Tangenti in Lombardia, arrestata Lara Comi

L’ex eurodeputata di Forza Italia è coinvolta nell’inchiesta Mensa dei Poveri.

Il Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano, coi colleghi di Busto Arsizio, ha arrestato l’ex eurodeputata di FI Lara Comi, l’ad dei supermercati Tigros Paolo Orrigoni, entrambi ai domiciliari, e il dg di Afol Metropolitana Giuseppe Zingale (in carcere). In un filone dell’indagine ‘Mensa dei Poveri’ l’ordinanza è stata firmata dal gip Raffaella Mascarino e chiesta dai pm Silvia Bonardi, Luigi Furno e Adriano Scudieri per accuse, a vario titolo, di corruzione, finanziamento illecito e truffa.

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Tangenti in Lombardia, arrestata Lara Comi

L’ex eurodeputata di Forza Italia è coinvolta nell’inchiesta Mensa dei Poveri.

Il Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano, coi colleghi di Busto Arsizio, ha arrestato l’ex eurodeputata di FI Lara Comi, l’ad dei supermercati Tigros Paolo Orrigoni, entrambi ai domiciliari, e il dg di Afol Metropolitana Giuseppe Zingale (in carcere). In un filone dell’indagine ‘Mensa dei Poveri’ l’ordinanza è stata firmata dal gip Raffaella Mascarino e chiesta dai pm Silvia Bonardi, Luigi Furno e Adriano Scudieri per accuse, a vario titolo, di corruzione, finanziamento illecito e truffa.

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Sequestrata una tonnellata di cocaina al porto di Gioia Tauro

Era nascosta in un container per il trasporto di banane. Una volta “tagliata” avrebbe fruttato guadagni per 250 milioni di euro.

I Carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria e del Ros, insieme alla Guardia di finanza, hanno sequestrato oltre una tonnellata di cocaina nel porto di Gioia Tauro. La droga era nascosta in 144 imballi in un container refrigerato adibito al trasporto di banane. Il container, proveniente dal Sud America, era destinato secondo i documenti di spedizione in Germania. La cocaina, una volta “tagliata”, avrebbe fruttato un introito di 250 milioni di euro.

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Sequestrata una tonnellata di cocaina al porto di Gioia Tauro

Era nascosta in un container per il trasporto di banane. Una volta “tagliata” avrebbe fruttato guadagni per 250 milioni di euro.

I Carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria e del Ros, insieme alla Guardia di finanza, hanno sequestrato oltre una tonnellata di cocaina nel porto di Gioia Tauro. La droga era nascosta in 144 imballi in un container refrigerato adibito al trasporto di banane. Il container, proveniente dal Sud America, era destinato secondo i documenti di spedizione in Germania. La cocaina, una volta “tagliata”, avrebbe fruttato un introito di 250 milioni di euro.

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Le quotazioni di Borsa e spread del 14 novembre 2019

Piazza Affari punta a rialzarsi dopo un mercoledì complicato. Il differenziale Btp-Bund riparte da 154 punti. La diretta dei mercati.

La Borsa italiana si prepara all’apertura della seduta del 14 novembre, dopo una giornata che l’ha vista chiudere in calo.

Mercoledì in rosso (-0,86%) per Piazza Affari, come per il resto delle principali Borse europee, sulle rinnovate tensioni per ipotesi di nuovi dazi Usa, mentre l’oro ha vissuto una giornata in rialzo (+0,4%). A soffrire sono state soprattutto le banche, tutte in perdita. Unicredit ha ceduto il 2,1% e Intesa l’1,3%. Il Tesoro intanto ha collocato tutti i 7,25 miliardi di euro di Btp a medio-lungo termine in asta, con tassi in rialzo. Il giorno dopo i conti il titolo peggiore del listino principale è stato Prysmian (-7,1%) e il migliore Ferragamo (+4%), seguito da Diasorin (+2,9%) che ha lanciato un nuovo primer diagnostico. Scivolata sui dazi di Pirelli (-3%), Fca (-1,1%) e dei petroliferi con Saipem (-2,3%), Tenaris (-1,6%) e Eni (-0,5%), pur col rincaro del greggio (wti +0,4%). Giù Poste (-0,8%), Enel (-0,7%) e prese di beneficio su Mediobanca (-0,8%) dopo il piano. Fuori dal listino principale sprint di Safilo (+11,4%) dopo i conti, male invece I Grandi Viaggi (-12,25%).

LO SPREAD BTP-BUND RIPARTE DA 154 PUNTI BASE

Lo spread tra Btp e Bund riparte da 154 punti base. Il rendimento del titolo decennale italiano è pari all’1,24%.

GLI AGGIORNAMENTI DEI MERCATI IN DIRETTA

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Tangenti e inchieste: la storia giudiziaria del Mose

La vicenda della grande opera veneziana costata finora quasi 6 miliardi è legata a doppio filo a scandali e mazzette. E a indagini che negli anni hanno decapitato l’establishment della regione. A partire dall’ex governatore Giancarlo Galan.

Venezia è sommersa all’80%. Un’emergenza simile si era verificata solo nel 1966. Da allora di acqua, sotto i ponti e nelle calli, ne è passata parecchia, come del resto è scorso impietoso il fiume di denaro delle tangenti e degli scandali legati al Mose che, recita ancora il sito della grande opera, «cambierà la storia» della città.

LE PRIME INDAGINI SCATTARONO NEL 2009

Le prime indagini sul Mose risalgono esattamente a 10 anni fa, al 2009. Una inchiesta lunga e difficile che portò ai primi arresti nel 2013. Il 28 febbraio di quell’anno, mentre da Pordenone arrivano nel cantiere le prime due paratoie, veniva arrestato per frode fiscale Piergiorgio Baita, amministratore delegato della Mantovani, impresa del Consorzio Venezia Nuova (Cnv). L’inchiesta della procura veneziana raggruppò in un unico filone due indagini della Guardia di Finanza: una legata alle tangenti e l’altra, padovana, scaturita da una verifica fiscale su presunte fatture false. Gli inquirenti di lì a poco avrebbero scoperto che i cancelli del Mose, senza essere mai entrati in funzione, avevano trattenuto la marea di denaro che da Roma arrivava a Venezia per il finanziamento dell’opera pubblica.

LA “TANGENTOPOLI” DELLA LAGUNA

Baita collaborò con gli inquirenti, diede corpo al teorema accusatorio spiegando come funzionava il sistema. I soldi erano gestiti da un concessionario unico studiato ad hoc, una figura spuria composta da soci privati che, però, operava con fondi pubblici e usufruendo dell’incredibile beneficio di non supportare sulle proprie spalle il rischio d’impresa. Per gli imprenditori che vi aderivano, insomma, era tutto da guadagnare e nulla da perdere. E infatti i soldi non bastavano mai: da 1,6 miliardi il Mose è finito per inghiottirne quasi 6. Un euro su cinque, per Baita, finiva in «spese extra». Per questo le imprese e le cooperative di quella galassia, tra cui proprio la Mantovani (socio di maggioranza del Cnv), vedevano affluire nelle proprie casse fiumi di denaro pubblico. Un sistema sorretto da fondi neri e fatture gonfiate. Dai magistrati l’inchiesta sul Mose venne letta come una nuova Tangentopoli (spuntarono tra l’altro alcuni nomi di imprenditori già finiti nel mirino del pool di Mani Pulite), con la differenza che politici e imprenditori non dialogavano più direttamente: a mediare era il concessionario unico Cnv.

