Chi sono i due nuovi ministri Lucia Azzolina e Gaetano Manfredi

Conte scinde Scuola e Università. Alla prima approda l’ex sottosegretaria in orbita cinque stelle. Alla Ricerca il rettore dell’Università di Napoli. I profili.

Dopo i due vicepremier, tocca ai due ministri. Con una mossa a sorpresa il premier Giuseppe Conte ha sciolto le riserve annunciando non uno, ma ben due nomi per sostituire il dimissionario tra le polemiche Lorenzo FioramOnti. A quello di Lucia Azzolini, da giorni considerata tra i papabili per la poltrona del Miur, il presidente del Consiglio ha affiancato quello del professor Gaetano Manfredi. Già, perché Conte ha annunciato che Scuola e Università non andranno più a braccetto, ma avranno ciascuna un ministero di riferimento.

AZZOLINA, DA SOTTOSEGRETARIO A MINISTRO

Lucia Azzolina approda dunque al ministero dell’Istruzione dopo esserne già stata sottosegretario. Trentasette anni, originaria di Siracusa, la neoministra si è laureata dapprima in Filosofia e poi in Giurisprudenza nel 2013. Nel gennaio 2014, come riporta l’Agi, è passata di ruolo all’I.I.S “Quintino Sella” di Biella. Nel maggio 2019 si è classifica tra gli idonei del concorso per dirigente scolastico, nelle cui graduatorie è rimasta iscritta in attesa di un eventuale reclutamento degli idonei, in subordine ai vincitori del concorso. I primi passi in politica li ha percorsi nel 2018, con la candidatura alle parlamentarie del Movimento 5 stelle per Novara-Biella-Vercelli-Verbania e parte della provincia di Alessandria: in quell’occasione ha ottenuto il maggior numero di voti tra le donne candidate. Il 19 marzo 2018 è stata proclamata deputato nella XVIII legislatura.

MANFREDI, UN ACCADEMICO ESORDIENTE IN POLITICA

Il nuovo ministro dell’Università e ricerca Gaetano Manfredi, 55 anni, ingegnere, è dal 2014 rettore dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. In precedenza ha insegnato per molti anni nello stesso ateneo ed è stato a capo della Crui, la Conferenza dei rettori delle università italiane. La sua ascesa accademica ha preso il via nel 1995, quando Manfredi è diventato prima ricercatore, poi professore associato, ordinario, direttore del dipartimento di Analisi e progettazione, direttore del dipartimento di ingegneria strutturale, prorettore e, infine, rettore.

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A tu per tu con Lyubov Sobol, l’influencer anti-Putin

Blogger della Fondazione anti-corruzione di Navalny. Tra le 100 donne del 2019 secondo la Bbc. A L43 dice: «La società russa è cambiata. Ci saranno nuove proteste, e scoppieranno all’improvviso». L’intervista da Mosca.

Nello studio da dove trasmette i programmi che denunciano il malaffare alla corte di Vladimir Putin manca anche il cavalletto: «Ce l’hanno sequestrato, con l’impianto luci e il resto dell’attrezzatura. Ma andiamo avanti lo stesso: la nostra ultima inchiesta è stata vista da 5 milioni di persone». Lyubov Sobol quando si leva gli occhiali dimostra ancora meno dei suoi 32 anni. Avvocato e blogger di punta della Fondazione anti-corruzione (Fbk) di Alexey Navalny, secondo la Bbc è una delle 100 donne più influenti e ispiratrici del 2019. Di sicuro è tra le maggiori influencer della Russia: i suoi live su Youtube hanno oltre 1 milione di sottoscrittori. Bandita dalle elezioni per la Duma di Mosca, ha guidato la campagna per il “voto intelligente” contro Russia Unita, il partito del presidente. Diventando il catalizzatore delle proteste di piazza della scorsa estate. «Non si può fermare l’Amore», gridavano i manifestanti. Lyubov in russo significa “amore”. Prima dell’intervista si scusa di non poterci presentare il direttore di Fbk: «Oggi non è in ufficio, è in prigione. Deve finire di scontare 15 giorni di arresto amministrativo per manifestazione non autorizzata».

DOMANDA. Cosa rimane delle proteste della scorsa estate?
RISPOSTA. Il risultato più importante è che i moscoviti si sono resi conto di avere il potere di cambiar le cose. Ora sanno che Russia Unita può perdere.

Infatti nel parlamentino della capitale ha perso seggi. Andati però a esponenti della cosiddetta “opposizione di sistema”, che non è certo anti-Putin. È davvero cambiato qualcosa, alla Duma di Mosca? 
C’è un’aria nuova. I deputati eletti in seguito alle manifestazioni e alle nostre indicazioni di “voto intelligente” capiscono di avere un mandato per rappresentare davvero i cittadini. Affrontano i problemi reali, in modo indipendente. Hanno contatti con me, con Navalny e con altri attivisti democratici. Questa indipendenza fa paura alle autorità, che cercano di limitarla. 

La tattica del “voto intelligente” potrebbe funzionare anche alle elezioni del 2021 per la Duma federale?  
Sì, per raccogliere il voto di protesta intorno a figure dei partiti di sistema e rendere più difficile a quello di governo raggiungere la maggioranza. Fa parte della nostra strategia. 

Ma prima cercherete di partecipare direttamente?
Certo, lotteremo per esserci. Ma il regime probabilmente non lo permetterà. Al Cremlino sanno bene che il gradimento di Russia Unita non supera il 30%. Leggono i sondaggi. Capiscono che se ci ammettono alle elezioni, e se ci danno accesso alla tivù di stato che finora ci ignora, del loro potere presto non rimarrà niente. 

Lei proverà a candidarsi? 
Ci sto pensando ma non ho ancora deciso. Comunque non è così importante. Io continuo il mio lavoro sociale e politico. Le elezioni sono solo uno degli strumenti per promuovere le idee democratiche e cambiare il Paese.  

Un altro strumento che usate è la piazza. Crede che ci saranno presto altre proteste? 
Ne sono sicura. E scoppieranno all’improvviso. C’è stanchezza nei confronti del potere. La società russa è cambiata: vuole vera rappresentanza politica, certezza del diritto. E non riceve risposte. La situazione non può che esplodere. Le persone torneranno in strada, non appena si verificherà qualche evento catalizzante. Nessuno avrebbe mai immaginato che intorno alle elezioni di Mosca potesse di punto in bianco crearsi un tale movimento. Ma è successo.

E ci sono stati migliaia di arresti, seguìti da processi e condanne anche severe. Un bel deterrente. 
Sono state arrestate e condannate persone per accuse del tutto inconsistenti. Vogliono far vedere che possono sbattere in galera anche chi passava di lì per caso. E le prigioni russe non son proprio quelle della Scandinavia. Ma la gente non si è presa paura. Non vedo in giro la depressione che effettivamente seguì le grandi manifestazioni del 2012. I cittadini oggi sono pronti a farsi sentire, a combattere. 

