La Lega porta dentro la Camera l’odio contro Silvia Romano

Il deputato Pagano ha definito la cooperante liberata dopo 18 mesi di prigionia nelle mani di al Shabaab una “neo terrorista”. Proteste da Pd e M5s. Fico: “Parole inaccettabili”.

Non sono bastati giorni di insulti sui social, ora le offese e le ingiurie nei confronti di Silvia Romano, la cooperante liberata dopo 18 mesi nelle mani di al Shabaab, sono risuonate persino dentro la Camera dei deputati. Il deputato della Lega Alessandro Pagano l’ha infatti definita Silvia Romano “la neo-terrorista”.

PD, M5s, FICO E CARFAGNA CONTRO LA LEGA

Pagano è stato ripreso dalla vicepresidente Carfagna, cosa che non ha impedito vivaci proteste di molti deputati. Il Pd ha chiesto che la Lega chieda scusa. Il M5s ha definito gli insulti vergognosi. E il presidente Roberto ha definito quelle di Pagano “inaccettabili parole di odio”. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha commentato: “In questi giorni letto e ascoltato cose raccapriccianti”.

LE FORZE DELL’ORDINE CONTRO GLI ODIATORI

Intanto a Milano, dove il pm ha aperto un’inchiesta dopo la campagna d’odio sul web verso la ragazza, prosegue il passaggio di pattuglie di forze dell’ordine lungo la via dove si trova l’abitazione della cooperante liberata dopo 18 mesi.

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Con l’accordo sui migranti via libera al decreto Rilancio

Intesa sulle regolarizzazioni di colf e braccianti per sei mesi. Alle 14 il consiglio dei ministri che deve dare il via libera a 10 miliardi per la cig, sei alle pmi, quattro per il taglio Irap. Tutte le novità.

Con l’accordo sulle regolarizzazioni, arriva il decreto Rilancio da 55 miliardi, per il quale è previsto in consiglio dei ministri alle 17. Dieci miliardi per la cig, 6 alle pmi, 4 per il taglio dell’irap, 6 per le pmi, 5 a sanità e sicurezza, 2,5 per turismo e cultura, 2 alla messa a norma delle attività. La ministra dell’Agricoltura Bellanova: un permesso di lavoro di 6 mesi per milioni di persone, ha vinto la dignità, ora tutele. La ministra dell’Interno Lamorgese: dignità a colf e braccianti, garantire legalità ed esigenze del mercato del lavoro.

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Silvia Romano di nuovo a casa a Milano

La cooperante liberata dopo 18 mesi di sequestro ha varcato il portone del suo appartamento milanese nel tardo pomeriggio. Ad accoglierla una folla di amici, vicini e curiosi. «Sto bene, rispettatemi». A causa degli insulti la prefettura sta valutando una tutela.

Davanti a una folla composta da amici, vicini o semplici curiosi, Silvia Romano ha finalmente fatto ritorno a casa sua. Due giorni dopo la liberazione arrivata al termine di 18 mesi di sequestro e all’indomani dello sbarco in Italia, la giovane cooperante è arrivata a Milano da Roma nel pomeriggio dell’11 maggio.

Silvia, letteralmente assalita da un nugolo di giornalisti per i quali evidentemente non vale il concetto di distanziamento sociale, è scesa dal Suv grigio sul quale si trovava assieme alla madre e alla sorella e ha fatto il suo ingresso in casa protetta da un cordone di forze dell’ordine, limitandosi a dire di «stare bene». «Rispettate questo momento», ha risposto la 24enne a chi le chiedeva se tornerà mai in Kenya. Subito dopo si è levato un lungo applauso spontaneo da parte del quartiere che ha finalmente potuto riabbracciare la sua Silvia.

Pochi istanti dopo, la ragazza si è affacciata dalla finestra della sua abitazione, salutando la folla di persone e operatori dell’informazione che in strada ha accolto il suo ritorno a casa. La giovane cooperante milanese ha mostrato il pollice alzato e si è messa la mano destra sul cuore ringraziando tutti, mentre in strada veniva scandito il suo nome tra gli applausi. Dopo pochi secondi, la ragazza è rientrata nel suo appartamento e la finestra è stata poi chiusa anche con la tapparella.

ODIO E POLEMICHE

Un ritorno che ha portato, ovviamente, gioia e soddisfazione, ma anche una serie di polemiche politiche soprattutto legate alla scelta della ragazza di convertirsi all’Islam, col nome di Aisha, e all’ipotesi del pagamento di un riscatto per liberarla. In più, per lei in queste ore una lista infinita di insulti via social network, tanto che la Prefettura sta valutando il tipo di tutela, fissa o mobile, a cui verrà sottoposta, mentre per ora per 14 giorni dovrà rimanere in isolamento domiciliare come prevedono le disposizioni per il contenimento del coronavirus.

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Riapertura a macchia di leopardo: il fronte delle Regioni

Il ministro Boccia propone a partire dal 18 maggio una differenziazione a seconda dell’andamento dei contagi. La formula piace al toscano Enrico Rossi. Mentre Toti, presidente della Liguria, annuncia l’avvio anche della stagione balneare. Oggi videoconferenza con il governo.

Si avvicina la data del 18 maggio quando potrebbero riaprire bar, ristoranti e parrucchieri, ma con «le necessarie differenze tra regioni», ha spiegato il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia ad Agorà, a seconda dell’andamento dei contagi. Occhio dunque ai dati che saranno diffusi giovedì prossimo.

FONDAMENTALE L’ANDAMENTO DEI CONTAGI

La differenziazione permetterebbe almeno ad alcune aree del Paese di riacquistare una maggiore libertà. «Poi sarà responsabilità delle singole Regioni avere il quadro dei dati: se i contagi andranno giù potranno riaprire anche altre attività, se i contagi saliranno dovranno restringere», ha precisato Boccia.

SALVINI: «GIUSTO CHIEDERE REGOLE CHIARE»

La formula a macchia di leopardo piace a Matteo Salvini. «Mi sembra giusto, ci sono interi pezzi di Italia dove non ci sono morti e contagiati da giorni e giorni, ci sono altre zone, come la mia Milano, dove bisogna avere più attenzione», ha detto il segretario della Lega a Rtl 102.5 «Penso che sia giusto da parte degli italiani chiedere allo Stato e al governo regole chiare».

ROSSI: «IN TOSCANA SIA RIAPERTO IL PIÙ ALTO NUMERO DI ATTIVITÀ»

Anche Enrico Rossi, presidente della Toscana, ha apprezzato la proposta. «Oggi pomeriggio, nel confronto con il governo», ha scritto Rossi in una nota, «mi batterò perché la Toscana sia trattata come merita e sia riaperto in sicurezza il più largo numero possibile di attività». La Regione Toscana «rispettando sostanzialmente gli indirizzi del governo, ha in molti casi adottato misure anche più prudenziali, pur avendo un quadro epidemiologico nettamente migliore rispetto ad altre Regioni e alle medie nazionali», ha continuato il governatore. «Sono convinto che le riaperture dovranno essere graduali e organizzate al fine di impedire concentrazioni di persone e assembramenti e per consentire ai cittadini e agli operatori economici di abituarsi con gradualità, come già sta avvenendo, a misure appropriate nei comportamenti, nel distanziamento e nella protezione individuale».