LEGGI ANCHE: Mose, Bettin: «L’unico modo di salvare Venezia è sollevarla»

Baita è stato il grande accusatore di Giovanni Mazzacurati, all’epoca numero 1 del Consorzio, arrestato quattro mesi dopo l’ad della Mantovani. A Venezia Mazzacurati era soprannominato «Doge». Un nome che all’imprenditore, schivo e riservato, aveva sempre dato fastidio, forse perché attirava sulla sua persona la curiosità dei giornalisti. Mazzacurati è morto all’età di 87 anni a fine settembre, nella sua abitazione californiana dopo essere uscito dal processo con un patteggiamento.

Giancarlo Galan in una foto del 2013.

GLI ARRESTI ECCELLENTI DEL 2014

Nel 2014 vennero arrestate 35 persone. Un centinaio quelle iscritte nel registro degli indagati. Finirono in manette politici di rango, imprenditori, alti funzionari dello Stato e i vertici delle aziende del Consorzio. Ma non era finita, perché l’inchiesta sulle tangenti versate dal Cnv si allargò a macchia d’olio arrivando fino a Roma.

IL RUOLO DI GALAN E IL MAXI SEQUESTRO

Tra i politici coinvolti anche Giancarlo Galan (insieme con la sua segretaria d’allora) che patteggiò, dopo 78 giorni di carcere, una pena di 2 anni e 10 mesi restituendo 2,5 milioni di euro estinguendo così il procedimento a suo carico. Galan nel 2017 è stato poi condannato dalla Corte dei Conti a risarcire lo Stato di 5,8 milioni di euro. Ma la questione non si è chiusa qui. Nella primavera 2019, nell’ambito di un’indagine per riciclaggio internazionale ed esercizio abusivo dell’attività finanziarie, le Fiamme gialle hanno sequestrato 12,3 milioni, tra conti, denaro e immobili in alcuni paradisi fiscali. Secondo gli inquirenti, un tesoretto riconducibile in ultima battuta sempre all’ex governatore veneto e al reinvestimento all’estero delle mazzette del Mose.

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I rischi del cambiamento climatico per l’Italia

In un dosser pubblicato dalla rivista The Lancet mette in luce tutti i rischi del cambiamento climatico soprattutto per l’Italia.

I cambiamenti climatici rappresentano una delle più grandi minacce per la salute dell’umanità. Sono in buona parte causati dalle emissioni di CO2, quindi dall’inquinamento che fa già le sue vittime in maniera diretta, e l’Italia su questo fronte è tristemente in prima fila: è prima in Europa (e 11/ima nel mondo) per morti premature da esposizione alle polveri sottili PM2.5.

È l’allarme lanciato sulla rivista The Lancet nel report ‘Countdown on Health and Climate Change‘ sull’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute. «Solo nel 2016», ha spiegato uno degli autori, Marina Romanello della University College di Londra, «nel nostro Paese sono stati ben 45.600 i decessi in età precoce, con una perdita economica di oltre 20 milioni di euro, la peggiore in Europa».

Proprio i cambiamenti climatici hanno già fatto moltissime vittime nel mondo a colpi di ondate di calore, inondazioni, incendi, e tante altre ne faranno sferzando armi quali infezioni, povertà e denutrizione, se non si riuscirà a limitare il surriscaldamento del pianeta. La «salute futura di un’intera generazione è minacciata dai cambiamenti climatici», hanno scritto gli autori del report, «se non saranno raggiunti gli obiettivi dell’accordo di Parigi, in primis limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2º C rispetto ai livelli preindustriali».

IL RISCHIO DELLA DIFFUSIONE DELLE MALATTIE INFETTIVE

Ad esempio il cambiamento climatico ha reso sempre più plausibile l’arrivo in Paesi come il nostro di nuove malattie infettive come la febbre Dengue: in Italia, ha sottolineato Romanello, «la probabilità che una zanzara vettore trasmetta l’infezione a partire da un individuo infetto è raddoppiata dal 1980 e a farne le spese potrebbero essere in primis i più piccoli. E non solo Dengue; anche il colera fa più paura nel mondo, aumentando, via via che salgono le temperature, la possibilità di epidemie anche in paesi normalmente non interessati dall’infezione».

SEMPRE PIÙ ESPOSTI ALLE ONDATE DI CALORE

E ancora, il clima arroventato ha già causato molte vittime attraverso le ondate di calore che aumentano il rischio di ictus e problemi renali gravi nelle persone vulnerabili, tipicamente gli anziani. Basti pensare che solo per l’Italia si sono contati ben 9,3 milioni di casi in più di over-65 esposti a ondate di calore nel 2017 rispetto al 2000. Il dato mondiale riportato su Lancet ha indicato per il 2018 un record di 220 milioni di over-65 esposti a ondate di calore in più rispetto al 2000, con gli anziani che vivono in Europa e Mediterraneo orientale tra quelli più a rischio.

I RISCHI PER LE COLTIVAZIONI

Le ondate di calore estremo causano anche povertà, riducendo le ore di lavoro: si stimano in 45 miliardi le ore di lavoro perse in più nel 2018 rispetto al 2000 (1,7 milioni le ore perse in più in Italia, soprattutto nel settore agricolo). I problemi climatici causano poi malnutrizione, perché minacciano i raccolti: solo in Italia il potenziale di raccolto si è ridotto per tutte le coltivazioni alimentari di base (dagli anni ’60 quello del mais si è ridotto del 10,2%, quello del grano invernale del 5%, della soia del 7%, del riso del 5%). È dunque cruciale rispettare l’accordo di Parigi sul clima: solo così un bambino nato oggi, concludono i ricercatori, potrà festeggiare il suo 31/imo compleanno in un mondo a emissioni zero e le prossime generazioni potranno avere un futuro più sano e sicuro.

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I rischi del cambiamento climatico per l’Italia

In un dosser pubblicato dalla rivista The Lancet mette in luce tutti i rischi del cambiamento climatico soprattutto per l’Italia.

I cambiamenti climatici rappresentano una delle più grandi minacce per la salute dell’umanità. Sono in buona parte causati dalle emissioni di CO2, quindi dall’inquinamento che fa già le sue vittime in maniera diretta, e l’Italia su questo fronte è tristemente in prima fila: è prima in Europa (e 11/ima nel mondo) per morti premature da esposizione alle polveri sottili PM2.5.

È l’allarme lanciato sulla rivista The Lancet nel report ‘Countdown on Health and Climate Change‘ sull’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute. «Solo nel 2016», ha spiegato uno degli autori, Marina Romanello della University College di Londra, «nel nostro Paese sono stati ben 45.600 i decessi in età precoce, con una perdita economica di oltre 20 milioni di euro, la peggiore in Europa».

Proprio i cambiamenti climatici hanno già fatto moltissime vittime nel mondo a colpi di ondate di calore, inondazioni, incendi, e tante altre ne faranno sferzando armi quali infezioni, povertà e denutrizione, se non si riuscirà a limitare il surriscaldamento del pianeta. La «salute futura di un’intera generazione è minacciata dai cambiamenti climatici», hanno scritto gli autori del report, «se non saranno raggiunti gli obiettivi dell’accordo di Parigi, in primis limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2º C rispetto ai livelli preindustriali».

