Tutt’altro che sopiti i contrasti nella maggioranza. Il Pd accusa il M5s di aver fatto saltare l’accordo per il veto posto sul nome di Orfeo. E con Italia viva mette nel mirino anche l’ad.
Nomine rimandate, come annunciato, ma il clima attorno alla Rai resta di tensione. I contrasti nella maggioranza, all’indomani dello stop alla rosa di nomi per reti e testate che sembrava pronta a essere presentata nel Consiglio d’amministrazione del 28 novembre, sono tutt’altro che sopiti.
IL PD ACCUSA IL M5S DI AVER FATTO SALTARE L’ACCORDO
Il Pd accusa i cinque stelle, in particolare Luigi Di Maio, di aver fatto saltare l’accordo per il veto posto sul nome del candidato alla direzione del Tg3, Mario Orfeo. E ora mette nel mirino anche l’ad Fabrizio Salini, scelto proprio dagli alleati di governo. «È ormai evidente a tutti che l’azienda è bloccata, ostaggio delle incertezze del suo amministratore delegato», dice Lorenza Bonaccorsi, sottosegretaria al Mibact, da sempre attenta alle questioni Rai. «Stanno emergendo» – continua – «tutte le conseguenze dell’incapacità di prendere delle decisioni nei momenti importanti. Al momento la realtà racconta un calo di ascolti, soprattutto sulla rete ammiraglia, che è difficile nascondere. Per non dire poi dei dati impietosi resi noti dall’Agcom sul pluralismo mancato. Far trapelare, poi, da parte dell’ad, un problema di parità di genere è del tutto strumentale. Chiediamo un immediato cambio di passo, forte».
MALUMORI ANCHE DA PARTE DI ITALIA VIVA
Malumori anche in Italia viva, che chiede a Di Maio di smentire le indiscrezioni su un suo veto a Orfeo. «Se non smentisce, allora a dimettersi dovrebbe essere tutto il Consiglio d’amministrazione, compreso l’amministratore delegato Salini», afferma Michele Anzaldi. Oggi l’ad in Consiglio di amministrazione ha ribadito tutta la sua preoccupazione per il possibile taglio delle risorse alla tv pubblica, previsto in alcuni emendamenti alla Finanziaria, spiegando, come aveva fatto in Commissione di Vigilanza, che senza certezze economiche anche l’attuazione del piano industriale, comprese le nomine a direzioni e canali, verrebbe messa in discussione. Quindi niente avvicendamenti a reti e testate o nomine alle direzioni di genere. L’unica novità è l’interim a RaiDue, assunto dallo stesso ad, dopo la fine del mandato di Carlo Freccero, che è stato invitato in Consiglio d’amministrazione per i saluti e i ringraziamenti per il lavoro svolto. Di nomine si riparlerà forse il 10 dicembre, quando è in programma la prossima riunione del cda.
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Più che a testare il talento dei concorrenti, la puntata degli inediti serve a capire la loro vendibilità. Al ballottaggio torna Giordana. Davide, nonostante la trappola di un brano non memorabile, è sempre il migliore con Sofia. I voti.
Finalmente ci siamo, finalmente il gioco di X Factor entra nella sua carne viva: eccoci agli inediti, importanti non perché decisivi a stabilire la consistenza artistica degli autori e/o interpreti, ma semplicemente perché sono quelli che finiscono nelle raccolte che poi finiscono sulle piattaforme digitali che poi finiscono nei clic di chi li scarica che poi finiscono nelle tasche di chi sta all’estremo della catena alimentare.
Il business sta qui. I produttori di grido, i compositori, i demurghi del futuro prossimo delle orecchie dei consumatori giovani e giovanissimi: sta tutto qui.
D’ora in avanti, il nome che conta è quello dell’inedito, cui attaccare una faccia, un nome, un possibile vincitore.
TRA I FAVORITI EUGENIO, SOFIA E I SIERRA
E, dai resoconti del giorno dopo, ma in qualche frettoloso caso pure del giorno prima, si coglie anche il senso di una segnalazione condivisa: c’è questo Eugenio, per esempio, salutato come un nuovo De Gregori, Tenco, Bindi o De André o Dalla o Gaetano, non si capisce come, o magari si capisce benissimo; c’è la piccola Sofia, che dotata la è, ma bisognerà pure capire come plasmarla, come stravolgerla; e ci sono i Sierra, che per forza di cose passano da prossima grande cosa della trap. Così, per profezia, per discreto passaparola. Sono i nomi più martellati, quelli considerati più in grado di vendere da domani. Anche alla luce delle prime reazioni dai social.
Al più bravo in assoluto, invece, Davide Rossi, han dato un pezzullo un po’ andante, giusto per bruciarlo, nella migliore tradizione di X Factor: perché questa è anche una trappola, e soprattutto una trappola, per i più bravi, per i più meritevoli, che non necessariamente coincidono con i più spendibili. Lo stesso ballottaggio stavolta si gioca sul mercato ed è la prima volta: lo decide la suggestione di un pubblico praticamente chiamato a raccolta su Spotify, sui social, convocato per consumare. Mai vista una meritocrazia così dipendente dal successo prima ancora che sia decretato. Ma i tempi sono questi: è bello ciò che piace, subito, senza assimilazione, senza pensiero, è bello cosa colpisce, tramortisce e hai 100 ore per colpire, dopodiché sei fuori.
CHE FINE FANNO IL TALENTO E L’ORIGINALITÀ?
E si parla di artisti, e si prestano artisti-giudici che giurano di anteporre l’attimo fuggente della creazione, l’essenza, la sincerità al calcolo e alla cassetta. Diciamolo, fa un po’ schifo. Ma Sony e Fremantle puntano tutto su questo e non lo nascondono: non hanno lesinato e si attendono grandi ritorni o almeno soddisfacenti. La qualità, il talento, l’originalità? Ehi, bro, yo, fra, ma tu, che sei, venuto qua a cercare rogne? Chi credi di essere, il bell’addormentato nel talent?
IN GIURIA SAMUEL SEMPRE PIÙ SIMILE A UN UMARELL
ALESSANDRO CATTELAN: 6. Ma si possono perdere cinque minuti, un’eternità in televisione, con la gag del pronostico di Antonio Conte? E lui li perde proprio, ce la mette tutta, non sarà neanche colpa sua, ma è proprio tempo perso, senza ironia, senza sale, senza niente.
MARA MAIONCHI: 5+. Anche lei, poranonna, dice tante di quelle banalità avvolte nella stagnola dell’esperienza! Almeno nel suo caso c’è davvero, a differenza di Malika.
MALIKA AYANE: 5-. Tutto questo sfoggio di competenza, di scienza infusa, non sarà solo birignao? Perché se è così brava a capire tutto, non si spiega che le sue proposte le abbia ammazzate tutte e le resti solo Davide, che il più bravo ma pure tanto, ma tanto malgestito.
SFERA EBBASTA: 5-. «Tutto bene, raga?». E certo, raga, ‘n sai fa gnente, come direbbe Alberto Sordi, raga, e chi te la guasta, raga? Che insostenibile leggerézza, con la e aperta come una padella, mi raccomando.
SAMUEL: 5. Ma solo a me pare terribilmente invecchiato dalla prima puntata? Sembra il nonno di Mara. Abbozza qualche polemica sugli inediti: lo trattano come un Umarell. Perfino Mara, che pare sua nipote, e non ha alcun rispetto per l’understatement piemontese falso e cortese.
De Gregori e Venditti super ospiti del quinto Live (dalla pagina Fb di X Factor).
MAHMOOD DA PROMESSA AL RISCHIO CLICHÉ
MAHMOOD: 6. Un anno fa con quel canto da muezzin seduceva, ora comincia già a romper le palle. Certo, quantum mutatum ab illo: il ragazzo insicuro è svanito, appena un anno dopo c’è un professionista fin troppo consumato che rischia già di chiudersi nel suo cliché.
VENDITTI-DE GREGORI: S.V. Dite la verità: li avreste immaginati, 40 anni fa, bomba non bomba, arrivare a Monza? Il duo più spocchioso della spocchiosa scuola romana, per non dire italiana? Ma bisogna vendere, vendersi, evitiamo d’infierire: Antonello pare zio Tibia, Francesco, Kit Karson sulle montagne rocciose. Eppure, che storia sono loro: fuori categoria, in tutti i sensi. Malgrado voi.
GEMITAIZ-MADMAX: S.V. Anche questi, che storia sono. Diciamo il contrario di due artisti veri. Tu senti la poesia di Francesco, di Antonello, poi ascolti «col culo che pare un esagono» e ti vien voglia di suicidarti. Perché capisci che a vivere una vita ci hai rimesso. Però una cosa giusta la dicono, anzi la rappano: «Siamo un Paese di falliti».
I Booda hanno presentato Elefante (dalla pagina Fb di X Factor).
SI SALVANO SEMPRE E SOLO SOFIA E DAVIDE
BOODA – Elefante (Alessio Sberzella, Martina Bertini, Federica Buda, Samuel Romano, Davide Napoleone, Alessandro Bavo): 5. Come un elefante non in cristalleria ma sul palco del talent. Sembra Cristina d’Avena che fa i Puffi allo zoo sotto anfetamina. Tutta una roba strampalata, ma basta far casino, bum burubumbumbum.
Giordana canta Chasing Papaer e finisce al ballottaggio (dalla pagina Fb di X Factor).
GIORDANA PETRALIA – Chasing Paper (Sia Furler, Pineapple Lasagne, Samuel Ronald Dixon): 4. Giordana l’arpa che uccide (le palle, anzitutto), non fa prigionieri neanche senza l’arpa: all’ennesima conferma, e all’ennesimo ballottaggio, che probabilmente vincerà, diciamolo: ma perché non torna all’arpa e tace? Perché canta come una sirena portuale. La tengon su, fatica non da poco, e lei minaccia di credersi davvero una vocalist. Circonvenzione d’arpista.
I Sierra presentano Enfasi (dalla pagina Fb di X Factor).
SIERRA – Enfasi (Giacomo Ciavoni, Massimo Gaetano): 4. «Cantano la strada che si rompe sotto i piedi e ti fa cadere in motorino». Così parlò Samuel, che dev’essere caduto lui, da ragazzo. Di testa. Bòn, avranno anche «il respiro contemporaneo, la penna contemporanea», ma il dramma è proprio questo: non è un gran tempo, questo contemporaneo. «Prima o poi ritornerà/E dei graffi mi libererà». Un altra rimetta in verbo al futuro da parrocchia, ce l’abbiamo? Se questa è scrittura, Calabrese, Evangelisti, Bigazzi, Endrigo cosa sono? Ma forse l’Umarell non li conosce. Sbadiglio con enfasi: due maroni come quelli di un toro, olè.
Nicola Cavallaro presenta Like I Could (dalla pagina Fb di X Factor).
NICOLA CAVALLARO – Like I Could (Tom Walker, Jon Green, Jordan Riley): 4. Francamente, si continua a non capire cosa sia (beata Malika, che invece giura d’averlo finalmente capito). Non si capisce lui, né la canzoncina che fa schifo perché i tanto pompati Sia, Walker e compagnia bella fanno pena o almeno qui ci lasciano gli scarti; né il look, né il senso, né ‘sta voce che gorgoglia come una caffettiera, né che ci faccia qua, dopo aver fatto il marine, lo studente di Medicina e chissà diavolo che altro. Pure, va avanti.
Sofia canta la sua A Domani per sempre (dalla pagina Fb di X Factor).