TOTI: «DAL 18 APRIAMO TUTTO, SPIAGGE COMPRESE»

Sulla riapertura non ha dubbi il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. «Dal 18 maggio riapriamo tutto, spiagge comprese», ha annunciato in un’intervista al Corriere della sera dando il via di fatto alla stagione balneare. «Ho sentito il ministro Francesco Boccia e credo che alla fine ci sarà il via libera. Noi chiediamo due cose: che ci conceda di riaprire le attività dal 18 e che torni alle Regioni l’autonomia concessa dal Titolo V e che ci è stata sottratta dal dpcm. Arrivati alla fase 2, il governo ha tolto il piede dal freno un attimo in ritardo».

LEGGI ANCHE: Braccio di ferro tra Stato e Regioni: cosa dice la Costituzione

I ristoranti apriranno dal 18, spiega ancora Toti, «con i protocolli nazionali dell’Inail, che sono in ritardo. Altrimenti con le nostre regole. Daremo la concessione di suolo pubblico gratuito e più tavoli all’aperto». La preoccupazione maggiore riguarda il comparto turistico che «dà lavoro a 100 mila persone e se si viaggerà tra le Regioni potremmo salvare il 70% della stagione. Basterà la distanza sociale». La Regione Liguria, ha ribadito Toti, sta «sperimentando un braccialetto volontario da mare: se ti avvicini a meno di un metro vibra. Una cosa giocosa. Chissà, magari diventa una moda. Per le spiagge libere decideremo con i Comuni: potrebbero esserci steward per la moral suasion. Sotto lo stesso ombrellone chi vive insieme».

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Attenzione, troppo politically correct può discriminare

Mostrare modelle con disabilità in abito da sposa o da sera veicola un messaggio positivo. Ma pensare a mise ad hoc per spose disabili è puro marketing. Perché personalizzare un vestito è un’esigenza di tutte le donne, abili e non.

Una mia conoscente con disabilità motoria sta per commettere ciò che considero un fatale errore: si sposerà l’anno prossimo. Scherzi a parte, ma non troppo, grazie a lei sto ampliando la mia cultura sul tema: tramite il suo profilo Facebook, infatti, aggiorna amici e parenti sullo stato dell’arte dell’organizzazione del “gran giorno”, pubblicando però anche notizie e curiosità più generali e legate alle tendenze del momento riguardo alla preparazione della cerimonia e della festa.

Ovviamente a fare da padroni indiscussi del suo profilo sono decisamente i post che affrontano uno dei temi più scottanti per tutte le aspiranti spose del mondo: l’abito. Si chiama Camille Boillet e, navigando all’interno del suo sito internet, ho scoperto che la «Camille Boillet Couture» è una casa di moda dedicata alla creazione di abiti da sposa e da sera su misura adatta a tutti i tipi di corpi e di disabilità.Il
suo marchio si vuole distinguere dunque per l’attenzione e la
valorizzazione di tutte le fisicità.

Incuriosita, inizio a guardare le foto disponibili nel sito. In effetti le modelle di Camille non sono tutte magre, alte e “normaloidi”. In posa, splendide come principesse, vedo donne magre, altre dalle taglie più abbondanti, alcune alte, altre con nanosomia, altre ancora in sedia a rotelle. Camille non è la sola ad arricchire il nostro immaginario con l’idea di una sposa fuori dai canoni classici di bellezza: la vetrina di un negozio nei pressi di Bristol è stata allestita con un manichino in abito nuziale seduto in sedia a rotelle.

LA MODA COME POTENTE CANALE PER VEICOLARE MESSAGGI

Penso che la moda sia un potente canale attraverso cui si veicola cultura e su questo la stilista d’oltralpe e la proprietaria della boutique inglese hanno colto nel segno: valorizzare l’eterogeneità dei corpi è la strada giusta da percorrere ed è compito della moda farlo. È nelle botteghe degli stilisti, in passerella e nei negozi che si definiscono o ridefiniscono i canoni estetici prima che il “senso comune” li adotti come propri.

Se sposarsi è concepibile e di fatto concepito, è altrettanto immaginabile la possibilità di avere una vita sentimentale e/o sessuale soddisfacente

Ma le modelle della Camille Boillet Cotoure così come il manichino della boutique inglese mettono in bella mostra anche un altro messaggio, ugualmente importante: convolare a nozze è un sogno possibile e realizzabile anche da donne con disabilità, anche da bellezze “diverse dalla norma”. E, se sposarsi è concepibile e di fatto concepito, è altrettanto immaginabile la possibilità di avere una vita sentimentale e/o sessuale soddisfacente (che peraltro è possibile avere indipendentemente dal vincolo matrimoniale).

ATTENZIONE AGLI ECCESSI DEL POLITCALLY CORRECT

Nonostante mostrare bellezze “altre” sia stata una scelta lodevole, se mi sposassi ci penserei prima di comprare il mio vestito da Camille per una questione politica prima ancora che estetica. Il marchio Boillet vanta di aver creato una moda adatta a tutti i tipi di disabilità. A parte il fatto che personalmente, guardando le foto, non noto differenze tra gli abiti indossati da modelle “a quattro ruote” e da quelle “bipedi” mi sembra che con il politically correct stiamo un pochino esagerando. Come se noi donne disabili fossimo delle aliene o qualcosa di simile, bisognose quindi di abiti indossabili solo dalla nostra “specie”.

Specializzarsi nella produzione di capi di abbigliamento adatti a tutti i corpi non mi pare un elemento di particolare distinzione

Per carità, è vero, spesso i nostri corpi sono “diversi” da quelli della maggioranza della popolazione ma non così tanto da doverci dedicare un’apposita linea di abiti (fatto salvo per quelli che facilitano l’autonomia nel vestirsi ma si tratta di un altro discorso). E poi, a pensarci bene, specializzarsi nella produzione di capi di abbigliamento adatti a tutti i corpi non mi pare un elemento di particolare distinzione rispetto agli altri negozi perché dappertutto è prevista la possibilità di apportare modifiche ad un abito per renderlo adeguato alle proprie esigenze.

Infatti i modelli disponibili in commercio sono stati progettati e confezionati sulla base di corpi femminili “standard” ma per nostra fortuna quei corpi non si vedono passeggiare per strada perché semplicemente non esistono. Sono solo prototipi convenzionali a cui ci riferiamo e che abbiamo “costruito” perché ci aiutino ad orientarci nell’immensa eterogeneità dei fenotipi umani ma che usiamo quasi sempre in modo errato e fallace. Infatti molte donne (“normaloidi”, eh), tagliando la testa al toro, scelgono mica per niente di farsi confezionare un abito su misura da una sarta.

STRATEGIE DI MARKETING TARATE SU UN PARTICOLARE TIPO DI CONSUMATORE

Quindi pubblicizzare abiti da sposa specificatamente per donne con disabilità e/o adatti a qualsiasi corpo è un eccesso di politically correct che non ha alcun senso. Oppure è un’astuta strategia di mercato (basata sulla falsa teoria secondo cui sarebbe necessario personalizzare un abito sulla base delle supposte esigenze di una “categoria” di donne) per accaparrarsi una potenziale fetta di consumatrici e ricoprire la propria azienda con una patina “social”.