IL RISCHIO DELLA DIFFUSIONE DELLE MALATTIE INFETTIVE

Ad esempio il cambiamento climatico ha reso sempre più plausibile l’arrivo in Paesi come il nostro di nuove malattie infettive come la febbre Dengue: in Italia, ha sottolineato Romanello, «la probabilità che una zanzara vettore trasmetta l’infezione a partire da un individuo infetto è raddoppiata dal 1980 e a farne le spese potrebbero essere in primis i più piccoli. E non solo Dengue; anche il colera fa più paura nel mondo, aumentando, via via che salgono le temperature, la possibilità di epidemie anche in paesi normalmente non interessati dall’infezione».

SEMPRE PIÙ ESPOSTI ALLE ONDATE DI CALORE

E ancora, il clima arroventato ha già causato molte vittime attraverso le ondate di calore che aumentano il rischio di ictus e problemi renali gravi nelle persone vulnerabili, tipicamente gli anziani. Basti pensare che solo per l’Italia si sono contati ben 9,3 milioni di casi in più di over-65 esposti a ondate di calore nel 2017 rispetto al 2000. Il dato mondiale riportato su Lancet ha indicato per il 2018 un record di 220 milioni di over-65 esposti a ondate di calore in più rispetto al 2000, con gli anziani che vivono in Europa e Mediterraneo orientale tra quelli più a rischio.

I RISCHI PER LE COLTIVAZIONI

Le ondate di calore estremo causano anche povertà, riducendo le ore di lavoro: si stimano in 45 miliardi le ore di lavoro perse in più nel 2018 rispetto al 2000 (1,7 milioni le ore perse in più in Italia, soprattutto nel settore agricolo). I problemi climatici causano poi malnutrizione, perché minacciano i raccolti: solo in Italia il potenziale di raccolto si è ridotto per tutte le coltivazioni alimentari di base (dagli anni ’60 quello del mais si è ridotto del 10,2%, quello del grano invernale del 5%, della soia del 7%, del riso del 5%). È dunque cruciale rispettare l’accordo di Parigi sul clima: solo così un bambino nato oggi, concludono i ricercatori, potrà festeggiare il suo 31/imo compleanno in un mondo a emissioni zero e le prossime generazioni potranno avere un futuro più sano e sicuro.

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Come si sta muovendo la politica dopo l’emergenza a Venezia

L’acqua alta ha provocato danni per centinaia di milioni. Giovedì Consiglio dei ministri per dare l’ok allo stato d’emergenza. Di Maio annuncia una moratoria per famiglie e imprese. Ma è polemica sul Mose. Che per Conte è «al 92-93%». Il punto.

E adesso, sotto un cielo ancora grigio, come fare a ripartire? Venezia l’ha scampata per un soffio, anche se l’acqua alta peggiore degli ultimi 50 anni ha spinto la città sull’orlo del baratro. La Serenissima si è risvegliata dopo la notte del metro e 87 di marea ed è apparsa una città allo stremo, ferita. E con la politica pronta a intervenire, anche senza avere una soluzione pronta in tasca. Mentre si calcolano i danni al turismo, si fanno i conti coi cambiamenti climatici e con chi – nella maggioranza di centrodestra della Regione Veneto – ancora sottovaluta il problema del surriscaldamento globale.

PRONTI I PRIMI FONDI DA STANZIARE

Per verificare la situazione è arrivato in Laguna anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte: «Non siamo in grado di quantificare i danni», ha spiegato il premier al termine della riunione. «Domani c’è un Consiglio dei ministri tecnico, molto limitato, che sicuramente prenderà in carico la richiesta di stato di emergenza del governatore Luca Zaia. Allo stato non ci sono ragioni per negarlo e stanziare i primi fondi».

REALIZZAZIONE DEL MOSE AL 92-93%

Per il Mose, il sistema di paratie che dovrebbe salvare la città dalle maree eccezionali, Conte ha detto che siamo alle battute finali. «L’opera è al 92-93% della realizzazione e guardando all’interesse pubblico non c’è che da prendere una direzione nel completamento di questo percorso».

Il Mose.

PROCEDURA PER IL NOME DEL COMMISSARIO

Il ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli ha aggiunto che «per il commissario del Mose c’è una procedura in corso, quando avremo tutte le firme lo comunicheremo».

DANNI NELL’ORDINE DELLE CENTINAIA DI MILIONI

I danni, da stimare con certezza, sono nell’ordine delle centinaia di milioni di euro, ha anticipato il sindaco Luigi Brugnaro, che ha passato la notte a far sopralluoghi in ogni dove e ha chiesto la dichiarazione di stato di emergenza. Conte si fermerà a Venezia anche il 14 novembre. Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha telefonato al sindaco Brugnaro per informarsi delle condizioni della città.

Il sopralluogo del sindago di Venezia, Luigi Brugnaro. (Ansa)

PERCHÉ SI È ARRIVATI A UN PELO DAL DISASTRO

Grande amarezza nella reazione del procuratore di San Marco, Pierpaolo Campostrini, che un’altra volta ha dovuto assistere impotente alla violenza dell’acqua sui marmi e i mosaici policromi della Basilica. «Siamo stati a un pelo dal disastro. Superato il metro e 65 cm l’acqua è entrata, ha allagato il pavimento e rompendo le finestre è finita nella cripta, allagandola».

ZAIA PARLA DI «DEVASTAZIONE APOCALITTICA»

Sgomento anche il presidente del Veneto, Luca Zaia, che ha parlato di «una devastazione apocalittica e totale. Non esagero con le parole, l’80% delle città è sott’acqua, danni inimmaginabili, paurosi».

Gli imprenditori e le associazioni che fanno grande questa regione ci chiedono che si blocchino mutui e contributi


Luigi Di Maio

Il ministro degli esteri e leader del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, ha annunciato una moratoria per famiglie e imprese. «Venezia è sommersa come mai prima d’ora. Qui è a rischio la vita delle persone, i beni culturali dal valore inestimabile. Gli imprenditori e le associazioni che fanno grande questa regione ci chiedono che si blocchino mutui e contributi. A questa richiesta dobbiamo rispondere subito».

VERIFICHE SUL PATRIMONIO CULTURALE

Dal canto suo il ministro della Cultura Dario Franceschini «ha attivato sin dalle prime ore di allerta a Venezia l’unità di crisi per la verifica e la messa in sicurezza del patrimonio culturale».

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Confermata la condanna a Roberto Spada, l’uomo che diede la testata al reporter di Nemo

Sei anni di carcere anche per la Cassazione. Con l’aggravante del metodo mafioso. Il membro del clan di Ostia aveva aggredito il giornalista della trasmissione condotta da Enrico Lucci, fratturandogli il naso, e il suo cameraman. Deve scontare l’ergastolo inflitto in un altro processo.

È stata confermata la condanna a sei anni di reclusione per Roberto Spada, l’uomo accusato di lesioni aggravate dal metodo mafioso per aver aggredito il 7 novembre del 2017 la troupe della trasmissione Nemo – Nessuno escluso (il giornalista Daniele Piervincenzi e il cameraman Edoardo Anselmi) a Ostia. A deciderlo è stata la Quinta sezione penale della Cassazione. La sindaca di Roma, Virginia Raggi, era presente alla lettura del verdetto.