SOFIA TORNAMBENE – A Domani Per Sempre (S. Tornambene, Valeria Romitelli): 7.Adolescenziale, e per forza. Una Edie Brickell, l’abbiamo detto, che fosse americana, sai quanto folk: sta invece al centro d’Italia, dove solo può aver senso un verso come «La Nazionale sembra una frontiera». Ed è un bel verso, la Nazionale essendo la Statale Adriatica che divide l’abitato dal nulla. Non siamo mica gli americani: ma va bene lo stesso, il brano (scritto a 14 anni) regge, anche se l’arrangiamento è stucchevole.
Davide Rossi canta Glum (dalla pagina Fb di X Factor).
DAVIDE ROSSI – Glum (Roberto Vernetti, Michele Clivati): 7-. «È pieno di ossimori», dice Malika, che anche lei, in un certo senso, è un ossimoro, anzi un’aporia. Il 20enne (scrissi 16enne, faccio ammenda) swinga, il brano non è granché. Robetta Anni 80. Lui è bravissimo malgrado voi, maledetti tutti.
Eugenio Campagna canta Cornflakes (dalla pagina Fb di X Factor).
EUGENIO CAMPAGNA – Cornflakes (Eugenio Campagna): 4. Faccia da Tiromancino, da Zampaglione. Più fumo che arrosto, infatti. Il fratello maggiore di Ultimo, che proprio non ci mancava. Dicono tutti: ah, vince lui. Noi ce ne catafottiamo. Dici che il voto è troppo duro? Allora pensa che questo a 28 anni canta Cornflakes, «io faccio ohi tu fai ahi», che è pure preoccupante come lirica. A 28 anni i Rolling Stones facevano Wild Horses (e Hendrix era già andato).
BALLOTTAGGIO: la solita Giordana, contro il meno “votato” da qui a martedì. Si decide giovedì prossimo…
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Ha esordito nell’ambiente hip hop nel 2006, affermandosi negli anni come uno dei rapper più talentuosi e versatili della sua generazione.
Si chiama Pierfrancesco Botrugno, ma sul palco è noto “solo” come Madman: il rapper pugliese giovedì 21 novembre sarà ospite all’XFactor Dome di Monza, insieme ai colleghi Mahmood e Gemitaiz, per esibirsi durante il quinto live del talent targato Sky. Durante questa puntata i concorrenti si sfideranno presentando al pubblico e ai giudici i propri inediti, esordendo ufficialmente nel mercato musicale.
Originario di Grottaglie in provincia di Taranto, Madman ha fatto il suo ingresso nell’ambiente hip hop nel 2006, partecipando alla competizione di freestyle Tecniche perfette in Puglia. Un anno dopo, ha esordito con l’album Riscatto mixtape, a cui sono seguiti Prequel, R.i.p. e Escape from heart.
Nel 2011 ha iniziato una collaborazione con il rapper Gemitaiz, pubblicando con l’artista romano Haterproof, Detto, fatto. e Kepler
Nel 2011 ha iniziato una collaborazione con il rapper Gemitaiz, pubblicando con l’artista romano Haterproof, Detto, fatto. e Kepler. Dal 2015 al 2018 ha pubblicato Doppelganger, MM volume 2 mixtape, Back home e MM volume 3. A partire dal 2019, ha riallacciato il sodalizio artistico con Gemitaiz, facendo uscire prima il singolo Veleno VII e poi l’album Scatola nera.
Nonostante i generi siano differenti, Madman ha detto in passato che il suo idolo in gioventù è stato Marco Masini, aggiungendo che un giorno vorrebbe cimentarsi in un duetto con lui.
LA SUA RELAZIONE CON FISHBALL SUICIDE
Pugliese d’origine ma cresciuto artisticamente nella scena musicale romana, Madman, classe 1988, ha intrapreso la sua carriera prima dell’avvento del genere trap, facendosi notare come uno dei rapper più versatili e talentuosi della sua generazione. A livello sentimentale, il musicista è stato legato dal 2015 al 2017 alla modella sarda Felisja Piana, altrimenti nota con il nome di Fishball Suicide.
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Classe 1988, ha esordito nel mondo musicale nel 2003, raggiungendo nel corso degli anni un discreto successo. Nel 2014 è stato arrestato con l’accusa di detenzione e spaccio di stupefacenti.
All’anagrafe Davide De Luca, in arte Gemitaiz. Il rapper romano giovedì 21 novembre si esibirà sul palco dell’X Factor Dome di Monza, insieme al collega MadMan e al vincitore della 69esima edizione del Festival di Sanremo, Mahmood. Durante il quinto live deltalent, gli artisti faranno compagnia ai sette concorrenti rimasti in gara, che nel corso della puntata sveleranno al pubblico i loro inediti, sancendo definitivamente il loro ingresso nel mercato musicale.
I SUCCESSI E IL PATTEGGIAMENTO PER POSSESSO DI STUPEFACENTI
Classe 1988, Gemitaiz ha esordito nel mondo musicale nel 2003, pubblicando tra il 2006 e il 2009 i suoi primi mixtape, Affare romano, Affare romano volume 2 e Affare romano zero. Nel 2011 ha iniziato un sodalizio artistico con il rapper pugliese Madman, con il quale ha prodotto Haterproof e Detto, fatto. L’anno successivo ha abbandonato la sua casa discografica, la Honiro Label, per entrare a far parte della Tanta roba, l’etichetta fondata Gué Pequeno e Dj Harsh, incidendo con questa uno dei suoi album più famosi, L’unico compromesso. Nel 2014, il rapper è stato arrestato con l’accusa di detenzione e spaccio di stupefacenti, dopo esser stato trovato in possesso, per strada, di ketamina e marijuana. Posto agli arresti domiciliari in seguito a una ulteriore perquisizione a casa sua, dove sono stati trovati un bilancino di precisone, hashish e altri stupefacenti, Gemitaiz ha patteggiato il mese successivo una condanna a un anno e 10 mesi di reclusione (pena sospesa). Nello stesso anno l’artista ha riallacciato la sua collaborazione con Madman, realizzando con lui l’album Kepler. Dal 2015 al 2018, ha pubblicato Nonostante tutto, il singolo Oro e argento e Davide. Nel 2019 ha realizzato, insieme a Madman, il suo ultimo album: Scatola nera.
UNA GRANDE ATTENZIONE PER LA PARTE MELODICA DELLE CANZONI
Artista talentuoso e di successo, Gemitaiz si è distinto dai rapper coetanei per l’attenzione alla parte melodica delle sue canzoni, mai posta in secondo piano rispetto al parlato.
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I testi del rapper, come denunciò per prima Letteradonna.it, sono un incitamento alla violenza sulle donne. Lui si difese dicendo che erano “arte”. E quando su Instagram urlava: «Femministe siete delle teste di cazzo. Siete una massa di ritardate. Scopate e badate ai vostri figli»?
A guardarlo ora per la prima volta non si direbbe. Faccia pulita, canzoni al pianoforte struggenti… Eppure è sempre lui Skioffi, diventato popolare tra giovani e giovanissimi con testi che inneggiavano allaviolenza sulle donne.
Qualche esempio? «Non parlare brutta cagna». «Tolgo il fondotinta con la forza dei miei schiaffi». «La collana che costava troppo (…) te la sto stringendo al collo». «Se fossi uno psicopatico, girerei in mutande, con una pistola davanti a qualsiasi donna». Arte, si dirà. In fondo anche Skioffi, al secolo Giorgio Iacobelli, ha il diritto di raccontare storie e di esprimere il suo pensiero.
Del resto, come si è sempre difeso, «per quale motivo un artista di fama mondiale di nome Tarantino può uccidere donne nei film, sparargli alle gambe e lasciarle per terra? Perché lui sì e io no?». Già perché Tarantino sì e Skioffi no? Tra l’altro, come sostiene il rapper, mica è un criminale, si è solo «immedesimato» in uno psicopatico. E poi ora è cambiato. Chiaro, no?
LA CANDIDATURA AD AMICI DI MARIA DE FILIPPI
Il punto è se Iacobelli abbia pure il diritto di partecipare a un talent popolare come Amici di Maria De Filippi. Il 17 novembre infatti il Nostro si è candidato per entrare nella scuola di Canale 5. Si contende l’ultimo banco rimasto con Gabriele Marcianò e il “verdetto” è stato sospeso fino a sabato 23 novembre. Sui social è scoppiata come previsto la polemica tra indignati, magnanimi pronti al perdono, e difensori del rapper e della sua arte à la Tarantino. Intanto su Real Time, il 19 novembre Skioffi ha assicurato che non scrive più cose come Sukkiamy o Non parlare brutta cagna. Si è pentito, insomma.
QUANDO SKIOFFI INVITAVA LE FEMMINISTE «A SCOPARE E BADARE AI FIGLI»
Skioffi però dovrebbe pentirsi anche delle reazioni avute quando Letteradonna.it ha denunciato per prima la violenza dei suoi testi. Il 24enne aveva pensato bene di attaccare su Instagram l’autrice dell’articolo Giulia Mengolini aizzandole contro i suoi “piccoli” fan, adolescenti che l’hanno ricoperta di insulti, offese, minacce e bestemmie. Con la discesa in campo di molte associazioni femministe, Youtube aveva impostato il limite di età alla visione dei suoi video e Skioffi, furioso perché toccato nel clic, si era sfogato sulle stories di Instagram. Un riassunto della sua posizione? «Femministe, siete delle teste di cazzo. Siete una massa di ritardate. Scopate e badate ai vostri figli». Arte anche questa? In cosa o chi si sarebbe immedesimato questa volta?
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I big in gara saranno non meno di 20 e non più di 24. I nomi verranno resi pubblici il 6 gennaio, durante la puntata speciale dei “Soliti ignoti” dedicata alla Lotteria Italia. Spunta l’ipotesi Chiara Ferragni sul palco dell’Ariston.
I big in gara al Festival di Sanremo 2020 li conosceremo ufficialmente il 6 gennaio, durante la puntata speciale dei Soliti ignoti su Rai 1 dedicata alla Lotteria Italia. Lo show sarà condotto da Amadeus, che come tutti sanno è anche il direttore artistico della 70esima edizione del Festival. Ma nelle ultime ore si sta facendo largo un’ipotesi suggestiva: accanto a lui, sul palco dell’Ariston, potrebbe esserci Chiara Ferragni.
Amadeus ha dato qualche anticipazione sul Festival che verrà durante l’incontro ‘Milano-Saremo’, che ha aperto la Milano Music Week. Il numero dei cantanti in gara, ha spiegato l’ex dj, è ancora incerto, ma «saranno non meno di 20 e non più di 24, per motivi televisivi». Gli otto artisti che si contenderanno il Sanremo Giovani si conosceranno il 19 dicembre, mentre il cast dei conduttori sarà presentato a metà gennaio, nella tradizionale conferenza stampa ufficiale del Festival.
In Rete, tuttavia, circola con insistenza un’indiscrezione. A Sanremo 2020 potrebbe approdare l‘influencer più famosa d’Italia, ovvero Chiara Ferragni. Lei stessa, intervistata dal quotidiano il Messaggero, ha in qualche modo contribuito ad alimentare queste voci. Alla domanda: «A Sanremo va oppure no?», ha infatti risposto: «Mi dicono di dire no comment su Sanremo». Una frase che – naturalmente – ha scatenato le speculazioni. Dopo l’esperienza al cinema con il documentario Chiara Ferragni Unposted, non è quindi escluso che la moglie di Fedez possa misurarsi anche con la televisione. E il debutto a Sanremo sarebbe un colpo mediatico di grande richiamo.
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Con i suoi programmi, da Canzonissima a Milleluci e Studio Uno, il grande regista scomparso ha fatto sognare generazioni di connazionali. Creando una televisione piena di talento, professionalità e pazzia che non ha lasciato eredi. Ma solo tanta nostalgia.
Ci son di quei nomi che profumano d’epoca. Racchiudono passaggi storici, società che cambiano, si divertono, passano dal Dopoguerra post rurale alla post modernità da bere e da trangugiare. Antonello Falqui è un nome così, scomparso a 94 anni.