Forse a Mosca. Ma la Russia è grande. E i sondaggi, che pure registrano un aumento della propensione alla protesta, fotografano anche conformismo e apatia…
Più che conformismo, è sfiducia nella politica. In parte è un’eredità sovietica, ma ha radici anche in ciò che successe negli Anni 90, quando chi doveva costruire la democrazia ha costruito solo poche ed enormi ricchezze private. Oggi c’è insoddisfazione per come è governato il Paese, ma molti pensano solo alla loro vita privata. È vero: è un atteggiamento diffuso. Sta a noi democratici creare fiducia in una politica migliore nel futuro.

I ripetuti raid della polizia nelle vostre sedi a caccia di reati finanziari e la recente iscrizione nel registro degli “agenti stranieri” stanno pesando sulle attività della vostra organizzazione?  
È la reazione delle autorità a quel che facciamo, e che evidentemente è efficace. Purtroppo è un anche bell’aggravio per il nostro bilancio: computer e apparecchiature sequestrati, conti correnti bloccati. Ma non abbiamo niente da nascondere, e loro lo sanno. Il fatto che ci abbiano dichiarato “agente straniero” è un sigillo propagandistico. In teoria, se un giornale ci cita deve specificare che siamo “agenti stranieri“. Intanto, dobbiamo inviare un report per ogni singola donazione che riceviamo dai comuni cittadini che ci sostengono. Lavoro burocratico e costi in più. 

Secondo una nuova legge, oltre alle organizzazioni anche un singolo individuo può esser considerato “agente straniero”. Pensa che potrebbe riguardarla?
Può darsi. A quanto pare basta anche solo diffondere media stranieri, per esempio fare un retweet o un re-post di Radio Svoboda (emittente finanziata dal governo Usa, ndr). Ma nessuno ha capito bene come la nuova legge potrà funzionare. Non esiste una procedura scritta. Gli stessi parlamentari che l’hanno approvata dichiarano che sarà applicata in modo selettivo. In pratica si è preparato il terreno giuridico per un’attività repressiva. Contro chi attuarla, verrà deciso di volta in volta dall’alto. 

Suo marito è sopravvissuto a un avvelenamento a colpi di siringa e lei ha subito aggressioni e minacce, dopo la pubblicazione di una sua indagine sulle attività di Yevgeny Prigozhin, uno degli uomini più potenti della Russia. È stato lui il mandante?
Certo che è stato Prigozhin. L’ho sempre sostenuto e ormai nemmeno gli aggressori materiali lo nascondono (Prigozhin ha smentito, ndr). 

E ci sono state altre azioni aggressive contro di lei e la sua famiglia? 
Recentemente no. A quanto ho saputo, Prigozhin ha avuto uno stop dal Cremlino: niente violenza contro Sobol. Putin non vuole perdere la faccia davanti ai leader mondiali. Però io so bene che Prigozhin è uno che non perdona. 

È vero che state per pubblicare un’inchiesta sulle ricchezze accumulate dagli amici di più vecchia data di Putin, come i fratelli Rotenberg (ex sparring partner di judo del futuro presidente diventati imprenditori edili e banchieri, ndr)?
Non posso anticipare niente sulle prossime inchieste. Anche perché non crederà mica che siamo i soli a registrare questa conversazione (indica sul tavolo il registratorino che stiamo utilizzando per l’intervista, ndr)?

Vuol dire che in questo momento siamo intercettati da microfoni dell’Fsb (servizio di sicurezza erede del Kgb sovietico, ndr)?  
Certamente sì. Non abbiamo alcun dubbio che qui nei nostri uffici ci ascoltino. Ma siamo abituati a lavorare in queste condizioni. E non abbiamo niente da nascondere. A parte i risultati delle nostre indagini, fino alla pubblicazione. Posso solo dirle che sicuramente indaghiamo sugli amici di Putin e sui vertici del regime. E continueremo a farlo. 

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L’esasperazione gastronomica ha stravolto il nostro rapporto col cibo

L’ossessione per il gourmet, gli chef superstar e i prodotti online hanno trasformato profondamente la nostra quotidianità alimentare. Mentre gli obesi aumentano di pari passo con gli affamati.

Contra los gourmets. Contro i gourmet e i golosi sapienti. È di Manuel Vazquez Montalban l’invettiva rivolta agli amanti e praticanti una cultura esasperata del cibo. Datata 1990, più o meno quando la gastronomia ha cessato di essere roba da cuochi diventando questione da chef. Non più sfida materiale con la fame, bensì alata conquista di stelle (Michelin). Inizio di una corsa all’esasperazione gastronomica che oggi risulta spesso ridicola e tragica nel contempo. Perché tra le intemerate in “broccolino” di Joe Bastianich a Masterchef e le esibizioni di Bruno Barbieri in “come ti sgrasso la pirofila con Fairy”, ci stanno i 600 euro per il cenone di fine anno da Cracco e le file di affamati davanti alle mense della Caritas

LA VISIONE ALTERATA DELLA REALTÀ ALIMENTARE

Vazquez Montalban nel suo pamphlet  se la prendeva con chi soddisfaceva crudelmente la propria golosità. Gettando animali vivi nell’acqua bollente ( lumache, aragoste) o inchiodando le zampe delle oche per ricavare più velocemente patè fois gras e più in generale trattando gli animali come “materia prima”. In una visione gastro-culinaria che vede le mucche come «animali tecnologici», ovvero produttori di latte, da cui tutta una serie di cibi quali yogurt, formaggi e gelati, che sembrano uscire da catene di montaggio piuttosto che da prati e stalle. D’altronde se i bambini crescono credendo che le mucche siano viola come nella pubblicità di Milka è perché una mucca dal vivo e al pascolo libero non la vedono nemmeno percorrendo tutta la pianura padana. Un territorio in cui ci sono milioni di capi e si producono ogni anno centinaia di migliaia di forme di Grana Padano e Parmigiano Reggiano.

AUMENTANO GLI OBESI E GLI AFFAMATI

Forse pensando anche alle rievocazioni in questi giorni del genio culinario di Gualtiero Marchesi, a due anni dalla sua scomparsa, dovremmo anche ripensare criticamente il nostro attuale status alimentare, che riguarda sia il rapporto personale con il cibo, sia l’importanza sociale che esso ha assunto. Soprattutto in relazione al drammatico paradosso di un’umanità che vede crescere sia le persone affamate che quelle sovrappeso, i digiunatori e gli obesi, gli anoressici e i golosi. I dati dell’Onu sono di una crudeltà statistica unica nel comprendere sotto lo stesso segno due eventi opposti. Il numero di persone affamate nel mondo nel 2018 risultavano infatti 821,6 milioni (pari a 1 abitante della Terra su 9) mentre gli obesi erano 672 milioni (13%, pari a 1 adulto ogni 8).