PER SPADA ANCHE L’AGGRAVANTE DEL METODO MAFIOSO

Nella sua requisitoria, il procuratore generale della Cassazione, Pasquale Fimiani, ha confermato che si è trattato di metodo mafioso con gli “indicatori” della intimidazione: «Sono stati correttamente individuati dalla Corte di Appello», ha infatti sottolineato il pg, «gli indici sintomatici che rilevano la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso, con una deliberata e ostentata manifestazione di potere». Secondo Fimiani, uno di questi “indici” è rappresentato dal fatto che «nessuna delle persone presenti nella palestra gestita da Spada, davanti alla quale si è svolta l’aggressione ai giornalisti, è intervenuta in favore delle vittime».

A SPADA PENA DELL’ERGASTOLO IN UN ALTRO PROCESSO

Antonio Marino, legale di parte civile di Piervincenzi e Anselmi, ha così commentato la sentenza: «È importante che questa sentenza sia stata confermata per i segnali che possono derivarne sia in termini di ordine pubblico sia di riaffermazione della presenza dello Stato anche nei quartieri periferici di Roma». A Spada, che al momento si trova in carcere, è stata inflitta a settembre la pena dell’ergastolo in un altro processo per vari reati, tra i quali l’associazione mafiosa.

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Confermata la condanna a Roberto Spada, l’uomo che diede la testata al reporter di Nemo

Sei anni di carcere anche per la Cassazione. Con l’aggravante del metodo mafioso. Il membro del clan di Ostia aveva aggredito il giornalista della trasmissione condotta da Enrico Lucci, fratturandogli il naso, e il suo cameraman. Deve scontare l’ergastolo inflitto in un altro processo.

È stata confermata la condanna a sei anni di reclusione per Roberto Spada, l’uomo accusato di lesioni aggravate dal metodo mafioso per aver aggredito il 7 novembre del 2017 la troupe della trasmissione Nemo – Nessuno escluso (il giornalista Daniele Piervincenzi e il cameraman Edoardo Anselmi) a Ostia. A deciderlo è stata la Quinta sezione penale della Cassazione. La sindaca di Roma, Virginia Raggi, era presente alla lettura del verdetto.

PER SPADA ANCHE L’AGGRAVANTE DEL METODO MAFIOSO

Nella sua requisitoria, il procuratore generale della Cassazione, Pasquale Fimiani, ha confermato che si è trattato di metodo mafioso con gli “indicatori” della intimidazione: «Sono stati correttamente individuati dalla Corte di Appello», ha infatti sottolineato il pg, «gli indici sintomatici che rilevano la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso, con una deliberata e ostentata manifestazione di potere». Secondo Fimiani, uno di questi “indici” è rappresentato dal fatto che «nessuna delle persone presenti nella palestra gestita da Spada, davanti alla quale si è svolta l’aggressione ai giornalisti, è intervenuta in favore delle vittime».

A SPADA PENA DELL’ERGASTOLO IN UN ALTRO PROCESSO

Antonio Marino, legale di parte civile di Piervincenzi e Anselmi, ha così commentato la sentenza: «È importante che questa sentenza sia stata confermata per i segnali che possono derivarne sia in termini di ordine pubblico sia di riaffermazione della presenza dello Stato anche nei quartieri periferici di Roma». A Spada, che al momento si trova in carcere, è stata inflitta a settembre la pena dell’ergastolo in un altro processo per vari reati, tra i quali l’associazione mafiosa.

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Jeanine Añez si è autoproclamata presidente della Bolivia

Il partito di Morales ha fatto mancare il quorum in parlamento, ma il Tribunale costituzionale ha avallato la nomina della senatrice. Mentre in piazza non si placa la tensione.

La senatrice dell’opposizione Jeanine Añez si è autoproclamata presidente della Bolivia. Come primo atto ha cancellato il motto di Evo Morales ‘Patria o Morte’, scatenando la reazione del presidente dimissionario riparato in Messico, che ha gridato «al golpe più subdolo e nefasto della storia». Mentre in piazza non si placa la tensione. La polizia boliviana è intervenuta con gas lacrimogeni per bloccare una manifestazione di sostenitori di Morales che si dirigeva verso Plaza Murillo, dove nel palazzo presidenziale era in corso una cerimonia. I media hanno confermato che si tratta di manifestanti che chiedono le dimissioni della presidente ad interim, impegnata nel pomeriggio a confermare i responsabili delle Forze armate boliviane.

IL MANCATO QUORUM NON FERMA LA SENATRICE

Añez si è autonominata alla guida del Paese, non essendo riuscita a raggiungere il quorum dei voti in un parlamento controllato per i due terzi dal partito di Morales, i cui deputati hanno disertato la seduta. La sua nomina, raggiunta con il sostegno dei soli parlamentari dell’opposizione ma con il significativo avallo del Tribunale costituzionale (Tcp), ha comunque permesso l’avvio di un processo di transizione istituzionale dopo le dimissioni dell’ormai ex presidente per le pressioni dell’esercito. Ora sarà lei a dover portare alla rapida formazione di un nuovo governo e, entro tre mesi, a nuove elezioni. I settori vicini a Morales (militanti del Mas, sindacati, minatori del settore pubblico, insegnanti rurali e contadini del Tropico di Cochabamba) sono sempre sul piede di guerra e decisi a dare battaglia a un potere che considerano anti-costituzionale. Polizia e militari sono dovuti intervenire in forza nel dipartimento di Santa Cruz, dove sostenitori dell’ex capo dello Stato avevano occupato l’intero municipio di Yapacaní. E gli Stati Uniti hanno chiesto ai familiari dei dipendenti di rappresentanze diplomatiche e imprese di abbandonare il Paese.

MORALES: «SE IL POPOLO ME LO CHIEDE TORNO»

Morales dal Messico ha attaccato non solo Añez, ma anche l’Organizzazione degli Stati americani (Osa), accusandola «di essersi unita al colpo di Stato», definendola «un organismo neogolpista» e raccomandando alle nazioni latinoamericane di non fidarsi di essa, «perché risponde unicamente agli interessi degli Usa». Ma da Washington il segretario generale dell’Osa, Luis Almagro, ha rinviato l’accusa al mittente, sottolineando che è stato lo stesso Morales ad aver realizzato «un autogolpe» nel tentativo di «appropriarsi del potere» attraverso elezioni non trasparenti. Nella sua prima conferenza in Messico, il leader ‘cocalero’ ha sostenuto di essere disponibile a tornare in Bolivia «se il popolo me lo chiede», ma che per questo «c’è bisogno di intavolare un dialogo nazionale».

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A che punto è la trattativa sul nuovo stadio di Milan e Inter

I due club hanno espresso i loro dubbi sulla delibera del Comune di Milano. Chiesti dei chiarimenti soprattuto sul futuro del vecchio Meazza.