Mina e Antonello Falqui durante la trasmissione Rai ”Milleluci”.
Un secolo lungo il suo, lunghissimo, e fecondo altrettanto. Professionalmente inaugurato con la televisione, prima ancora che la televisione fosse: ancora in fase sperimentale, ma il giovane Falqui, figlio d’un critico e scrittore, era già lì, a sperimentare, proveniente dal Centro Sperimentale di Cinematografia.
FALQUI HA ACCOMPAGNATO I NOSTRI MIGLIORI ANNI
Il nuovo, futuribile mezzo l’ha rapito dalla facoltà di Giurisprudenza, e le due vite andranno sempre insieme: è lui a inaugurarla, la tivù, col primo Arrivi e Partenzecon cui dirige un giovane occhialuto italoamericano, tale Mike Bongiorno, scoperto da Vittorio Veltroni. Da quel momento, Antonello Falqui accompagna i migliori anni della nostra vita: c’è lui dietro i programmi che diventano modi di dire che cambiano gli italiani, Musichiere, Canzonissima, Studio Uno, i cicli degli Stasera: Stasera Rita (Pavone), Stasera Patty Pravo, Gianni Morandi, eccetera.
Lo staff della prima edizione del Musichiere: da sinistra Patrizia Della Rovere, Garinei, Antonello Falqui, Giovannini, Patrizia De Blanck e Mario Riva (LaPresse).
Sono gli anni della grande televisione in bianco e nero, tra i Sessanta e i Settanta, «quando», per scippare le parole a Giorgio Gaber, «si faceva un tipo di televisione sontuosa, meravigliosa, attenta a ogni dettaglio e oggi quella televisione lì non si fa più».
UNA VITA GRANDE, DIVERTENTE E DIVERTITA
Falqui prosegue, Sai che ti dico?, con gli irresistibili Sandra e Raimondo,Milleluci (ah, quella Carrà e quella Mina insieme!), Dove sta Zazà e Mazzabubù entrambe con l’immensa Gabriella Ferri, il ciclo di Bambole, non c’è una lira, in sei puntate, tratto dalla commedia teatrale, e avanti ancora dentro gli Anni 80 e 90.
Antonello Falqui con Mina nel 1961 (foto LaPresse).
Quando Falqui, ormai assurto al ruolo di storico, memoria vivente del mezzo televisivo, giustamente si riposa. Mai del tutto, quelli così hanno sempre una scintilla da scoccare, fino alla fine. Il suo congedo testimonia di una vita grande, divertente e divertita: «Sono partito per un lungo lungo lungo viaggio, potete venire a salutarmi lunedì 18 novembre alle 11 alla chiesa di Sant’Eugenio a viale Belle Arti a Roma». Parole che qualcuno ha messo sui social.
Sono partito per un Lungo Lungo Lungo Viaggio……potete venire a salutarmi LUNEDI 18 NOVEMBRE alle ore 11 alla…
Dalla televisione che non c’era alla post televisione di internet, del tablet. Parole di un uomo sereno, consapevole di essere stato una compagnia di vita per i suoi connazionali: arrivava il sabato sera e la schedina era un rito e il giro delle botteghe liturgia, e dopo le serrande si calavano, una per una, cadeva un dolce silenzio sulla città sconcertata e ci si tappava in casa e arrivava la trasmissione che ci divertiva, ci intontiva, il lunedì a scuola ne avremmo replicato tutte le battute. Un’Italia più ingenua, che si vedeva apparecchiare scenette e balletti da gente come Antonello Falqui, Gino Landi, Mario Landi, Romolo Siena, fiato alle trombe Turchetti! Un video immaginario: le facce stravolte, indimenticabili di Walter Chiari, Paolo Panelli e Bice Valori, Alberto Sordi, Franca Valeri, le gemelle Kessler, «la notte è piccola per noi, troppo piccolina», e cento altri in un‘Italia sfocata, scintillante, eccitata, crudele, bugiarda e sentimentale che si perdeva in vapori d’etere e di misteri, segreti che avremmo saputo tardi o forse mai.
SPETTACOLI RIMASTI NELLA NOSTRA MEMORIA GENETICA
Antonello Falqui era uno dei demiurghi. Ci ha reso più sopportabile la difficile transizione democratica, ha aiutato tre o quattro generazioni a crescere senza prendersi troppo sul serio, magari inseguito dai rimbrotti di una classe intellettuale che ci vedeva ottundimento, manipolazione delle masse: ma che si doveva fare con quel popolo ancora acerbo, che si riuniva in 50 in un bar davanti a una scatola magica? Le cose hanno bisogno di tempo. I mutamenti hanno bisogno di tempo. Quegli spettacoli, tra il geniale e lo sciocchino, però sono rimasti e non solo nella nostra memoria genetica: non è venuto niente di meglio a sbiadirli.
UNA TIVÙ DI PAZZI PIENI DI TALENTO
«Quella televisione lì oggi non si fa più». Perché era un’epoca di pazzi, ma veri. Tognazzi e Vianello anche loro praticamente inaugurano la televisione italiana, Un due tre e siamo nel 1954, bavagli vaticani e democristiani a piovere. Eppure, già parodie carogna, magliaie, ciclisti, mondine, tronci della Val Camonica, chissà come fanno a farle passare.
Antonello Falqui riceve il premio Via Condotti nel 2004 (LaPresse).
Nel 1959, il Presidente Giovanni Gronchi nel palco reale della Scala casca dalla sedia e, inesorabile, pochi giorni dopo, Ugo rifà la scena con il finto candido Raimondo che lo apostrofa: «Ma chi ti credi di essere?». Il programma finisce lì, in quel momento.
Quando i due tornano in camerino, ci trovano già le lettere di siluramento. Li tengono in ghiacciaia un anno e mezzo, poi li richiamano: «Abbiamo deciso di perdonarvi, avete qualcosa di nuovo per la televisione?». Pronti, Tognazzi e Vianello rispondono: «Sì, ci sarebbe una cosettina sul papa» che è il bergamasco Angelo Roncalli, e a Bergamo, lo sanno tutti, si smoccola che è un piacere e Ugo, spietato: «Mi sun de Bèrghem, porco…». Fuori! Pazzi completi, incontrollabili, meravigliosi. Mica solo loro. Guardali nel video immaginario, quelle facce parlano. E quelli come Antonello Falqui a dover contenere, dirigere, organizzare una banda di scatenati senza ritegno e con troppo talento. O ci crepi, o ti diverti una vita. Per questo un 94enne artista degli artisti può congedarsi dal mondo con tanta garbata serenità. Come chi sa che aveva una missione da compiere nella vita, e l’ha compiuta.
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Il grande regista è scomparso a 94 anni. In Rai dal 1952, firmò programmi culto come StudioUno, Il Musichiere e Canzonissima.
Studio Uno, il Musichiere, Canzonissima, Milleluci. In una parola la storia della televisione italiana. La Rai di Mina, Walter Chiari, di Paolo Panelli e Bice Valori, di Franca Valeri e delle gemelle Kessler. Artisti e programmi che hanno segnato un’epoca e che portavano tutti la sua firma. Antonello Falqui se ne è andato a 94 anni nella notte tra il 15 e il 16 novembre, con la stessa leggerezza e ironia con cui aveva vissuto e aveva fatto vivere generazioni di italiani. La notizia della scomparsa del regista padre del varietà all’italiana ha fatto il giro del web nel modo più singolare: «Sono partito per un lungo lungo lungo viaggio», recita il post apparso sul profilo Facebook, «potete venire a salutarmi lunedì 18 novembre alle 11 alla chiesa di Sant’Eugenio a viale Belle Arti a Roma».
Sono partito per un Lungo Lungo Lungo Viaggio……potete venire a salutarmi LUNEDI 18 NOVEMBRE alle ore 11 alla…
In Rai Falqui aveva cominciato a lavorare dal 1952, pioniere di un mondo allora ancora tutto da inventare. Nato a Roma il 6 novembre 1925, figlio del critico e scrittore Enrico Falqui, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza, che lasciò prima della laurea affascinato dal mondo del cinema. Dal 1947 al 1949 frequentò il corso di regia del Centro Sperimentale di Cinematografia. Cominciò la carriera nel mondo dello spettacolo nel 1950 come aiuto regista di Curzio Malaparte nel film Cristo proibito. Due anni dopo l’arrivo in Viale Mazzini, lavorando inizialmente nella sede di Milano.
LA TIVÙ CHE FACEVA SOGNARE L’ITALIA
Era l’alba della televisione: le prime trasmissioni, infatti, vennero inaugurate il 3 gennaio 1954. Si occupò prim dei documentari, ma la celebrità arrivò con i varietà amatissimi dal grande pubblico, che all’epoca si riuniva nelle poche abitazioni o locali pubblici dotati di un televisore per guardare i programmi. Prima il Musichiere condotto da Mario Riva, in onda dal 1957 al 1960. Poi quattro edizioni di Canzonissima (1958, 1959, 1968, 1969), altrettante di Studio Uno (1961, 1962-63, 1965 e 1966), forse il più famoso e celebrato, e Milleluci (1974). Antonello Falqui aveva compiuto lo scorso 6 novembre 94 anni, e il giorno dopo si rammaricava sui social per non aver potuto festeggiare il compleanno in compagnia dei molti suoi amici, dando loro appuntamento per il 2020. Il post successivo è quello che annuncia la sua scomparsa, il suo «lungo viaggio».
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Non c’è niente da fare: sono loro due i veri talenti di questa edizione. Nonostante tutor incapaci che in alcuni casi arrivano persino a sabotarli. Le pagelle.
A X Factor c’è chi fa la maglia. Lo fa vedere Cattelan in persona e, più che di ironia, sa tanto di mettere le mani avanti. Sferruzzando sferruzzando, comunque, si consuma la matassa che porta alla finale ormai tra un mese: proprio così, aspettando Godot XF si consuma nell’attesa di qualcosa che non viene. Perché non c’è. La gioventù degli aspiranti ha bisogno di esempi, e XF questa volta apre con Gianna Nannini, in magico collegamento, vedi un po’, da Berlino: sembra proprio lì, la fanno duettare virtualmente coi concorrenti. Ma che distanza! Non continenti ma mondi diversi.
GIANNA NANNINI, UNA VERA RAGAZZA DELL’EUROPA
Gianna porta addosso, sul completo giallo, tutta la sua età, una storia cominciata quando i dischi si facevano in tutt’altro modo e così gli artisti e così il successo, che giungeva costruito con orgoglio, ostinazione, presunzione nel proprio talento.
Gianna Nannini super ospite in ologramma (da Facebook).
Nannini, di cui parliamo diffusamente altrove, presenta il nuovo singolo che introduce il nuovo album e lo fa con l’energia stropicciata e maramalda di sempre: ancora non ha smesso di crederci e “la differenza” la fa eccome, particolarmente in questa serata (7). Perché quella cosa, quel Godot che a XF non viene, o ce l’hai o è meglio andare a pescare, come dice Keith Richards. Prendessero nota i ragazzi del talent, per quel che potrà servire. Gianna è una ragazza dell’Europa di 60 anni, ma il futuro di domani, di questa sera, cosa porta? Davide e Sofia dimostrano ogni settimana di avere quel qualcosa, le carte in regola: ai tempi, li avrebbero costruiti come artisti, oggi un talent li lancia o li brucia? Li fa volare una sola stagione e poi li consegna a un repertorio infame? E la risposta, credeteci, mette i brividi.
IN GIURIA SI SALVA GIUSTO MARA
ALESSANDRO CATTELAN: 6. Lui è facile da “votare”: è un regolarista, non rischia, non sbraca, non crea, non distrugge, non è simpatico, non è antipatico, non è cattivo, non è buono. Oggi solo questo possiamo dirti, quel che non sei, quel che non vuoi. Chissà chissà chi sei, Cattelan, chissà che sarai, chissà che sarà di te. E di noi, che ti subiamo.
