Matera 2019, presentati a Bruxelles i primi risultati

La Fondazione Matera-Basilicata 2019, nell’ambito della Settimana della cucina italiana organizzata dall’Ambasciata a Bruxelles ha organizzato una serie di attività collaterali finalizzate a far conoscere il viaggio di Matera Capitale europea della cultura svolto nel 2019 e le prossime iniziative in programma nel mese di dicembre. In particolare – si legge in una nota della Fondazione Matera-Basilicata 2019 – il 19 novembre, alla presenza di Paolo Sabbatini, direttore dell’Istituto Italiano di cultura a Bruxelles sono state inaugurate, nella Galleria d'arte Dauwens & Bernaert, due esposizioni: la mostra “La città EUemozionale” comprendente i video delle principali iniziative svolte a Matera e in Basilicata nell’ambito del programma culturale di Matera 2019 e una selezione di foto della mostra “Visions from Europe”, prodotta insieme a Canon, Matera European Photography in partnership con Matera diffusa. Le due mostre resteranno aperte per una settimana. Nello stesso spazio, il 20 novembre, il direttore della Fondazione, Paolo Verri, e la manager Sviluppo e relazioni internazionali, Rossella Tarantino hanno presentato il lavoro svolto fino ad oggi caratterizzato dalla vendita di circa 80 mila passaporti (54 percento cittadini permanenti, 46 percento cittadini temporanei), circa 312 mila accessi a 940 eventi. Gli artisti coinvolti sono stati ad oggi 450, dei quali 193 internazionali. I cittadini coinvolti attivamente sono stati 16 mila coinvolgendo 325 luoghi della Basilicata. Il budget impegnato (non ancora interamente speso) nel periodo 2015-2019 ammonta a circa 46 milioni di euro. “Abbiamo rispettato – ha detto Verri – tutto quello che avevamo scritto nel dossier. Il risultato è sotto gli occhi di tutti in termini di visibilità della città a livello internazionale. Matera oggi è una città riconosciuta ovunque e i dati ci dicono che siamo la Capitale europea della cultura che più di altre ha sviluppato una maggiore attrattività”. Rossella Tarantino si è invece soffermata sulla originalità dei progetti messi in campo – l'85 percento del programma culturale – e su alcuni principali elementi “come la co-creazione sperimentata con alcune fra le più prestigiose istituzioni culturali europee, la partecipazione dei cittadini e le residenze artistiche che in questi giorni stanno portando nelle case di 11 comuni della Basilicata produzioni di straordinario livello”. All’incontro hanno portato i saluti istituzionali il vicesindaco di Matera, Giampaolo D'Andrea, il direttore dell’Istituto Italiano di cultura, Paolo Sabbatini, il responsabile della sede Enit di Bruxelles, Alfonso Santagata, Gregorio De Felice, chief economist di Banca Intesa, Gold Partner di Matera 2019. D’Andrea ha ricordato la specificità dell’Italia che, attraverso una decisione del ministro Dario Franceschini ha istituito la competizione per diventare capitale italiana della cultura. “Una competizione che ci consente – ha detto D'Andrea – di monitorare i territori sul piano della effettiva produzione e distribuzione culturale”. Subito dopo si è tenuto un focus sulla comunicazione di Matera 2019. In particolare, il coordinatore dell'Ufficio stampa, Serafino Paternoster, davanti alla platea di funzionari della commissione e del parlamento europeo, giornalisti, associazioni ed aziende ha raccontato la strategia comunicativa, che ha consentito a Matera 2019 di essere raccontata a livello locale, nazionale, europeo e internazionale. Nel suo intervento ha espresso inoltre la necessità che le istituzioni europee governino la comunicazione delle Capitali europee della cultura mettendo a disposizione specifici servizi come un sito internet dove far confluire i dossier, i programmi e le attività delle Ecoc, e organizzando incontri per rendere più forte la rete della comunicazione delle città e gli scambi di buone pratiche. Ad esempio, le istituzioni europee potrebbero individuare, attraverso un bando pubblico, un'unica emittente televisiva europea capace di raccontare il lavoro fatto in ciascuna Ecoc. Subito dopo è intervenuta Rita Echeverria, international account manager di Euronews, l'emittente televisiva internazionale che nel 2019 ha raccontato attraverso la tv e i suoi canali digitali in tutta Europa e in 12 lingue, il lavoro di Matera 2019 svolto fino ad oggi. Un'attività di racconto seguita da 10.6 milioni di persone raggiunte in Europa, 122 milioni di contatti generati. Euronews ha anche anticipato i primi dati di un sondaggio condotto per una verifica dei risultati della campagna promozionale. In particolare, Euronews ha intervistato circa 1000 cittadini europei ai quali ha posto una serie di domande. Dai risultati è emerso che il 44 percento dei telespettatori di Euronews ha visto la campagna promozionale, mentre il 61 percento ha riconosciuto Matera. Il 75 percento ha riconosciuto in Matera un brand assolutamente positivo, mentre il 30 percento dei gruppi intervistati consiglierebbero Matera come destinazione. Le caratteristiche più diffuse associate a Matera sono: una città di qualità, che ispira, emozionante, affidabile, creativa e collaborativa. Per quel che riguarda la parte social sono state raggiunte oltre 6 milioni di persone, soprattutto da Italia, Francia e Germania. Fra i 6 episodi dedicati a Matera hanno destato maggiore interesse quelli relativi alla cerimonia inaugurale e alla settimana dedicata alla luna. Nella stessa serata il direttore della Fondazione, Paolo Verri, ha mostrato i risultati di Matera 2019 nel corso di una cena di gala organizzata dall'Ambasciata italiana a Bruxelles, davanti ad alcune fra le principali cariche istituzionali e politiche del Belgio.
  

Guidava da 50 anni senza patente: scoperta per un tamponamento subìto

Una 77enne di Pravisdomini (Pordenone) circolava da mezzo secolo senza aver mai conseguito la licenza. Multa da 5 mila euro.

Per mezzo secolo ha guidato, a cavallo tra Friuli Venezia Giulia e Veneto, senza mai aver conseguito la patente. E in 50 anni nessuno l’ha mai fermata, nemmeno per il più classico dei controlli di patente e libretto delle tante pattuglie che presidiano le nostre strade. Così il suo segreto è rimasto tale fino a quando, per un banale tamponamento in cui è rimasta coinvolta suo malgrado, la verità è venuta a galla. Protagonista della vicenda una 77enne di Pravisdomini, l’ultima lingua di terra friulana prima di entrare nel Veneto orientale. Proprio in un luogo simbolo della storia d’Italia come Vittorio Veneto (Treviso) c’è stato l’epilogo della sua lunghissima carriera di autista senza titoli.

TAMPONATA MENTRE ERA IN CODA

Era al volante di una Suzuki station wagon, ferma in colonna: all’improvviso, un veicolo che la seguiva l’ha tamponata e la sua vettura è finita sul mezzo che la precedeva. Esattamente ciò che non sarebbe mai dovuto capitare: senza terzi coinvolti, avrebbe potuto chiuderla lì, amichevolmente. In fondo lei era la danneggiata. Ma quel colpetto alla macchina che la precedeva è stato fatale per far scoprire il suo segreto. Quando gli agenti della Polizia locale sono giunti per i rilievi, hanno sollecitato la consegna della patente, ma l’anziana ha detto di averla scordata a casa. Sono bastati pochi click e una breve indagine sul server nazionale per scoprire che quel documento non l’aveva mai conseguito.

MULTA DA OLTRE 5 MILA EURO

Le conseguenze saranno pesanti: multa da oltre 5 mila euro e sequestro immediato del veicolo. Niente, se raffrontato al rischio che ha corso per mezzo secolo. A chi, in paese, le chiedeva spiegazioni, la nonnina ha fatto sapere che si tratta di un grande equivoco, che chiarirà di fronte alla Polizia locale di Udine, cui esibirà il documento originario, di cui assicura di essere in possesso dalla fine degli anni Sessanta. Peccato che, nel frattempo, 51 anni fa, il suo Comune, Pravisdomini, sia transitano alla neo costituita provincia di Pordenone. Non essendo mai stata scoperta, non ha avuto la necessità di aggiornare l’alibi.

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M5s al voto su Rousseau per Emilia e Calabria tra dubbi e polemiche

Dalle 12 alle 20 gli iscritti sono chiamati a esprimersi sull’opportunità o meno per il Movimento di presentarsi ai due appuntamenti elettorali. Di Maio nicchia e i militanti spingono. Ma è il quesito a far discutere.

