Yuya Mika rompe il silenzio sulla violenza contro le donne in Cina

La nota make-up artist sui social ha raccontato e documentato gli abusi subiti dall’ex compagno. Diventando un esempio e un simbolo in tutto il Paese.

In Cina la conoscono tutti come Yuya Mika, in Occidente come Mona Lisa.  In realtà il suo nome è He Yuhong, ha 28 anni ed è una vera celebrità del counturing, una specie di arte del make-up. Sì, perché lei, con pochi selezionati cosmetici e una spugnetta per il trucco, si trasforma nella riproduzione fedelissima di celebri opere d’arte e vip: dalle leonardesche Monna Lisa, appunto, alla Dama con l’Ermellino, fino all’enigmatica Ragazza con l’orecchino di perla o Ava Gardner, Jean Harlow, Johnny Depp e Marlene Dietrich

YUYA È DIVENTATA UN SIMBOLO CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

Da qualche giorno però, nel suo Paese, la Cina, l’artista è diventata un simbolo, un esempio per tutte le donne maltrattate che subiscono violenza dai loro compagni, fidanzati o mariti. Seguita su TikTok da oltre 2 milioni di utenti, ha scelto il Facebook cinese Weibo per denunciare coraggiosamente e pubblicamente gli abusi subiti dell’ex-compagno, Chen Hong, un illustratore 40enne di Chongqing, anch’egli molto conosciuto in Cina. E per farlo non ha scelto un giorno qualsiasi, ma proprio la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

LA DENUNCIA VIA SOCIAL DELL’EX COMPAGNO

Sulla sua pagina social He ha postato le prove che incastrano senz’appello l’ex compagno: schermate, video registrati da telecamere di sorveglianza e addirittura le testimonianze delle due ex-mogli, che confermerebbero le violenze subite da Chen Hong. Dopo la denuncia coraggiosa di He – in un Paese come la Cina dove ancora oggi gli abusi e le violenze domestiche sulle donne vengono considerati una vergogna e non sono quasi mai denunciati – la polizia del distretto di Jiangbei, dove vivono sia lei che l’ex compagno, ha avviato un’indagine e la locale federazione femminile ha subito annunciato in un post su Weibo di essere pronta a fornirle assistenza legale gratuita. In realtà c’è preoccupazione per la sicurezza dell’artista e si temono ritorsioni, anche perché le telefonate al suo cellulare fatte da alcuni conoscenti martedì sono rimaste senza risposta. Ma Zhao Mengjiao, la sua migliore amica, ha rassicurato tutti dicendo che He si trova attualmente in un luogo sicuro e che il caso verrà gestito da un avvocato.

LE IMMAGINI DELLE AGGRESSIONI

Nei suoi post, He ha raccontato che le violenze e gli abusi sono iniziati in aprile quando Chen l’ha schiaffeggiata una dozzina di volte dopo un litigio. L’ex-compagno si è poi scusato ma la violenza è aumentata ulteriormente. In un altro caso la donna è stata trascinata fuori da un ascensore e tirata violentemente per i piedi, come documentano le riprese di sorveglianza. Chen in seguito l’ha presa per il collo e le ha sbattuto la testa contro il muro. Otto giorni dopo è stata picchiata di nuovo, con l’ex compagno che la spingeva a terra, sferrandole calci e calpestandola.

ABUSI CONFERMATE DALLE DUE EX MOGLI DELL’UOMO

Dopo la denuncia pubblica di He, anche le due ex mogli di Chen hanno deciso di uscire allo scoperto, confermando di essere state vittime di violenze. Jin Qiu, che ha divorziato dal disegnatore nel 2012, ha dichiarato in un drammatico video che l’ex marito l’ha maltrattata più volte durante il loro breve matrimonio, sbattendole violentemente la testa contro un muro. La prima ex moglie di Chen, che si è identificata solo come Abu, ha detto che gli abusi e le violenze di He rispecchiano quelli da lei subiti un decennio prima. «Ringrazio He», ha detto, «che con il suo coraggio mi ha dato la forza di denunciare. Se noi donne non lo facciamo, la stessa cosa potrebbe ripetersi molte volte. E ci saranno sempre più donne che saranno costrette a subire violenza in silenzio», ha concluso in lacrime.