MARA MAIONCHI: 6-. Lei invece si fa complicata da soppesare, perché ormai è larger than talent. Intanto, vecchia volpona truccata da rezdora, si trascina i suoi Nicola, i suoi Eugenio, come le catene di Jackob Marley.
MALIKA AYANE: 4. Ecco, lei sì che è cresciuta lungo la strada di XF. Cresciuta nel birignao, nel modo di ciacolare affettato e peraltro incomprensibile: ma parlet cume te manget, no con quel cicaleccio all’insù, dai, che non hai fatto niente in carriera. Ha bruciato tutti i suoi, le rimane Davide che è obiettivamente inaffondabile, ma lei è un disastro, una carie, anche se fa la pubblicità dell’igiene orale, uau, hey.
SFERA EBBASTA: 4. Ciao raga, come state, hai spuaccuato, mi sei piaciuto, cioè che siete bravi lo sapete. Difficile, anche questo, da giudicare. Impossibile. Inutile. È molto affezionato alle sue idee, forse perché ne ha così poche, e le ripete immutabili, a tutti, tutte le volte. Tipo un fissato.
SAMUEL: 4. Il nostro Monsù Travet, col suo ragionieristico piglio, perde finalmente qualcosa, i noiosi sopravvalutati Seawards, e sarebbe forse il più complicato da valutare: quindi la finiamo qui ebbasta, anche perché, yahwn. Viene un tal botta di sonno, yahwn, che le dita cascano sulla tastiera e non riusciamo più a scr….
MABEL: 5. Figlia di Neneh Cherry, e di conseguenza nipote (adottiva) di Don: la classe non è acqua, buon sangue non mente? Certo, però la canzoncina che roba da far cascare le palle e tutto, anche perché dappertutto rimbalza. Una domanda, ma è solo stratruccata o è già sfatta e rifatta alla sua età? Perché mette un po’ terrore, eh.
DAVIDE E SOFIA: GLI INAFFONDABILI
DAVIDE ROSSI (Don’t stop me now, Queen): 8 ½. Ricordare sempre che 16 anni ha, questo. E Freddie Mercury nelle corde vocali. Dico Freddie: che gli vuoi dire? Come talento, qui è il più puro – e versatile, anche. Mara non capisce dove vada a parare, per la semplice ragione che è vecchia. E sì che dovrebbe saperlo, che andrà a parare dove un vero mentore, mica la Ayane, lo porta. Speriamo bene, perché rovinarlo sarebbe un crimine.
GIORDANA PETRALIA (Highest in the room, Travis Scott): 5. Se le danno un pezzo uscito da una settimana, c’è puzza di sinergie, insomma di manfrine pubblicitarie; se la spingono avanti, (s)ballottaggio dopo sballottaggio, è perché deve arrivare a presentare un inedito di Sia, e siamo sempre lì: girala come vuoi, ma questa piagnona di formidabile ha solo le spinte. Fossi uno degli altri, m’incazzerei di brutto, ma chi vuoi che osi ammetterlo? Ma una che al talent vive di autotune, che roba è?
I Sierra ripropongono i RHCP (da Facebook).
SIERRA (Snow -Hey on Red Hot Chili Peppers): 3. Trapper che canta ha fatto l’uovo. Per la carbonara, così rimpianta da che non stanno a Roma, Monte Sacro. Uomini duri. Anche noi dobbiamo essere duri per reggere la loro rottura di palle, tanto più patetica in quanto infantile riscrittura dei Red Hot. Piccola roba da talent. «Non serve combattere». Infatti, meglio farsi di schiuma, che con gli sponsor giusti magari ti dice bene e diventi i nuovi Fedez e J-Ax. Madò, che raccomandatoni, anche questi.
NICOLA CAVALLARO (90min, Salmo): 5/6. Io un parà con le unghie smaltate mica l’avevo mai visto. Ma, soprattutto, non ne avevo mai visto uno struggersi tanto con la fidanza via Skype, manco fosse in Afghanistan. Invece sta a Monza. De ceteribus, se invece che alle follie di Mara si desse, che so, al grindcore, con quella grattugia che sforza in gola, forse troverebbe infine la sua strada.
Nicola Cavallaro canta 90 min di Salmo (da Facebook).
EUGENIO CAMPAGNA (Delicate, Damien Rice): 5-. Che non si può più nominare col nome d’arte forse perché è lo stesso di uno sponsor di peso del programma. «Troppo bravo» dice Mara, la quale, non dimentichiamolo mai, ha scoperto Tiziano Ferro, punto esclamativo. Se lo dice lei.
BOODA (M.I.L.F. $, Fergie): 5 ½. Sai chi mi ricordano? Sai er sor Mario Brega padre di “Ruggiero” in Un sacco forte? «Ah Ruggiè: com’è che facevi co’ ‘sta bbatteria?». E giù un bombardamento a tappeto che i trashmetallari se lo sognano. «Ah papà, e bbasta, sempre co’ ‘sta violenza, e che ppalle!».
I Booda (da Facebook).
SEAWARDS (Feel, inedito): 4. Sarà anche colpa del rag. Samuel che gli fa su un arrangiamento esangue ma questi due son proprio sciapi insipidi desalati anodini surgelati: loro e la loro canzoncina. Escono, infine, allo sballottaggio con Giordana l’arpa che uccide, effettivamente più tonica.
L’esibiziomne di Sofia Tornambene (da Facebook).
SOFIA TORNAMBENE (Papaoutai, Stromae): 7 ½. Mostrificarla come una maschera di morte da cabaret di Raimondo Vianello è roba implausibile e non ci credo manco se mi ammazzano che è farina del sacco vuoto di Sfera. Ma questa bambina d’oro salva sempre tutto, ribalta una potenziale sciagura in chiave elettropoo/world in qualcosa di fresco e intrigante. Mille volte lo abbiam detto, ha un talento naturale nell’entrare in ogni pezzo. Il voto, alto, si spiega in questo senso.
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Si chiamano Massimo e Giacomo e fanno musica insieme dal 2012. Nel loro bagaglio musicale non ci sono solo rapper ma anche i grandi cantautori italiani. Il profilo.
Si chiamano Giacomo e Massimo, ma sul palco sono “solo” i Sierra, duo di rapper romani che sta conquistando X Factor 2019. Sotto la guida di Samuel, stanno procedendo verso la puntata di giovedì 21 novembre, quando avranno la possibilità di far sentire al pubblico il loro inedito.
Giacomo e Massimo hanno entrambi 26 anni e vivono a Roma con le loro famiglie. Giacomo è figlio di un tastierista e coltiva la passione per la musica sin da ragazzino. Massimo, invece, ha genitori medici che, nonostante il supporto, vorrebbero per lui una strada diversa da quella imboccata. La loro avventura è cominciata nel 2012 quando un produttore ha puntato su di loro. Il progetto però è andato in fumo qualche anno dopo.
Nonostante questo, i due non hanno mollato: prima hanno cominciato a registrare i pezzi in autonomia, usando la cabina armadio di un amico comune come sala di registrazione. E ora, a distanza di qualche anno, sono riusciti ad aprire uno studio di produzione grafica e musicale per fare sul serio.
Nel loro bagaglio musicale ci sono infatti anche i mostri sacri del cantautorato italiano, come Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Lucio Battisti e Antonello Venditti, oltre che il rapper genovese Tedua e il cuneese Izi.
Giacomo e Massimo, nonostante la complicità nella scrittura e il feeling sul palco, sono ragazzi molto diversi. Il primo si definisce estroverso, il secondo invece è più riservato e introverso. Li accomuna però una grande passione per la musica e la voglia di sfondare in questo settore.
Finora a X Factor i Sierra con il loro sono stile stati apprezzati da giudici e pubblico. Un po’ come Anastasio, che con il suo rap aveva portato una ventata d’aria fresca riuscendo a vincere l’edizione del 2018. Porterà fortuna?
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Il giornalista racconta da 40 anni l’ambiente del cinema, dell’arte e della televisione. E il Parkinson e la cecità non gli impediscono di continuare.
Da anni Vincenzo Mollica racconta il mondo dello spettacolo, dell’arte e della canzone d’autore. Un talento che lo storico giornalista modenese (classe 1953) ha cominciato a sviluppare nel 1980. È quello l’anno in cui è entrato in Rai, entrando a far parte della redazione del Tg 1 e cominciando a realizzare i suoi primi lavori sui più importanti personaggi del cinema e della musica. Il suo sguardo sul mondo dello spettacolo si è fatto talmente prezioso che, nel 1995, sul numero del Topolino 2074, è stata pubblicata la storia Paperino Oscar per i cento anni, dove fa la sua comparsa il personaggio di Vincenzo Paperica, un giornalista che lo ricorda in tutto e per tutto.
«Le mani che tremano? Quello è il morbo di Parkinson. Non mi faccio mancare nulla. Ho anche il diabete. Sono un abile orchestratore di medicinali». Con queste parole il celebre inviato del Tg 1 appassionato da sempre di spettacolo e fumetti, nel febbraio del 2019, aveva dichiarato la sua malattia al Corriere della Sera. Il limite fisico che lo attanaglia, tuttavia, non ha fermato la dinamicità del suo spirito, come dimostra la sua attuale collaborazione televisiva accanto a Fiorello. L’approccio positivo che rivolge al mondo ha caratterizzato tutta la sua carriera di critico d’arte. Si è infatti sempre contraddistinto per la sua estrema bontà d’opinione. Tanto che il collega Aldo Grasso ha coniato per lui il termine “Mollichismo“. Un concetto con cui ci si riferisce alla sua tendenza a «parlare sempre bene di tutti»
MOLLICA SI FA PUPAZZO E AFFIANCA FIORELLO SU VIVA RAIPLAY!
Voce sferzante e ironia dissacrante. È nei panni di un pupazzo che il conduttore televisivo di 66 anni, dall’alto di un palchetto in studio, ha interagito durante il varietà Viva RaiPlay!, in cui Mollica affianca Fiorello E, nel corso delle puntate, quando lo showman catanese chiede un Mollica in versione pupazzo risponde. E lo fa con sarcasmo, utilizzando un linguaggio sfacciatamente giovanile. «Bella Fiorello, me la sto sciallando di brutto» ha risposto durante la prima puntata allo showman catanese che gli ha chiesto come stesse. La voce che per anni si è prestata ad approfondire lo spettacolo nella rubrica DoReCiakGulp del Tg 1 ha regalato al pubblico di Viva RaiPlay perle sulla musica trap e sulla sua sensazione di “sciabbarabba“
IL CRITICO DEL TG 1 CONVIVE DA SEMPRE CON LA CECITÀ
Mollica ha imparato a convivere fin dall’infanzia con una salute cagionevole. A sette anni, durante una visita oculistica in Calabria, gli è stata infatti diagnosticata all’occhio sinistro un’uveite (infiammazione di una membrana tra la cornea e la sclera). Sempre nell’intervista al Corriere, ha raccontato che dopo aver scoperto la diagnosi si impegnò a memorizzare tutti i dettagli del mondo che lo circondava, per ricordarsene «quando sarebbero calate le tenebre». Adesso, invece, un glaucoma gli ha rovinato quasi il 100% del nervo ottico dell’occhio destro. Mollica è rimasto quasi cieco, ma il buio sulla sua curiosità sembra non voler scendere mai.
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Collabora con Fiorello dal 2017, ma la sua carriera è iniziata molto prima con il gruppo musicale Two Fingerz. È autore di brani di brani molto popolari, come Andiamo a comandare e “Tutto molto interessante”, entrambi cantati da Fabio Rovazzi. Ha un passato come parrucchiere.