Procede tra polemiche e perplessità la votazione sulla piattaforma Rousseau attraverso la quale gli iscritti sono chiamati a decidere se il Movimento 5 stelle dovrà correre oppure no alle elezioni regionali in Emilia-Romagna e Calabria. Per quel che riguarda la consultazione del prossimo 26 gennaio, in particolare, la spaccatura della base sembra essere evidente, col quesito attorno al quale è già sorta più di una critica.

DI MAIO: «PREFERISCO CHIEDERE LA DIREZIONE AL MOVIMENTO»

«Dalle ore 12 alle ore 20 gli iscritti del Movimento 5 stelle sono chiamati a votare sulla piattaforma Rousseau per decidere se il M5S debba osservare una pausa elettorale fino a marzo per preparare gli Stati generali evitando di partecipare alle elezioni di gennaio in Emilia-Romagna e Calabria». Luigi Di Maio, ai microfoni de L’aria che tira, su La 7, ha spiegato:  «Di solito preferisco non votare, ma chiedere al M5s quale sia la direzione da prendere. Gli uomini soli al comando diventano dei palloni e poi scoppiano. Io credo che le decisioni importanti vanno prese con gli iscritti. I più grandi errori li ho commesso scegliendo da solo».

POLEMICHE PER IL QUESITO ORIENTATO

Decisamente più esplicita la maggioranza dei militanti emiliani, che chiede esplicitamente di votare ‘no’ al quesito su Rousseau. Silvia Piccinini, consigliera regionale del M5s in Emilia-Romagna, ha definito «una presa in giro inaccettabile e un’umiliazione» il voto con un quesito «orientato».

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Allarme Fentanyl: aumentano le morti per overdose anche in Italia

In meno di quatto di mesi registrati 76 decessi a causa della droga sintetica che si sta affacciando da poco al nostro mercato.

Allarme Fentanyl anche in Italia. Il potente sintetico che, secondo le stime, sarà responsabile di 19mila morti per overdose nel 2019 negli Stati Uniti, si sta affacciando anche sul mercato italiano. Dal 1° agosto al 20 novembre, ha spiegato Elisabetta Simeoni, del Dipartimento politiche antidroga, «si sono registrate in Italia 55 overdose ‘fauste’ e 76 con decesso. I casi aumentano». Il direttore centrale per i servizi antidroga del Dipartimento di pubblica sicurezza, Giuseppe Cucchiara, ha sottolineato che «il contrasto a queste nuove sostanze è difficile perché bastano quantità minime che vengono acquistate on line e spedite via posta. In Italia non siamo dell’epidemia come in America, ma il Fentanyl si sta affacciando sul nostro mercato e dobbiamo attrezzarci. È un fenomeno estremamente preoccupante».

Una bottliglietta di Fentanyl,

LA CINA TRA I PRINCIPALI PRODUTTORI

Le nuove sostanze psicoattive, come Fentanyl e affini, sono «un problema emergente ed in costante evoluzione. La Cina è uno dei principali Paesi produttori; da lì vengono spedite in Europa. Queste droghe attirano soprattutto i giovani, il costo è accessibile a tutti, una dose si compra con 10 euro. La repressione non può essere l’unica soluzione, serve il contributo di famiglia e scuola», ha detto il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero De Raho, intervenuto al workshop su Droghe sintetiche e nuove sostanze psicoattive, organizzato dal Dipartimento antidroga della presidenza del consiglio e dalla Direzione centrale antidroga del Dipartimento di pubblica sicurezza. Naturalmente, ha proseguito Cafiero De Rato, «anche la criminalità organizzata ha messo gli occhi su queste nuove sostanze che vengono vendute su piattaforme on line e sono reperibili sia sul web di superficie che sul deep web».

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Il Tottenham è l’ultima occasione di José Mourinho

Quello tra lo Special One e gli Spurs è un matrimonio disseminato di incognite. Prima fra tutte, la capacità dell’allenatore portoghese di ergersi a guru di una squadra da risollevare. Pena la condanna a un inesorabile declino.

Stavolta è davvero l’ultima chiamata. José Mourinho lo sa e dopo un anno di inattività non poteva dire no al Tottenham. Pazienza se ha dovuto tradire (ancora una volta) la fiducia e l’amore dei suoi ex tifosi. Nel 2015 disse «mai agli Spurs per rispetto del Chelsea», quattro anni dopo si dice entusiasta di poter allenare un club con la storia e la tifoseria del Tottenham. Incoerenze che sono regola nel mondo del calcio e stupiscono relativamente. Così come sorprende poco che un club in caduta libera dopo aver raggiunto l’apice della sua storia con la finale di Champions League conquistata un anno fa abbia pensato a lui. Eppure che questo matrimonio funzioni è ancora tutto da vedere.

Mourinho non allena da un anno, da quando fu esonerato dal Manchester United dopo la sonora sconfitta per 3-1 contro il Liverpool. Per molti fu il segnale del declino del tecnico portoghese, non più Special One ma normalissimo, ingrigito e intristito come la sua proposta di calcio. Mourinho ha 56 anni, ha vinto 25 trofei, è stato campione nazionale in quattro campionati diversi, ha sollevato due volte la Champions League. Ma l’ultima coppa che si è portato a casa risale al 2017, negli ultimi due anni tutto ciò che ha ottenuto è stato un secondo posto a 19 punti dal Manchester City e un esonero, ha passato gli ultimi mesi a fare l’opinionista strapagato per Bein Sports, e anche lì non è che ci abbia preso più di tanto.

NON MOLTO SPECIAL ANCHE COME COMMENTATORE

L’estate scorsa profetizzava il Tottenham tra le quattro favorite per la vittoria del titolo con Liverpool, Manchester City e Manchester City B. Le due finaliste di Champions League e la squadra che l’anno scorso ha fatto treble, non proprio il più coraggioso e audace dei pronostici. Peraltro sostanzialmente sbagliato, dal momento che il City è lontano nove punti dalla vetta e il Tottenham è 14esimo. Perlomeno Mourinho non potrà lamentarsi del valore di una squadra che lui stesso riteneva essere tra le più forti d’Inghilterra, non potrà trincerarsi dietro l’alibi di una rosa inadeguata, non potrà replicare le perplessità di Mauricio Pochettino, che già dopo la finale di Champions League persa col Liverpool si era mostrato decisamente critico con una dirigenza poco propensa a spendere sul mercato. Quest’anno il Tottenham ha investito 114 milioni per ingaggiare Ndombélé, Sessegnon, Lo Celso e Clarke, ma l’anno scorso restò completamente inattiva.

Mauricio Pochettino e José Mourinho, vecchio e nuovo allenatore del Tottenham.

Mourinho, per contro, è uno che di soldi ne ha sempre fatti spendere tanti, soprattutto nell’ultima parte della sua carriera al Manchester United. Stavolta dovrà lavorare diversamente e non è così scontato che ci riesca. L’immagine che abbiamo di lui, ormai, è quella di un uomo chiuso in se stesso e nella sua autoreferenzialità, incastratosi nell’idea di dimostrare al mondo che non è vero che si vince giocando bene al calcio, ma che giocare male, volontariamente male, è la via giusta per conquistare trofei. Più realista del re, più integralista di Pep Guardiola, il grande rivale che sembrava non voler cedere mezzo centimetro sui suoi principi calcistici, Mourinho si è fermato mentre il resto del mondo (e della Premier in primis) andava avanti. Reazionario travolto da una rivoluzione, dovrà ora dimostrare di poter cavalcare anche lui l’onda o, in alternativa, imporre la sua personalissima versione calcistica del Congresso di Vienna, una restaurazione contro tutto e contro tutti, che passi ancora una volta dai nodi fondamentali del suo calcio.

UN TEST PER IL GURU PRIMA CHE PER L’ALLENATORE

La solidità difensiva, il cinismo, l’efficacia in contropiede, la cattiveria agonistica, la provocazione in campo e fuori dal rettangolo di gioco. E poi, soprattutto, la compattezza della squadra intorno al suo unico leader. Pochettino aveva completamente perso la fiducia dei suoi giocatori, fare meglio di lui non sarà difficile. Più complesso sarà tornare a esercitare quello charme da guru che permise a Mourinho di trasformare in grande squadra il Porto, di convincere Samuel Eto’o a fare il terzino, di allontanare il Real Madrid dalla sua storia e filosofia trasformandolo in una banda di briganti brutti, sporchi e cattivi costantemente disposti al fallo sistematico e alla protesta compulsiva. Quello che bisogna capire realmente è se Mourinho abbia davvero ancora questa capacità di trascinare un gruppo. Da lì passerà la chiave del suo successo o del suo fallimento. E se non dovesse farcela stavolta, per Mou sarà difficile risollevarsi e levarsi di dosso quell’etichetta di bollito che qualcuno ha già cominciato ad appiccicargli.