LA TRASFORMAZIONE DELLA QUOTIDIANITÀ ALIMENTARE

In questo periodo ogni anno si fanno i conti con la spesa degli italiani per il Natale o il cenone. Si stilano classifiche: chi sta vincendo o ha vinto la corsa ai consumi fra panettone o pandoro, champagne o prosecco. Di ricetta in ricetta, però, e spadellati televisivamente per bene, dall’Alessandro Borghese di turno o da chef Cannavacciuolo con il dito nel gorgonzola, non ci rendiamo più conto della trasformazione profonda che sta subendo l’intera quotidianità alimentare

LA CRESCITA DELL’E-COMMERCE

Il primo dato che si impone è la veloce crescita del e-commerce in un settore nel quale si pensava che il consumatore avrebbe continuato a comprare nei negozi tradizionali (salumerie in primis) e negli store della grande distribuzione. Lo pensavano, soprattutto, imprenditori e uomini marketing italiani, con il risultato di avere ora una struttura commerciale tradizionale in grande sofferenza e il fondato rischio di trovarsi presto esposti alla concorrenza micidiale dei giganti del web. Con in testa Amazon, seguito da Google, entrambi nei panni improbabili dei salvatori del Made in Italy

TORNARE ALLA LEZIONE DI MARCHESI

L’unica speranza e auspicio è che si faccia al più presto quel che è stato fatto con Alma, la Scuola internazionale di cucina italiana di Colorno, della quale Gualtiero Marchesi è stato Rettore e che continua ad attirare giovani cuochi da tutto il mondo. Ovvero che istituzioni e imprenditori creino una grande piattaforma di e-commerce nazionale. Con piglio e spirito ben più proattivo e meno lagnoso dei periodici lamenti, nei quali primeggia la Coldiretti, contro l’italian sounding e gli imitatori delle italiche eccellenze alimentari. 

IL WEB GRANDE EVERSORE

L’invito a entrare rapidamente nel futuro, che però è già adesso, ha la sua pressante ragione d’essere proprio alla luce della velocità con cui alimentazione e gastronomie stanno disegnando nuovi usi, costumi e consumi. Come s’è già accennato prima è anzitutto il web il grande eversore. Secondo la più recente ricerca realizzata da Netcomm, sono già 9 milioni gli italiani che nel 2019 hanno acquistato prodotti alimentari online, con un aumento del 43% rispetto all’anno precedente e con una spesa complessiva di circa 1,6 miliardi di euro.

IL RESET DEL SISTEMA ALIMENTARE

Che sia in corso un’epocale reset di sistema alimentare, culinario e eno-gastronomico è segnalato da due eccellenti contributi. Uno su 10 anni di politiche di “accesso al cibo”  negli Usa, che si segnalano per la disparità ed efficacia di garantire a tutti cibo più buono e più salutare. In nome di una “convenienza” di prezzo che a forza di sfruttare sempre più terreni e coltivazioni, così come mano d’opera e condizioni di lavoro, sta distruggendo il pianeta. E qui va anche segnalato come l’esistenza di negozi alimentari e supermercati, problematica nelle zone meno popolose (anche nel nostro Paese), sia un serio ostacolo al soddisfacimento di un regime alimentare corretto e piacevole, ma anche un’importante causa di esclusione sociale. Perché negozi e supermercati sono occasioni di socialità, luoghi in cui ci si ritrova non solo per fare shopping o mangiare. 

LA FINE DELLA PAUSA PRANZO

Il secondo articolo di The Atlantic sulla velocizzazione delle pause pranzo, è un lungo elenco di situazioni che nel tempo lavorativo, contestualmente all’emergere di nuove tipologie di imprese e di lavoro impiegatizio, oltre che di preparazione e vendita di cibi pronti (app e start up), si stanno mangiando, anzi divorando, la convivialità. È così, dopo che è «stato ucciso» il «power lunch», già lamentato qualche mese fa dal New York Post, cioè le lente colazioni in cui si facevano affari e si cementavano alleanze di business, millenial e startupper sono diventati facili prede del food superfast. Ovvero di “insalatone”, anche dai nomi e ingredienti esotici, mangiate in ufficio o per strada, e di piatti pronti che nemmeno più vengono consegnati da biker e driver del take away, perché ora stanno in chioschi automatici installati all’interno degli stessi posti di lavoro. Dispenser e start up del food «stanno lavorando assieme sia per eliminare il concetto di attesa per mangiare, sia per ottimizzare il pranzo stesso».

L’INSALATA DA SCRIVANIA È INARRESTABILE

Le «insalate da scrivania» a New York come a Milano, Torino e Roma, perché ormai il villaggio gastronomico è globale, dicono che quel modo solitario e fatalmente triste di consumare il pasto di mezzogiorno è vicino. Forse annunciato proprio dall’ossessione che ha assunto la spettacolarizzazione gourmet del cibo e della tavola. Che di sera, davanti alla tv, finalmente tranquilli e liberi di mangiare, consente di dimenticare la pausa pranzo di mezzogiorno e potere affrontare e reggere quella del giorno dopo.

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La conferenza stampa di fine anno del premier Conte

Il premier incontra la stampa per il tradizionale evento organizzato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti.

Tradizionale appuntamento di fine anno con la stampa per il premier Giuseppe Conte. A Roma il presidente del Consiglio prende parte all’evento organizzato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, rispondendo alle domande della platea.

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Autobomba a un checkpoint fa una strage a Mogadiscio

Almeno 76 morti e una settantina di feriti è il tragico bilancio dell’esplosione avvenuta nella capitale della Somalia. Nessuna rivendicazione, ma i sospetti ricadono sugli al Shabaab.

È di almeno 76 morti e di una settantina di feriti, tra cui anche bambini, il bilancio, provvisorio, dell’esplosione di un’autobomba presso un affollato posto di controllo nella capitale della Somalia, Mogadiscio. La notizia è stata diffusa dalla polizia somala, citata da media internazionali. L’attentato non è stato ancora rivendicato, ma i sospetti ricadono sugli al Shabaab, formazione jihadista legata ad al Qaeda.

BAMBINI E STUDENTI TRA LE VITTIME

Un testimone ha dihiarato ad al Jazeera di aver contato a terra «almeno 22 cadaveri». Si tratta di uno degli attacchi più sanguinosi nella capitale somala da anni. Tra le vittime molti studenti universitari, che viaggiavano su un pullman che transitava sul luogo dell’esplosione. Un agente di polizia, Mohamed Hussein, ha spiegato che l’attentato è avvenuto all’ora di punta, in un luogo affollato a un checkpoint davanti a un ufficio delle tasse.

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La brutta figura di Regione Lombardia sui denti delle persone disabili

Il centro Dama di Milano è un eccellente riferimento per l’igiene orale di chi soffre di problemi psichici, cognitivi e sensoriali. Ma rischia di chiudere per mancanza di risorse umane ed economiche. La politica cosa fa?

Durante le feste di Natale vi consiglio di stare attenti alla quantità di dolci che mangerete e di essere molto meticolosi quando vi laverete i denti. A dir la verità queste semplici ma necessarie regole sarebbero da seguire sempre in modo da assicurarci una corretta igiene orale, prevenendo l’insorgere di carie e altri problemi, ma va da sé che, nelle occasioni in cui si eccede con il consumo di zuccheri, questo rischio aumenti. Per alcune persone sarebbe particolarmente importante cercare di anticipare la necessità di dover rivolgersi al dentista a causa delle loro difficoltà a gestire positivamente una seduta da questo specialista. Mi riferisco a tutti quei pazienti con disabilità, le cui caratteristiche motorie, intellettive o psicologiche potrebbero far emergere esigenze particolari o criticità durante le sedute dal dentista o dall’odontoiatra.