IN CINA LA VIOLENZA DI GENERE È ANCORA UN TABÙ

La violenza di genere da parte di partner, mariti o compagni resta un tabù per le donne cinesi, che scontano ancora oggi una cultura fortemente improntata al maschilismo, che cerca ancora di relegarle nello spazio domestico, retaggio della visione confuciana, all’interno del quale la donna doveva restare, sottomessa e inerme ai voleri e all’arbitrio dell’uomo. La Cina si è dotata di una legislazione contro le violenze domestiche soltanto nel 2015, entrata ufficialmente in vigore nel marzo 2016, ma con caratteristiche che la rendono del tutto inadeguata e insufficiente a contrastare efficacemente quella che si profila ormai come una emergenza nazionale. La legge infatti stabilisce che l’atto di violenza domestica costituisce un’infrazione civile, non un reato. Mentre si calcola che almeno una donna su quattro sposata in Cina abbia subito violenze dal proprio partner.

UNA VITTIMA DI VIOLENZA DOMESTICA AL GIORNO

Secondo un rapporto del 2015 della Corte suprema del popolo, quasi il 10% dei casi di omicidio intenzionale riguardano episodi di violenza domestica. Ma per molto tempo i dipendenti del governo, sia avvocati sia giudici, hanno manifestato scarsa attenzione e ancor meno comprensione per la violenza contro le donne. Nel 2018, due anni dopo l’entrata in vigore della nuova legge, Equality, un’organizzazione per i diritti delle donne con sede a Pechino, ha fornito in un rapporto gli ultimi dati disponibili sui femminicidi in Cina. Si documentano 533 casi di omicidio per violenza domestica nei circa 600 giorni monitorati dallo studio, compresi tra il primo marzo 2016 e il 31 ottobre 2017, che hanno causato la morte di almeno 635 tra adulti e bambini, compresi vicini e passanti. Nel periodo in esame la media delle vittime è stata dunque di una al giorno e la grande maggioranza di esse sono donne.

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Gli odiosi pregiudizi degli italiani sulla violenza sessuale contro le donne

Il 23,9% pensa che possano essere loro a provocare lo stupro con il modo di vestire. E il 10,3% ritiene che spesso le accuse siano false. Gli stereotipi da abbattere fotografati dall’Istat.

Pregiudizi odiosi e stereotipi pericolosi, da smontare pezzo dopo pezzo. Secondo l’Istat, per il 6,2% degli italiani le “donne serie” non vengono violentate.

Il 39,3% ritiene che una donna sia in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. E il 23,9% – cioè quasi una persona su quattro – pensa che possano essere loro a provocare lo stupro con il modo di vestire, mentre il 15,1% è convinto che una donna che subisce violenza quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe sia almeno in parte responsabile.

I dati – inquietanti – sono contenuti nel report “Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale”, diffuso dall’istituto di statistica in occasione della Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne.

LEGGI ANCHE: Violenza sulle donne, quei segnali d’allarme tra gli adolescenti

Come se non bastasse, per il 10,3% della popolazione italiana spesso le accuse di violenza sessuale sono false, dato che sale al 12,7% tra gli uomini e scende al 7,9% tra le stesse donne. Il 7,2% è convinto che di fronte a una proposta sessuale le donne spesso dicono di no, ma in realtà intendono sì. Infine, l’1,9% ritiene che non si tratti di violenza se un uomo obbliga la moglie o la compagna ad avere un rapporto sessuale contro la sua volontà.

Se poi si parla di conciliazione tra lavoro e famiglia, secondo il 32% degli intervistati «per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro»; per il 31,5% «gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche»; per il 27,9% «è l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia». Mentre per l’8,8% «spetta all’uomo prendere le decisioni più importanti riguardanti la famiglia».