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The Supreme, anche i bimbiminkia nel loro piccolo spaccano

Un linguaggio incomprensibile in un tappeto sonoro su misura. Il disco d’esordio del giovane rapper romano in 24 ore ha stracciato ogni record. Un album che è come una caramella, stordente, gommosa, acre, coloratissima, allusiva. E ci dice molto dei tempi in cui viviamo.

È difficile per chi abbia più di 16 anni capire, raccontare il successo folgorante di Tha Supreme, questo hip hopper, questo rapper classe 2001 che con un primo disco uscito da una settimana ha sbancato, anzi ha «spuaccuato», come direbbe Sfera Ebbasta.

Difficile non compiacere per il rischio di tradirsi e risultare “out of time”, obsoleto, superato: meglio fare quello mentalmente aperto, che mente a se stesso e a chi lo legge, tessere – per pararsi il culo, come stanno facendo tutti – l’elogio di un anonimo ragazzino romano, Davide Mattei, che però come pseudonimo, Tha Supreme, è già un mito e vogliono farlo passare per epocale. E qui serve un passettino indietro, piccolo perché la storia è esigua.

L’imberbe Davide si rivela, sedicenne, con un pezzo per Salmo, Perdonami, ripetuto da altri brani singoli, tutti fortunati, che via via vanno a costruire l’ossatura dell’album d’esordio, 23 6451, venti episodi, alcuni con le stelline nostrane del rap/trap/hiphop, Salmo, Mahmood, Marracash, Lazza, Nitro, Dani Faiv, Gemitaiz e Madman.

23 6451, UN DISCO D’ESORDIO DA RECORD

Il disco esce, targato Epic/Sony, e in poche ore razzola record a manetta: tutti e 20 i brani nella top 50 Italia, sette nella Top 200 global di Spotify, 13 milioni di streaming nel giro di 24 ore. Fine della storia, per ora. Ma anche inizio. Perché tutto parte da qui, e tutto da qui sarà possibile. Di fronte a questi numeri, il recensore medio si spertica nelle lodi automatiche: scampa alla tempesta di rabbia social degli adolescenti, passa nel novero di quelli che hanno capito l’incomprensibile, perché capaci di sintonizzarsi sui linguaggi delle giovani generazioni, bla, bla, bla.

È tutto un bla bla bla sapientemente decostruito, un pidgin hip hop fatto apposta per non essere capito

Ecco, il linguaggio: ingrediente primario di Tha Supreme. Perché non c’è. È tutto un bla bla bla sapientemente decostruito, un pidgin hip hop fatto apposta per non essere capito, e quindi a maggior ragione seducente: «Ciascuno ci trova quello che vuole», spiegano i recensori che hanno capito, come a dire la scomparsa del senso compiuto, universalmente accettato per comunicare. Tutto e il contrario di tutto, che è anche un bell’esercizio, volendo, di viltà: lo stesso dei politici, che si smentiscono mentre affermano.

Tranne quando Tha Supreme vuol farsi capire: allora i concetti li scandisce chiari, mitragliati, ripetuti, ma chiari e, vedi caso, sono regolarmente termini-sirene, che seducono i fanciulli: le canne, il fumo, la scuola no, «una puttana quindi figlio di puttana», il profluvio strategico di turpiloquio da scuola dell’obbligo, anzi del non obbligo, perché c’è l’espresso, irriverente invito a segarla. «MilevolacintatumifaiunbelBIP». Per fomentare, è chiaro, la ribellione alla panna che tanto funziona oggi: «coglionerottilcazzo», non manca neppure l’afflato sul qualunquista-grillesco, «politicidimmerda».

TESTI INCOMPRENSIBILI SU UN TAPPETO SONORO PERFETTAMENTE CALIBRATO

La trovata del pidgin non è nuova, molti artisti, quando compongono, lo fanno in un inglese stralunato, masticato lì per lì: poi ci metton sopra le parole dei testi. La genialata di Supreme è quella di lasciare, debitamente rifinito, la masticatura per quella che è, velocissima, trapanante. Ne esce una totale apparente mancanza di senso, una licenza dal senso che fa il paio con il suono: morbido, fruibile, perfettamente calibrato – il lavoro figura composto e prodotto dallo stesso Mattei, in realtà si deve alla Salmo Crew che sviluppa un flusso ossessivo e raffinato, bilanciando influenze americane, senza strafare, con istanze squisitamente locali.

I temi? Per quel che è dato intuire, sono i soliti: la ribellione del ghetto, le droghe, la Ferrari, monili e diademi vistosi, vita bella e sfrontata

È una inoffensività apparentemente aggressiva (7rapper ma1 è una fiondata particolarmente riuscita), di sicuro molto ben costruita: funziona bene da cellulare come da impianto stereo (e questo è aspetto da non sottovalutare assolutamente), come sottofondo come da ispirazione diretta. I temi? Per quel che è dato intuire, sono i soliti: la ribellione del ghetto, figlia dell’incomprensione, che sfocia nella passione per i piaceri facili, edonistici come le droghe, la Ferrari, monili e diademi vistosi, vita bella e sfrontata.

Musicalmente l’album è ridondante, prolisso, venti momenti, quasi tutti brevi o brevissimi, ma non c’è solo la tachicardia ritmica, ogni tanto affiorano conati melodici (Gua10; Blun7 A Swishland, che dovrebbe raccontare del desiderio di cambiare fumo), e sono i momenti in cui la capacità compositiva, sfrondata un po’ dell’ottundimento sintetico-ritmico mostra drammaticamente la corda. Altri sprazzi sono un po’ così: Parano1a K1d schiera Fabri Fibra, ma paga pesante tributo a J-Ax; M12ano, con Mara Sattei, chiarisce il gusto minorenne ai tempi di X Factor: qualcosa di troppo lontano, anche per chi sia appena uscito dalla fase puberale, per essere davvero compreso. Ma c’è perfino, nel pezzo con Salmo, Sw1n60, una sorta di strampalato swing, tanto per non farsi mancare niente: «Dellascenarapneholepallepiene, guardachegrandestocazzochemene, pensocolcazzoperchémiconviene».

UN ALBUM PIENO DI IDEE RICICLATE MA CHE RIESCE AD ANDARE OLTRE

A un disco come questo, ci si può solo girare intorno: è una caramella, stordente, gommosa, acre, coloratissima, allusiva (la copertina, che cita Dalì, è a sua volta tripudio citazionista, ovviamente adeguato ai tempi: il coniglio Bunny, carte da gioco, astronavi, finta originalità, trita e ritrita). Con gli ospiti che fanno gli ospiti, Mahmood recita Mahmood e così via. Un mondo di idee riciclate ma insospettate da chi non ha abbastanza tempo addosso da scoprire qualcosa di remoto, dunque di nuovo.

Tutto calcolato per un disco di record perfetti per un tempo quando «non fidarti di quella troia, mi toglie il follower» passa per lirica leopardiana

Cinica truffa, ma fatta come si deve. Tredici milioni di streaming in 24 ore. I beat giusti nei cervelli giusti. Spirali di fumo ovunque, come giustificazione all’apatia, all’impossibilità, perfino al vittimismo da «politici ci avete tolto i sogni ci avete rubato il futuro e noi allora ci sballiamo ci sbattiamo di canne sempre ogni traccia ogni momento come se non ci fosse un domani come se non ci fosse un’altra dieta».

Eppure in questa monotonia rap, in questa polluzione del già sentito, c’è come un punto e a capo. Come uno spingersi oltre. Come se la totale, assoluta vacanza concettuale avesse raggiunto nuove misure, travolto vecchi limiti. Come se la cura formale diventasse funzionale come mai prima. C’è un avatar di Tha Supreme, lo trovate, mastodontico pupazzo, nelle stazioni dei treni di Milano e di Roma. Tutto calcolato per un disco di record, effimeri magari, ma perfetti per un tempo quando «non fidarti di quella troia, mi toglie il follower» passa per lirica leopardiana, e per questa volta la dittatura del politicamente corretto che si fotta, anzi chesifotta, yo yo yo, raga raga raga.