UN MOMENTO DELICATO PER PAZIENTI CON DISABILITÀ

Credo che nessuno sia particolarmente entusiasta all’idea di farsi mettere in bocca le mani e gli strumenti del mestiere ma per alcune persone la cura dei denti può diventare una tortura. Per chi ha difficoltà a rimanere immobile come me, per, una banalissima estrazione dentaria può rivelarsi un’impresa titanica, sia per chi la subisce sia per il professionista che la esegue. Ma una seduta dal dentista potrebbe essere vissuta con ansia anche da chi non possiede tutti gli strumenti per comprendere gli elementi di contesto e quello che sta succedendo nella sua cavità orale oppure da chi fatica a gestire l’emotività per qualsiasi altro motivo.

NON TUTTI I DENTISTI SONO PREPARATI

Insomma curarsi i denti per una persona con disabilità non è sempre facile e banale anche perché, secondo me, non bisogna dare per scontato il fatto che tutti i dentisti siano preparati a relazionarsi e gestire pazienti con esigenze particolari. Fortunatamente il mio specialista di fiducia è anche un caro amico che mi conosce da anni e sa mettermi a mio agio. Prevede sempre un po’ di tempo in più da dedicarmi rispetto agli altri appuntamenti perché sa che ho bisogno di intervallare i momenti in cui devo stare immobile sul lettino a momenti in cui posso muovermi. Però prima di conoscerlo e diventare sua paziente ho anche avuto esperienze negative.

UNA BRUTTA ESPERIENZA PER DELLE RADIOGRAFIE

Ricordo, per esempio, quando da bambina mi hanno prescritto delle lastre alle cavità orale. La tecnica radiologa che doveva eseguire le radiografie si è spazientita perché non riuscivo a restare abbastanza ferma, il suo nervosismo mi ha fatto agitare e ha aumentato le mie distonie. Mia madre, vedendomi distrutta per la fatica e demoralizzata, si è imbestialita con la dottoressa e per poco non ci scappava un litigio. Penso che purtroppo molti medici non sappiano andare oltre ai “casi” standard in cui quindi è sufficiente seguire le procedure di routine. Appena ai loro occhi si presenta una situazione straordinaria, ossia fuori dall’ordinario, vanno in tilt o comunque sono in difficoltà.

A MILANO C’È UN ECCELLENTE CENTRO PUBBLICO

Fortunatamente però ci sono delle eccellenze sparse qua e là sul territorio italiano. Una di queste è il progetto Dama dell’ospedale San Paolo a Milano. Si tratta di una struttura d’eccellenza soprattutto nella cura dei pazienti con disabilità psichiche, cognitive e sensoriali. Ciò che rende il progetto ancora più prezioso è che si tratta di un centro pubblico. Tuttavia, nonostante il progetto rappresenti un importantissimo punto di riferimento per tante persone disabili, rischia la chiusura. Perché? Risorse umane ed economiche insufficienti a rispondere alle esigenze di cura dei pazienti.

MA L’EQUIPE MEDICA SI BASA SUL VOLONTARIATO

Il Dama sopravvive grazie al servizio di un’equipe medica formata da personale volontario, a eccezione del responsabile del reparto odontoiatrico. Il volontariato è un’attività davvero molto nobile, ma non si può pensare che la sopravvivenza di un progetto così utile e prezioso sia legata alla buona volontà di pochi professionisti che decidono di prestare servizio gratuito. Non è giusto nei loro confronti, ma non è nemmeno una scelta molto intelligente e strategica di Regione Lombardia a cui la direzione del centro ha chiesto aiuto e che sarebbe tenuta a intervenire visto che si sta parlando di sanità pubblica. Ma la Regione promette e non mantiene, stando a quanto dichiarato da Eugenio Romeo, direttore del Dama, e da Roberto Rozza, responsabile del reparto odontoiatrico del centro.

IL DIRITTO ALLA SALUTE NON VIENE RISPETTATO

Rozza spiega: «Per esempio la Regione finanzia le spese per la struttura e il personale infermieristico, ma non retribuisce i medici che al Dama sono sette e lavorano da volontari». Gran bella figura si sta facendo nei confronti delle persone con disabilità! Ma oltre a non intervenire per fare in modo che il diritto alla salute venga rispettato, non mi sembra che si stia muovendo nemmeno in difesa dei suoi interessi. Poter vantare un centro d’eccellenza nelle cure di pazienti con disabilità, infatti, non è una questione da poco e quindi non capisco questa esitazione nell’investire sul Dama.

E LA LOMBARDIA PERDEREBBE UN MODELLO

Se il progetto dovesse chiudere per mancanza di risorse i pazienti con disabilità perderebbero un importante punto di riferimento, ma anche il servizio sanitario regionale si priverebbe di un modello da esportare in altre Regioni. Senza dubbio chi ci rimetterebbe di più sarebbero ancora una volta i pazienti con disabilità e le loro famiglie e che aspettano con ansia e preoccupazione un intervento da parte della politica. Infatti servirebbe una forte volontà per risollevare le sorti del Dama e più in generale di tutta la sanità lombarda.

MOZIONE URGENTE PRESENTATA DAL PD

Carlo Borghetti, vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia – Partito democratico – ha scritto una mozione urgente in proposito. Speriamo che queste festività diano l’occasione ai politici lombardi di mettersi una mano sulla coscienza e l’altra al portafoglio affinché questo progetto possa continuare a essere un punto di riferimento importante per la salute di tanti pazienti con disabilità.

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Buon 2030, viaggio in un futuro di crescita e innovazione

Pil globale salito di oltre il 30%. Vita media allungata fino alle soglie dell’immortalità con l’upload cerebrale. Più potere d’acquisto e frenata demografica. Surriscaldamento globale sconfitto. Uno scenario razionale e senza ansie sulla fine del prossimo decennio.

Quando la mattina del primo gennaio la cara zia Clelia suonerà il campanello saprò che è giunto il nuovo anno, poco importerà che la sua sarà telepresenza, perché dopo aver fatto l’upload della sua mente in un droide si è liberata della decadenza del suo corpo fisico. Certo viene da chiedersi come saranno le tavolate di Natale fra qualche anno, con le famiglie che non smetteranno più di allargarsi, ma siamo praticamente nel 2030 ed è ora di adeguarci alle novità. Non si può continuare a vivere nel passato, come se fossimo ancora – che so io – nel 2020 e il presidente degli Stati Uniti fosse ancora Donald Trump (uh, e chi se lo ricordava più? Che tempi, quei tempi).

IL FUTURO CI APPARE SEMPRE PIENO DI INCERTEZZE

È sempre così: guardandosi indietro vediamo tutto come scontato, acquisito, chiaro, definito. Ma allora come ora il futuro appariva pieno di incertezze. Non sapevamo che cosa ci aspettava. Anche se col senno di poi sappiamo che qualche indizio era disponibile.

STIPENDI EROGATI IN TOKEN AZIENDALI

Per esempio nel 2019 molti avevano ormai capito che il Giappone era “estremo Occidente” nel senso che anticipava tendenze che avrebbero coinvolto poco a poco gli altri, ma nessuno aveva intuito che il modello retributivo della nipponica Disco Corporation sarebbe diventato lo standard con cui tutti oggi abbiamo familiarità: parte del salario erogata in token (monete digitali) aziendali, con cui si alimenta un mercato (efficiente) interno all’azienda, comprando la collaborazione di altri uffici, noleggiando le sale riunioni (usandole quindi solo quando servono).