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Violenza sulle donne, quei segnali d’allarme tra gli adolescenti

Il 25 novembre è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Il premier Giuseppe Conte ha dichiarato: «La violenza..

Il 25 novembre è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Il premier Giuseppe Conte ha dichiarato: «La violenza contro le donne rimane un’emergenza. Lavoriamo per una svolta culturale, che parta dai giovani». Ma, al netto degli interventi (doverosi) della politica, come si può capire nel concreto se una relazione rischia di sfociare in un rapporto violento o comunque malsano? È utile, sia per i ragazzi sia per le ragazze, riconoscere alcuni segnali. Un vademecum per i più giovani, (Non) È amore se – Piccola guida per adolescenti su come dare vita a una relazione d’amore senza abusi né prevaricazioni – è scaricabile gratuitamente a questo link.

I SEGNALI PER I RAGAZZI…

Parlando dei ragazzi, gli autori spiegano: «Non è amore se, involontariamente, ti trovi spesso ad essere insensibile, irrispettoso o diffidente; se aggredisci verbalmente la tua ragazza e ti arrabbi sconsideratamente quando non sei d’accordo con lei; se ti capita di insultarla, di deriderla o di sminuire i suoi sentimenti o le cose che per lei sono importanti, se la umili su Facebook o davanti ai tuoi amici, se sei eccessivamente geloso delle sue amicizie, del tempo passato in famiglia e dei suoi spazi “senza di te”, se le imponi di non vedere i suoi amici o se glielo permetti, poi ti vendichi trattandola male o mostrando indifferenza e allontanandoti, se non ti fidi di lei e la costringi spesso a mostrarti il cellulare o il suo profilo Facebook».

…E QUELLI PER LE RAGAZZE

Nella guida si parla anche di ragazze. Spesso si tende a sminuire episodi violenti, a non ‘capirli’, a inquadrarli. Ci sono segnali per capire se la relazione sta andando nella direzione sbagliata. Ad esempio, continuano gli autori, se «il tuo partner controlla il tuo cellulare o i tuoi account aocial senza autorizzazione, tende ad umiliarti costantemente, mostra una gelosia estrema: fa scenate, urla, spacca cose o ti sequestra il cellulare e vuole sapere esattamente dove vai o con chi, ti isola dalla famiglia o dagli amici, ti accusa di cose che non hai mai fatto, ha frequenti sbalzi d’umore e ti accusa di essere la causa di ogni suo male, insiste nel voler fare sesso anche se tu non vuoi e ti aggredisce verbalmente e si arrabbia sconsideratamente se dici di no o se cambi idea dopo aver detto di sì».

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Dietro la violenza sulle donne ci sono troppe madri sbagliate

In tante famiglie l’educazione viene differenziata per genere. Lì si piantano i semi del senso di superiorità e si rafforzano i geni dell’egoismo e del senso di possesso. I Telefoni Rosa arrivano, purtroppo, quando il danno è irrimediabile.

Per tutta la giornata di venerdì e di sabato, nelle lounge di Italo di Napoli, Roma Termini e Milano Centrale, si sono alternate professioniste, attrici e volti noti a vario titolo per posare a favore di Telefono Rosa: le immagini verranno diffuse sui social il 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, per accompagnare il lancio di una campagna di raccolta fondi e sensibilizzazione che durerà tutta la settimana. Con il contributo raccolto, dice la comunicazione che sostiene l’iniziativa, «Telefono Rosa potrà dare la possibilità alle donne di poter vivere al sicuro nelle case rifugio e ai loro bambini di crescere senza violenza». Tutto corretto, giusto, condivisibile.