C’è anche il rapper e cantautore Danti nel cast di Viva Raiplay, il nuovo programma condotto da Rosario Fiorello in onda a partire dal 4 novembre 2019 sulla rinnovata piattaforma Rai. L’ex voce dei Two Fingerz prende parte allo show insieme ai ballerini del gruppo Urban Theory, al trio di cantanti e intrattenitori Gemelli di Guidonia, al maestro Enrico Cremonesi e al giornalista e scrittoreVincenzo Mollica.
La collaborazione di Danti, pseudonimo di Daniele Lazzarin, con il comico siciliano è cominciata nel 2017: a partire da quell’anno egli è infatti entrato del cast di Fiorello, partecipando al programma televisivo Edicola Fiore su Sky Uno (in replica su Tv8) e successivamente a Il Rosario della sera, trasmissione radiofonica di Radio Deejay andata in onda nel 2018 e nel 2019. La carriera del cantante è però cominciata molto tempo prima del fortunato incontro con lo showman catanese. Classe 1981, Danti è nato a Desio, un comune nella provincia di Monza e Brianza. Sin da bambino ha sviluppato un forte amore per la musica, che lo ha portato, ad appena 17 anni, ad aprire il suo primo studio di registrazione. Nel 2003 ha fondato, insieme al suo amico Riccardo Garifo, anche noto come Roofio, il gruppo Two Fingerz. Tre anni più tardi il duo ha inciso il primoalbum, Downtown, imboccando la via del successo. Successivamente, Danti e Roofio hanno condotto i programmi televisivi Made in Italy – Two fingerz (2011) e il Two fingerz show(2012) sul canale Hip hop tv di Sky. L’ultimo album del gruppo, La tecnica Bukowski, risale al 2015 e vede collaborazioni con personaggi di primo piano della scena musicale italiana, come J-Ax, Lorenzo Fragola, MadMan e Vacca. La carriera di Danti da solista è invece cominciata nel 2017: di lì in poi il cantante ha collaborato come autore per brani come Andiamo a comandare, Tutto molto interessante e Volare, realizzati insieme a Gianni Morandi e Fabio Rovazzi.
Anche dopo aver raggiunto un discreto successo come artista, Danti ha continuato a lavorare come parrucchiere, il mestiere iniziato a 20 anni. Nel 2014 il cantante ha infatti detto a Repubblica di trovare ispirazione per le rime direttamente dai suoi clienti, definendo questa esperienza come «un bagno nella vita che mi da spunti per creare musica». Il suo periodo come parrucchiere si è, tuttavia, concluso dopo la firma del contratto con la casa discografica Sony Atv. Successivamente, il rapper ha raccontato al magazine Dj mag Italia di avere una certa nostalgia per quel rapporto con le persone lasciato nel suo salone: «Certo, mi manca il rapporto con certe persone. A volte la cosa era imbarazzante, quando ti entravano mamme coi bambini a chiedere autografi e farsi un taglio all’ultimo grido. La situazione però è cambiata».
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Sono Pacifico, Eduardo e Gino, tre fratelli legati dalla passione per la comicità e per la musica. Hanno cominciato con le prime prove tra le mura di casa. E oggi si esibiscono accanto a Fiorello.
Fiorelloè tornato sugli schermi della Rai con Viva RaiPlay!, il varietà che ha preso il via il 4 novembre 2019. E non è da solo sul palcoscenico: ci sono diversi volti celebri, tra cui i ballerini del gruppo Urban Theory, il maestro Enrico Cremonesi, il giornalista Vincenzo Mollica (in versione pupazzo) e il rapper Danti (al secolo Daniele Lazzarin). Non mancano poi, con il loro carico di comicità e musica, tre fratelli canterini. O meglio, come li ha ribattezzati lo stesso showman catanese, i Gemelli di Guidonia.
Sul palco di Tú sí que Vales, nel novembre del 2017, si esibirono con il nome Gemelli di Guidonia. Ma l’appellativo potrebbe essere fuorviante. Perché, in realtà, le tre ugole d’oro sono “soltanto” fratelli. Si chiamano Pacifico, Gino ed Eduardo Acciarino. Il talento che li ha fatti brillare? Fare loro i testi di canzoni celebri e riproporli in chiave ironica. Durante quella puntata si esibirono proponendo rivisitazioni dei Neri per caso, di Shakira e di Marco Mengoni. E fecero il pieno di consensi, ottenendo quattro pareri positivi dalla giuria e il 100% della giuria popolare. Ma trasmettere quello che fanno non è semplice. Più facile vederli all’opera. Sui loro profili social (in cui ci sono scatti che li immortalano con i grandi volti dello showbusiness, tra cui Michele Zarrillo, Beppe Vessicchio, Mahmood), si definiscono giocherelloni della musica, comici, intrattenitori. E, in effetti, sembra non ci sia una definizione migliore per descrivere la loro arte.
— Gemelli di Guidonia (@GemelliGuidonia) March 7, 2018
I Gemelli di Guidonia cantano Buca Buca, rivisitazione della canzone Tuca tuca, di raffaella Carrà
I GEMELLI DI GUIDONIA E IL BUCA BUCA
I tre fratelli canterini si cimentano nella musica, nel teatro, nella televisione. Ma la loro specialità è stravolgere le canzoni più note. Ed è quello che hanno fatto con uno degli evergreen della tradizione italiana: il Tuca Tuca (1971) dell’intramontabile Raffaella Carrà. Basta un attimo affinché il celebre ritornello si trasformi subito in Buca Buca, un’esclamazione che i tre fratelli emettono all’unisono, mentre percorrono in auto una strada evidentemente poco asfaltata. Ma nemmeno il conseguente «mi piaci, mi piaci, mi piaci, mi piaci, mi pia» sopravvive all’estro creativo dei tre. E, forse pensando agli ammortizzatori, si trasforma in un più gretto «mortacci, mortacci, mortacci, mortacci, mortac’».
L’ARRIVO IN TELEVISIONE DOPO L’ESIBIZIONE DAVANTI AL PAPA
Ed è grazie all’affiatamento a cui lavorano inconsapevolmente da una vita intera che i primi successi non si sono fatti attendere. Era infatti il lontano 1999 quando, giovanissimi, vinsero il Tiburfestival. Un’altra grande soddisfazione arrivò nel 2000, quando si esibirono in due occasioni in piazza San Pietro, proprio sotto gli occhi di Papa Giovanni Paolo II. Da allora le occasioni per stare sotto i riflettori della Rai si moltiplicarono. Oltre ai programmi del palinsesto notturno, cominciarono a vantare collaborazioni con Rai International e con Claudio Baglioni (con cui collaborarono nella manifestazione “O’scia” a Lampedusa). Nel 2010 i tre fratelli romani d’adozione divennero ospiti fissi su Radio 2 in diretta da Sanremo e parteciparono nella veste di co-conduttori alla serata di commemorazione per i 149 anni dell’esercito Italiano.
L’appellativoGemelli di Guidonia si deve a Fiorello, che glielo ha attribuito durante una puntata del programma Edicola Fiore. Ma la loro formazione fraterna si chiamava originariamente Effervescenti naturali. La collaborazione che li lega nella carriera cominciò sotto forma di gioco, tra le mura di casa Acciarino. A Pacifico piaceva esercitarsi con una piccola tastiera. E Gino, che invece si dilettava con il canto, non tardò a sfruttare l’abilità del fratello per misurarsi insieme a lui con i primi duetti. La formazione si allargò al trio quando Eduardo mostrò di condividere con i due fratelli maggiori la vena istrionica che li ha portati a fare tanta strada insieme.
OLTRE LA MUSICA, LA RADIO, IL TEATRO
Le occasioni di collaborazione non si sono fermate all’ambito musicale per i tre fratelli. Nel 2015 si sono spalancate anche le porte del teatro, quando sono stati ingaggiati nel cast dell’ultimo tour teatrale di Fiorello dal titolo L’ora del Rosario. La tournée, dopo diversi appuntamenti in tutta Italia, ha valicato i confini del Paese, sconfinando a Parigi, Londra, Zurigo, Lugano e Bruxelles. Nel 2018 sono poi diventati ospiti fissi di Radio Deejay. Gli appuntamenti negli studi radiofonici hanno cominciato ad alternarsi a quelli negli studi televisivi di Tv2000, dove sono regolarmente intervenuti nei panni di comici.
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Il gruppo, originario della Liguria, ha partecipato all’edizione 2019 di Italia’s Got Talent, riuscendo a raggiungere la finale.
Gli Urban Theory tornano sul piccolo schermo dopo l’esperienza a Italia’s Got Talent2019. Lo showman Rosario Fiorello li ha voluti con sé nel cast di Viva RaiPlay!, il nuovo varietà da lui condotto e andato in onda per le prime cinque puntate (dal 4 all’8 novembre 2019) in versione ridotta sia su Rai 1 sia su Raiplay, e dal 13 novembre in esclusiva sulla rinnovata piattaforma Rai. I cinque ballerini prendono parte allo show insieme al rapper e cantante Danti, al trio di cantanti e intrattenitori Gemelli di Guidonia, al maestro Enrico Cremonesi e al giornalista e scrittoreVincenzo Mollica in versione pupazzo.
URBAN THEORY: CHI SONO I COMPONENTI DEL GRUPPO
I ballerini che fanno compagnia a Fiorello sul palco di Viva RaiPlay! sono cinque giovani ragazzi originari di Vallecrosia, un piccolo comune in provincia di Imperia. Accomunati dalla passione per l’hip hop sin da bambini, i membri del gruppo sono Jessica Demaria (l’unica donna) Lorenzo Piantoni, Riccardo Marano, Davide Sala e Fabiano Paglieri.
Quella di Viva RaiPlay! non è la prima esperienza televisiva per il gruppo di ballerini. Essi sono stati infatti tra i protagonisti dell’edizione 2019 di Italia’s Got Talent, in cui sono riusciti a ottenere un Golden Buzzer da Federica Pellegrini, che gli ha garantito l’accesso immediato in finale. Tuttavia, nella fase conclusiva della competizione il gruppo non è riuscito ad avere la meglio.
I membri del gruppo non si esibiscono soltanto nei programmi televisivi, ma sono molto attivi anche sui social. Il loro profilo Instagram, per esempio, conta oltre 7mila follower: su di esso vengono postati i video e le fotografie delle performance del gruppo, che sono molto seguite dai fan.
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Ha esordito nel mondo musicale collaborando con Enrico Ruggeri. Dal 1994 in poi è stato uno dei più intimi collaboratori di Rosario Fiorello nei suoi programmi televisivi e radiofonici. Ultimamente ha rivelato di essere vegano.
Il 4 novembre 2019 è cominciato Viva Raiplay!, il nuovo e attesissimo varietà di Fiorello che ha esordito in versione ridotta su Rai1 ma che dal 13 novembre sarà disponibile in esclusiva sulla rinnovata piattaforma Rai. A fare compagnia al comico siciliano sul palco dello Show c’è quest’anno un cast composto da vecchie e nuove conoscenze, tra cui il rapper e cantautore Danti, i ballerini del gruppo Urban Theory, il trio di cantanti e intrattenitori Gemelli di Guidonia e il giornalista e scrittore Vincenzo Mollica, che per l’occasione presta la voce al pupazzo di se stesso. Infine, l’immancabile maestro Enrico Cremonesi, che collabora con Fiorello dal ’94.
IL MAESTRO ENRICO CREMONESI
Enrico Cremonesi, anche noto come “Maestro Cremonesi”, è uno dei più vecchi collaboratori dello showman catanese. Nato a Milano il 28 maggio del 1969, il compositore ha scoperto la passione per la musica a quattro anni, subito dopo essere stato iscritto dai genitori a un corso di pianoforte. A 11 anni ha cominciato a suonare come organista nella sua parrocchia, mentre a 12 ha cominciato a esibirsi con dei piccoli gruppi. A livello professionale ha debuttato a 20 anni, cominciando a suonare in tournée con il cantautore Enrico Ruggeri.