Future spose su quattro ruote, non lasciatevi sedurre dagli specchietti per le allodole

Quindi, future spose su quattro ruote, non lasciatevi sedurre dagli specchietti per le allodole quando deciderete da chi e come farvi confezionare il vostro abito nuziale. Prendetevi il vostro tempo e sceglietelo con accuratezza ma che la selezione non sia uno stress. Infatti vi confiderò un segreto: il giorno delle vostre nozze sarete felici e, proprio per questo, bellissime. Qualsiasi vestito starete indossando.

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In Iran il vero bersaglio era la Cina?

Gli analisti di Pechino sono convinti che l’attacco americano che ha portato all’uccisione di Soleimani sia una provocazione contro la Repubblica popolare. Perché gli Usa vogliono contrastare l’espansione commerciale cinese nel Medio Oriente che ha in Teheran il suo partner principale.

Attaccando l’Iran gli Stati Uniti hanno voluto attaccare la Cina. I “falchi” a Pechino ne sono convinti fin dal primo momento dell’attacco americano che ha portato all’uccisione del generale Qassen Soleimani. Tra gli altri sostiene questa tesi un interessante editoriale apparso sul quotidiano in lingua inglese di Hong Kong, il South China Morning Post, firmato da Ann Lee, dal titolo The real target of the US assassination of Iranian military leader Qassen Soleimani: China (Il vero obiettivo dell’assassinio del leader militare iraniano Qassen Soleimani: la Cina, ndr).

Ann Lee è un’analista cinese molto accreditata, già docente di relazioni internazionali alla Peking University e professore aggiunto alla New York University and Pace University dove insegna macroeconomia e finanza internazionale, oltre che autrice di molti volumi sui rapporti Stati Uniti-Cina, come What the US Can Learn from China e Will China’s Economy Collapse?. La tesi della Lee è piuttosto chiara: «Gli Stati Uniti hanno reso pubblicamente evidente che considerano la Cina un “concorrente strategico”, un modo ducato per dire che la Cina è un nemico» scrive la professoressa nel suo editoriale. «L’America», spiega Lee, «ha attivamente cercato di trascinare la Cina in uno scontro militare fin dal 2013, sotto l’amministrazione Obama, trasformando improvvisamente i mari della Cina meridionale e della Cina orientale in punti caldi dopo decenni di pace nella regione».

«Dal momento che il presidente cinese Xi Jinping non ha abboccato su quel fronte, l’amministrazione Trump ha cercato di provocare la Cina sollevando ulteriori problemi con Taiwan, la Corea del Nord e lo Xinjiang. Le azioni statunitensi relative a Hong Kong sono coerenti con questa strategia», è la tesi dell’analista. «Infine», continua l’editoriale, «nonostante l’accordo commerciale Usa-Cina, gli Stati Uniti hanno discriminato apertamente i cinesi cercando di danneggiarne l’economia con ogni mezzo. Dal blocco degli investimenti cinesi in società statunitensi alla limitazione per i fornitori americani di alta tecnologia di fare affari con aziende cinesi come Huawei, fino alle false accuse mosse a studenti e scienziati cinesi di essere spie».

NEL MIRINO LO STRETTO RAPPORTO COMMERCIALE CINA-IRAN

Fin qui, le tesi portate avanti dalla Lee non si discostano dalle ragioni della propaganda ufficiale anti-Usa di Pechino. Ma in che modo Soleimani si inserirebbe in questo scenario? Qui gli argomenti portati avanti dalla professoressa si fanno decisamente più interessanti, e in parte anche condivisibili. La Cina è uno dei maggiori importatori di petrolio iraniano. E fa anche parte della Shanghai Cooperation Organization, il che la rende un partner stretto della Russia. Ed è altrettanto vero che da tempo Pechino investe in Iran per consolidare la sua presenza in Medio Oriente, rischiando così di creare nuove tensioni in una regione già problematica.

Xi Jinping sta cercando di costruire una rotta commerciale preferenziale per collegare in maniera più efficiente l’Asia all’Europa

Negli ultimi tempi Teheran si è trasformata nella punta di diamante della nuova Via della Seta cinese, il mega-progetto infrastrutturale attraverso cui il presidente Xi Jinping sta cercando di costruire una rotta commerciale preferenziale per collegare in maniera più efficiente l’Asia all’Europa. E in quest’ottica, non è certo un caso che il primo capo di Stato straniero a recarsi in visita ufficiale in Iran dopo la cancellazione delle sanzioni sia stato, a suo tempo, proprio Xi Jinping, che ha approfittato dell’occasione per firmare un accordo che aumenterà l’interscambio commerciale tra le due nazioni da 55 a 600 miliardi di dollari in appena 10 anni.

Una strategia rischiosa, quella cinese, che ha dimostrato con chiarezza di voler privilegiare le relazioni con Teheran cercando nello stesso momento di approfondire le relazioni con tutti gli altri Paesi del Medio Oriente. Insomma, la tesi dei “falchi” pechinesi è che l’attacco a sorpresa americano intenda proprio colpire e frenare questa politica “espansionistica” della Cina in Medio Oriente bloccandone l’avanzata in un Paese strategico come l’Iran. Uno scenario decisamente “bellicoso”, quello descritto dalla professoressa Lee nel suo editoriale, che contrasta apertamente però con l’atteggiamento molto prudente assunto da Pechino fin dai primi momenti dello scoppio della crisi tra Usa e Iran.

IN GENNAIO LA FIRMA PER METTERE FINE ALLA GUERRA COMMERCIALE USA-CINA

L’impressione infatti è che la Cina sia consapevole che non può permettersi di mettere a repentaglio i rapporti finalmente distesi con gli Stati Uniti e l’imminente firma della “fase”1” degli accordi per mettere fine alla guerra commerciale in corso. Una firma confermata da Donald Trump, malgrado la delicata situazione, per il 15 gennaio, e che difficilmente, stando alle previsioni, potrà slittare. Ma i “falchi” a Pechino, come la professoressa Lee, la vedono molto diversamente.

In Cina sono assolutamente convinti che gli Stati Uniti intendano trascinare Pechino in una guerra attraverso un l’Iran

Sono assolutamente convinti che, dal momento che gli Stati Uniti non hanno avuto un grande successo nel provocare la Cina in uno scontro militare in altre possibili teatri di conflitto, intendano trascinare Pechino in una guerra attraverso un altro Paese, l’Iran appunto, allo stesso modo in cui la Germania fu trascinata nella Prima guerra mondiale dopo l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando. «E non è un caso», conclude la professoressa Lee nel suo editoriale, «se i dati delle ricerche su Google delle parole “Franz Ferdinand” hanno visto un picco proprio pochi minuti dopo l’assassinio di Soleimani. E la stragrande maggioranza di queste ricerche proveniva da Washington!».

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Dopo tanti fallimenti le lobby aspettano (ancora) una legge

Da anni si cerca di normare i rapporti tra i portatori di interesse e i decisori istituzionali ma mai nessuna proposta di legge ha concluso il suo iter. Ad oggi, sono tre le iniziative legislative al vaglio del parlamento che fanno riaccendere la speranza a tutti gli esperti del settore.

Nuovo anno, stesse tematiche: i nodi relativi al dibattito sulla regolamentazione della rappresentanza di interessi sembrano ben lontani dall’essere sciolti. In un contesto in cui diventa sempre più difficile per i politici prescindere dall’aiuto e dalle competenze dei portatori di interessi, i termini lobby e lobbista, in Italia rimangono ancora avvolti da un alone di mistero.