QUASI IMMORTALI GRAZIE ALL’UPLOAD CEREBRALE

A pochi giorni dall’inizio del 2030 possiamo ormai dire che anche il decennio che abbiamo alle spalle è stato ancora una volta un decennio di crescita economica. Il Pil globale è cresciuto in questi ultimi 10 anni di oltre il 30%, la vita media si è allungata ancora e con l’upload cerebrale siamo ormai alle soglie dell’immortalità.

GLI STORICI PIANIFICHERANNO IL DOMANI

Non mi sono ancora abituato all’idea che potrò dialogare coi miei trisnipoti e trasmettere loro le mie esperienze in forma diretta, e non credo che socialmente abbiamo ancora compreso le implicazioni di tutto questo. Per esempio, dico io, diventerà ovvio che il lavoro degli storici non sarà conoscere il passato, come archivisti, ma attraverso lo studio della Storia governare il presente e pianificare il futuro.

ASSISTENZA SANITARIA MIGLIORATA ANCORA

A proposito di futuro, sembrerà che le cose stiano peggiorando o almeno che stiano per peggiorare, come sempre ci accade: siamo una specie plasmata dall’evoluzione a prestare estrema attenzione ai pericoli (il patrimonio genetico dei più disattenti non è giunto fin qui… Reagire in modo eccessivo ai falsi allarmi di attacchi nemici è stata a lungo la cosa giusta da fare per sopravvivere), ma per quanto i nostri cervelli siano più attratti dai problemi, i fatti ci dicono che il genere umano continua a progredire e a migliorare le sue condizioni. L’assistenza sanitaria è migliorata ancora, grazie ad altre stupefacenti scoperte mediche, e la crescente attenzione per l’alimentazione ha portato la mortalità infantile globale a nuovi minimi storici.

UN DECENNIO DI REGULATION SUI NOSTRI DATI

Ma il decennio che abbiamo alle spalle è stato anche il decennio della regulation. Ricordate nel 2020, prima dello split di Facebook, come una manciata di grandi player si spartivano l’intero mercato dei dati e spadroneggiavano nel mercato pubblicitario. Il Gdpr, per regolare e proteggerci dall’uso improprio dei dati, c’era solo in Europa. Incredibile, a pensarci, sembra ieri.

I RECORD LI FANNO GLI ATLETI AUMENTATI

Peraltro il 2020 era l’anno in cui molti aspettavano la cosiddetta “recessione Godot”, quella che non arrivava mai e che impiegò ancora un po’ a manifestarsi, ma è stato anche l’anno delle Olimpiadi di Tokyo, le ultime a registrare tutti quei record. Oggi i record si registrano tutti alle Paralimpiadi con gli straordinari “atleti aumentati”, ma chi ci pensava dieci anni fa?

BUONE NOTIZIE DALLA DINAMICA DEMOGRAFICA

Nel frattempo la dinamica demografica mondiale sembra dare buone notizie sia per l’umanità sia le altre specie del Pianeta. Il calo della crescita della popolazione sta avendo certamente degli impatti economici rilevanti (per consumi e sistemi pensionistici innanzitutto), ma quantomeno ci aiuta a vivere in maggior equilibrio con il resto dell’ecosistema della Terra. Secondo le statistiche preparate dalla Banca mondiale, la crescita della popolazione ha raggiunto un picco di circa il 2% annuo alla fine degli Anni 60. Nel 2020 era circa l’1%, oggi è al di sotto di 0,9% ed è probabile che continuerà a scendere verso lo zero.

EFFETTO RICCHEZZA CHE DURERÀ A LUNGO

Quindi da una parte abbiamo ancora molti anni davanti a noi dove la demografia continuerà a sostenere la crescita economica. Inoltre, siccome i gruppi di popolazione più numerosi e in più rapida crescita stanno ancora recuperando il ritardo rispetto agli standard di vita del mondo sviluppato, la crescita del potere d’acquisto della popolazione mondiale continua (e continuerà) a crescere più velocemente dell’espansione demografica. Un “effetto ricchezza” che garantisce ancora sostegno alla crescita economica e ai rendimenti degli investimenti per i prossimi decenni.

SALVATO ANCHE LO STRATO DI OZONO

Insomma, il futuro è pieno di prospettive luminose, ma lo percepiamo come oscuro, e probabilmente sarà sempre così, è una deformazione insita nel nostro essere, ed è anche utile: se non ci preoccupassimo del futuro, non ci attrezzeremmo per evitarne i rischi. Il futuro sarà migliore, ma solo se crediamo che non lo sarà. Per esempio: saremmo riusciti a fermare l’impoverimento dello strato di ozono senza tutte quelle storie di paura di un’imminente catastrofe ambientale?

NUOVE TECNICHE DI SMALTIMENTO DELLA CO²

Con che spirito dobbiamo quindi guardare al futuro? Pensiamo al decennio che abbiamo alle spalle: tra il 2020 e oggi abbiamo rilanciato le missioni su Marte, e ci stiamo avvicinando a realizzare il primo viaggio umano interplanetario. Abbiamo affrontato sempre più coesi le sfide della sostenibilità e del cambiamento climatico (e ancora molto resta da fare, anche se le recenti innovazioni della genetica applicata alla botanica ci hanno permesso di realizzare nuovi strumenti di smaltimento della CO²). Abbiamo visto arrivare i taxi volanti, le super car elettriche e la medicina personalizzata, riuscendo nel frattempo a regolamentare i giganti della tecnologia, imponendo loro una tassazione più equa e meno facile da eludere.

UNO SFORZO: ALLONTANARE ANSIE E DUBBI

Avremo davanti, come sempre abbiamo avuto, alti e bassi. Oggi il 2020 lo guardiamo con occhio nostalgico, sta nel passato e quindi è privo di incertezze o incognite, mentre il 2030 che abbiamo davanti è fonte di ansie e dubbi. Dobbiamo ricordarcene ogni volta che guardiamo al futuro, cercando di fare uno sforzo. Lo sforzo di essere razionali e non concedere troppo spazio ai meccanismi insiti nel nostro cervello. Buon 2030 a tutti.

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Nei primi tre mesi del 2020 tariffe della luce in calo del 5,4%, gas a +0,8

L’annuncio dell’autorità per l’energia: su base annua «il risparmio per
la famiglia tipo è di circa 125 euro».

Dal primo gennaio e per il primo trimestre 2020, l’Autorità per l’Energia annuncia un calo delle tariffe della luce del 5,4% e un aumento dello 0,8% di quelle del gas. Provvedimenti dovuti al ‘forte calo del fabbisogno per gli oneri generali, al contenimento delle tariffe regolate di rete e alle basse quotazioni delle materie prime nei mercati all’ingrosso. «Nei 12 mesi da aprile 2019 a marzo 2020, il risparmio complessivo per la famiglia tipo per elettricità e gas è di circa 125 euro».