LA COLLABORAZIONE CON FIORELLO
Il sodalizio di Cremonesi con Fiorello è iniziato nel 1994, continuando poi a livello televisivo e radiofonico in programmi di successo come Non dimenticate lo spazzolino da denti, La febbre del venerdì sera, Buona domenica, Superboll, Stasera pago io, Viva Radio 2 e il Fiorello Show. Tuttavia, la sua carriera non si limita alle collaborazioni con il comico: egli ha infatti curato le musiche per il film di Carlo VanzinaIn questo mondo di ladri, nel 2004, e firmato, due anni più tardi, la colonna sonora dei Giochi paralimpici invernali di Torino 2006.
ENRICO CREMONESI È VEGANO
Come specificato da Fiorello durante la seconda puntata di Viva Raiplay!Enrico Cremonesi è vegano. Ad ammetterlo, però, era stato lui stesso nel 2018, in un’intervista a Vegolosi.it, nella quale raccontava di aver cambiato alimentazione da un giorno all’altro, optando per una dieta a base di soli alimenti vegetali. «Non ostento mai il mio stile di vita e soprattutto non lo uso come metro di giudizio per le scelte altrui», aveva detto in quell’occasione il compositore, aggiungendo poi: «sono sempre contento di condividere la mia esperienza con chi è interessato a saperne di più ma non voglio convincere nessuno ad adottare uno stile di vita simile al mio».
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L’imprenditore ligure è il padre dello scooter conosciuto in tutto il mondo. Il successo del mezzo su due ruote sembra intramontabile. Almeno quanto lo è il nome del suo inventore.
Il suo nome di battesimo era Enrico Piaggio. Ma il titolo con cui ha preso per sempre posto nella storia d’Italia è “padre della Vespa”. L’imprenditore di Pegli (Liguria), classe 1905, ha inventato lo scooter più venduto al mondo. Ed è per merito suo che generazioni di italiani (e non solo) hanno sperimentato per la prima volta la brezza sul viso, cavalcando le due ruote.
LA BIOGRAFIA DI ENRICO PIAGGIO
Enrico Piaggio nacque il 22 febbraio del 1905. Insieme al fratello maggiore Armando, ereditò l’azienda di famiglia alla morte del padre Rinaldo. Era il 1938 e il mondo sarebbe stato presto inghiottito dalle devastazioni della seconda guerra mondiale. A quell’epoca l’attività della Piaggio era concentrata nel campo ferroviario, elettrodomestico e aeronautico (rafforzatosi durante la Grande guerra e durante l’espansione coloniale dettata da Benito Mussolini). Enrico e il fratello progettarono la spartizione degli stabilimenti: quelli liguri, specializzati nel settore navale e ferroviario, finirono nelle mani di Armando. Mentre i due dedicati alla branca aeronautica in Toscana, a Pisa e Pontedera, andarono sotto il controllo di Enrico Piaggio. L’industria aeronautica continuava a essere un settore penalizzato da una domanda interna limitata. E durante il secondo conflitto mondiale l’azienda risentì, oltre che della scarsa richiesta, delle devastazioni dovute alla guerra.
PIAGGIO PENSAVA A UN MEZZO CHE POTESSERO GUIDARE ANCHE LE DONNE
Il 25 settembre 1943 il padre dello scooter rischiò la vita all’Hotel Excelsior di Firenze. Un ufficiale della Repubblica di Salò gli sparò, accusandolo di non essersi alzato in piedi durante il discorso alla radio del generale Rodolfo Graziani contro gli alleati. Fu l’asportazione del rene a salvarlo, permettendogli di continuare la sua vita, che lo avrebbe visto unirsi in matrimonio a Paola dei conti Antonelli, (vedova del colonnello Alberto Bechi Luserna), della quale adottò la figlia Antonella Bechi Piaggio. Dopo quell’incidente quasi fatale, Piaggio imboccò un sentiero imprenditoriale del tutto nuovo. Decise di testare un nuovo mezzo di trasporto. Le caratteristiche principali? Doveva essere semplice, a due ruote, a basso costo. E soprattutto, sarebbe stato adatto anche alle donne. Così nacque la vespa.
IL MOTORE DEL MODELLO DEL 1946 SIBILAVA COME UNA VESPA
Il primo prototipo vide la luce nel 1944. Era un MP5 messo a punto a Biella e fu ribattezzato Paperino dagli stessi operai, per la strana forma. Il richiamo al goffo personaggio della Disney, tuttavia, rimarcava anche la contrapposizione all’allora mezzo di trasporto concorrente, la Fiat 500, soprannominata appunto Topolino. Il primo abbozzo di Vespa fu il punto di partenza per il modello definitivo, a cui lavorò l’ingegnere Corradino D’Ascanio, sfruttando i materiali un tempo usati per i velivoli. Si arrivò così, nel 1946, a un motociclo, il cui motore sibilava come una piccola Vespa (da qui il nome). Dei primi 2.500 esemplari, ne vennero venduti 2.181 solo nel 1946: a decretarne il successo fu il bisogno di facili spostamenti di un popolo uscito dal conflitto. Ma anche la possibilità di pagare a rate le 68 mila lire richieste per l’acquisto aiutò le vendite. Con l’uscita nel 1948 della Vespa 125, la crescita andò alle stelle. Nel 1951 Piaggio fu insignito della laurea in ingegneria honoris causa dall’Università di Pisa e solo due anni dopo, nel 1953, furono prodotti 171.200 esemplari del mezzo a due ruote. La rete commerciale della Piaggio si estese in 114 Paesi in tutto il mondo, con oltre 10.000 punti vendita. Le vendite ebbero un lieve calo soltanto appena dopo il boom. Il rallentamento causò diverse agitazioni sindacali e fu proprio durante uno sciopero nel 1965 che Enrico Piaggio si sentì male nel suo ufficio. La corsa all’ospedale di Pisa non servì a nulla e l’uomo della Vespa si spense definitivamente il 16 ottobre di quello stesso anno.
Uno dei modelli della Vespa, lo scooter più venduto al mondo
IL FILM DI RAI FICTION CHE RACCONTA L’INVENTORE DELLO SCOOTER
La biografia dello storico imprenditore ligure ha ispirato il film firmato dalla Rai Enrico Piaggio. Un sogno italiano. La pellicola, trasmessa in prima serata su Rai 1 il 12 novembre 2019, ripercorre le tappe che hanno reso intramontabile l’inventore della Vespa. Dall’intuizione nel comprendere che la gente aveva bisogno di muoversi per rimettere in moto il Paese, alla lungimiranza nel convincere William Wyler, il regista di Vacanze romane, a usare la Vespa nella sua pellicola. Il film, ambientato nell’immediata crisi economica del dopoguerra, è prodotto da Rai Fiction e Movieheart, con la regia di Umberto Marino. Nel cast, oltre ad Alessio Boni che interpreta Enrico Piaggio ed Enrica Pintone nei panni della moglie Paola Piaggio, ci sono anche Roberto Ciufoli, Francesco Pannofino e Violante Placido.
Il compito di impersonare il genio che ha contribuito a risollevare le sorti dell’economia italiana è spettato ad Alessio Boni. L’attore bergamasco (classe 1966) è un volto noto delle fiction Rai. Si è infatti già prestato all’interpretazione di Heathcliff, nella miniserie del 2004 dedicata a Cime tempestose, per esempio. Ma è entrato anche nei panni di Walter Chiari nella miniserie del 2012, Fino all’ultima risata. Il 2019 è stato invece il turno di Enrico Piaggio, di cui l’attore ha detto: «Era un autentico visionario, un pioniere. Comprese che la gente aveva bisogno di muoversi. Si inventò la Vespa pensando per prima alle donne e ai preti che hanno l’abito talare. Poi inventò le rate per il pagamento».
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Da un lato venerabili maestri come Celentano e Mina, dall’altra giovani promesse che si rifanno a vecchi modelli come Cattelan e Achille Lauro. Tutte retoriche che ci lasciano in un perenne vuoto artistico.
Ci sono retoriche parallele che reggono il Paese come architravi di luoghi comuni. I veterani sono la memoria, l’esperienza; i giovani il futuro, la speranza: e tutti sono risorse. Mica vero, poi dipende dal singolo, le categorie lasciano il tempo (perso) che trovano.
Prendi Adriano Celentano, uno che non ha più scuse: se non c’è il suo programma va a picco, se c’è va a picco. Non c’è esperienza che tenga, neanche di precedenti fallimenti, Adrian sconclusionato era e tale resta nella sua pretesa di immanenza, Celentano pensa ancora basti la sua faccia, la sua mitomania Anni 70 a tirare un pubblico, che poi taccia o sproloqui non fa differenza, ma non è così, i risultati non gli danno scampo. Siamo al paradosso: uno che non sa fare televisione, che la fa vecchia come cinquant’anni fa, si mette a dare lezioni agli ospiti, tu non vai bene, tu sei prolisso. Dall’abisso dei suoi disastri.
La retorica della storia, del successo, del come eravamo non salva e a volte si risolve in pretese strampalate. C’è Piero Angela che passati i 90 anni si tiene come un santone dell’onniscienza, su tutto pontifica, ha fatto un libro dove, come tutti quelli che hanno avuto fortuna, celebra i suoi figli come estensioni del sé e, essendo un divulgatore provetto di cose scientifiche, si considera scienziato egli stesso. Un po’ come se uno che legge abitualmente Maupassant col sottofondo di Bach si ritrovasse, per osmosi, sommo romanziere e celestiale compositore barocco.
IN ITALIA IL GIOVANILISMO GUARDA SEMPRE AL PASSATO
Il giovanilismo ostinato, peterpanesco non è meglio, il giovane a vita ma sempre mano favoloso, Alessandro Cattelan è rimasto, si direbbe, inchiodato a una proiezione fanciullesca, gli fanno indossare certe giacchette, certe scarpette infantili a 40 anni ma sta perdendo tutte le occasioni, è inchiodato al ruolo di portinaio di X Factor ma X Factor ha perso la metà degli spettatori, è programma bolso, senza idee e Cattelan ne risente.
Achille Lauro.
Poi, certo, i suoi impresari, la potente macchina che ha dietro sapranno rilanciarlo, sapranno svecchiarne l’immagine giovanilistica, ma insomma non lo si paragoni ai modelli del passato, a 40 anni gente come Pippo Baudo, come Enzo Tortora o lo stesso Mike Bongiorno avevano un curriculum mostruoso, per spessore e quantità, altro che le pallonate da oratorio di Cattelan.
A 40 anni gente come Pippo Baudo, come Enzo Tortora o lo stesso Mike Bongiorno avevano un curriculum mostruoso
«I giovani sono la brezza del futuro» è affermazione in perenne bisogno di conferme, gente come Sfera Ebbasta è inconsistente, non inventa niente perché non ha niente da innovare, Fedez ha ricalcato gli Anni 80 ed è più conosciuto come influencer, marito di influencer, che come artista, Tommaso Paradiso è corso dietro a Luca Carboni, Achille Lauro non sa che indossare i costumi smessi di Renato Zero o atteggiarsi a David Bowie di borgata.
Il conduttore di X Factor Alessandro Cattelan.