Inter e Milan il 13 novembre hanno inviato una lettera all’Amministrazione Comunale di Milano nella quale le due società hanno chiesto chiarimenti in merito ad alcuni dei punti della delibera della Giunta sullo stadio, «potenzialmente critici per la sostenibilità finanziaria del progetto e per il rispetto dei tempi e delle procedure di approvazione». Il 28 ottobre, in particolare, Palazzo Marino aveva dato il suo parere favorevole per il nuovo impianto, ma aveva anche chiesto di salvaguardare il vecchio Meazza.

I DUBBI DEI CLUB SU VECCHIO IMPIANTO

Nel dettaglio, con riferimento alla delibera della Giunta che prevede appunto il «mantenimento e la rifunzionalizzazione dell’attuale impianto di San Siro», i due club chiedono in primo luogo che l’Amministrazione proceda quanto prima con la richiesta al Ministero competente della verifica relativa all’interesse culturale dell’impianto in quanto nessuna proposta potrà essere formulata senza conoscere le decisioni inerenti a un eventuale vincolo del bene.

I DUBBI SULLA SOSTENIBILITÀ ECONOMICA

Inter e Milan, hanno chiesto inoltre a Palazzo Marino di indicare preliminarmente quali funzioni sportive si ritiene debbano essere inserite nel progetto di eventuale rifunzionalizzazione dell’attuale stadio Meazza e quali saranno i criteri per valutare la sostenibilità economico finanziaria del progetto. Infine, i due club ribadiscono l’opportunità di operare nell’ambito del percorso della “Legge sugli Stadi“, pur dichiarandosi disponibili a elaborare eventuali approfondimenti

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Perché M5s e Italia viva litigano sul carcere agli evasori

Per i grillini è una misura chiave: «Non si gioca su un aspetto così fondamentale». Ma i renziani vogliono togliere l’inasprimento delle pene: «Servono altri strumenti come la fatturazione elettronica». Lo scontro.

Il tintinnio di manette agli evasori sta dividendo la maggioranza, ancora una volta. Da una parte c’è Italia viva di Matteo Renzi, che vuole cancellare l’inasprimento delle pene per i grandi evasori. Tanto che l’ex rottamatore è stato dipinto come “San Matteo patrono degli evasori” in prima pagina su il Fatto Quotidiano, giornale vicino ai cinque stelle. Dall’altra parte infatti c’è proprio il Movimento, che tramite le parole del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha ribadito che «non si possono fare passi indietro» e non si possono trovare «soluzioni di compromesso».

ANCHE LIBERI E UGUALI CON I GRILLINI

Il blog del M5s ha poi confermato: «Italia viva è la stessa forza politica che ha partecipato ai vertici di maggioranza che hanno chiuso l’accordo. Noi non crediamo che si possa “giocare” su un aspetto così fondamentale». Anche Liberi e uguali (Leu) ha difeso le manette agli evasori. Nicola Fratoianni ha attaccato: «Iv dice che spaventano chi vuole investire? No, è l’evasione fiscale che spaventa chi fatica per pagare le tasse».

La tensione è rimasta alta anche fra Partito democratico, che difende la manovra, e Italia viva, che non perde occasione per criticarla. Il capogruppo dem al Senato Andrea Marcucci ha detto: «Il mio obiettivo è battere la destra sovranista. Al contrario di Renzi, io penso e spero che Pd e Iv possano convivere pacificamente».

Non vogliamo che un imprenditore che subisce un accertamento si ritrovi in carcere o veda la propria azienda sequestrata


Luigi Marattin di Italia viva

Luigi Marattin, vicepresidente dei deputati di Iv, ha spiegato che per combattere l’evasione servono nuovi strumenti, come la fatturazione elettronica, la trasmissione telematica dei corrispettivi, l’incrocio di banche dati e non rischiare che «un imprenditore che subisce un accertamento si ritrovi in carcere o veda la propria azienda sequestrata».

GLI ASSORBENTI RESTANO CARI

Intanto fra i 300 emendamenti al decreto legge Fisco finiti sotto la scure della commissione Finanza ce ne sono alcuni che avevano una certa carica simbolica. Come quello presentato da una trentina di deputate di maggioranza e opposizione, prima firmataria Laura Boldrini (Pd), per ridurre l’Iva sugli assorbenti dal 22% al 10%. E quello del M5s che prevedeva agevolazioni per l’acquisto di airbag per motociclisti.

IL NODO DELLA STRETTA SU APPALTI E SUBAPPALTI

Uno dei punti più criticati del dl fisco è l’articolo che introduce una stretta su appalti e subappalti per limitare l’elusione. Il governo starebbe valutando di aggiustare il tiro come proposto da un emendamento del Pd, che prevede una comunicazione alle Entrate con tutti i dati di contratto di appalto e subappalto, controlli mirati e, per alcune violazioni, anche una pena fino a 5 anni.

QUOTA 100 SULLE PENSIONI RIMANE COSÌ

Altro tema di discussione in maggioranza è Quota 100 sulle pensioni, introdotta dal governo gialloverde. Il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo ha ribadito: resta così.

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Il governo costretto a prendere tempo sull’Ilva

ArcelorMittal non mostra segnali d’apertura. Conte rinvia al 18 novembre il Consiglio dei ministri. Il M5s conferma il no allo scudo penale. E i commissari non hanno ancora depositato il ricorso contro la ritirata della multinazionale. Intanto i primi 50 operai dell’indotto sono rimasti senza paga.

La soluzione della crisi dell’Ilva passa per ArcelorMittal, che rappresenta il piano «a, b, c e d».

O almeno, questa rimane la posizione ufficiale del governo.

Anche se l’azienda, per ora, non mostra alcun segnale di apertura e si prepara a dire addio a Taranto e agli altri stabilimenti italiani.

LEGGI ANCHE: Chi è Lakshmi Mittal, il Paperone indiano che vuole lasciare l’Ilva

Per l’esecutivo, tuttavia, gli estremi per il recesso dal contratto d’affitto con obbligo d’affitto non ci sono. A decidere saranno i giudici: la prima udienza al Tribunale di Milano è fissata per il 6 maggio. Il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha ribadito in conferenza stampa che la multinazionale «deve mantenere gli impegni presi» e «deve tornare a sedersi al tavolo». Anche passando per il potere giudiziario, se necessario, visto che i commissari straordinari dell’Ilva entro venerdì 15 novembre intendono depositare un ricorso d’urgenza con cui provare a fermare la ritirata di ArcelorMittal.

A TARANTO I PRIMI OPERAI DELL’INDOTTO SENZA PAGA

La situazione a Taranto, intanto, peggiora di ora in ora: in città si registra la prima cinquantina di operai dell’indotto rimasti senza paga. E otto consigli di fabbrica, riuniti a Genova, invocano uno sciopero europeo per la crisi della siderurgia. Nella maggioranza la tensione è altissima: gli emendamenti presentati da Italia viva al decreto fiscale per reintrodurre lo scudo penale sono stati giudicati inammissibili dalla presidente della commissione Finanze, la pentastellata Carla Ruocco. E nel M5s i senatori – soprattutto quelli pugliesi, a partire da Barbara Lezzi – non mollano.