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Paragone fa l’elenco degli M5s che non versano i rimborsi

Il senatore punta il dito contro Ruocco, Catalfo, Dadone, D’Uva. E molti altri. «Il capo politico ha fatto finta di non sapere».

Non ci sta, Gianluigi Paragone, a farsi giudicare per una eventuale espulsione dal Movimento Cinque stelle. E in un video pubblicato su Facebook se la prende con tutti, con la ministra Fabiana Dadone chiamata a valutare il suo comportamento nei confronti del partito in qualità di probiviro e con tutti quelli che stanno nel Movimento senza versare i rimborsi. E li nomina uno per uno.

«DADONE IN CONFLITTO DI INTERESSE»

«A proposito di probiviri, la onorevole e ministro Fabiana Dadone che è ‘probiviro’ dovrà giudicarmi, ma è in conflitto di interesse, oltre ad essere incompatibile, perché non si può essere proboviro e ministro.. Ma soprattutto: la sue restituzioni sono ferme a 5 mensilità.. gliene mancano un bel pò!», ha attaccato Paragone, annunciando: «Allora, figlia mia, dovrai giudicare anche su te stessa perché io, se non ti metti in regola, sarò costretto a farti un esposto per chiedere l’espulsione dal gruppo perché io, invece, ho pagato e rendicontato tutto».

« IL CAPO POLITICO HA FATTO FINTA DI NON SAPERE»

Il senatore poi ha allargato il campo delle accuse: «Io rischio di essere espulso dal gruppo perché ho detto No e visto che ai probiviri piace il rispetto delle regole è giusto che anche io chieda il loro intervento: tra quelli che non sono in regola con i pagamenti ci sono ministri, presidenti di commissione… Mi sono rotto le scatole della gente che predica bene e razzola male!». E giù a fare l’appello nome per nome: Tutti lo sapevano. C’è gente che dall’inizio dell’anno non ha rendicontato nulla: Acunzo, Aprile, Cappellani, Del Grosso, Dieni, Fioramonti, che lo hanno anche fatto ministro, e poi Frate, Galizia, Grande, Lapia, Romano, Vacca, Vallascas, Giarrusso: lo sapevano tutti perché su Rendiconto c’è tutto e loro non hanno rendicontato nulla e allora il capo politico dov’è? Ha fatto finta di non sapere…».

«SEGNALERÒ TUTTI QUELLI SOTTO I SEI MESI»

Poi, continua il senatore, «tra chi ha pagato poco ho il piacere di segnalare la Nesci, che si voleva candidare in Calabria e soprattutto Carla Ruocco, presidente della Commissione Finanze e che vuole andare a fare la presidente della Commissione di inchiesta sulle banche: è ferma solo a tre mensilità. Poi c’è il ministro del lavoro Nunzia Catalfo, che è ferma a due mesi; è importante che proprio loro si mettano in regola”. Paragone cita poi anche quelli che hanno rendicontato “proprio tutto” e, tra i vari, cita anche Lucia Azzolina e Francesco D’Uva.. E conclude: «sarà mia premura segnalare ai probiviri tutti quelli che sono sotto i sei mesi».

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Dal primo gennaio stop alla prescrizione: le cose da sapere

Il Pd propone una sospensione dei tempi di due anni per l’appello e di un anno dopo la Cassazione. Cosa cambia.

Mitigare ad un livello «fisiologico» lo stop alla prescrizione, che il governo ha invece abolito da inizio 2020: è l’obiettivo della proposta di legge presentata in parlamento dal Pd. Ecco un quadro della situazione.

CHE COSA È LA PRESCRIZIONE

La prescrizione prevede che un reato sia estinto, dunque che il relativo processo penale che lo riguarda abbia fine, «decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria». Dunque, trascorso un certo periodo, il reato non può più essere perseguito, e chi è sospettato di averlo commesso non è più processato. Ciò in base alla convinzione che, passato un determinato numero di anni, non sia più nell’interesse della comunità perseguire alcuni reati oppure non ci siano più le condizioni per farlo. Fanno eccezione i reati di particolare gravità, per i quali è prevista la pena dell’ergastolo.

LA NORMA DELLO ‘SPAZZACORROTTI’

In base a quanto previsto dalla cosiddetta legge Spazzacorrotti, dal primo gennaio 2020, il corso della prescrizione viene sospeso dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado. Ciò accadrà sia in caso di condanna che di assoluzione.

LA PROPOSTA DEL PD

I dem propongono una sospensione dei tempi della prescrizione di due anni per l’appello e di un anno dopo la Cassazione, ai quali si possono aggiungere altri sei mesi se c’è il rinnovo dell’istruzione dibattimentale, per un totale di 3 anni e sei mesi. Il Pd lega la sua proposta al fatto che è in appello che oggi si prescrive il numero dei reati, mentre è trascurabile il loro numero in Cassazione.

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Facebook spiega ai giudici che CasaPound è «odio organizzato»

Il social network ha presentato un reclamo contro l’ordinanza del tribunale di Roma che aveva chiesto di riattivare l’account del movimento neofascista: «Abbiamo una policy sulle organizzazioni pericolose».

Facebook ha presentato un reclamo contro l‘ordinanza del Tribunale di Roma che il 12 dicembre scorso aveva ordinato al social di riattivare gli account di CasaPound. «Ci sono prove concrete che CasaPound sia stata impegnata in odio organizzato e che abbia ripetutamente violato le nostre regole. Per questo motivo abbiamo presentato reclamo», fa sapere un portavoce di Facebook.

«ABBIAMO UNA POLICY SULLE ORGANIZZAZIONI PERICOLOSE»

«Non vogliamo che le persone o i gruppi che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono utilizzino i nostri servizi, non importa di chi si tratti. Per questo motivo abbiamo una policy sulle persone e sulle organizzazioni pericolose che vieta a coloro che sono impegnati in ‘odio organizzato’ di utilizzare i nostri servizi», ha dichiarato il portavoce di Facebook.

«LE REGOLE VALGONO AL DI LÁ DELLA IDEOLOGIA»

«Partiti politici e candidati, così come tutti gli individui e le organizzazioni presenti su Facebook e Instagram, devono rispettare queste regole, indipendentemente dalla loro ideologia». Il reclamo di Facebook è contro l’ordinanza con cui il 12 dicembre il tribunale civile di Roma ha ordinato al social network la riattivazione immediata della pagina Facebook di CasaPound, oltre che del profilo personale e della pagina pubblica dell’amministratore Davide Di Stefano. Tali account erano stati disattivati da Facebook il 9 settembre.

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Tensione alle stelle tra Mainetti e il Foglio

L’editore, che era all’oscuro, disconosce la battaglia tra la direzione del giornale e il Dipartimento per l’Editoria. Negli anni contestati i proprietari erano altri. Nel 2018 fu la redazione a criticare un suo intervento in difesa del primo governo Conte.

L’editore del Foglio Valter Mainetti prende le distanze dalla battaglia sui contributi pubblici tra la testata e il governo che rischia di portare alla chiusura del giornale fondato da Giuliano Ferrara. Un articolo molto informato di Primaonline racconta come l’immobiliarista editore, in scontro aperto con la redazione, consideri gli accertamenti della Guardia di Finanza come un problema non lo riguarda, perché sono relativi a 6 milioni di contributi versati al giornale nel 2009 e 2010, anni in cui lui non ne era ancora diventato proprietario.