Eppure, già nell’America degli Anni 60, sotto la presidenza Kennedy, i lobbisti erano considerati professionisti che in «10 minuti e cinque fogli di carta» riuscivano a portare all’attenzione dei decisori le istanze di determinate categorie. Alla luce di questa profonda lacuna che caratterizza il nostro Paese rispetto ad altri, come scrivevo su questa stessa rubrica quasi due anni fa, una chiara ed efficiente regolamentazione del rapporto tra decisori pubblici e lobbisti risulta essere fondamentale e necessaria.

Questa, infatti, non può rimanere nelle mani di singole iniziative politiche, che rischiano di trovare soluzioni estemporanee e poco stringenti, tanto più che nell’approvare il reato di traffico di influenza il parlamento si impegnò, e siamo nel 2012, a varare rapidamente una legge di regolamentazione della lobby, proprio per distinguere in modo chiaro il lavoro proprio da quello improprio.

L’ITALIA HA ANCORA PREGIUDIZI NEI CONFRONTI DEI LOBBISTI

Nel corso di questi anni, nonostante persistano i pregiudizi nei confronti dei lobbisti, sembra che qualcosa, anche in Italia, stia iniziando a cambiare. Infatti, se da un lato il termine lobbying non gode ancora di un adeguato riconoscimento, l’espressione Public Affairs va sempre più diffondendosi e registra un costante aumento di interesse nei confronti dei media e del pubblico poiché considerata meno ambigua e più politically correct. Ma ciò non basta. È evidente che l’incertezza normativa in cui verte il settore rappresenti un dato sconfortante nei confronti del funzionamento democratico del Paese e incida in negativo sul valore strategico delle policy adottate.

È necessario che anche i lobbisti e le istituzioni pubbliche e private si impegnino a migliorare le proprie azioni

Come ho avuto modo di ribadire più volte, anche nel mio nuovo libro Comunicazione integrata e reputation management (Luiss Press University, 2019), l’Italia risulta essere il fanalino di coda dell’Europa in termine di trasparenza delle istituzioni, di qualità della legislazione, di partecipazione ai processi decisionali e di lotta alla corruzione. Sin dal 2014, l’analisi condotta da Transparency International-Italia nello studio Lobbying e democrazia. La rappresentanza degli interessi in Italia conferisce al nostro Paese un avvilente punteggio di 20 su 100.

Sono i cittadini, insieme ai professionisti del settore, a pagare l’incapacità di colmare questo vuoto legislativo, rendendo la partecipazione alla vita pubblica sempre più controversa. Alla luce di ciò, è necessario che anche i lobbisti e le istituzioni pubbliche e private si impegnino a migliorare le proprie azioni e i propri mezzi di comunicazione per interpretare e rispondere alle esigenze del nuovo contesto nel migliore dei modi.

TANTI TENTATIVI, POCHE AZIONI CONCRETE

I tentativi di disciplinare in modo onnicomprensivo i rapporti tra portatori di interessi e decisori pubblici sono, a oggi, oltre 65: il primo risale addirittura all’VIII legislatura quando è stata presentata al Senato della Repubblica, nel 1979, la proposta di legge Riconoscimento delle attività professionali di relazioni pubbliche a firma dei senatori democristiani Salerno, De Zan, Carollo e Mezzapesa, mai discussa. Ulteriori proposte di legge, talvolta neppure esaminate, sono state poi depositate nel corso di tutte le successive legislature. Gli stessi governi che si sono susseguiti hanno manifestato la necessità di regolamentare il lavoro dei lobbisti, in particolare attraverso la presentazione del disegno di legge del presidente del Consiglio Romano Prodi e del ministro per l’Attuazione del programma di governo Giulio Santagata; l’introduzione del reato di traffico di influenze illecite (nell’ambito della cosiddetta legge Severino) durante il Governo Monti, d ulteriori tentativi di disciplinare l’attività di rappresentanza degli interessi nel corso degli esecutivi guidati da Enrico Letta e Matteo Renzi.

TRE PROPOSTE DI LEGGE IN DISCUSSIONE DALL’11 DICEMBRE

Nonostante questo, il quadro normativo risulta essere molto frammentato. Se alla Camera, da quasi due anni, è stato istituito un registro pubblico dei lobbisti, che regola l’accesso alle stanze di Montecitorio, non è accaduto lo stesso al Senato. Esistono poi le iniziative di singoli ministri che, negli anni, hanno istituito registri e agende per la trasparenza, talvolta disattese dai loro successori. Tale assetto, non interessando l’intero perimetro delle istituzioni e non attribuendo pari dignità e grado a tutti gli attori del processo decisionale, ha determinato delle asimmetrie che non sono certamente di buon auspicio. Tuttavia, qualcosa dalla pubblicazione del mio ultimo articolo sulla questione sta cambiando. Da marzo 2018, nel corso della XVIII legislatura, sono state presentate ben nove proposte di legge in materia, di cui sei al Senato e tre alla Camera. L’11 dicembre scorso è iniziato, presso la I Commissione Affari Costituzionali, l’iter per la discussione di quelle alla Camera a firma di Fracesco Silvestri del Movimento 5 stelle, Silvia Fregolent di Italia viva e Marianna Madia del Partito democratico.

OLTRE ALLA REGOLAMENTAZIONE SI CAMBINO STRATEGIE DI COMUNICAZIONE

In linea generale, seppur con modalità talvolta diverse, i tre progetti di legge in questione intendono favorire la trasparenza e la partecipazione ordinata ai processi decisionali, migliorare la qualità della legislazione e prevenire episodi di corruzione. È previsto l’obbligo di iscrizione a un Registro ad accesso pubblico, che ogni lobbista dovrà aggiornare con l’agenda dettagliata dei propri incontri, un Codice deontologico in cui sono elencate le modalità di comportamento e un organo di sorveglianza ad hoc.

Bisogna garantire un flusso trasparente della comunicazione tra cittadini e istituzioni

Le proposte contemplano anche la possibilità di svolgere pubbliche consultazioni e relative norme sanzionatorie, che vanno dall’ammonizione alla cancellazione dal Registro e individuano, inoltre, alcuni casi di esclusione e incompatibilità, in particolare per giornalisti, rappresentanti dei governi e dei partiti o movimenti politici, esponenti di organizzazioni sindacali e imprenditoriali connessi alla contrattazione. Quel che è certo è che, se i lobbisti e gli esperti del settore sono pronti ad accogliere una precisa regolamentazione, devono anche essere disposti a impostare strategie di comunicazione multidirezionali, efficaci ed innovative per garantire un flusso trasparente della comunicazione tra cittadini e istituzioni. Che il nuovo decennio porti fortuna?

Gianluca Comin è professore di Strategie di Comunicazione, Luiss, Roma.

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Una fedele strattona papa Francesco e lui reagisce male

Papa Francesco ha reagito allo strattonamento di una fedele a piazza San Pietro e il video è immediatamente diventato virale…

Papa Francesco ha reagito allo strattonamento di una fedele a piazza San Pietro e il video è immediatamente diventato virale. Il 31 dicembre il pontefice, dopo la visita al presepe, si è energicamente “liberato” da una pellegrina asiatica che lo tirava dalla sua parte. E le ha dato anche un paio di schiaffi sulla mano. «Tante volte perdiamo la pazienza», ha poi detto Bergoglio durante l’Angelus, «chiedo scusa per il cattivo esempio».