IL MANDATO DI PATUANELLI E IL NO DI CINQUE SENATORI M5S

Tanto che Patuanelli, dopo la riunione fiume a Palazzo Madama, è costretto a presentarsi anche dai deputati per spuntare almeno quella che lui stesso definisce una «disponibilità a discuterne», se nel corso della trattativa o del processo dovesse riemergere la necessità dell’immunità. Cinque senatori, in ogni caso, hanno votato contro il documento proposto dal ministro dello Sviluppo, negandogli il mandato a tracciare la linea sull’Ilva. Patuanelli ha proposto di slegare il dossier dalla tenuta del governo, escludendo voti di fiducia. E ha tratteggiato un piano di medio periodo che punti alla decarbonizzazione dell’acciaieria, valutanto anche l’ipotesi di una legge speciale per Taranto per accelerare gli interventi sul territorio.

RINVIATO IL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Di sicuro la trattativa con ArcelorMittal per il momento non esiste. Si aspetta, probabilmente, l’esito del ricorso, non ancora depositato. E il premier Giuseppe Conte è costretto a prendere tempo, rinviando a lunedì 18 novembre il Consiglio dei ministri chiamato a mettere in fila le proposte per il cosiddetto Cantiere Taranto, cioè gli interventi a più ampio raggio per il rilancio della città, al di là delle vicende legate alla fabbrica.

IL NODO DEGLI ESUBERI

Il governo punta a ridurre al minimo, se non ad azzerare, la richiesta di 5 mila esuberi avanzata dall’azienda per rimanere in Italia. Duemila potrebbero essere gestibili attraverso la cassa integrazione, ma andrebbe riscritto il piano industriale di dieci mesi fa che, come sottolineato più volte da Patuanelli, «non è stato rispettato». L’esecutivo potrebbe mettere sul piatto anche un ingresso di Cassa depositi e prestiti, con l’8-10%, a puntellare l’operazione.

LA STRADA DELLA NAZIONALIZZAZIONE TEMPORANEA

Sempre Cdp potrebbe essere, d’altra parte, il perno attorno a cui ricreare una nuova cordata di privati. Per il subentro potrebbe rendersi necessario prima un passaggio dell’Ilva alla gestione commissariale, poi una nuova gara. Ma la legge Marzano potrebbe consentirebbe di saltare questo passaggio. Resta infine la strada della nazionalizzazione ‘a tempo’, coinvolgendo controllate di Cdp per superare i vincoli di statuto della Cassa: un’operazione che l’Unione europea potrebbe consentire, visto che gli aiuti di Stato interverrebbero in un’area economicamente “depressa”.

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Chi sono i protagonisti del processo per l’impeachment di Trump

L’inquisitore Schiff. La talpa con un passato alla Cia. I testimoni Taylor e Kent (ma non solo). I convitati di pietra Giuliani e Bolton. Uno sguardo ai personaggi principali della vicenda che tiene gli Usa incollati alla tivù.

Ha preso via il grande show dell’impeachment di Donald Trump. Dopo settimane di audizioni a porte chiuse, il 13 novembre si sono tenute le prime testimonianze pubbliche nell’ambito del’indagine sul presidente statunitense. L’obiettivo è appurare se ci sia stato o meno un do ut des da parte di Trump legando gli aiuti militari all’Ucraina all’avvio da parte di Kiev di un’indagine per corruzione sui Biden e di un’altra sulle presunte interferenze ucraine sulle elezioni presidenziali Usa del 2016 a favore di Hillary Clinton. La fase delle testimonianze pubbliche culminerà nella decisione di mettere o meno in stato di accusa il presidente ed eventualmente, dopo il voto a maggioranza semplice della Camera, rinviarlo al giudizio (a maggioranza qualificata) del Senato. Ecco i principali personaggi della vicenda che sta tenendo una nazione intera incollata alla tivù.

ADAM SCHIFF, IL GRANDE INQUISITORE

Trump lo chiama Schifty Schiff, il losco Schiff. Avvocato californiano, il 59enne Adam Schiff è il presidente della commissione Intelligence della Camera che coordina le indagini dei democratici. È stato lui a convincere sulla necessità di agire per la messa in stato di accusa del tycoon anche la riluttante speaker della Camera Nancy Pelosi e vuole chiudere la partita in tempi brevi, portando Trump a processo in Senato, dove la maggioranza è però repubblicana. In apertura di seduta Schiff ha illustrato gli scopi dell’indagine evocando un abuso di potere da parte di Trump e una condotta da impeachment. In commissione, la controparte repubblicana di Schiff è Devin Nunes. Entrambi hanno la possibilità di porre domande – o farle porre dai legali – ai vari testimoni.

LA TALPA, ANALISTA DELLA CIA ORA SOTTO PROTEZIONE

Analista della Cia in servizio presso la Casa Bianca, la “talpa” ha raccolto le informazioni e denunciato la telefonata del luglio scorso tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Voci sulla sua identità rimbalzano da settimane, ma non c’è stata finora alcuna conferma (ragion per cui Lettera43.it non pubblica i nomi circolati, ndr). Il whistleblower che ha dato il la all’Ucrainagate vive sotto protezione. I repubblicani vorrebbero farlo testimoniare pubblicamente. I democratici, però, si oppongono.

I TESTIMONI: DALL’AMBASCIATORE A KIEV AL VICESEGRETARIO AGLI AFFARI EUROPEI

Bill Taylor, ambasciatore Usa a Kiev, e George Kent, vicesegretario di Stato agli Affari europei, sono stati i primi ad apparire pubblicamente alla Camera. Il 15 novembre è la volta dell’ex ambasciatrice a Kiev Marie Yovanovitch, cacciata da Trump perché ritenuta poco leale. C’è grande attesa per l’audizione di Gordon Sondland, ambasciatore Usa presso l’Unione europea. Il 13 novembre Taylor ha rivelato che nei giorni scorsi un membro del suo staff gli ha raccontato di aver sentito una telefonata fra Trump e Sondland mentre era con quest’ultimo in un ristorante a Kiev il 26 luglio, il giorno dopo la telefonata del tycoon a Zelensky.

Sondland gli confermò che «tutto» ciò che voleva Kiev dipendeva dall’annuncio di Zelensky dell’apertura delle indagini su Biden

Bill Taylor, ambasciatore Usa a Kiev

«Trump chiese delle indagini e Sondland rispose che gli ucraini erano pronti ad andare avanti», ha riferito Taylor. Quando il suo collaboratore chiese a Sondland cosa pensasse Trump dell’Ucraina, si sentì rispondere che «al presidente interessano più le indagini sui Biden». Taylor ha aggiunto che Sondland gli confermò che «tutto» ciò che voleva Kiev dipendeva dall’annuncio di Zelensky dell’apertura delle indagini. Legame che a lui appariva «folle». Tra gli altri testimoni che sfileranno nei prossimi giorni figurano Tim Morrison, primo consigliere del presidente per la Russia e l’Europa, Jennifer Williams, assistente del vicepresidente Mike Pence, Alexander Vindman, dirigente del consiglio per la sicurezza nazionale, Kurt Volker, ex inviato speciale in Ucraina, Laura Cooper, sottosegretaria alla Difesa per gli Affari europei, David Hale, sottosegretario di Stato agli Affari politici, e Fiona Hill, ex responsabile del consiglio per la sicurezza nazionale.