La cosa strana, e un po’ allucinante, è che questi assai presunti giovani guardano a un passato che quando arrivò era davvero futuro, era innovativo e rompeva gli schemi; adesso questi si limitano a ricostruirli, per una pura tensione lucrativa, monetaria. Proprio a X Factor va in scena, mai come quest’anno, un festival del vecchio, un cortocircuito per cui ragazzi di sedici, vent’anni hanno movenze, apparenze polverose e inseguono stilemi forse inevitabili, ma troppo scontati e in modo troppo scontato; non ce n’è uno che sappia proporre un’idea di attuale, di contemporaneo, una rilettura di qualcosa, un fremito di novità. E già incombe Sanremo, che al suo settantesimo compleanno si rivelerà autobiografia di una nazione corrosa, con le sue nuove proposte anchilosate e i senatori plastificati che sembrano mummie di cera.
SIAMO ANCORATI A UN ETERNO PASSATO, MANCA UN PRESENTE
Celentano invece ricostruisce perennemente se stesso, in un riedizione sempre più patetica. Se gli si dice che non è più cosa, se gli si fa notare che non è il caso, che sarebbe meglio soprassedere, piomba la moglie manager e scaglia anatemi: ah, voi non lo meritate Adriano, non lo capite. E per fortuna non minacciano di andarsene dall’Italia, come i giovani cervelli in fuga.
Celentano è uno che non si capisce da solo: ecologista cementifero, rivoluzionario conservatore
Anche lui, l’ex Molleggiato, al suo eterno ritorno – e complimenti a Mediaset, a Piersilvio che ci ha rimesso una barca di soldi -, il “Cretino di talento” non ha saputo resistere: «Non avete capito Adrian, non mi avete capito». Celentano è uno che non si capisce da solo: ecologista cementifero, rivoluzionario conservatore, democristiano, berlusconiano, anti-berlusconiano, grillino della prima ora, anti-grillino dell’ultima ora, e a non capire è sempre il mondo, che non gira dove vuole lui. Celentano vede gli 81 anni ma non pare avere imparato altro che la presunzione, forse ha dimenticato tutto il resto. Ma la presunzione alla lunga si usura pure quella.
Un fermo immagine mostra un momento di “Adrian” lo show ideato, scritto e diretto da Adriano Celentano.
Anche Mina è in vista degli ottanta e i media italiani, in modo assurdo, si sono paralizzati su uno scatto “rubatole” dalla figlia Benedetta e sparato sui social: «Ah, Mina che non si fa mai vedere, eccola qua». C’era una signora, di spalle, seduta sul sofà a guardare la televisione. Così siamo al feticismo museale. Eh, ma Mina è la storia, è i migliori anni della nostra vita. Anche Celentano. Anche Angela. Mentre i giovani che hanno niente da dire (e il tempo gli rimane), sarebbero l’anno che verrà, la storia che ci attende. E così, tra storia andata e storia che non c’è, manca un presente cui aggrapparci. Un presente non di venerabili maestri, non di retoriche da social.
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Da un lato venerabili maestri come Celentano e Mina, dall’altra giovani promesse che si rifanno a vecchi modelli come Cattelan e Achille Lauro. Tutte retoriche che ci lasciano in un perenne vuoto artistico.
Ci sono retoriche parallele che reggono il Paese come architravi di luoghi comuni. I veterani sono la memoria, l’esperienza; i giovani il futuro, la speranza: e tutti sono risorse. Mica vero, poi dipende dal singolo, le categorie lasciano il tempo (perso) che trovano.
Prendi Adriano Celentano, uno che non ha più scuse: se non c’è il suo programma va a picco, se c’è va a picco. Non c’è esperienza che tenga, neanche di precedenti fallimenti, Adrian sconclusionato era e tale resta nella sua pretesa di immanenza, Celentano pensa ancora basti la sua faccia, la sua mitomania Anni 70 a tirare un pubblico, che poi taccia o sproloqui non fa differenza, ma non è così, i risultati non gli danno scampo. Siamo al paradosso: uno che non sa fare televisione, che la fa vecchia come cinquant’anni fa, si mette a dare lezioni agli ospiti, tu non vai bene, tu sei prolisso. Dall’abisso dei suoi disastri.
La retorica della storia, del successo, del come eravamo non salva e a volte si risolve in pretese strampalate. C’è Piero Angela che passati i 90 anni si tiene come un santone dell’onniscienza, su tutto pontifica, ha fatto un libro dove, come tutti quelli che hanno avuto fortuna, celebra i suoi figli come estensioni del sé e, essendo un divulgatore provetto di cose scientifiche, si considera scienziato egli stesso. Un po’ come se uno che legge abitualmente Maupassant col sottofondo di Bach si ritrovasse, per osmosi, sommo romanziere e celestiale compositore barocco.
IN ITALIA IL GIOVANILISMO GUARDA SEMPRE AL PASSATO
Il giovanilismo ostinato, peterpanesco non è meglio, il giovane a vita ma sempre mano favoloso, Alessandro Cattelan è rimasto, si direbbe, inchiodato a una proiezione fanciullesca, gli fanno indossare certe giacchette, certe scarpette infantili a 40 anni ma sta perdendo tutte le occasioni, è inchiodato al ruolo di portinaio di X Factor ma X Factor ha perso la metà degli spettatori, è programma bolso, senza idee e Cattelan ne risente.
Achille Lauro.
Poi, certo, i suoi impresari, la potente macchina che ha dietro sapranno rilanciarlo, sapranno svecchiarne l’immagine giovanilistica, ma insomma non lo si paragoni ai modelli del passato, a 40 anni gente come Pippo Baudo, come Enzo Tortora o lo stesso Mike Bongiorno avevano un curriculum mostruoso, per spessore e quantità, altro che le pallonate da oratorio di Cattelan.
A 40 anni gente come Pippo Baudo, come Enzo Tortora o lo stesso Mike Bongiorno avevano un curriculum mostruoso
«I giovani sono la brezza del futuro» è affermazione in perenne bisogno di conferme, gente come Sfera Ebbasta è inconsistente, non inventa niente perché non ha niente da innovare, Fedez ha ricalcato gli Anni 80 ed è più conosciuto come influencer, marito di influencer, che come artista, Tommaso Paradiso è corso dietro a Luca Carboni, Achille Lauro non sa che indossare i costumi smessi di Renato Zero o atteggiarsi a David Bowie di borgata.
Il conduttore di X Factor Alessandro Cattelan.
La cosa strana, e un po’ allucinante, è che questi assai presunti giovani guardano a un passato che quando arrivò era davvero futuro, era innovativo e rompeva gli schemi; adesso questi si limitano a ricostruirli, per una pura tensione lucrativa, monetaria. Proprio a X Factor va in scena, mai come quest’anno, un festival del vecchio, un cortocircuito per cui ragazzi di sedici, vent’anni hanno movenze, apparenze polverose e inseguono stilemi forse inevitabili, ma troppo scontati e in modo troppo scontato; non ce n’è uno che sappia proporre un’idea di attuale, di contemporaneo, una rilettura di qualcosa, un fremito di novità. E già incombe Sanremo, che al suo settantesimo compleanno si rivelerà autobiografia di una nazione corrosa, con le sue nuove proposte anchilosate e i senatori plastificati che sembrano mummie di cera.
SIAMO ANCORATI A UN ETERNO PASSATO, MANCA UN PRESENTE
Celentano invece ricostruisce perennemente se stesso, in un riedizione sempre più patetica. Se gli si dice che non è più cosa, se gli si fa notare che non è il caso, che sarebbe meglio soprassedere, piomba la moglie manager e scaglia anatemi: ah, voi non lo meritate Adriano, non lo capite. E per fortuna non minacciano di andarsene dall’Italia, come i giovani cervelli in fuga.
Celentano è uno che non si capisce da solo: ecologista cementifero, rivoluzionario conservatore
Anche lui, l’ex Molleggiato, al suo eterno ritorno – e complimenti a Mediaset, a Piersilvio che ci ha rimesso una barca di soldi -, il “Cretino di talento” non ha saputo resistere: «Non avete capito Adrian, non mi avete capito». Celentano è uno che non si capisce da solo: ecologista cementifero, rivoluzionario conservatore, democristiano, berlusconiano, anti-berlusconiano, grillino della prima ora, anti-grillino dell’ultima ora, e a non capire è sempre il mondo, che non gira dove vuole lui. Celentano vede gli 81 anni ma non pare avere imparato altro che la presunzione, forse ha dimenticato tutto il resto. Ma la presunzione alla lunga si usura pure quella.
Un fermo immagine mostra un momento di “Adrian” lo show ideato, scritto e diretto da Adriano Celentano.
Anche Mina è in vista degli ottanta e i media italiani, in modo assurdo, si sono paralizzati su uno scatto “rubatole” dalla figlia Benedetta e sparato sui social: «Ah, Mina che non si fa mai vedere, eccola qua». C’era una signora, di spalle, seduta sul sofà a guardare la televisione. Così siamo al feticismo museale. Eh, ma Mina è la storia, è i migliori anni della nostra vita. Anche Celentano. Anche Angela. Mentre i giovani che hanno niente da dire (e il tempo gli rimane), sarebbero l’anno che verrà, la storia che ci attende. E così, tra storia andata e storia che non c’è, manca un presente cui aggrapparci. Un presente non di venerabili maestri, non di retoriche da social.
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Da un lato venerabili maestri come Celentano e Mina, dall’altra giovani promesse che si rifanno a vecchi modelli come Cattelan e Achille Lauro. Tutte retoriche che ci lasciano in un perenne vuoto artistico.
Ci sono retoriche parallele che reggono il Paese come architravi di luoghi comuni. I veterani sono la memoria, l’esperienza; i giovani il futuro, la speranza: e tutti sono risorse. Mica vero, poi dipende dal singolo, le categorie lasciano il tempo (perso) che trovano.
Prendi Adriano Celentano, uno che non ha più scuse: se non c’è il suo programma va a picco, se c’è va a picco. Non c’è esperienza che tenga, neanche di precedenti fallimenti, Adrian sconclusionato era e tale resta nella sua pretesa di immanenza, Celentano pensa ancora basti la sua faccia, la sua mitomania Anni 70 a tirare un pubblico, che poi taccia o sproloqui non fa differenza, ma non è così, i risultati non gli danno scampo. Siamo al paradosso: uno che non sa fare televisione, che la fa vecchia come cinquant’anni fa, si mette a dare lezioni agli ospiti, tu non vai bene, tu sei prolisso. Dall’abisso dei suoi disastri.
La retorica della storia, del successo, del come eravamo non salva e a volte si risolve in pretese strampalate. C’è Piero Angela che passati i 90 anni si tiene come un santone dell’onniscienza, su tutto pontifica, ha fatto un libro dove, come tutti quelli che hanno avuto fortuna, celebra i suoi figli come estensioni del sé e, essendo un divulgatore provetto di cose scientifiche, si considera scienziato egli stesso. Un po’ come se uno che legge abitualmente Maupassant col sottofondo di Bach si ritrovasse, per osmosi, sommo romanziere e celestiale compositore barocco.
IN ITALIA IL GIOVANILISMO GUARDA SEMPRE AL PASSATO
Il giovanilismo ostinato, peterpanesco non è meglio, il giovane a vita ma sempre mano favoloso, Alessandro Cattelan è rimasto, si direbbe, inchiodato a una proiezione fanciullesca, gli fanno indossare certe giacchette, certe scarpette infantili a 40 anni ma sta perdendo tutte le occasioni, è inchiodato al ruolo di portinaio di X Factor ma X Factor ha perso la metà degli spettatori, è programma bolso, senza idee e Cattelan ne risente.
Achille Lauro.
Poi, certo, i suoi impresari, la potente macchina che ha dietro sapranno rilanciarlo, sapranno svecchiarne l’immagine giovanilistica, ma insomma non lo si paragoni ai modelli del passato, a 40 anni gente come Pippo Baudo, come Enzo Tortora o lo stesso Mike Bongiorno avevano un curriculum mostruoso, per spessore e quantità, altro che le pallonate da oratorio di Cattelan.