MAINETTI IN BUONI RAPPORTI CON IL DIPARTIMENTO PER L’EDITORIA

Una presa di distanze dovuta anche, secondo le indiscrezioni, al fatto che la direzione del Foglio non l’abbia avvisato prima di sferrare alla vigilia di Natale il suo attacco al governo, e in particolare al Dipartimento per l’Editoria con il quale Mainetti sarebbe in buoni rapporti.

Valter Mainetti.

Un «cavatevela da soli» che suona anche come una vendetta servita fredda per un contro editoriale pubblicato dal Foglio e titolato “La voce del padrone” in cui la redazione si dissociava da un intervento di Mainetti sul quotidiano diretti da Claudio Cerasa a favore del Conte I. Una ferita apertasi nel giornale tra proprietario e direzione nel giugno 2018 che da allora non si è mai rimarginata.

IL PASSAGGIO DI MANO DAL 2016

La società di Mainetti, spiega Primaonline, «ha acquisito il completo controllo della società proprietaria del Foglio solo nel 2016, mentre all’epoca delle contestazioni della Guardia di Finanza le quote appartenevano ancora a Veronica Lario (38%), all’imprenditore Sergio Zancheddu (25%), a Denis Verdini (15%), a Giuliano Ferrara (10 %) e allo stampatore Luca Colasanto (10%)». 

TOTALE AUTONOMIA DEL GIORNALE RISPETTO ALLA PROPRIETÀ

Da quando l’immobiliarista è diventato proprietario, continua il giornale online, «il rapporto con ‘Il Foglio Quotidiano società cooperativa’ (…) editore e destinataria dei contributi statali, è regolato da un dettagliato contratto di affitto per la pubblicazione della testata (…) che prevede a fronte di un ‘canone’ anche la totale autonomia, tanto nella gestione economica che nella linea politica».

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Come i Paesi europei gestiscono la fine delle concessioni per le autostrade

Francia, Spagna e Portogallo dimostrano che gli indennizzi sono molto diversi in caso di ritiro o di inadempienza. E il governo italiano dovrebbe fare la differenza.

Nei giorni in cui il governo valuta la revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia e la modifica delle condizioni di indennizzo previste dal contratto e la società risponde promettendo battaglia legale, viene da chiedersi come si comportino negli altri Paesi europei.

IL CONFRONTO CON FRANCIA, SPAGNA E PORTOGALLO

Tra le nazioni dell’Ue Francia, Spagna e Portogallo hanno un sistema di concessioni simile a quello italiano ed un simile sistema di calcolo degli indennizzi. Ecco, allora, cosa succede oltre confine secondo uno studio della società di analisi Brattle che ha preso in considerazione 21 concessionarie nei tre paesi.

IN CASO DI RECESSO, REVOCA O RISOLUZIONE

In Francia, è previsto un indennizzo pari a valore attualizzato dei flussi di cassa previsti al netto delle imposte per la durata della concessione; in Spagna invece un indennizzo pari al valore attualizzato dei flussi di cassa netti futuri e la perdita di valore di attrezzature che non devono essere riconsegnate al concedente, al netto dell‘ammortamento; in Portogallo negli ultimi cinque anni della concessione, indennizzo pari ad un pagamento annuale pari alla media dei ricavi operativi netti nei sette anni prima della revoca, in aggiunta al valore delle opere eseguite in seguito alla revoca, ridotto di 1/7 per ogni anno trascorso dal completamento.

IN CASO DI REVOCA PER INADEMPIMENTO

In Francia valore di subentro da parte del nuovo concessionario, aggiudicato con un’asta sulla base del Mol e investimenti previsti attualizzati. In caso di mancata assegnazione, subentra lo Stato senza alcun indennizzo; in Spagna valore di subentro da parte del nuovo concessionario, aggiudicato con un’asta sulla base dei flussi di cassa operativi attualizzati. In caso di mancata assegnazione, nuova asta con base dimezzata; in Portogallo valore di subentro da parte del nuovo concessionario, aggiudicato con un’asta sulla base del valore degli asset stabilito da un comitato composto da tre esperti. In caso di mancata assegnazione subentra lo Stato senza alcun indennizzo.

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Come i Paesi europei gestiscono la fine delle concessioni per le autostrade

Francia, Spagna e Portogallo dimostrano che gli indennizzi sono molto diversi in caso di ritiro o di inadempienza. E il governo italiano dovrebbe fare la differenza.

Nei giorni in cui il governo valuta la revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia e la modifica delle condizioni di indennizzo previste dal contratto e la società risponde promettendo battaglia legale, viene da chiedersi come si comportino negli altri Paesi europei.

IL CONFRONTO CON FRANCIA, SPAGNA E PORTOGALLO

Tra le nazioni dell’Ue Francia, Spagna e Portogallo hanno un sistema di concessioni simile a quello italiano ed un simile sistema di calcolo degli indennizzi. Ecco, allora, cosa succede oltre confine secondo uno studio della società di analisi Brattle che ha preso in considerazione 21 concessionarie nei tre paesi.

IN CASO DI RECESSO, REVOCA O RISOLUZIONE

In Francia, è previsto un indennizzo pari a valore attualizzato dei flussi di cassa previsti al netto delle imposte per la durata della concessione; in Spagna invece un indennizzo pari al valore attualizzato dei flussi di cassa netti futuri e la perdita di valore di attrezzature che non devono essere riconsegnate al concedente, al netto dell‘ammortamento; in Portogallo negli ultimi cinque anni della concessione, indennizzo pari ad un pagamento annuale pari alla media dei ricavi operativi netti nei sette anni prima della revoca, in aggiunta al valore delle opere eseguite in seguito alla revoca, ridotto di 1/7 per ogni anno trascorso dal completamento.

IN CASO DI REVOCA PER INADEMPIMENTO

In Francia valore di subentro da parte del nuovo concessionario, aggiudicato con un’asta sulla base del Mol e investimenti previsti attualizzati. In caso di mancata assegnazione, subentra lo Stato senza alcun indennizzo; in Spagna valore di subentro da parte del nuovo concessionario, aggiudicato con un’asta sulla base dei flussi di cassa operativi attualizzati. In caso di mancata assegnazione, nuova asta con base dimezzata; in Portogallo valore di subentro da parte del nuovo concessionario, aggiudicato con un’asta sulla base del valore degli asset stabilito da un comitato composto da tre esperti. In caso di mancata assegnazione subentra lo Stato senza alcun indennizzo.

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La Turchia a un passo dal mandare l’esercito in Libia

Il parlamento di Ankara voterà una mozione a inizio gennaio per autorizzare l’invio delle truppe a sostegno di Tripoli.

Le Forze armate turche sono pronte a un possibile impegno in Libia a sostegno del governo di Tripoli contro le forze del generale Khalifa Haftar, come richiesto dal presidente Recep Tayyip Erdogan. L’esercito è «pronto a svolgere qualsiasi compito in patria e all’estero», ha dichiarato la sua portavoce Nadide Sebnem Aktop, durante la conferenza stampa di fine anno. Il parlamento di Ankara voterà una mozione che autorizza l’invio delle truppe dopo la riapertura al termine della pausa di fine anno, il prossimo 7 gennaio.