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Riforma della prescrizione dal 1 gennaio, rinviata la legge sulle intercettazioni

Il ministro Bonafede ha annunciato i risultati del vertice di maggioranza sulla giustizia. Tra le novità gli audio irrilevanti per un’inchiesta non saranno più messi per iscritto.

La legge sulla prescrizione entrerà in vigore il 1 gennaio. L’annuncio è del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. «Dal 7 ci metteremo al lavoro per ridurre i tempi dei processi», ha spiegato al termine del vertice di governos sulla giustizia, aggiungendo che sul tema le posizione nella maggioranza «sono diverse».

GLI AUDIO IRRILEVANTI NON SARANNO MESSI PER ISCRITTO

La legge Orlando sulle intercettazioni sarà modificata in due punti: «il pubblico ministero (e non più la polizia giudiziaria, ndr) torna ad avere la supervisione nella scelta tra intercettazioni rilevanti e non rilevanti; per il difensore ci sarà la possibilità di richiedere una copia solo delle intercettazioni rilevanti. Quelle irrilevanti le potrà ascoltare e se c’è divergenza sulla rilevanza o meno di queste si andrà dal pm», ha dichiarato il guardasigilli.

RINVIATA LA NORMA SULLE INTERCETTAZIONI

Inoltre, ha spiegato Bonafede, nel milleproroghe verrà inserito invece il rinvio dell’entrata in vigore al 2 marzo 2020: «C’è stato un accordo di massimo per rinviare l’entrata in vigore della legge sulle intercettazioni al 2 marzo e per una norma che modifichi il provvedimento. Domani tutte le forze avranno modo di vedere la norma nero su bianco che potrebbe entrare, come decreto, nel Cdm di sabato».

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Niente Gay pride, il Pirellone è solo per il Family day

Il Consiglio regionale della Lombardia ha bocciato a maggioranza un ordine del giorno del M5s che chiedeva di illuminare il grattacielo con una scritta a favore del Pride 2020. Il consigliere leghista Bastoni: «Una baracconata».

Niente Pirellone per il gay pride, luci solo sul Family Day. Il Consiglio regionale della Lombardia ha bocciato a maggioranza un ordine del giorno al bilancio di previsione presentato dal Movimento 5 Stelle che chiedeva all’Ufficio di Presidenza l’impegno a illuminare la facciata di Palazzo Pirelli con una scritta a sostegno del Milano Pride del 2020. A votare contro la proposta tutta la maggioranza di centrodestra, favorevoli M5S e Pd e gli altri gruppi di opposizione. Durante le dichiarazioni di voto in Aula, ha preso la parola il consigliere della Lega Massimiliano Bastoni che ha definito il Gay Pride «una baracconata che non rappresenta nemmeno tutti gli omosessuali». «Abbiamo votato contro perché queste richieste, come il patrocinio, vengono valutate da prassi dall’Ufficio di Presidenza» ha motivato invece il capogruppo di Forza Italia Gianluca Comazzi. Dura la reazione del capogruppo del Movimento 5 Stelle Marco Fumagalli che ha parlato di “Consiglio razzista”.

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Caso Cucchi, due carabinieri imputati parte civile contro i colleghi

Colombo Labriola e Francesco Di Sano, coinvolti nel processo sui depistaggi, sostengono di essere stati «costretti a obbedire agli ordini»,

Due carabinieri imputati al processo sui depistaggi per la morte di Stefano Cucchi hanno annunciato l’intenzione di costituirsi parte civile nei confronti di altri due loro colleghi co-imputati per il reato di falso ideologico. Si tratta di Colombo Labriola e Francesco Di Sano, che intendono costituirsi parte civile nei confronti di Francesco Cavallo e Luciano Soligo, entrambi tenente colonnello e loro superiori in grado, dai quali – secondo i legali – avrebbero ricevuto disposizioni di modifica di alcuni atti. «L’ordine fu dato da chi, insistendo sulla modifica, sapeva qualcosa di più costringendo gli altri a eseguirla» – ha detto uno dei loro legali in aula. «Loro hanno subito un danno di immagine, come è successo per gli agenti della polizia penitenziaria».

«NON SAPEVAMO DEL PESTAGGIO»

«Non sapevamo del pestaggio», è la versione dei due. «Dopo i Cucchi, le vittime siamo noi. C’è stata una strana insistenza nel chiederci di eseguire quelle modifiche che all’epoca non capivamo. Oggi sappiamo tutto e per questo abbiamo deciso di costituirci parte civile. Non siamo nella stessa linea gerarchica, l’abbiamo subita, erano ordini».

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La regia di Verdini dietro al possibile asse Renzi-Salvini

Si vocifera che abbia ospitato un incontro toscano tra i due Mattei. Che meditano di coalizzarsi per disfarsi dei rispettivi nemici: Zingaretti e Di Maio. Il retroscena.

A Firenze gli orfani del Nazareno ne parlano da mesi: Denis è tornato. Denis di cognome fa Verdini ed è l’ex richelieu di Berlusconi. Il ‘coordinatore’ del Pdl che per Silvio ha gestito per anni col bilancino quorum, premi di maggioranza, soglie di sbarramento e le poltrone. Colui che ha tessuto pazientemente le relazioni tra gli Azzurri e l’allora presidente della Provincia diventato poi sindaco grazie anche alla scelta tutta verdiniana dell’avversario, l’ex calciatore Giovanni Galli. Poi le inchieste giudiziarie, i processi, l’addio a Forza Italia fondando il gruppo parlamentare Ala (Alleanza liberalpopolare Autonomie) e lo sfaldamento del Patto del Nazareno saltato lo hanno allontanato dalla scena. Ma Denis, abituato a lavorare nel retrobottega, non si è mai fermato, ripetono in riva all’Arno. E ora è tornato. Anche se sta sempre a Roma e non solo per andare a cena al ristorante del figlio Tommaso (frequentatore della Leopolda) o con la figlia Francesca, fidanzata con Salvini. Dagli spifferi di palazzo echeggia la voce che partecipi pure alle riunioni strategiche della Lega.

QUEL PRESUNTO INCONTRO TRA RENZI E SALVINI A CASA VERDINI

L’indiscrezione raccolta da La Stampa su un presunto incontro tra i due Mattei «sorseggiando Chianti» nella casa di Denis al Pian de’ Giullari è stata smentita: «Renzi e Salvini non si sono incontrati a Firenze, meno che mai nella casa di Denis Verdini. I due senatori si sono invece incrociati in Senato come peraltro rivelato dai numerosi giornalisti presenti in occasione della seduta parlamentare. Ma non vi è stato invece alcun incontro toscano. E meno che mai si è bevuto Chianti in una casa privata», riporta una nota dell’ufficio stampa di Italia Viva. Seguita da una risposta de La Stampa che ha ribadito quanto scritto: «L’incontro c’è stato». Di certo, sono state scattate le foto della stretta di mano tra la moglie di Verdini, Simonetta Fossombroni, e Salvini  al convegno organizzato dal Tempo sull’Europa, intitolato Il ratto di Europa. Obiettivi dei Padri, delusione dei figli. Presente anche Denis con i suoi fedelissimi. Tra gossip, smentite, conferme e foto di Pizzi su Dagospia, qualcosa bolle in pentola. Non è un caso se Matteo Renzi si sta salvinizzando nella comunicazione, soprattutto quella sui social, ma anche berlusconizzando quando attacca le procure.