In queste ore, qualunque quotidiano, cartaceo o online, ha portato in prima pagina i dati più recenti disponibili sulla violenza inflitta alle donne. Tutti, segnalano un’escalation, un anno dopo l’altro, una giornata dopo l’altra (ogni 15 minuti, dicono, una donna subisce una qualche forma di violenza), e la prima domanda che ci facciamo tutti, da anni, è se questi numeri indichino davvero una tendenza in aumento, nonostante le campagne di sensibilizzazione che crescono a loro volta, o se le violenze siano state sempre le stesse negli ultimi secoli, endemiche al patriarcato (una orribile, costante percentuale di schiaffi, pugni, coltellate, bruciature, pressioni psicologiche e ricatti economici che, come abbiamo avuto spesso modo di scrivere in questo spazio, sono la prima, grande arma a cui gli uomini fanno ricorso per assoggettare le proprie vittime) e che solo oggi trovino, almeno in parte, il coraggio di venire alla luce. Ce ne è venuto, fortissimo, il dubbio, di fronte alle radiografie che Maria Grazia Vantadori, chirurga e referente Casd presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale san Carlo di Milano, ha portato in mostra per Pangea onlus come la più sconvolgente, fattuale delle denunce.

NON SI PARLI DI “AMORE MALATO”

I nastrini rosa, il simbolo della conchiglia sono infatti tutte cose bellissime, poetiche ed evocative, soprattutto se aiutano a raccogliere denaro per aiutare le case famiglia che ospitano le donne in fuga; ma essere messi di fronte ai raggi X di polsi fratturati, nasi schiacciati, di un coltello fra le vertebre dorsali, lascia intendere, senza fraintendimenti, che questi non sono casi di “amore malato”, secondo il più trito e il più sbagliato lessico a cui noi giornalisti facciamo ricorso: sono tentativi, fin troppo spesso riusciti, di omicidio. Il modo in cui si forma questo desiderio di uccidere, di fare del male, di sfogare la propria violenza, di dimostrare la propria presunta superiorità, fosse anche solo nel possesso, resta in buona parte da indagare, anche se, come abbiamo avuto sempre modo di scrivere in questo spazio, le donne stesse vi contribuiscono in maniera determinante. Ne abbiamo avuto un’ennesima prova salendo sul treno che ci portava da Roma a Firenze dopo il passaggio in saletta per testimoniare a favore di Telefono Rosa.

SE I DOVERI DELL’UNO NON SONO QUELLI DELL’ALTRO

Dietro di noi è montata in carrozza una famigliola di quattro persone, nella più classica delle composizioni: mamma, papà, bambina di circa 10 anni, ragazzino di sei, forse meno. «Vale, vatti a sedere lì», ha detto la mamma alla figlia: «E tu, dove vuoi sederti?», si è rivolta al piccolo, cambiando non solo atteggiamento, ma letteralmente tono di voce. Da autoritario si è fatto mieloso. Lui si è accomodato, comunque si chiamasse, si è accomodato senza dire una parola e senza distogliere gli occhi dallo smartphone o dal giochino elettronico che aveva fra le mani. Uno dei piccoli tanti reucci di cui è popolata la nostra penisola. Quello a cui era data facoltà di scegliere, mentre alla sorella veniva chiesto di ubbidire. Ci siamo figurate la vita quotidiana nella famigliola borghese, con “Vale” che aiuta la mamma a sparecchiare e il reuccio che fa i capricci. La sensazione di onnipotenza, e in parallelo il senso di profonda frustrazione data dai possibili, e in realtà inevitabili fallimenti, anche da un semplice no, nascono in queste famiglie, nelle tante famiglie dove l’educazione viene differenziata per genere, dove i doveri dell’uno non sono quelli dell’altro, dove si piantano i semi del senso di superiorità e si rafforzano i geni dell’egoismo e del senso di possesso. I Telefoni Rosa arrivano, purtroppo, quando il danno è irrimediabile.

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Dietro la violenza sulle donne ci sono troppe madri sbagliate

In tante famiglie l’educazione viene differenziata per genere. Lì si piantano i semi del senso di superiorità e si rafforzano i geni dell’egoismo e del senso di possesso. I Telefoni Rosa arrivano, purtroppo, quando il danno è irrimediabile.