I CONVITATI DI PIETRA: IL RUOLO DI GIULIANI E LA VARIABILE BOLTON

Sullo sfondo delle audizioni, una serie di personaggi chiave nella vicenda. Innanzitutto Rudy Giuliani, l’ex sindaco di New York che oggi è avvocato personale di Trump e, stando alle prime testimonianze, braccio operativo del presidente nell’Ucrainagate. Secondo Taylor, Giuliani mise in piedi un canale politico «irregolare» che minò le relazioni con Kiev mentre cercava di aiutare Trump politicamente. Tutto ruota attorno all’ex sindaco della Grande Mela, avendo direttamente guidato gli sforzi per spingere Kiev a indagare sui rivali di Trump. In primis Joe Biden, nel mirino per gli affari in Ucraina del figlio Hunter: i repubblicani vorrebbero chiamare i due a testimoniare. Grande attenzione anche sull’ex consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca John Bolton, silurato da Trump. Bolton potrebbe imprimere una svolta con la sua testimonianza, chiesta a gran voce dai dem ma finora bloccata dalla Casa Bianca.

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Com’è la Ferrari Roma, la nuova coupè dal Cavallino

La casa di Maranello è pronta a lanciare la nuova auto ispirata alle linee della Dolce vita. Sotto il cofano un V8 turbo da 3855cc. I dettagli.

Si chiama “Ferrari Roma” l’ultima nata della casa di Maranello che verrà presentata ufficialmente il 14 novembre nella Città Eterna. La nuova coupé 2+ monta un motore centrale-anteriore V8 turbo da 3855cc che eroga 620 cv a 7.500 giri/min al quale è abbinato il nuovo cambio dual-clutch a 8 rapporti, introdotto per la prima volta sulla SF90 Stradale.

L’ultima nata del Cavallino è caratterizzata da un design senza tempo, da una spiccata raffinatezza e da guidabilità e prestazioni di assoluta eccellenza. La Ferrari Roma non è, infatti, solo una vera e propria icona di design italiano, ma è anche in grado di garantire prestazioni al vertice della categoria grazie al suo motore V8 turbo appartenente alla famiglia vincitrice del premio Engine of the Year per quattro anni consecutivi.

Lunga 4656mm con una larghezza di 1974mm e un passo di 2670mm, la Ferrari Roma copre gli 0-100km/h in 3,4 secondi e può raggiungere una velocità massima di oltre 320 km/h. Grazie al suo stile inconfondibile, la vettura reinterpreta in chiave contemporanea il lifestyle della città di Roma tipico degli anni ’50-’60, caratterizzato dalla leggerezza e dal piacere di vivere.

ULTIMA PRESENTAZIONE DEL 2019

«La Ferrari Roma, che rappresenta al meglio l’eleganza e la raffinatezza di quello straordinario periodo», hanno fatto sapere gli ingegneri di Maranello, «è la vettura ideale per vivere al meglio la Nuova Dolce Vita». Con la Ferrari Roma si completa il piano annunciato dall’Ad Louis Carey Camilleri per il 2019. «Questo 2019 è un anno molto importante per la Ferrari», aveva affermato Camilleri lo scorso maggio in occasione della presentazione della SF90, «Un anno in cui abbiamo deciso di dare una profonda accelerazione alla nostra offerta di prodotto. Stare fermi in attesa che le cose succedano», aveva aggiunto, «non è un’opzione presa in considerazione a Maranello. E poi perche’ una delle grandi lezioni di Enzo Ferrari è stata proprio quella di saper leggere i tempi e anticiparli».

IL RICCO ANNO DEL CAVALLINO

La Ferrari Roma si aggiunge alla F8 Tributo che era stata presentata al salone di Ginevra, alla SF90 Stradale svelata nel maggio scorso e alle F8 Spider e 812 GTS presentate a settembre. Inusuale anche la location per la presentazione dell’ultimo gioiello del Cavallino Rampante: di solito, infatti, Ferrari presenta le proprie vetture a Maranello ma già 24 ore prima sui social aveva rilasciato un indizio che lasciava intendere un omaggio alla Città Eterna: «Siamo pronti per la Nuova Dolce Vita».

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L’acqua alta a Venezia e chi nega il riscaldamento globale

Mentre la città finisce sommersa, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno bocciato gli emendamenti in Regione per contrastare i cambiamenti climatici. Poco prima che anche l’aula consiliare si allagasse. Greenpeace e ambientalisti lanciano l’allarme. Ma qualcuno parla di «terrorismo» e «catastrofismo».

È il surriscalmento globale che ci presenta il conto? L’acqua alta che ha stravolto Venezia ha proiettato l’Italia sulle prime pagine di tutti i media internazionali. Che non hanno esitato a dare la colpa al «cambiamento climatico» per la «marea più alta degli ultimi 50 anni», come per esempio ha titolato in apertura il sito della Bbc, citando le parole del sindaco Luigi Brugnaro che ha parlato di un evento destinato a lasciare «segni indelebili» sulla città.

LA MAGGIORANZA “NEGAZIONISTA” FINISCE COI PIEDI A MOLLO

Eppure, forse anche per la simpatia che una parte politica proprio non riesce a sviluppare nei confronti dell’attivista Greta Thunberg e delle sue lotte ecologiste, nella Regione Veneto la maggioranza composta da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia ha appena bocciato gli emendamenti per contrastare i cambiamenti climatici. E da lì a poco, ironia della sorte, l’aula consiliare si è allagata, come ha testimoniato Andrea Zanoni del Partito democratico.

Una parte del post su Facebook di Zanoni.

Anche qualcun altro è scettico. Tipo Arrigo Cipriani, 87enne volto storico di Venezia e da anni alla guida dell’Harry’s bar, locale simbolo della Laguna: «Si fa solo del terrorismo climatico senza senso. Nella storia c’è stato il secolo del Rinascimento, questo è il secolo del rimbecillimento», ha detto, parlando di «catastrofismi» che non fanno bene alla città.

MA PER GREENPEACE «NON È SOLO MALTEMPO»

Eppure secondo il responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia, Luca Iacoboni, «l’ondata di eventi climatici estremi che ha interessato da Nord a Sud vaste zone dell’Italia non è maltempo, ma la conseguenza della crisi climatica. E quanto accaduto a Venezia non è, purtroppo, altro che un drammatico esempio dell’emergenza che già viviamo ogni giorno sulla nostra pelle».

Il governo per i decenni a venire prevede un massiccio utilizzo del gas, che è parte del problema e non la soluzione


Greenpeace Italia

Greenpeace ha chiesto quindi al governo italiano di «fornire immediatamente supporto alle persone colpite da questi eventi estremi e di lavorare efficacemente sulle cause dei cambiamenti climatici, partendo da un rapido cambiamento dei piani energetici nazionali. In particolare, il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) che il governo sta portando avanti, e che verrà approvato entro la fine del 2019, prevede un massiccio utilizzo del gas per i decenni a venire. Così facendo si aggraverebbe la crisi climatica, perché il gas è parte del problema e non della soluzione, come cercano di far credere governo e grandi aziende del settore».

GLI AMBIENTALISTI: «DECISIONI UMANE SCELLERATE»

Marco Gasparinetti ha parlato invece a nome del Gruppo 24 Aprile, la piattaforma civica impegnata nella difesa ambientale di Venezia. Dicendo che «restare coi piedi per terra è un lusso che a noi è negato, dal cambiamento climatico in corso e da decisioni umane scellerate, dettate da avidità e corruzione. Venezia ha bisogno di scelte coraggiose, di passione contrapposta al cinismo affaristico, di persone integerrime e competenti». E che magari non negano il global warming.