UN TRAGHETTATORE DALLA GRANDE ESPERIENZA

Serviva un regista come Verdini, dicono ancora le voci, per portare avanti il piano diabolico dei due Mattei: coalizzarsi temporaneamente per liberarsi in un colpo solo dei due rispettivi nemici: Renzi di Zingaretti e Salvini di Di Maio. Dopo aver fatto varare la manovra al governo Conte, così gli elettori sapranno già con chi prendersela nelle urne. Fantapolitica? Chissà. Di certo sarebbe un gioco da ragazzi per l’ex coordinatore nazionale di Forza Italia, traghettatore di grande esperienza. L’uomo che organizzava la vita politica di Berlusconi e specialmente quella parlamentare, mago dei numeri, capace di prevedere al millimetro l’andamento di un voto, il numero di tradimenti. L’uomo ombra: non partecipa ai talk show, non rilascia interviste, non cinguetta su Twitter. E in più fiorentino. «Verdini è un pragmatico, che conosce la prima regola della politica: i rapporti di forza», diceva di lui lo stesso Renzi. «Un comunista più anticomunista di questo non s’è visto mai», diceva di Renzi lo stesso Verdini. «Tutti mi chiedono cosa ci guadagnano a venire con me. Gli rispondo che sono il taxi. Vuoi rimanere al potere? Solo io ti conduco in dieci minuti da Berlusconi a Matteo», diceva Verdini di se stesso.

IL SOLDATO DENIS E UN ESERCITO CON DUE GENERALI

Un po’ Sassaroli di Amici Miei, un po’ Machiavelli di provincia, in realtà adora Pirandello e ha sempre preferito i personaggi in cerca d’autore per accompagnarli meglio da un partito all’altro. In Toscana, dove Verdini ha ancora molti contatti, Salvini non ha presentato una sua candidatura per le elezioni regionali. Un ottimo test per l’ex coordinatore azzurro che si chiama così perché il padre era un prigioniero di guerra e quando ritornò in Italia il primo soldato cui rivolse la parola aveva questo nome. A Firenze e nella Capitale ora qualcuno comincia a chiedersi come farà il soldato Denis a gestire un esercito con due generali

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Come è andata la prima riunione nazionale delle Sardine

«Vogliamo tornare prima possibile nelle piazze». A un mese esatto dalla manifestazione di Bologna, partecipano 150 promotori delle iniziative di piazza locali che si sono tenute da metà novembre a oggi.

Cosa sarà del futuro delle Sardine? Hanno cercando di capirlo loro stesse – a un mese esatto dalla prima manifestazione di Bologna e all’indomani della prova romana – durante la prima riunione nazionale delle Sardine, alla quale stanno partecipando circa 150 promotori delle iniziative di piazza locali che si sono tenute in da metà novembre a oggi. L’incontro, a porte chiuse, si è tenuto nello Spin Time Labs, una sorta di centro sociale, a due passi da Piazza San Giovanni, dove alloggiano circa 150 famiglie, con tanto di auditorium dove si organizzano eventi culturali. All’ingresso, un grande striscione: «Viva le sardine, abbasso gli sgombri». Alcuni ragazzi alla porta hanno riferito che si tratta sostanzialmente di un primo contatto fisico tra chi in questo mese ha comunicato solo su Facebook. Una riunione, quindi, prettamente organizzativa, durante la quale si discuterà insieme per fare un primo bilancio sulle manifestazioni, su cosa ha funzionato di più e cosa di meno. Sempre le stesse fonti sostengono che non sia all’ordine del giorno né la decisione né il dibattito sull’eventuale presentazione di liste alle prossime elezioni regionali. «Tornare prima possibile nelle piazze: questo è l’obiettivo di questa riunione in cui ci siamo conosciuti», ha detto al termine dell’incontro Mattia Santori.

Dialogo.Per riassumere in una parola cosa è successo nel primo "congresso" delle Sardine basta una parola. Che passa…

Posted by 6000 sardine on Sunday, December 15, 2019

«Dialogo. Per riassumere in una parola cosa è successo nel primo “congresso” delle Sardine basta una parola. Che passa dall’ascolto, dall’empatia, dalla non violenza, dall’accettazione delle diversità. E da un obiettivo comune: tornare sui territori subito», ha scritto il Movimento delle Sardine su Facebook. «Continuare a presentare un’alternativa alla bestia del sovranismo e alle facili promesse del pensiero semplice. Continueremo a difendere la complessità. E lo faremo in maniera semplice, gratuita, creativa. L’obiettivo delle persone che vedete in questa foto non è decidere o comandare. Ma coinvolgere. Se lo vorrete ci rivedremo presto».

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Tre ragazzi sono morti in un tragico incidente nel Veneziano

Uno schianto frontale avvenuto a Noventa di Piave: le vittime sono due ragazze di 22 e 24 anni e un giovane di 25. Nel Veronese morte una madre e una figlia.

Tragedia in provincia di Venezia dove tre giovani sono morti, questa notte, in un incidente stradale in località Musetta a Noventa di Piave. Le vittime sono due ragazze di 22 e 24 anni e un giovane di 25 anni. Secondo una prima ricostruzione l’incidente è stato causato da un frontale tra una Fiat Punto e una Citroen C3. Nonostante i soccorsi, i tre dopo che sono stati estratti dalle lamiere contorte dei vigili del fuoco, sono stati dichiarati morti dal medico del Suem 118. Le vittime sono Giulia Bincoletto, 25 anni di San Donà, e Chiara Brescaccin, 23, di Eraclea, mentre il ragazzo è un trevigiano residente a Salgareda di 20 anni, Matteo Gava. Secondo fonti delle forze dell’ordine il 20enne e Chiara Brescaccin viaggiavano sulla stessa auto, la Punto, mentre Giulia Bincoletto era da sola sulla Citroen C3.

LE IPOTESI AL VAGLIO DEI CARABINIERI

Secondo una prima ricostruzione dei carabinieri, l’incidente sarebbe stato causato dall’invasione della corsia opposta da parte della Punto guidata da Chiara Brescaccin che aveva al suo fianco Matteo Gava. Giulia Bincoletto, figlia del titolare di un noto locale della zona, da quanto si è appreso, stava tornando a casa da una festa sulla sua Citroen C3. Esclusa, come causa dell’incidente, la nebbia e la presenza di ghiaccio sulla strada. Aperte tutte le altre ipotesi, da una distrazione all’attraversamento di un animale così come l’uso del cellulare.

DUE VITTIME ANCHE NEL VERONESE

Un altro schianto, sempre in Veneto, nella notte tra sabato e domenica: due donne sono rimaste vittime dell’incidente stradale avvenuto in tarda serata a San Gregorio di Veronella, nel Veronese. Le vittime sono madre figlia di 28 e 52 anni i cui corpi sono stati estratti dall’auto rovesciata dai vigili del fuoco. Ferito un 22enne, a bordo di una seconda vettura, ricoverato in ospedale.

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L’endorsement di Di Maio alle Sardine

«Bella piazza, sarebbe bello lavorare insieme», ha detto il leader del M5s dopo la manifestazione di Piazza San Giovanni a Roma. E sulla Popolare di Bari dice: «Va nazionalizzata».