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Perché la terza stagione di Mindhunter potrebbe uscire dopo il 2020

La serie Netflix ideata da David Fincher potrebbe prendersi una pausa. Parola del protagonista Groff. Il regista è infatti impegnato sul set del suo nuovo film.

Mindhunter è una serie che si prende i suoi tempi. Non solo per raccontare le ricerche degli agenti Fbi Holden Ford e Bill Tench, ma anche per la sua stessa realizzazione. Tra la prima e seconda stagione la gestazione è stata di almeno 2 anni, e adesso per la terza potrebbe passare anche più tempo.

FINCHER IMPEGNATO SUL SUO NUOVO FILM

La conferma arriva da un’intervista di Jonathan Groff, l’attore che interpreta l’agente Ford, all’Hollywood Reporter. Groff non ha fatto cenno a conferme o inizio delle riprese, ma ha spiegato che per riprendere i lavori bisognerà attendere che David Fincher, creatore della serie, finisca il suo prossimo film. Il regista di Fight Club e The Social Network, sta lavorando a Mank, un biopic su Herman J. Mankiewicz, sceneggiatore di Quarto Potere.

COSA DI DICE DI MANK

Il film, che nel cast annovera Gary Oldman, Amanda Seyfried e Lily Collins, è attualmente in lavorazione e le riprese dovrebbero terminare all’inizio del 2020, con possibile diffusione in autunno, in tempo per prendere parte alla corsa a Golden Globe e Oscar. Questo significa che difficilmente Mindhunter vedrà la luce prima del 2021, forse addirittura nel 2022.

GLI ALTRI LAVORI DI FINCHER CON NETFLIX

Su tutto questo ovviamente manca ancora il via libera di Netflix e dei produttori della serie, tra i quali Charlize Theron. Secondo John Douglas, l’autore del libro che ispirato la serie, ci sarebbero ancora molti crimini e serial killer da raccontare ed esplorare. Ma a preoccupare i fan della serie ci sono anche altri programmi di Fincher. Secondo il sito Deadline il cineasta di Denver potrebbe lavorare alla realizzazione come sceneggiatore e produttore esecutivo di una nuova serie Netflix ispirata Chinatown, film del 1974 di Roman Polanski.

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Chi era a conoscenza del «rischio crollo» del Morandi

La guardia di finanza ha sequestrato un documento del consiglio di amministrazione di Autostrade. In cui nel 2015 si parlava della possibilità di cedimento. Ed era presente un rappresentante del dicastero dei Trasporti. La ministra De Micheli: «Cose inaccettabili e incomprensibili».

Il ministero dei Trasporti (Mit) sapeva che il Ponte Morandi sarebbe potuto venire giù? È l’inquietante rivelazione emersa da un documento finora rimasto segreto e sequestrato dalla guardia di finanza nella sede di Atlantia e di Autostrade.

CONDIVISO UN «INDIRIZZO DI RISCHIO BASSO»

I vertici del dicastero delle Infrastrutture nel 2015 erano a conoscenza del rischio crollo per il viadotto di Genova teatro della tragedia del 14 agosto 2018 che ha provocato la morte di 43 persone: alle sedute del consiglio di amministrazione di Autostrade per l’Italia infatti partecipa un rappresentante del Mit, membro del Collegio sindacale. E, secondo quanto riportarto da la Repubblica, proprio questo organo con il cda condivise «l’indirizzo di rischio basso» per il Morandi. Rischio basso, non rischio zero.

AUTOSTRADE PARLA DI «MASSIMO RIGORE»

Autostrade per l’Italia ha precisato che «la società non è in alcun modo disponibile ad accettare rischi operativi sulle infrastrutture. Di conseguenza, l’indirizzo del cda alle strutture operative è di presidiare e gestire sempre tale tipologia di rischio con il massimo rigore, adottando ogni opportuna cautela preventiva».

PERICOLO CONSIDERATO SOLO TEORICO

In particolare «per quanto riguarda l’area dei rischi operativi, nella quale rientrava anche la scheda del Morandi, il cda di Autostrade ha sempre espresso l’indirizzo di mantenere la propensione di rischio al livello più basso possibile». Un rischio solo teorico, insomma.

Ho letto quello che avete letto voi, il contenuto è per me inaccettabile. Anche intellettualmente incomprensibile


La ministra De Micheli

La ministra dei Trasporti Paola De Micheli ha commentato dicendo di aver «letto quello che avete letto voi, il contenuto è per me inaccettabile. Anche intellettualmente incomprensibile». E intanto il titolo di Atlantia in Borsa ha fatto registrare perdite influenzato da questi nuovi sviluppi.

OPERA CHE «NON ERA SOTTO CONTROLLO»

I finanzieri tra l’altro hanno sequestrato altre relazioni tecniche a corredo del “catalogo del rischio“. In cui gli ingegneri esprimevano preoccupazioni: «L’opera non si riesce a tenere sotto controllo» per via dell’impossibilità di monitorare gli stralli e i cassoni del viadotto. Quel documento sul rischio crollo già nel 2015 è stato sottoposto al vaglio dei cda di Aspi e Atlantia, in concomitanza alla presentazione del progetto di retrofitting (consolidamento) delle pile 9 (quella poi crollata) e 10.

NEL 2017 SI PARLÒ DI “PERDITA DI STATICITÀ”

Nel 2017 avvennero due variazioni. La responsabilità sul Morandi passò dalle Manutenzioni dirette da Michele Donferri Mitelli alla Direzione di tronco di Genova, guidata da Stefano Marigliani (entrambi indagati). E nel catalogo del rischio non si parlava più di “crollo”, ma di “perdita di staticità”.

DI MAIO: «PARLIAMO DELLA SICUREZZA DEI CITTADINI»

Sulla vicenda è intervenuto anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio: «Quanto arriva una relazione sul rischio di crollo, parliamo della sicurezza dei cittadini italiani. E Autostrade parla di rischio teorico? Qual è il rischio pratico?». Di Maio, ospite a L’aria che tira su La7, ha detto che «negli ultimi 30 anni gruppi privati hanno avuto contratti blindati qualunque cosa accadesse alla manutenzione».

«I MORTI DEL MORANDI NON SI BARATTANO»

Poi su Alitalia: «A un certo punto si è fatta avanti Atlantia, che poi ha fatto marcia indietro. Se pensavano che entrando in Alitalia non gli avremmo tolto le concessioni autostradali si sbagliavano: i morti del ponte Morandi non si barattano con nessuno. Vinceremo la battaglia della revoca».

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La Cina “scopre” le patate: è boom di ricette

Tradizionalmente assente nella cucina tradizionale, l’ingrediente è sempre più presente nei piatti del Celeste impero.

Pur non essendo un ingrediente di base della cucina cinese, le patate si stanno tuttavia diffondendo grazie anche ai ricercatori che hanno trovato il modo di utilizzarle in oltre 300 ricette tradizionali come nel pane al vapore e i noodles. La Cina ha la più ampia superficie al mondo dedicata alla coltivazione e alla produzione di patate. Queste però non si adattano alle abitudini alimentari e ai gusti dei cinesi come ingrediente di base, dal momento che non contengono le proteine del glutine e hanno una scarsa duttilità.

LA RICERCA PER INSERIRE LE PATATE NEI PIATTI TRADIZIONALI

Ma i ricercatori dell’Institute of Food Science and Technology of the Chinese Academy of Agricultural Sciences (Caas) ritengono che siano ricche di componenti nutritivi e funzionali e che utilizzarle nei piatti di base potrebbe aiutare a migliorare la salute, oltre ad ottimizzare la struttura agricola cinese, contribuendo ad alleviare le pressioni sulle risorse e sull’ambiente, a garantire la sicurezza alimentare e a realizzare lo sviluppo sostenibile.

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La Cina “scopre” le patate: è boom di ricette

Tradizionalmente assente nella cucina tradizionale, l’ingrediente è sempre più presente nei piatti del Celeste impero.

Pur non essendo un ingrediente di base della cucina cinese, le patate si stanno tuttavia diffondendo grazie anche ai ricercatori che hanno trovato il modo di utilizzarle in oltre 300 ricette tradizionali come nel pane al vapore e i noodles. La Cina ha la più ampia superficie al mondo dedicata alla coltivazione e alla produzione di patate. Queste però non si adattano alle abitudini alimentari e ai gusti dei cinesi come ingrediente di base, dal momento che non contengono le proteine del glutine e hanno una scarsa duttilità.