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Chi è Vincenzo Mollica, la storica voce della Rai

Il giornalista racconta da 40 anni l’ambiente del cinema, dell’arte e della televisione. E il Parkinson e la cecità non gli impediscono di continuare.

Da anni Vincenzo Mollica racconta il mondo dello spettacolo, dell’arte e della canzone d’autore. Un talento che lo storico giornalista modenese (classe 1953) ha cominciato a sviluppare nel 1980. È quello l’anno in cui è entrato in Rai, entrando a far parte della redazione del Tg 1 e cominciando a realizzare i suoi primi lavori sui più importanti personaggi del cinema e della musica. Il suo sguardo sul mondo dello spettacolo si è fatto talmente prezioso che, nel 1995, sul numero del Topolino 2074, è stata pubblicata la storia Paperino Oscar per i cento anni, dove fa la sua comparsa il personaggio di Vincenzo Paperica, un giornalista che lo ricorda in tutto e per tutto.

IL PARKINSON NON HA FERMATO MOLLICA

«Le mani che tremano? Quello è il morbo di Parkinson. Non mi faccio mancare nulla. Ho anche il diabete. Sono un abile orchestratore di medicinali».  Con queste parole il celebre inviato del Tg 1 appassionato da sempre di spettacolo e fumetti, nel febbraio del 2019, aveva dichiarato la sua malattia al Corriere della Sera. Il limite fisico che lo attanaglia, tuttavia, non ha fermato la dinamicità del suo spirito, come dimostra la sua attuale collaborazione televisiva accanto a Fiorello. L’approccio positivo che rivolge al mondo ha caratterizzato tutta la sua carriera di critico d’arte. Si è infatti sempre contraddistinto per la sua estrema bontà d’opinione. Tanto che il collega Aldo Grasso ha coniato per lui il termine “Mollichismo“. Un concetto con cui ci si riferisce alla sua tendenza a «parlare sempre bene di tutti»

MOLLICA SI FA PUPAZZO E AFFIANCA FIORELLO SU VIVA RAIPLAY!

Voce sferzante e ironia dissacrante. È nei panni di un pupazzo che il conduttore televisivo di 66 anni, dall’alto di un palchetto in studio, ha interagito durante il varietà Viva RaiPlay!, in cui Mollica affianca Fiorello E, nel corso delle puntate, quando lo showman catanese chiede un Mollica in versione pupazzo risponde. E lo fa con sarcasmo, utilizzando un linguaggio sfacciatamente giovanile. «Bella Fiorello, me la sto sciallando di brutto» ha risposto durante la prima puntata allo showman catanese che gli ha chiesto come stesse. La voce che per anni si è prestata ad approfondire lo spettacolo nella rubrica DoReCiakGulp del Tg 1 ha regalato al pubblico di Viva RaiPlay perle sulla musica trap e sulla sua sensazione di “sciabbarabba

IL CRITICO DEL TG 1 CONVIVE DA SEMPRE CON LA CECITÀ

Mollica ha imparato a convivere fin dall’infanzia con una salute cagionevole. A sette anni, durante una visita oculistica in Calabria, gli è stata infatti diagnosticata all’occhio sinistro un’uveite (infiammazione di una membrana tra la cornea e la sclera). Sempre nell’intervista al Corriere, ha raccontato che dopo aver scoperto la diagnosi si impegnò a memorizzare tutti i dettagli del mondo che lo circondava, per ricordarsene «quando sarebbero calate le tenebre». Adesso, invece, un glaucoma gli ha rovinato quasi il 100% del nervo ottico dell’occhio destro. Mollica è rimasto quasi cieco, ma il buio sulla sua curiosità sembra non voler scendere mai.

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Chi è Danti, il cantante nel cast di Viva RaiPlay

Collabora con Fiorello dal 2017, ma la sua carriera è iniziata molto prima con il gruppo musicale Two Fingerz. È autore di brani di brani molto popolari, come Andiamo a comandare e “Tutto molto interessante”, entrambi cantati da Fabio Rovazzi. Ha un passato come parrucchiere.

C’è anche il rapper e cantautore Danti nel cast di Viva Raiplay, il nuovo programma condotto da Rosario Fiorello in onda a partire dal 4 novembre 2019 sulla rinnovata piattaforma Rai. L’ex voce dei Two Fingerz prende parte allo show insieme ai ballerini del gruppo Urban Theory, al trio di cantanti e intrattenitori Gemelli di Guidonia, al maestro Enrico Cremonesi e al giornalista e scrittore Vincenzo Mollica.

CARRIERA DA RAPPER E CANTANTE

La collaborazione di Danti, pseudonimo di Daniele Lazzarin, con il comico siciliano è cominciata nel 2017: a partire da quell’anno egli è infatti entrato del cast di Fiorello, partecipando al programma televisivo Edicola Fiore su Sky Uno (in replica su Tv8) e successivamente a Il Rosario della sera, trasmissione radiofonica di Radio Deejay andata in onda nel 2018 e nel 2019. La carriera del cantante è però cominciata molto tempo prima del fortunato incontro con lo showman catanese. Classe 1981, Danti è nato a Desio, un comune nella provincia di Monza e Brianza. Sin da bambino ha sviluppato un forte amore per la musica, che lo ha portato, ad appena 17 anni, ad aprire il suo primo studio di registrazione. Nel 2003 ha fondato, insieme al suo amico Riccardo Garifo, anche noto come Roofio, il gruppo Two Fingerz. Tre anni più tardi il duo ha inciso il primo album, Downtown, imboccando la via del successo. Successivamente, Danti e Roofio hanno condotto i programmi televisivi Made in Italy – Two fingerz (2011) e il Two fingerz show (2012) sul canale Hip hop tv di Sky. L’ultimo album del gruppo, La tecnica Bukowski, risale al 2015 e vede collaborazioni con personaggi di primo piano della scena musicale italiana, come J-Ax, Lorenzo Fragola, MadMan e Vacca. La carriera di Danti da solista è invece cominciata nel 2017: di lì in poi il cantante ha collaborato come autore per brani come Andiamo a comandare, Tutto molto interessante e Volare, realizzati insieme a Gianni Morandi e Fabio Rovazzi.

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@rosario_fiorello ti voglio bene !! Tvbowie

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CARRIERA DA PARRUCCHIERE

Anche dopo aver raggiunto un discreto successo come artista, Danti ha continuato a lavorare come parrucchiere, il mestiere iniziato a 20 anni. Nel 2014 il cantante ha infatti detto a Repubblica di trovare ispirazione per le rime direttamente dai suoi clienti, definendo questa esperienza come «un bagno nella vita che mi da spunti per creare musica». Il suo periodo come parrucchiere si è, tuttavia, concluso dopo la firma del contratto con la casa discografica Sony Atv. Successivamente, il rapper ha raccontato al magazine Dj mag Italia di avere una certa nostalgia per quel rapporto con le persone lasciato nel suo salone: «Certo, mi manca il rapporto con certe persone. A volte la cosa era imbarazzante, quando ti entravano mamme coi bambini a chiedere autografi e farsi un taglio all’ultimo grido. La situazione però è cambiata».

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