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Secondo l’Abi le banche hanno ridotto i crediti deteriorati del 60% in 4 anni

L’associazione presieduta da Patuelli stima che il totale dei Non performing loans (Npl) alla fine dell’anno sarà sotto gli 80 miliardi, contro gli 84 di giugno e i 197 miliardi di fine 2015.

L‘associazione bancaria italiana ha stimato una riduzione dei crediti deteriorati in pancia alle banche italiane pari al 60% in quattro anni. Secondo la stima dell‘Abi, emersa durante la conference call sul rapporto stilato con Cerved sulla riduzione del tasso di deterioramento del
credito delle imprese, il totale dei Non performing loans (Npl) alla fine dell’anno sarà sotto gli 80 miliardi, contro gli 84 di giugno e i 197 miliardi
di fine 2015. Il processo, è stato spiegato, «è stato favorito dalle operazioni di cessione e dal calo dei flussi di nuovi crediti deteriorati».

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Di Maio insiste: «Nel 2020 stop ad Autostrade, concessioni affidate a Anas»

Il leader del M5s nega che il costo dell’operazione possa essere di 23 miliardi: «Un’enorme sciocchezza»

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è tornato a dare battaglia sul nodo delle concessioni autostradali ad Autostrade per l’Italia. «Nel 2020, una delle prime cose da inserire nella nuova agenda di governo dovrà essere la revoca delle concessioni ad Autostrade, con l’affidamento ad Anas e il conseguente abbassamento dei pedaggi autostradali. Le famiglie delle vittime del Ponte Morandi aspettano una risposta. E noi gliela daremo.
Non solo a loro, ma a tutto il Paese», ha scritto su Facebook il leader
del M5S Di Maio. Il ministro ha anche definito una «enorme sciocchezza» il fatto che la revoca costi 23 miliardi allo Stato.

Il messaggio postato da Luigi Di Maio il 27 dicembre ANSA / Facebook

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Di Maio insiste: «Nel 2020 stop ad Autostrade, concessioni affidate a Anas»

Il leader del M5s nega che il costo dell’operazione possa essere di 23 miliardi: «Un’enorme sciocchezza»

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è tornato a dare battaglia sul nodo delle concessioni autostradali ad Autostrade per l’Italia. «Nel 2020, una delle prime cose da inserire nella nuova agenda di governo dovrà essere la revoca delle concessioni ad Autostrade, con l’affidamento ad Anas e il conseguente abbassamento dei pedaggi autostradali. Le famiglie delle vittime del Ponte Morandi aspettano una risposta. E noi gliela daremo.
Non solo a loro, ma a tutto il Paese», ha scritto su Facebook il leader
del M5S Di Maio. Il ministro ha anche definito una «enorme sciocchezza» il fatto che la revoca costi 23 miliardi allo Stato.

Il messaggio postato da Luigi Di Maio il 27 dicembre ANSA / Facebook

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Google Pay a disposizione dei clienti Intesa Sanpaolo

Si completa l’offerta delle soluzioni di pagamento in mobilità. La piattaforma è fruibile su tutte le carte di credito, le carte prepagate e le carte di debito con circuito internazionale emesse dal Gruppo.

Google Pay diventa disponibile per tutti i clienti Intesa Sanpaolo possessori di dispositivi Android. Con la novità fruibile dal 27 dicembre si completa dunque l’ampia proposta delle soluzioni che consentono i pagamenti in mobilità in modo semplice, veloce, sicuro e a costo zero. L’esperienza di attivazione di Google Pay è immediata e in completa sicurezza, grazie all’app Intesa Sanpaolo Mobile.

Già diffuso a livello internazionale, Google Pay è compatibile per i pagamenti su tutti i Pos contactless ed è utilizzabile anche su numerose app e siti web per gli acquisti online. È disponibile su tutte le carte di credito, le carte prepagate e le carte di debito con circuito internazionale emesse dal Gruppo Intesa Sanpaolo. Completata quindi l’offerta delle soluzioni di pagamento digitale con tecnologia NFC (Near Field Communication) che la banca mette a disposizione dei propri clienti.

Grazie alla nuova partnership con Google, Intesa Sanpaolo annovera nel proprio “catalogo” di offerta tutte le principali e innovative soluzioni di pagamento tramite smartphone e/o wearable disponibili sul mercato, offrendo ai propri clienti la possibilità di gestirle direttamente da XME Pay, il portafoglio digitale nell’app Intesa Sanpaolo Mobile. «L’accordo con Google Pay rende familiare il pagamento via smartphone a un pubblico sempre più vasto» – spiega Andrea Lecce, responsabile Direzione Sales and Marketing Privati e Aziende Retail – «Con il lancio di Google Pay, diamo l’opportunità ai tantissimi nostri clienti possessori di un device Android di disporre di un ulteriore strumento di pagamento all’avanguardia, per fare acquisti nei negozi e on line, con un’esperienza di attivazione e di uso veloce, semplice e sicura».

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Si completa l’offerta delle soluzioni di pagamento in mobilità. La piattaforma è fruibile su tutte le carte di credito, le carte prepagate e le carte di debito con circuito internazionale emesse dal Gruppo.

Google Pay diventa disponibile per tutti i clienti Intesa Sanpaolo possessori di dispositivi Android. Con la novità fruibile dal 27 dicembre si completa dunque l’ampia proposta delle soluzioni che consentono i pagamenti in mobilità in modo semplice, veloce, sicuro e a costo zero. L’esperienza di attivazione di Google Pay è immediata e in completa sicurezza, grazie all’app Intesa Sanpaolo Mobile.

Già diffuso a livello internazionale, Google Pay è compatibile per i pagamenti su tutti i Pos contactless ed è utilizzabile anche su numerose app e siti web per gli acquisti online. È disponibile su tutte le carte di credito, le carte prepagate e le carte di debito con circuito internazionale emesse dal Gruppo Intesa Sanpaolo. Completata quindi l’offerta delle soluzioni di pagamento digitale con tecnologia NFC (Near Field Communication) che la banca mette a disposizione dei propri clienti.

Grazie alla nuova partnership con Google, Intesa Sanpaolo annovera nel proprio “catalogo” di offerta tutte le principali e innovative soluzioni di pagamento tramite smartphone e/o wearable disponibili sul mercato, offrendo ai propri clienti la possibilità di gestirle direttamente da XME Pay, il portafoglio digitale nell’app Intesa Sanpaolo Mobile. «L’accordo con Google Pay rende familiare il pagamento via smartphone a un pubblico sempre più vasto» – spiega Andrea Lecce, responsabile Direzione Sales and Marketing Privati e Aziende Retail – «Con il lancio di Google Pay, diamo l’opportunità ai tantissimi nostri clienti possessori di un device Android di disporre di un ulteriore strumento di pagamento all’avanguardia, per fare acquisti nei negozi e on line, con un’esperienza di attivazione e di uso veloce, semplice e sicura».

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