LA RICERCA PER INSERIRE LE PATATE NEI PIATTI TRADIZIONALI

Ma i ricercatori dell’Institute of Food Science and Technology of the Chinese Academy of Agricultural Sciences (Caas) ritengono che siano ricche di componenti nutritivi e funzionali e che utilizzarle nei piatti di base potrebbe aiutare a migliorare la salute, oltre ad ottimizzare la struttura agricola cinese, contribuendo ad alleviare le pressioni sulle risorse e sull’ambiente, a garantire la sicurezza alimentare e a realizzare lo sviluppo sostenibile.

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L’Argentina spicca un mandato di cattura per il vescovo Zanchetta

Considerato vicino a papa Francesco, dal quale era stato richiamato a Roma nel 2017, è accusato di abusi sessuali ai danni di due seminaristi.

La magistratura di Salta, in Argentina, ha spiccato un mandato di cattura internazionale nei confronti del vescovo argentino Gustavo Zanchetta, domiciliato in Vaticano, accusato del reato di abuso sessuale semplice e continuato ai danni di due seminaristi, aggravato dal fatto di essere stato commesso da un ministro di culto.

L’APERTURA DI UN GIUDIZIO CANONICO AUTORIZZATA DAL PAPA

La pm María Soledad Filtrín ha deciso di emettere il mandato nei confronti dell’ex vescovo di Orán, considerato vicino a papa Francesco, dopo che lo stesso non ha risposto a ripetute telefonate ed e-mail inviategli al fine di procedere alla notifica degli atti processuali e dopo la sua decisione di costituire il suo domicilio nello Stato del Vaticano. Nel 2017 monsignor Zanchetta era stato richiamato a Roma dal pontefice, che ha autorizzato nel maggio di quest’anno l’apertura nei suoi confronti di un giudizio canonico.

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Considerato vicino a papa Francesco, dal quale era stato richiamato a Roma nel 2017, è accusato di abusi sessuali ai danni di due seminaristi.

La magistratura di Salta, in Argentina, ha spiccato un mandato di cattura internazionale nei confronti del vescovo argentino Gustavo Zanchetta, domiciliato in Vaticano, accusato del reato di abuso sessuale semplice e continuato ai danni di due seminaristi, aggravato dal fatto di essere stato commesso da un ministro di culto.

L’APERTURA DI UN GIUDIZIO CANONICO AUTORIZZATA DAL PAPA

La pm María Soledad Filtrín ha deciso di emettere il mandato nei confronti dell’ex vescovo di Orán, considerato vicino a papa Francesco, dopo che lo stesso non ha risposto a ripetute telefonate ed e-mail inviategli al fine di procedere alla notifica degli atti processuali e dopo la sua decisione di costituire il suo domicilio nello Stato del Vaticano. Nel 2017 monsignor Zanchetta era stato richiamato a Roma dal pontefice, che ha autorizzato nel maggio di quest’anno l’apertura nei suoi confronti di un giudizio canonico.

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Lo scontro Usa-Cina ora si sposta su Hong Kong

Dura presa di posizione di Pechino contro la risoluzione del Congresso americano sull’ex colonia britannica. «Pronti al contrattacco».

La Cina è pronta a prendere misure «per contrattaccare con vigore» in risposta al Congresso Usa che ha dato il via libera all’Hong Kong Human Rights and Democracy Act, il provvedimento a sostegno delle proteste dell’ex colonia, ora all’esame della firma di Donald Trump per la sua efficacia. «Condanniamo con forza e ci opponiamo con decisione alla approvazione di queste leggi», ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang, nel corso della conferenza stampa quotidiana.

PECHINO: «PRONTI A FORTI CONTROMISURE»

Geng ha ribadito l’invito a optare per il blocco dell’iter legislativo chiedendo a Trump di opporre il veto e di non firmare il testo varato dal Congresso, creando un caso piuttosto singolare vista la unanimità espressa dal Senato che è anche a controllo repubblicano. Il portavoce ha minacciato imprecisate «forti contromisure» se il provvedimento diventerà effettivo. «Sollecitiamo la parte Usa a capire la situazione, a fermare gli errori prima che sia troppo tardi e a evitare che questo atto diventi legge, smettendo di interferire negli affari di Hong Kong che sono questioni interne della Cina», ha detto ancora Geng. «Se gli Usa continuano ad adottare le azioni sbagliate, la Cina sarà costretta a prendere di sicuro forti contromisure», ha concluso Geng.

WANG: «CONNIVENZA COI CRIMINALI»

Il Congresso Usa, col via libera del provvedimento, «manda il segnale sbagliato di connivenza coi criminali violenti», ha rincarato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, per il quale la «sua essenza è di confondere e addirittura di distruggere Hong Kong. Questa è un’interferenza manifesta negli affari interni della Cina e un grave disservizio a comuni e fondamentali interessi di un ampio numero di compatrioti di Hong Kong».

LEGGI ANCHE: Perché Trump e il Congresso Usa non sono allineati su Hong Kong

Wang ha espresso le sue critiche durante un incontro con l’ex segretario alla Difesa americano William Cohen, ribadendo che la normativa costituisce un atto di interferenza negli affari interni della Cina. «Come possiamo parlare di democrazia? Come possiamo parlare di diritti umani quando ignoriamo i danni causati da azioni violente e illegali? La Cina si oppone fermamente a tutto questo non permetteremo mai ad alcun tentativo di minare la prosperità e la stabilità di Hong Kong, e di minacciare il sistema ‘un Paese, due sistemi’», ha concluso Wang.

COSA C’È NEL PROVVEDIMENTO

Il provvedimento mandato alla firma del presidente americano Donald Trump prevede l’approvazione di sanzioni a carico dei unzionari, di Hong Kong o cinesi, ritenuti colpevoli di abusi sui diritti e richiede la revisione annuale del riconoscimento dello status di partner speciale della città nei rapporti con gli Usa. Altre norme, invece, pribiscono l’export a favore della polizia locale di munizioni non letali o di altri sistemi antisommossa, tra lacrimogeni, spray al peperoncino, proiettili di gomma e taser.

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Dura presa di posizione di Pechino contro la risoluzione del Congresso americano sull’ex colonia britannica. «Pronti al contrattacco».

La Cina è pronta a prendere misure «per contrattaccare con vigore» in risposta al Congresso Usa che ha dato il via libera all’Hong Kong Human Rights and Democracy Act, il provvedimento a sostegno delle proteste dell’ex colonia, ora all’esame della firma di Donald Trump per la sua efficacia. «Condanniamo con forza e ci opponiamo con decisione alla approvazione di queste leggi», ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang, nel corso della conferenza stampa quotidiana.

PECHINO: «PRONTI A FORTI CONTROMISURE»

Geng ha ribadito l’invito a optare per il blocco dell’iter legislativo chiedendo a Trump di opporre il veto e di non firmare il testo varato dal Congresso, creando un caso piuttosto singolare vista la unanimità espressa dal Senato che è anche a controllo repubblicano. Il portavoce ha minacciato imprecisate «forti contromisure» se il provvedimento diventerà effettivo. «Sollecitiamo la parte Usa a capire la situazione, a fermare gli errori prima che sia troppo tardi e a evitare che questo atto diventi legge, smettendo di interferire negli affari di Hong Kong che sono questioni interne della Cina», ha detto ancora Geng. «Se gli Usa continuano ad adottare le azioni sbagliate, la Cina sarà costretta a prendere di sicuro forti contromisure», ha concluso Geng.

WANG: «CONNIVENZA COI CRIMINALI»

Il Congresso Usa, col via libera del provvedimento, «manda il segnale sbagliato di connivenza coi criminali violenti», ha rincarato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, per il quale la «sua essenza è di confondere e addirittura di distruggere Hong Kong. Questa è un’interferenza manifesta negli affari interni della Cina e un grave disservizio a comuni e fondamentali interessi di un ampio numero di compatrioti di Hong Kong».

LEGGI ANCHE: Perché Trump e il Congresso Usa non sono allineati su Hong Kong

Wang ha espresso le sue critiche durante un incontro con l’ex segretario alla Difesa americano William Cohen, ribadendo che la normativa costituisce un atto di interferenza negli affari interni della Cina. «Come possiamo parlare di democrazia? Come possiamo parlare di diritti umani quando ignoriamo i danni causati da azioni violente e illegali? La Cina si oppone fermamente a tutto questo non permetteremo mai ad alcun tentativo di minare la prosperità e la stabilità di Hong Kong, e di minacciare il sistema ‘un Paese, due sistemi’», ha concluso Wang.

