Strada, è morto folgorato all’interno di una cabina elettrica con alta tensione dove stava riparando un guasto. Sul posto i carabinieri, il magistrato di turno e i medici del 118 che hanno constatato il decesso.

INUTILE L’INTERVENTO DEI VIGILI DEL FUOCO

La vittima aveva 45 anni, era sposato e aveva due figli di nove e 11 anni. L’uomo, che risiedeva nel vicino Comune di Mezzanego stava facendo un intervento in una cabina elettrica all’interno della fabbrica Comer. Era assistito da un collega in un impianto da 15 mila volt, ma per cause non ancora accertate la media tensione ha continuato a erogare energia e lo ha folgorato. Il collega, disperato, ha dato l’allarme, ma a nulla è servito l’intervento dei vigili del fuoco di Chiavari e del 118.

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Cappato ringrazia per il sostegno: «Ora andiamo avanti»

«Grazie», ha scritto oggi l’esponente radicale, «anche a chi mi è stato vicino per mia mamma».

Le prime parole su Facebook di Marco Cappato, l’esponente dei radicali assolto il 23 dicembre dalla Corte d’Assise di Milano dall’accusa di aiuto al suicidio per la vicenda di dj Fabo: «Grazie a chi mi ha sostenuto in questo percorso che ha portato al riconoscimento del diritto di Fabiano di non soffrire più». «Ora», ha aggiunto il leader dell’associazione Luca Coscioni’ – andiamo avanti per la libertà delle persone che sono nelle condizioni di Davide Trentini» (malato affetto da sclerosi multipla morto in Svizzera nel 2017, ndr).

LEGGI ANCHE: Cappato assolto per aver accompagnato a morire Dj Fabo

IL LUTTO PER LA MADRE

Durante il processo che si è concluso il 23 dicembre, Cappato, che era presente in aula, ha ricevuto la notizia della morte della madre, malata da tempo. «Grazie», ha scritto oggi l‘esponente radicale, «anche a chi mi è stato vicino per mia mamma. Le esequie si terranno in forma privata. Chi vorrà fare ‘opere di bene’ sa già come fare».

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