Per tutta la giornata di venerdì e di sabato, nelle lounge di Italo di Napoli, Roma Termini e Milano Centrale, si sono alternate professioniste, attrici e volti noti a vario titolo per posare a favore di Telefono Rosa: le immagini verranno diffuse sui social il 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, per accompagnare il lancio di una campagna di raccolta fondi e sensibilizzazione che durerà tutta la settimana. Con il contributo raccolto, dice la comunicazione che sostiene l’iniziativa, «Telefono Rosa potrà dare la possibilità alle donne di poter vivere al sicuro nelle case rifugio e ai loro bambini di crescere senza violenza». Tutto corretto, giusto, condivisibile.

In queste ore, qualunque quotidiano, cartaceo o online, ha portato in prima pagina i dati più recenti disponibili sulla violenza inflitta alle donne. Tutti, segnalano un’escalation, un anno dopo l’altro, una giornata dopo l’altra (ogni 15 minuti, dicono, una donna subisce una qualche forma di violenza), e la prima domanda che ci facciamo tutti, da anni, è se questi numeri indichino davvero una tendenza in aumento, nonostante le campagne di sensibilizzazione che crescono a loro volta, o se le violenze siano state sempre le stesse negli ultimi secoli, endemiche al patriarcato (una orribile, costante percentuale di schiaffi, pugni, coltellate, bruciature, pressioni psicologiche e ricatti economici che, come abbiamo avuto spesso modo di scrivere in questo spazio, sono la prima, grande arma a cui gli uomini fanno ricorso per assoggettare le proprie vittime) e che solo oggi trovino, almeno in parte, il coraggio di venire alla luce. Ce ne è venuto, fortissimo, il dubbio, di fronte alle radiografie che Maria Grazia Vantadori, chirurga e referente Casd presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale san Carlo di Milano, ha portato in mostra per Pangea onlus come la più sconvolgente, fattuale delle denunce.

NON SI PARLI DI “AMORE MALATO”

I nastrini rosa, il simbolo della conchiglia sono infatti tutte cose bellissime, poetiche ed evocative, soprattutto se aiutano a raccogliere denaro per aiutare le case famiglia che ospitano le donne in fuga; ma essere messi di fronte ai raggi X di polsi fratturati, nasi schiacciati, di un coltello fra le vertebre dorsali, lascia intendere, senza fraintendimenti, che questi non sono casi di “amore malato”, secondo il più trito e il più sbagliato lessico a cui noi giornalisti facciamo ricorso: sono tentativi, fin troppo spesso riusciti, di omicidio. Il modo in cui si forma questo desiderio di uccidere, di fare del male, di sfogare la propria violenza, di dimostrare la propria presunta superiorità, fosse anche solo nel possesso, resta in buona parte da indagare, anche se, come abbiamo avuto sempre modo di scrivere in questo spazio, le donne stesse vi contribuiscono in maniera determinante. Ne abbiamo avuto un’ennesima prova salendo sul treno che ci portava da Roma a Firenze dopo il passaggio in saletta per testimoniare a favore di Telefono Rosa.

SE I DOVERI DELL’UNO NON SONO QUELLI DELL’ALTRO

Dietro di noi è montata in carrozza una famigliola di quattro persone, nella più classica delle composizioni: mamma, papà, bambina di circa 10 anni, ragazzino di sei, forse meno. «Vale, vatti a sedere lì», ha detto la mamma alla figlia: «E tu, dove vuoi sederti?», si è rivolta al piccolo, cambiando non solo atteggiamento, ma letteralmente tono di voce. Da autoritario si è fatto mieloso. Lui si è accomodato, comunque si chiamasse, si è accomodato senza dire una parola e senza distogliere gli occhi dallo smartphone o dal giochino elettronico che aveva fra le mani. Uno dei piccoli tanti reucci di cui è popolata la nostra penisola. Quello a cui era data facoltà di scegliere, mentre alla sorella veniva chiesto di ubbidire. Ci siamo figurate la vita quotidiana nella famigliola borghese, con “Vale” che aiuta la mamma a sparecchiare e il reuccio che fa i capricci. La sensazione di onnipotenza, e in parallelo il senso di profonda frustrazione data dai possibili, e in realtà inevitabili fallimenti, anche da un semplice no, nascono in queste famiglie, nelle tante famiglie dove l’educazione viene differenziata per genere, dove i doveri dell’uno non sono quelli dell’altro, dove si piantano i semi del senso di superiorità e si rafforzano i geni dell’egoismo e del senso di possesso. I Telefoni Rosa arrivano, purtroppo, quando il danno è irrimediabile.