COSA C’È NEL PROVVEDIMENTO

Il provvedimento mandato alla firma del presidente americano Donald Trump prevede l’approvazione di sanzioni a carico dei unzionari, di Hong Kong o cinesi, ritenuti colpevoli di abusi sui diritti e richiede la revisione annuale del riconoscimento dello status di partner speciale della città nei rapporti con gli Usa. Altre norme, invece, pribiscono l’export a favore della polizia locale di munizioni non letali o di altri sistemi antisommossa, tra lacrimogeni, spray al peperoncino, proiettili di gomma e taser.

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All’attacco del “mito” Marchionne

La causa di General Motors contro Fca, le critiche di Automotive news, le frecciate di ex collaboratori e manager del settore. Sull’ex ad italo-canadese è cominciato un revisionismo di cui beneficerà il Ceo Psa Tavares. E a pagare saranno gli stabilimenti Fiat nel nostro Paese.

A Detroit, da tempo, se l’aspettavano. La vendetta di Mary Barra nei confronti (dell’immagine, reputazione e celebrità) di Sergio Marchionne. Lo hanno confermato diversi giornalisti dell’auto americani questa settimana al Los Angeles Convention Center che ospita un deludente salone dell’auto.

Gli stessi che confessano di avere più volte sentito uscire dalla bocca del defunto amministratore delegato di Fiat Chrysler commenti pesanti sulla ceo di General Motors. Ovviamente, con successiva preghiera di non pubblicare quelle esternazioni.

Va da sé che quelle affermazioni giungevano rapidamente alle orecchie del potente capo della comunicazione di Gm, Tony Cervone, e, quindi, di Mary Barra. La quale, dal canto suo, sta attraversando un momento decisamente non facile.

ACCUSE FEROCI DI GENERAL MOTORS NEI CONFRONTI DI MARCHIONNE

Persona non grata alla Casa Bianca, in seguito alla decisione di chiudere stabilimenti negli Stati Uniti perché impropri al passaggio all’elettrico e all’ibrido e senza sostanzialmente ridurre le attività produttive in Messico e Canada e avendo sfidato il sindacato che ha reagito con 40 giorni di sciopero costati al costruttore di Detroit circa 4 miliardi dollari, Barra è un po’ sotto assedio.

Marchionne è stato responsabile dell’ideazione, esecuzione e sostegno di una attività fraudolenta

Craig Glidden, il responsabile legale di Gm

Sicché l’annuncio di General Motors di fare causa a Fca, accusandola di aver corrotto membri del sindacato Uaw (United Auto Workers), non ha colto di sorpresa rappresentando un eccellente strumento di distrazione di massa. Una legittima domanda è: l’attacco frontale e durissimo nei confronti del defunto ad di Fiat Chrysler è solo frutto della esasperazione di Mary Barra o il capo del servizio legale Craig Glidden ci ha messo del suo?

Mary Barra, ceo di General Motors (foto di Bill Pugliano/Getty Images).

Parlando con i giornalisti, Glidden non solo ha detto che «il signor Marchionne è stato una figura centrale nel complotto», ma, sferrando un uppercut degno di George E. Foreman, ha sentenziato quasi sillabando le parole: «Marchionne è stato responsabile dell’ideazione, esecuzione e sostegno di una attività fraudolenta». Con buona pace dei ripetuti richiami all’etica, morale, principi dei quali sono disseminati i discorsi pubblici di Marchionne con tanto di citazioni saccheggiate, che aveva a suo tempo fatto notare malignamente qualcuno, dalle numerose raccolte di frasi celebri.

L’EX FCA IACOBELLI GIÀ IN GALERPER CORRUZIONE

Nell’avviare la causa, Gm ha naturalmente chiamato in causa chi è già stato condannato. Tra questi, spicca l’ex capo delle relazioni sindacali di Fiat Chrysler, Alphons (Al) Iacobelli, che sta scontando una pena di cinque anni e mezzo in una prigione federale. Finora è passata la tesi che Iacobelli abbia agito in proprio e all’insaputa di Marchionne, un ceo celebre per lasciare zero spazio di manovra ai suoi sottoposti. Tra l’altro, nella causa presentata alla corte distrettuale a Detroit, Gm sostiene che sono state pagate tangenti per corrompere le trattative fra il Uaw e le case automobilistiche statunitensi tra il 2009 e il 2015.

Iacobelli, “dimesso” all’improvviso da Fca, dopo qualche mese fu arruolato da Gm per occuparsi sempre di relazioni con il sindacato

Ad aggiungere una nota di bizzarra, c’è il fatto che Iacobelli, “dimesso” all’improvviso da Fca, dopo qualche mese fu arruolato da Gm per occuparsi sempre di relazioni con il sindacato. Sarà interessante seguire come si comporterà Iacobelli alla luce delle sferzanti accuse di Gm contro Marchionne. Così come è interessante osservare la progressiva e rapida crescita delle voci che fortemente ridimensionano il fenomeno Marchionne.

L’ELENCO DEI “PASTICCI” DI MARCHIONNE DI AUTOMOTIVE NEWS

L’autorevole settimanale di Detroit Automotive News, in un recente editoriale, ha elencato alcuni dei pasticci (messes) lasciati da Marchionne: le violazioni delle emissioni già sanzionate dall’Agenzia per la Protezione Ambientale e ancora oggetto di attenzione da parte del ministero di Giustizia. Lo stesso che continua a seguire la vicenda delle vendite di auto “gonfiate” ad arte e denunciate da alcuni concessionari. Concessionari che sono esasperati perché forzati di acquistare veicoli a fronte di un mercato americano dell’auto non certamente florido.

I motori di Fca inquinano e il costruttore anglo-olandese ha dovuto acquistare da Tesla per 1,8 miliardi di euro crediti di inquinamento, al fine di evitare multe. Senza dimenticare la brutta storia di corruzione che vede protagonisti alti dirigenti e sindacalisti. Nei giorni scorsi, lo Stato della California ha annunciato che veicoli di Fca, Gm e Toyota non saranno più acquistati dagli enti pubblici dell’importante stato americano. Si tenga presente che tra il 2016 e il 2018, le flotte pubbliche californiane hanno acquistato veicoli per un valore di oltre 58 milioni di dollari. Motivo della decisione, Fca ha deciso di appoggiare la politica di Donald Trump al quale notoriamente non interessa la difesa dell’ambiente.

LA FAMA DI DIVORATORE DI MANAGER DELL’EX AD FCA

Recentemente, il sociologo Enrico Finzi, fondatore e responsabile di Sòno Human Tuning, ha così nominato Marchionne: «Lo ricordo così: umanamente sgradevole, talora sadico, sempre feroce, durissimo (e perciò ammirato dai corifei del potere), certo più capace della gran parte dei manager nostrani. Preso dal complesso di Crono, costrinse ad andarsene Luca de Meo, il suo giovane manager più brillante, prima adorato e poi ostacolato solo perché divenne geloso della crescita di notorietà dell’ex-pupillo. Così divorò altri ‘suoi‘ dirigenti, sottoponendo tutti gli altri a un super-sfruttamento feudale, di chi voleva affermarsi ogni ora del giorno e della notte come il Re Sole».

Peugeot ha comprato Fiat-Chrysler perché interessata al mercato americano. Comanderanno i francesi e gli unici a guadagnarci sono gli azionisti

L’ex top manager del gruppo Fiat, Riccardo Ruggeri, ha così liquidato la trattativa Fca-Psa: «Ma quale matrimonio con Psa? Gli Agnelli hanno venduto Fca. Smettiamola di raccontare balle. Peugeot ha comprato Fiat-Chrysler perché interessata al mercato americano. Comanderanno i francesi e gli unici a guadagnarci sono gli azionisti». E sempre a proposito della vicenda Fca-Psa, nessuno osa rispondere al seguente interrogativo: quando ci sarà da decidere la sorte, la chiusura degli stabilimenti in Italia (Pomigliano d’Arco, Termini Imerese, Melfi e chi più ne ha, più ne metta), secondo voi prevarrà la volontà e la decisione dei sei consiglieri (su 11) della corporation francese, oppure prevarrà la tesi di una società che ormai è olandese, londinese e americana?

CON LA FUSIONE FCA-PSA STABILIMENTI ITALIANI A RISCHIO

Chi può trarre beneficio da questa ondata anti-Marchionne è certamente Carlos Tavares, capo di Psa, per almeno due motivi: più si infrange l’immagine di Marchionne e meno si ricorre al paragone tra i due; un esercizio che, dicono in Psa, irrita fortemente il manager portoghese. In secondo luogo, l’attacco di Gm dovrebbe continuare a tenere sulla graticola il titolo azionario Fcau. Minore la capitalizzazione, minore il premio che dovrebbero incassare gli azionisti di Fca, in primis Exor e i 200 e passa membri del clan Agnelli, Elkann, Nasi, Camerana, ecc.