Alla fine le Sardine si sono prese anche piazza San Giovanni a Roma, luogo storico della sinistra, stipate a decine di migliaia. Più di 100 mila per gli organizzatori. Un terzo circa, per la questura. E proprio le Sardine sono uno dei due argomenti principali di una lunga intervista di Luigi di Maio al Corriere. «Bella piazza, si può lavorare insieme», ha detto il ministro degli Esteri. «Ogni nostra convergenza è sempre sul programma. Ma facciamo così: per ipotesi, sarebbe bello lavorare insieme su ambiente, giustizia, diritti sociali, lavoro, casa e aiuto alle persone in difficoltà».

SULLA POPOLARE DI BARI: «COMMISSIONE D’INCHIESTA SULLE BANCHE»

Invece della Popolare di Bari, ultima patata bollente finita sul tavolo del Governo, Di Maio pensa che vada «nazionalizzata». «Se una banca fallisce», ha spiegato il capo politico del M5 sempre al Corriere, «non è colpa dei risparmiatori. La solidità del sistema è fondamentale, ma se ci sono manager che hanno prestato soldi allo scoperto, devono pagare. Il tempo del silenzio è finito», sostiene. E sulla necessità di salvare prima i risparmi di 70 mila famiglie, ha osservato: «Possiamo fare tutte e due le cose: avviare in Consiglio dei ministri il procedimento che metta agli atti i nomi di chi ha ricevuto soldi allo scoperto, facendo chiarezza sui legami politici locali, e contestualmente mettere al riparo i risparmi. E bisogna far partire la commissione d’inchiesta sulle banche». Se lo Stato – ha aggiunto – «deve mettere soldi per salvare i conti correnti, dobbiamo fare in modo che quella banca sia nazionalizzata. Il nostro progetto è la banca pubblica degli investimenti». E in merito al decreto: «Daremo due risposte, una ai mercati, l’altra ai cittadini».

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Nuova scossa di terremoto di magnitudo 3.0 al Mugello

Epicentro a cinque chilometri da Barberino. La gente si è riversata in strada. Alcuni passeranno la notte in auto.

Non si è ancora fermata l’onda sismica che ha colpito la Toscana. Una nuova scossa di magnitudo 3.0 è stata registrata a cinque chilometri da Barberino del Mugello dall’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Il terremoto è avvenuto alle 17.55 a una profondità di otto chilometri. Gli altri comuni vicini all’epicentro sono Scarperia e San Piero e borgo San Lorenzo. La scossa è stata avvertita distintamente dagli abitanti del Mugello e in tanti, già provati dalla settimana appena trascorsa, sono usciti allarmati dalle case riversandosi in strada. In molti si appresterebbero a passare la notte in macchina o nei centri allestiti nella palestra di Barberino e all’autodromo del Mugello per timore di nuove scosse. Al momento non ci sono notizie di danni.

104 PERSONE NEI CENTRI DI OSPITALITÀ

Intanto cala il numero delle persone accolte nei centri di ospitalità allestiti per le persone colpite dal sisma. La notte tra il 13 e il 14 dicembre sono state 104: 29 nei locali dell’Autodromo predisposti dalla Protezione civile della Metrocittà di Firenze, e 75 nella palestra della scuola media del comune di Barberino, in via Agresti. Lo ha reso noto la sala di Protezione civile della Città Metropolitana di Firenze spiegando che «nella notte tra il 9 e il 10 dicembre complessivamente gli ospiti, dislocati in sei centri, sono stati 473; la notte tra il 10 e l’11 314, tra l’11 e il 12 dicembre 282, 120 l’altra notte».

DANNI AL COMPARTO AGRICOLO

Coldiretti ha segnalato danni anche nel comparto agricolo mugellano per il recente terremoto. «Abbiamo riscontrato lesioni in alcune stalle e rimesse agricole, sebbene per fortuna non in quelle maggiori», ha spiegato il presidente della sezione di Firenze-Prato, Roberto Nocentini il quale ha auspicato pure «che il ripristino delle strutture lesionate possa coincidere con un autentico programma di rilancio del sistema economico agricolo e agroalimentare mugellano che, oramai da troppo tempo, vede soggetti economici importanti slegati o non pienamente in grado di fornire le risposte adeguate ad una domanda crescente».

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Marta Cartabia è la prima donna presidente della Consulta

Originaria della provincia di Milano, con i suoi 56 anni è anche tra i più giovani presidenti della Corte Costituzionale. Ma il suo mandato sarà breve: nove mesi appena.

La Corte Cistituzionale ha eletto la prima presidente donna della sua toria. La scelta dei giudici è caduta su Marta Cartabia, che con i suoi 56 anni è anche tra i più giovani presidenti che la Consulta abbia mai avuto. È sposata ed è madre di tre figli.

Originaria della provincia di Milano, approdata alla Corte nel 2011 su nomina dell’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano e vicepresidente dal 2014, Cartabia è docente di diritto costituzionale e ha un profilo internazionale per studi e pubblicazioni.

È stata eletta presidente all’unanimità: 14 voti a favore e una sola scheda bianca, la sua. Ma il suo mandato sarà breve, nove mesi appena. Scadrà infatti il 13 settembre 2020, visto che la nomina alla Consulta risale nel 2011 e l’ufficio di giudice costituzionale non può durare più di nove anni.

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Marta Cartabia è la prima donna presidente della Consulta

Originaria della provincia di Milano, con i suoi 56 anni è anche tra i più giovani presidenti della Corte Costituzionale. Ma il suo mandato sarà breve: nove mesi appena.

La Corte Cistituzionale ha eletto la prima presidente donna della sua toria. La scelta dei giudici è caduta su Marta Cartabia, che con i suoi 56 anni è anche tra i più giovani presidenti che la Consulta abbia mai avuto. È sposata ed è madre di tre figli.

Originaria della provincia di Milano, approdata alla Corte nel 2011 su nomina dell’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano e vicepresidente dal 2014, Cartabia è docente di diritto costituzionale e ha un profilo internazionale per studi e pubblicazioni.

È stata eletta presidente all’unanimità: 14 voti a favore e una sola scheda bianca, la sua. Ma il suo mandato sarà breve, nove mesi appena. Scadrà infatti il 13 settembre 2020, visto che la nomina alla Consulta risale nel 2011 e l’ufficio di giudice costituzionale non può durare più di nove anni.

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Caro voli e caro treni: tornare a casa per Natale è un’Odissea

Come ogni anno raggiungere la famiglia per le feste è un salasso. I biglietti aerei, quando si trovano, sono proibitivi. E l’alternativa su rotaia è sold-out. Cronache di ordinario rientro da Nord a Sud.

Cinque euro per andare a Londra, 166 per Palermo. In entrambi i casi si parte il 20 dicembre da Milano Malpensa con una low-cost. L’ultimo venerdì prima di Natale, quando – almeno sulla carta – le famiglie dovrebbero ricomporsi per la gioia dei cari facendo però lacrimare il portafoglio.

Il 20 dicembre da Malpensa a Londra si spendono 4,99 euro.

Anche questi sono i risvolti dell’emigrazione di massa e della fuga dei cervelli. E basta dare un’occhiata a destinazioni e tariffe sotto le feste per rendersene conto. 

Volo Milano Malpensa – Palermo.