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Non Una Di Meno, una «marea» contro la violenza sulle donne

Il movimento sfila a Roma. In piazza persone da tutta Italia: «Serve una rivolta permanente». Anche Boldrini in corteo. Mentre il ministro Gualtieri annuncia: «Pronti ad attivare il fondo per gli orfani di femminicidio».

Il 23 novembre migliaia di persone sono scese in piazza a Roma per alzare la voce contro la violenza sulle donne. Una «marea femminista» contro «la violenza patriarcale, economica, istituzionale», l’ha definita il movimento che ha organizzato il corteo, Non Una Di Meno. La manifestazione, a cui hanno partecipato persone da tutta Italia, ha l’obiettivo di «affermare che l’unico cambiamento possibile è a partire dalla rivolta permanente: dalle pratiche, dalle lotte, dalla solidarietà femministe». Gli ultimi numeri sulla violenza di genere parlano da soli: ogni 72 ore in Italia una donna viene uccisa da una persona di sua conoscenza, solitamente il suo partner; tre femminicidi su quattro avvengono in casa; il 63% degli stupri è commesso da un partner o ex partner.

«Purtroppo sembra un virus, una cosa terrificante che avviene e che non desta quello scandalo sociale che dovrebbe», ha detto Laura Boldrini, che ha sfilato in corteo. «Questa manifestazione, invece, vuole riportare l’attenzione su questo tema. Non solo stando accanto a tutte le donne che combattono questo fenomeno, ma anche per dire che siamo qui per chiedere protagonismo, centralità e capacità di incidere nel nostro Paese, dove ancora le donne sono sempre tenute un po’ al margine e dove devono faticare dieci volte più degli uomini per avere lo spazio che meritano. Una manifestazione contro ogni tipo di violenza sulle donne ma anche per riaffermare la centralità delle donne nella società».

NON UNA DI MENO: «SERVONO ATTI CONCRETI»

«La violenza non ha passaporto né classe sociale, ma spesso ha le chiavi di casa e si ripete nei tribunali e nelle istituzioni. Per questo il lavoro dei centri antiviolenza femministi va riconosciuto, garantito e valorizzato», ha affermato Non Una Di Meno. «Difendiamo e moltiplichiamo gli spazi femministi e transfemministi, come la casa delle donne Lucha y Siesta di Roma sotto minaccia di sgombero! L’indipendenza economica e la libertà di movimento sono le condizioni fondamentali per affrancarsi dalla violenza». Ma, ha avvertito il movimento, «servono atti concreti: un salario minimo europeo, un reddito di autodeterminazione svincolato dalla famiglia e dai documenti di soggiorno. Serve abolire i decreti sicurezza e le leggi che mantengono in condizione di ricattabilità le persone migranti, e in particolare le donne!». Il 24 novembre Non Una Di Meno si riunirà in assemblea nazionale nel quartiere San Lorenzo, per preparare lo sciopero globale femminista dell’8 marzo 2020.