Operai Fiat davanti allo stabilimento di Pomigliano (foto di MARIO LAPORTA/AFP via Getty Images).

Chissà, forse l’articolo a firma Emmanuel Botta sul numero di questa settimana del settimanale francese L’Express sotto il titolo Fiat Chrysler: le magicien John Elkann rischia di essere uno degli ultimi pezzi che il cosiddetto “giovane” presidente di Fca e Exor può collezionare. Più la trattativa finalizzata all’acquisto di Fca (meno la piccola e tecnologicamente modesta Comau) andrà avanti e più emergeranno i problemi dell’ex casa automobilistica italiana.

Carlos Tavares si è impegnato a non toccare i marchi e i siti italiani le cui fabbriche utilizzano solo il 50% delle loro capacità. Dove troveranno i promessi risparmi per 3,7 miliardi di euro?

La già stagionata gamma di prodotti continuerà a invecchiare accentuando l’allentamento di clienti dalle concessionarie e la necessità di aumentare gli incentivi svilendo ulteriormente l’immagine e il valore dei marchi. Chrysler docet. Stando alle dichiarazioni ufficiali, Tavares avrà a disposizione 22 piattaforme, 14 marchi Fca e 54 fabbriche. Psa ha “ripulito” le sue strutture industriali. Carlos Tavares si è impegnato a non toccare i marchi e i siti italiani le cui fabbriche utilizzano solo il 50% delle loro capacità. Dove troveranno i promessi risparmi per 3,7 miliardi di euro? Quanti colletti bianchi Fca dovranno saltare?

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All’attacco del “mito” Marchionne

La causa di General Motors contro Fca, le critiche di Automotive news, le frecciate di ex collaboratori e manager del settore. Sull’ex ad italo-canadese è cominciato un revisionismo di cui beneficerà il Ceo Psa Tavares. E a pagare saranno gli stabilimenti Fiat nel nostro Paese.

A Detroit, da tempo, se l’aspettavano. La vendetta di Mary Barra nei confronti (dell’immagine, reputazione e celebrità) di Sergio Marchionne. Lo hanno confermato diversi giornalisti dell’auto americani questa settimana al Los Angeles Convention Center che ospita un deludente salone dell’auto.

Gli stessi che confessano di avere più volte sentito uscire dalla bocca del defunto amministratore delegato di Fiat Chrysler commenti pesanti sulla ceo di General Motors. Ovviamente, con successiva preghiera di non pubblicare quelle esternazioni.

Va da sé che quelle affermazioni giungevano rapidamente alle orecchie del potente capo della comunicazione di Gm, Tony Cervone, e, quindi, di Mary Barra. La quale, dal canto suo, sta attraversando un momento decisamente non facile.

ACCUSE FEROCI DI GENERAL MOTORS NEI CONFRONTI DI MARCHIONNE

Persona non grata alla Casa Bianca, in seguito alla decisione di chiudere stabilimenti negli Stati Uniti perché impropri al passaggio all’elettrico e all’ibrido e senza sostanzialmente ridurre le attività produttive in Messico e Canada e avendo sfidato il sindacato che ha reagito con 40 giorni di sciopero costati al costruttore di Detroit circa 4 miliardi dollari, Barra è un po’ sotto assedio.

Marchionne è stato responsabile dell’ideazione, esecuzione e sostegno di una attività fraudolenta

Craig Glidden, il responsabile legale di Gm

Sicché l’annuncio di General Motors di fare causa a Fca, accusandola di aver corrotto membri del sindacato Uaw (United Auto Workers), non ha colto di sorpresa rappresentando un eccellente strumento di distrazione di massa. Una legittima domanda è: l’attacco frontale e durissimo nei confronti del defunto ad di Fiat Chrysler è solo frutto della esasperazione di Mary Barra o il capo del servizio legale Craig Glidden ci ha messo del suo?

Mary Barra, ceo di General Motors (foto di Bill Pugliano/Getty Images).

Parlando con i giornalisti, Glidden non solo ha detto che «il signor Marchionne è stato una figura centrale nel complotto», ma, sferrando un uppercut degno di George E. Foreman, ha sentenziato quasi sillabando le parole: «Marchionne è stato responsabile dell’ideazione, esecuzione e sostegno di una attività fraudolenta». Con buona pace dei ripetuti richiami all’etica, morale, principi dei quali sono disseminati i discorsi pubblici di Marchionne con tanto di citazioni saccheggiate, che aveva a suo tempo fatto notare malignamente qualcuno, dalle numerose raccolte di frasi celebri.

L’EX FCA IACOBELLI GIÀ IN GALERPER CORRUZIONE

Nell’avviare la causa, Gm ha naturalmente chiamato in causa chi è già stato condannato. Tra questi, spicca l’ex capo delle relazioni sindacali di Fiat Chrysler, Alphons (Al) Iacobelli, che sta scontando una pena di cinque anni e mezzo in una prigione federale. Finora è passata la tesi che Iacobelli abbia agito in proprio e all’insaputa di Marchionne, un ceo celebre per lasciare zero spazio di manovra ai suoi sottoposti. Tra l’altro, nella causa presentata alla corte distrettuale a Detroit, Gm sostiene che sono state pagate tangenti per corrompere le trattative fra il Uaw e le case automobilistiche statunitensi tra il 2009 e il 2015.

Iacobelli, “dimesso” all’improvviso da Fca, dopo qualche mese fu arruolato da Gm per occuparsi sempre di relazioni con il sindacato

Ad aggiungere una nota di bizzarra, c’è il fatto che Iacobelli, “dimesso” all’improvviso da Fca, dopo qualche mese fu arruolato da Gm per occuparsi sempre di relazioni con il sindacato. Sarà interessante seguire come si comporterà Iacobelli alla luce delle sferzanti accuse di Gm contro Marchionne. Così come è interessante osservare la progressiva e rapida crescita delle voci che fortemente ridimensionano il fenomeno Marchionne.

L’ELENCO DEI “PASTICCI” DI MARCHIONNE DI AUTOMOTIVE NEWS

L’autorevole settimanale di Detroit Automotive News, in un recente editoriale, ha elencato alcuni dei pasticci (messes) lasciati da Marchionne: le violazioni delle emissioni già sanzionate dall’Agenzia per la Protezione Ambientale e ancora oggetto di attenzione da parte del ministero di Giustizia. Lo stesso che continua a seguire la vicenda delle vendite di auto “gonfiate” ad arte e denunciate da alcuni concessionari. Concessionari che sono esasperati perché forzati di acquistare veicoli a fronte di un mercato americano dell’auto non certamente florido.

I motori di Fca inquinano e il costruttore anglo-olandese ha dovuto acquistare da Tesla per 1,8 miliardi di euro crediti di inquinamento, al fine di evitare multe. Senza dimenticare la brutta storia di corruzione che vede protagonisti alti dirigenti e sindacalisti. Nei giorni scorsi, lo Stato della California ha annunciato che veicoli di Fca, Gm e Toyota non saranno più acquistati dagli enti pubblici dell’importante stato americano. Si tenga presente che tra il 2016 e il 2018, le flotte pubbliche californiane hanno acquistato veicoli per un valore di oltre 58 milioni di dollari. Motivo della decisione, Fca ha deciso di appoggiare la politica di Donald Trump al quale notoriamente non interessa la difesa dell’ambiente.

LA FAMA DI DIVORATORE DI MANAGER DELL’EX AD FCA

Recentemente, il sociologo Enrico Finzi, fondatore e responsabile di Sòno Human Tuning, ha così nominato Marchionne: «Lo ricordo così: umanamente sgradevole, talora sadico, sempre feroce, durissimo (e perciò ammirato dai corifei del potere), certo più capace della gran parte dei manager nostrani. Preso dal complesso di Crono, costrinse ad andarsene Luca de Meo, il suo giovane manager più brillante, prima adorato e poi ostacolato solo perché divenne geloso della crescita di notorietà dell’ex-pupillo. Così divorò altri ‘suoi‘ dirigenti, sottoponendo tutti gli altri a un super-sfruttamento feudale, di chi voleva affermarsi ogni ora del giorno e della notte come il Re Sole».