A 40 anni gente come Pippo Baudo, come Enzo Tortora o lo stesso Mike Bongiorno avevano un curriculum mostruoso
«I giovani sono la brezza del futuro» è affermazione in perenne bisogno di conferme, gente come Sfera Ebbasta è inconsistente, non inventa niente perché non ha niente da innovare, Fedez ha ricalcato gli Anni 80 ed è più conosciuto come influencer, marito di influencer, che come artista, Tommaso Paradiso è corso dietro a Luca Carboni, Achille Lauro non sa che indossare i costumi smessi di Renato Zero o atteggiarsi a David Bowie di borgata.
Il conduttore di X Factor Alessandro Cattelan.
La cosa strana, e un po’ allucinante, è che questi assai presunti giovani guardano a un passato che quando arrivò era davvero futuro, era innovativo e rompeva gli schemi; adesso questi si limitano a ricostruirli, per una pura tensione lucrativa, monetaria. Proprio a X Factor va in scena, mai come quest’anno, un festival del vecchio, un cortocircuito per cui ragazzi di sedici, vent’anni hanno movenze, apparenze polverose e inseguono stilemi forse inevitabili, ma troppo scontati e in modo troppo scontato; non ce n’è uno che sappia proporre un’idea di attuale, di contemporaneo, una rilettura di qualcosa, un fremito di novità. E già incombe Sanremo, che al suo settantesimo compleanno si rivelerà autobiografia di una nazione corrosa, con le sue nuove proposte anchilosate e i senatori plastificati che sembrano mummie di cera.
SIAMO ANCORATI A UN ETERNO PASSATO, MANCA UN PRESENTE
Celentano invece ricostruisce perennemente se stesso, in un riedizione sempre più patetica. Se gli si dice che non è più cosa, se gli si fa notare che non è il caso, che sarebbe meglio soprassedere, piomba la moglie manager e scaglia anatemi: ah, voi non lo meritate Adriano, non lo capite. E per fortuna non minacciano di andarsene dall’Italia, come i giovani cervelli in fuga.
Celentano è uno che non si capisce da solo: ecologista cementifero, rivoluzionario conservatore
Anche lui, l’ex Molleggiato, al suo eterno ritorno – e complimenti a Mediaset, a Piersilvio che ci ha rimesso una barca di soldi -, il “Cretino di talento” non ha saputo resistere: «Non avete capito Adrian, non mi avete capito». Celentano è uno che non si capisce da solo: ecologista cementifero, rivoluzionario conservatore, democristiano, berlusconiano, anti-berlusconiano, grillino della prima ora, anti-grillino dell’ultima ora, e a non capire è sempre il mondo, che non gira dove vuole lui. Celentano vede gli 81 anni ma non pare avere imparato altro che la presunzione, forse ha dimenticato tutto il resto. Ma la presunzione alla lunga si usura pure quella.
Un fermo immagine mostra un momento di “Adrian” lo show ideato, scritto e diretto da Adriano Celentano.
Anche Mina è in vista degli ottanta e i media italiani, in modo assurdo, si sono paralizzati su uno scatto “rubatole” dalla figlia Benedetta e sparato sui social: «Ah, Mina che non si fa mai vedere, eccola qua». C’era una signora, di spalle, seduta sul sofà a guardare la televisione. Così siamo al feticismo museale. Eh, ma Mina è la storia, è i migliori anni della nostra vita. Anche Celentano. Anche Angela. Mentre i giovani che hanno niente da dire (e il tempo gli rimane), sarebbero l’anno che verrà, la storia che ci attende. E così, tra storia andata e storia che non c’è, manca un presente cui aggrapparci. Un presente non di venerabili maestri, non di retoriche da social.
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Non ci sono solo gli itinerari siciliani di Montalbano. Le serie tivù nostrane sono un volano per l’economia dei luoghi che ospitano i set: da Matera con Imma Tataranni alla Pienza dei Medici. Arrivando alla cupa Aosta del vicequestore Rocco Schiavone.
Sarà il fascino del ciak. Perché, non appena compaiono in una serie televisiva, angoli barocchi, spiagge, vallate, palazzi rinascimentali e resti romani richiamano appassionati, curiosi e turisti. E regalano visibilità a province defilate e centri cittadini. Se è diventato un classico il circuito nella Sicilia di Montalbano, che nell’arco di 20 anni ha generato un vero e proprio business, altre location non sono da meno. Qualche esempio? Si va dai Sassi di Matera in cui si muove Imma Tatarannialla Liguria di Rosy Abate, passando per le valli valdostane in cui si muove Rocco Schiavonee la Pienza che ricorre ne I Medici.
Sul set del Commissario Montalbano.
ALLA RICERCA DI VIGATA
Sono ormai entrati nell’immaginario collettivo i luoghi di Montalbano, il commissario uscito dalla penna di Andrea Camilleri. Il percorso sulle tracce del poliziotto parte da Ibla, nel cuore di Ragusa, con le scalinate e i palazzi barocchi tutelati dall’Unesco che danno corpo alla letteraria Vigàta, per poi toccare l’Eremo della Giubiliana, un convento fortificato del 500, e la questura di Montelusa che ha sede a Palazzo Iacono a Scicli (Rg), dove si trova anche la famosa “mannara”.
Il richiamo della fiction firmata da Alberto Sironi è talmente forte che a Ragusa e provincia le presenze sono passate da 669.677 nel 1999 (primo anno della messa in onda) a 1.126.954 del 2018, secondi i dati dell’Ufficio statistica del Libero Consorzio comunale di Ragusa. E i passeggeri degli aeroporti di Catania e Comiso sono saliti dai 5 milioni del 2014 ai 6,4 milioni del 2017 (Assaeroporti). I fan del commissario possono consultare il portale www.visitvigata.com o decidere di soggiornare nel B&B in cui è stata trasformata la casa sulla spiaggia di Montalbano, a un’estremità di Punta Secca, frazione di Santa Croce Camerina.
IL FASCINO DEI SASSI DI MATERA INSEGUENDO IMMA TATARANNI
La tradizione cinematografica di Matera parte da lontano, con IlVangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini del 1964. Quarant’anni dopo Mel Gibson ha scelto perLa passione di Cristo i Sassi tutelati dall’Unesco, dove lo scorso settembre sono state girate pure le scene dell’ultimo 007,No time do die, che sarà nelle sale di tutto il mondo nel 2020, con Daniel Craig di nuovo nei panni di James Bond.
Imma Tataranni (Vanessa Scalera) in una scena.
Di recente però, la Capitale europea della cultura 2019 è stata anche un set televisivo. Prima con Sorelle, trasmessa nella primavera di due anni fa, per la regia di Cinzia Th Torrini, e poi con Imma Tataranni, serie ispirata ai libri di Mariolina Venezia.
Falcata decisa, abiti vistosi, il sostituto procuratore vive a Matera e si muove fra grotte, vicoli, abitazioni scavate nella roccia e scorci di una bellezza atavica. Stando a quanto risulta all’Apt Basilicata, gli appassionati arrivano per visitare location precise ma il fenomeno è difficile da quantificare, perché da quando nel 2014 la città è stata proclamata Capitale europea della Cultura, arrivi e presenze sono in crescita costante, tanto che l’anno scorso hanno registrato rispetto al 2017 entrambi un +22% (dati Apt Basilicata).
Una panoramica di Matera dove è ambientata Imma Tataranni (Crediti Apt Basilicata).
LA CUPA VAL D’AOSTA DI ROCCO SCHIAVONE
Mobilita patiti degli intrighi anche il vicequestore creato da Antonio Manzini e interpretato da Marco Giallini, che è ormai di casa ad Aosta, tanto da aver ricevuto la cittadinanza onoraria. Romano trasferito in una Val d’Aosta fredda e cupa, Rocco Schiavone, l’investigatore in loden e Clarke sugli schermi per la terza stagione, si muove spesso fra la sua abitazione, sopra allo stemma del secentesco Palazzo Ansermin, e il porticato del Municipio, affacciato su piazza Chanoux con il suo Caffè Nazionale. Ma nella serie ricorrono altri angoli della città come il teatro romano, l’arco di Augusto, il chiostro della collegiata di Sant’Orso, il cimitero intitolato allo stesso santo e il commissariato, ricostruito a sud della città, nell’area dismessa dell’acciaieria Cogne.
Marco Giallini nei panni di Rocco Schiavone con Fabrizio Coniglio (Crediti: Pré-Saint-Didier / L. Perrod).
Queste tappe rientrano in un itinerario organizzato da un gruppo di guide turistiche che propone visite con soste anche nel resto della Regione, in Val d’Ayas, al villaggio di Cunéaz, al Dente del Gigante, alle terme e alla passerella panoramica di Pré-Saint-Didier, o al Ponte sul torrente Buthier nei pressi di Valpelline che nella fiction fa da cornice a un incidente mortale.
I MEDICI TRA LE QUINTE RINASCIMENTALI DI PIENZA
Ha fatto da set a produzioni internazionali come Il paziente inglese e Il gladiatore, ma anche alle tre stagioni del serial tivù I Medici. Parliamo di Pienza (Siena), la cittadina ideale del Rinascimento, ridisegnata secondo i principi dell’umanista Enea Silvio Piccolomini che quando salì al soglio papale come Pio II volle cambiare volto al suo villaggio d’origine.
Una scena de I Medici (Twitter).
Fra gli scorci progettati da Bernardo Rossellino, sotto la guida di Leon Battista Alberti, sono state ambientate le scene della fiction Rai che racconta segreti, amori, vizi, intrecci, congiure della Firenze rinascimentale.
Sullo sfondo della cattedrale, della residenza pontificia, della piazza solenne con il “pozzo dei cani”, che domina le colline dolci della val d’Orcia, hanno recitato, fra gli altri, Daniel Sharman, nei panni di Lorenzo il Magnifico, Alessandra Mastronardi, Neri Marcorè, Sarah Parish, Bradley James. Per gli episodi della terza serie, in onda quest’autunno, hanno lavorato l’anno scorso circa 100 persone del cast, più tecnici e operatori, fra ottobre e novembre, in un periodo tradizionalmente poco gettonato per il turismo. E Pienza, affollata da comparse e curiosi richiamati proprio dalle riprese, ha avuto l’opportunità di destagionalizzare il flusso turistico, allungandolo di almeno un mese (per info: www.ufficioturisticodipienza.it).
ROSY ABATE, DALLE COSTE LIGURI ALLA SICILIA
Si è chiuso venerdì 11 ottobre il secondo anno di Rosy Abate, spin off di Squadra antimafia, con Giulia Michelini nei panni della “regina di Palermo”, che ha registrato un crescendo di ascolti su Canale5, raggiungendo con l’ultima puntata il 18,5% di share. Girata in parte in Liguria, la serie ha location che sono già meta turistica, a partire da Varigotti, a Finale Ligure (Savona), dove si trova la casa di Rosy, fra gli edifici squadrati che si affacciano sulla spiaggia nei colori caldi che vanno dal giallo al rosa.
A Varigotti è ambientata Rosy Abate (foto archivio Agenzia Regionale in Liguria).
Sempre nel Savonese è stata ambientata la prima puntata, con i pontili e l’ingresso allo Yatch club e altri scorci della Marina di Loano, mentre quando Rosy affronta per la prima volta il clan dei Marsigliesi sta giocando al Casinò di Sanremo. La protagonista si sposta quindi verso Sud per seguire il figlio Leonardino: le riprese sono state effettuate nel quartiere romano dell’Olgiata, dove vive il bambino, e al luna park dell’Eur, che ha fatto da sfondo all’episodio del tiro a segno. Infine in Sicilia, al castello degli Schiavi, nei pressi di Catania, c’è la roccaforte del mafioso Santagata.
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