I soldi non restituiscono l’affetto mancato ma con 12 milioni da lunedì finanzieremo borse di studio, spese mediche, formazione e inserimento al lavoro

Roberto Gualtieri

Nel giorno della manifestazione di Roma, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha fatto sapere che è pronto il decreto ministeriale per attivare il fondo per gli orfani di femminicidio. «I soldi», ha detto il ministro, «non restituiscono l’affetto mancato ma con 12 milioni da lunedì finanzieremo borse di studio, spese mediche, formazione e inserimento al lavoro». Misure e risorse per gli orfani di femminicidio sono state introdotte innanzitutto con la legge di bilancio per il 2018. Gli stanziamenti sono stati quindi incrementati con la legge ad hoc a tutela degli orfani per crimini domestici dell’11 gennaio 2018 e poi con la legge di bilancio per il 2019. Infine la legge ‘Codice rosso’ del 19 luglio di quest’anno ha previsto un ulteriore aumento, estendendo l’ambito di applicazione anche alle famiglie affidatarie. Oltre alle risorse già stanziate per il 2018, pari a 6,5 milioni di euro, sono stati quindi appostati in bilancio circa 12,4 milioni di euro per il 2019, 14,5 milioni di euro per il 2020 e a regime 12 milioni di euro all’anno.

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Violenza sulle donne: 88 vittime al giorno

I numeri del rapporto “Questo non è amore” della polizia di Stato. Le italiane rappresentano l’80% e nella maggiorparte dei casi gli abusi sono perpetrati da partner ed ex partner.

Sono numeri che fanno ancora rabbrividire quelli del rapporto Questo non è amore diffuso dalla polizia di Stato. Ogni giorno sono 88 le donne vittime di atti di violenza nel nostro Paese. Una ogni 15 minuti prendendo il mese di marzo 2019. Trentasei i casi di maltrattamenti, 27 di stalking, 9 le violenze sessuali e 16 le percosse.

L’80% DELLE VITTIME È ITALIANA, COME IL 74% DEI PRESUNTI AGUZZINI

L’80,2% delle vittime di violenza sono italiane così come la maggior parte dei presunti aguzzini: il 74%. Senza distinzione regionali o di censo: le percentuali sono le medesime in Piemonte e in Sicilia. Le vittime straniere rappresentano invece il 19,8%, i presunti aggressori stranieri il 26%. Nell’82% dei casi chi commette violenza su una donna ha le chiavi di casa. A rappresentare una minaccia sono ancora partner ed ex partner che mettono in atto il 60% degli atti persecutori. Nell’ultimo decennio i numeri del femminicidio non hanno subito alcuna frenata. Nel 2019, il 34% delle vittime di omicidio è donna e in sei casi su dieci l’assassino è il partner o l’ex partner.

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Violenza sulle donne: 88 vittime al giorno

I numeri del rapporto “Questo non è amore” della polizia di Stato. Le italiane rappresentano l’80% e nella maggiorparte dei casi gli abusi sono perpetrati da partner ed ex partner.

Sono numeri che fanno ancora rabbrividire quelli del rapporto Questo non è amore diffuso dalla polizia di Stato. Ogni giorno sono 88 le donne vittime di atti di violenza nel nostro Paese. Una ogni 15 minuti prendendo il mese di marzo 2019. Trentasei i casi di maltrattamenti, 27 di stalking, 9 le violenze sessuali e 16 le percosse.

L’80% DELLE VITTIME È ITALIANA, COME IL 74% DEI PRESUNTI AGUZZINI

L’80,2% delle vittime di violenza sono italiane così come la maggior parte dei presunti aguzzini: il 74%. Senza distinzione regionali o di censo: le percentuali sono le medesime in Piemonte e in Sicilia. Le vittime straniere rappresentano invece il 19,8%, i presunti aggressori stranieri il 26%. Nell’82% dei casi chi commette violenza su una donna ha le chiavi di casa. A rappresentare una minaccia sono ancora partner ed ex partner che mettono in atto il 60% degli atti persecutori. Nell’ultimo decennio i numeri del femminicidio non hanno subito alcuna frenata. Nel 2019, il 34% delle vittime di omicidio è donna e in sei casi su dieci l’assassino è il partner o l’ex partner.

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