Peugeot ha comprato Fiat-Chrysler perché interessata al mercato americano. Comanderanno i francesi e gli unici a guadagnarci sono gli azionisti

L’ex top manager del gruppo Fiat, Riccardo Ruggeri, ha così liquidato la trattativa Fca-Psa: «Ma quale matrimonio con Psa? Gli Agnelli hanno venduto Fca. Smettiamola di raccontare balle. Peugeot ha comprato Fiat-Chrysler perché interessata al mercato americano. Comanderanno i francesi e gli unici a guadagnarci sono gli azionisti». E sempre a proposito della vicenda Fca-Psa, nessuno osa rispondere al seguente interrogativo: quando ci sarà da decidere la sorte, la chiusura degli stabilimenti in Italia (Pomigliano d’Arco, Termini Imerese, Melfi e chi più ne ha, più ne metta), secondo voi prevarrà la volontà e la decisione dei sei consiglieri (su 11) della corporation francese, oppure prevarrà la tesi di una società che ormai è olandese, londinese e americana?

CON LA FUSIONE FCA-PSA STABILIMENTI ITALIANI A RISCHIO

Chi può trarre beneficio da questa ondata anti-Marchionne è certamente Carlos Tavares, capo di Psa, per almeno due motivi: più si infrange l’immagine di Marchionne e meno si ricorre al paragone tra i due; un esercizio che, dicono in Psa, irrita fortemente il manager portoghese. In secondo luogo, l’attacco di Gm dovrebbe continuare a tenere sulla graticola il titolo azionario Fcau. Minore la capitalizzazione, minore il premio che dovrebbero incassare gli azionisti di Fca, in primis Exor e i 200 e passa membri del clan Agnelli, Elkann, Nasi, Camerana, ecc.

Operai Fiat davanti allo stabilimento di Pomigliano (foto di MARIO LAPORTA/AFP via Getty Images).

Chissà, forse l’articolo a firma Emmanuel Botta sul numero di questa settimana del settimanale francese L’Express sotto il titolo Fiat Chrysler: le magicien John Elkann rischia di essere uno degli ultimi pezzi che il cosiddetto “giovane” presidente di Fca e Exor può collezionare. Più la trattativa finalizzata all’acquisto di Fca (meno la piccola e tecnologicamente modesta Comau) andrà avanti e più emergeranno i problemi dell’ex casa automobilistica italiana.

Carlos Tavares si è impegnato a non toccare i marchi e i siti italiani le cui fabbriche utilizzano solo il 50% delle loro capacità. Dove troveranno i promessi risparmi per 3,7 miliardi di euro?

La già stagionata gamma di prodotti continuerà a invecchiare accentuando l’allentamento di clienti dalle concessionarie e la necessità di aumentare gli incentivi svilendo ulteriormente l’immagine e il valore dei marchi. Chrysler docet. Stando alle dichiarazioni ufficiali, Tavares avrà a disposizione 22 piattaforme, 14 marchi Fca e 54 fabbriche. Psa ha “ripulito” le sue strutture industriali. Carlos Tavares si è impegnato a non toccare i marchi e i siti italiani le cui fabbriche utilizzano solo il 50% delle loro capacità. Dove troveranno i promessi risparmi per 3,7 miliardi di euro? Quanti colletti bianchi Fca dovranno saltare?

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L’ex capo dei gip di Palermo Vincenti si è ucciso

In pensione da giugno, era indagato per corruzione e rivelazione di notizie riservate nell’ambito dell’inchiesta su Zamparini.

L’ex capo dell’ufficio del Gip di Palermo Cesare Vincenti si è suicidato lanciandosi dal balcone della sua abitazione, nella zona residenziale di via Sciuti. Vincenti e il figlio Andrea, avvocato, erano indagati dal giugno scorso dalla Procura di Caltanissetta per corruzione e rivelazione di notizie riservate nell’ambito dell’indagine sulla presunta fuga di notizie relativa all’ex patron del Palermo Maurizio Zamparini che avrebbe appreso preventivamente della pendenza di una richiesta di custodia cautelare nei suoi confronti.

LA FESTA DI COMMIATO DISERTATA DAI MAGISTRATI

Vincenti era andato in pensione il 19 giugno scorso, così come previsto da tempo. Una settimana prima l’abitazione del magistrato e l’ufficio del Gip erano stati perquisiti nell’ambito dell’indagine della Procura di Caltanissetta per violazione del segreto investigativo, sull’eventuale esistenza di una talpa negli uffici giudiziari che avrebbe avvisato l’ex presidente del Palermo calcio Zamparini di una richiesta pendente di arresto a suo carico. Circa due settimane fa, come è prassi negli uffici giudiziari, Vincenti aveva organizzato una festa di commiato per il suo pensionamento al Palazzo di Giustizia. Alla cerimonia aveva partecipato però solo il personale amministrativo del suo ufficio; l’unico magistrato presente aveva spiegato che i colleghi non avevano potuto prendere parte perchè già impegnati.

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L’ex capo dei gip di Palermo Vincenti si è ucciso

In pensione da giugno, era indagato per corruzione e rivelazione di notizie riservate nell’ambito dell’inchiesta su Zamparini.

L’ex capo dell’ufficio del Gip di Palermo Cesare Vincenti si è suicidato lanciandosi dal balcone della sua abitazione, nella zona residenziale di via Sciuti. Vincenti e il figlio Andrea, avvocato, erano indagati dal giugno scorso dalla Procura di Caltanissetta per corruzione e rivelazione di notizie riservate nell’ambito dell’indagine sulla presunta fuga di notizie relativa all’ex patron del Palermo Maurizio Zamparini che avrebbe appreso preventivamente della pendenza di una richiesta di custodia cautelare nei suoi confronti.

LA FESTA DI COMMIATO DISERTATA DAI MAGISTRATI

Vincenti era andato in pensione il 19 giugno scorso, così come previsto da tempo. Una settimana prima l’abitazione del magistrato e l’ufficio del Gip erano stati perquisiti nell’ambito dell’indagine della Procura di Caltanissetta per violazione del segreto investigativo, sull’eventuale esistenza di una talpa negli uffici giudiziari che avrebbe avvisato l’ex presidente del Palermo calcio Zamparini di una richiesta pendente di arresto a suo carico. Circa due settimane fa, come è prassi negli uffici giudiziari, Vincenti aveva organizzato una festa di commiato per il suo pensionamento al Palazzo di Giustizia. Alla cerimonia aveva partecipato però solo il personale amministrativo del suo ufficio; l’unico magistrato presente aveva spiegato che i colleghi non avevano potuto prendere parte perchè già impegnati.

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Trump ha dichiarato che pubblicherà la dichiarazione redditi prima del voto

Il tycoon ha twittato che presto, a ridosso del voto presidenziale del 2020, renderà pubblico lo stato delle sue finanze. Una risposta alla battaglia legale del procuratore di New York.

Donald Trump ha annunciato che renderà nota la dichiarazione dei redditi prima delle elezioni del 2020. «Io sono pulito e quando diffonderò (mia decisione) la mia dichiarazione dei redditi prima delle elezioni, essa dimostrerà solo una cosa, che sono molto più ricco che quello che pensa le gente», ha twittato, dopo aver criticato il tentativo del procuratore di New York di acquisire «tutte le operazioni finanziarie che ho fatto».

SITUAZIONE BLOCCATA ALLA CORTE SUPREMA

Il 18 novembre la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva temporaneamente bloccato l’invio alla Camera delle dichiarazioni dei redditi del presidente. L’Alta Corte deve decidere se occuparsi o meno del caso, dopo che l’amministrazione Trump ha presentato ricorso contro le sentenze che obbligano a presentare le dichiarazioni fiscali degli ultimi otto anni, sia personali che aziendali, alla Camera e alla procura di New York.

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La barca dei minori soli soccorsa da Open Arms

L’organizzazione non governativa ha recuperato un’imbarcazione alla deriva con 73 persone a bordo, di cui 24 ragazzini.

La barca dei ragazzini. L’organizzazione non governativa Open Arms ha fatto sapere di aver soccorso all’alba una imbarcazione alla deriva al largo della Libia, a 50 miglia a nord di Az Zawiya, con 24 minori che viaggiavano da soli. La barca trasportava 73 migranti, di cui 69 uomini, 4 donne, 2 bimbi di 4 e 3 anni e più di una ventina di ragazzi. Due volontari di Emergency, Gabriella e Ahmed, rispettivamente infermiera e mediatore culturale a bordo dell’imbarcazione dell’ong spagnola hanno confermato che i «tanti» minori «stanno viaggiando completamente soli».

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