POSTI QUASI ESAURITI PER BARI E CATANIA

Nella stessa data, per Bari e Catania è tutto esaurito e la storia non cambia nei giorni successivi, mentre per spingersi fino a Lamezia servono 230 euro e una prenotazione immediata: i posti disponibili sono due e potrebbero facilmente esaurirsi nell’istante in cui quest’articolo prende forma.

Per volare da Malpensa a Lamezia il 20 dicembre si spendono 230,99 euro.

Si potrà obiettare che la soluzione volo non sia la sola percorribile e possano trovarsi alternative, ma anche in questo caso ogni affermazione deve essere presa con le pinze.

LE ODISSEE VIA TRENO

Da Roma a Villa San Giovanni (Reggio Calabria), i treni vanno a ruba: i biglietti residui e più economici costano 78 euro, Freccia Bianca senza chance di scontistica, o 87, che diventano 52 per under 30 e over 60. Quest’ultima soluzione, però, è un Intercity e per percorrere i 491 chilometri che dividono la Capitale dal Sud più profondo impiega la bellezza di sette ore e 10 minuti.

Il costo di un biglietto Frecciargento da Roma a Villa San Giovanni.

Meglio allora, a patto certo di averne le possibilità, optare per la Freccia Argento. Prezzo bloccato a 127 euro con economy sold-out: lati negativi da barattare con la consapevolezza di essere a casa in “sole” 4 ore e 39 minuti. 

UN PAESE SPACCATO

Ritardi permettendo. Già, perché in un quadro di per sé desolante, l’alta velocità continua a viaggiare a singhiozzo da Salerno in giù, con qualche rara eccezione determinata spesso e volentieri più dall’eliminazione di fermate che dall’aumento effettivo dei chilometri orari dei convogli. Le linee sono vecchie, le infrastrutture altrettanto e gli interventi rari per usare un eufemismo. Chi taglia l’Italia da Nord a Sud, si confronta un Paese letteralmente spaccato: fino a Napoli abbondano le corse di Italo e Trenitalia. Poi, una volta giunti sotto il Vesuvio, è quasi sempre necessario proseguire su Intercity o regionali veloci. «Da Bergamo a Roma giorno 20 dicembre sfrutterò l’alta velocità, impiegando 5 ore», conferma a Lettera43.it Antonella, biotecnologa 26enne. «Poi continuerò con l’Intercity. Per percorrere 100 chilometri in meno, viaggerò due ore in più». Paradossi dello Stivale. 

I CORAGGIOSI DEL PULLMAN

Per i più arditi o i ritardatari dell’ultimo secondo rimangono i bus. Roma-Agrigento, venerdì 20 dicembre, vale 69 euro e 50 o, addirittura, 84.50 a seconda che si decida per una partenza serale (19.45) o notturna (21). Orario di arrivo? Rispettivamente 9.15 e 10.30. La notte in pullman val bene l’abbraccio con mamma e papà, una passeggiata in riva al mare o il pranzo del 25 dai parenti, ma nessuno, studente o lavoratore che sia, disdegnerebbe la possibilità di risparmiare qualche manciata di euro. Che si trasformano presto in giri d’affari incredibili, se moltiplicati per il numero impressionante di emigrati.

Il costo del viaggio da Roma ad Agrigento in bus.

LO TSUNAMI DEMOGRAFICO

Secondo i dati dell’ultimo rapporto Svimez, tra il 2002 e il 2017 dal Meridione, con capolinea Nord Italia o estero, sono andate via oltre 2 milioni di persone, la metà sono giovani tra i 22 e i 34 anni, 379 mila quelli in possesso di una laurea. Nello stesso arco di tempo sono rientrati in 1 milione e 200 mila, per un saldo negativo di 852 mila. Per rendere meglio l’idea, l’equivalente di una città delle dimensioni di Torino. L’ultimo rapporto Censis parla invece senza mezze misure di “tsunami demografico“: «Dal 2015 il Mezzogiorno ha perso quasi 310 mila abitanti (-1,5%), contro un calo dello 0,6% nell’Italia centrale e dello 0,3% nel Nord Ovest, dello 0,1% nel Nord Est e dello 0,7% a livello nazionale».

IL GAP CON L’EUROPA

Con questi numeri, non stupisce l’esodo sotto le feste o in estate. E i prezzi dei biglietti alle stelle. Problema, quest’ultimo, che si ripropone ogni anno e che almeno in Italia non pare trovare una soluzione. In Spagna, per esempio, le cose vanno diversamente grazie a una efficiente continuità territoriale. «Da Las Palmas a qualunque città della Spagna, e viceversa, ho una riduzione del 75% sul costo iniziale del biglietto», spiega Naomi Diaz 24 anni, originaria delle Canarie. «Inizialmente pagavamo la metà, poi, dopo numerose proteste, le agevolazioni sono aumentate ulteriormente, diventando quelle attuali». Nessun privilegio, ma il dovere di andare incontro a un bisogno urgente: «Vale solo per gli spostamenti che abbiano come destinazione o partenza la mia città», continua. «Per rotte differenti il prezzo è identico a quello pagato dagli altri spagnoli». 

Esodo natalizio (Ansa).

LA CONTINUITÀ TERRITORIALE PER LA SARDEGNA

E in Italia? Questo meccanismo funziona per ora solo per la Sardegna (per la Sicilia è stato chiesto recentemente) e garantisce tariffe bloccate su sei tratte aree: Alghero, Cagliari e Olbia con mete Roma Fiumicino e Milano Linate. Oltre ai residenti sull’Isola, possono beneficiare della scontistica anziani con più di 70 anni, giovani dai 2 ai 21 anni, studenti universitari fino al compimento dei 27. Per un totale di 3.672.532 posti l’anno. I nati in Sardegna hanno invece diritto a sconti sui biglietti marittimi. Il recente ponte di Ognissanti, tuttavia, ha dimostrato come le liste d’attesa siano lunghe e insufficienti a soddisfare l’enorme mole di domande. Storie, insomma, d’ordinario rientro.

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Il governo delle tasse rimangiate

Conte dopo il vertice-fiume sulla manovra: «Azzerato il prelievo sulle auto aziendali». Plastic tax ridotta a 15 centesimi al chilo e rinviata a luglio. Mentre la sugar tax partirà soltanto a ottobre. Il premier: «Nessuno dica più che siamo l’esecutivo delle imposte». Ma preoccupano i tempi contingentati in parlamento.

Azzerata la tassa sulle auto aziendali, ridotta dell’85% quella sulla plastica che partirà dal primo luglio, mentre la sugar tax viene rinviata a ottobre.

Il premier Giuseppe Conte, in conferenza stampa, ha confermato che la maggioranza ha trovato un accordo sulla manovra. «Nessuno dica più che siamo il governo delle tasse», ha scandito Conte, «sarebbe una bugia inoppugnabile».

Il premier ha chiarito anche la natura del colloquio al Quirinale con il presidente Sergio Mattarella: «Era un incontro già programmato da tempo, rientra nelle mie abitudini aggiornare ogni tanto il Capo dello Stato. C’è stato anche un rapido ragguaglio sullo stato della manovra, ma nessun riferimento alla tenuta della maggioranza».

Alle fibrillazioni interne alla maggioranza, tuttavia, si somma il rischio di un esame compresso della legge di bilancio in parlamento. I tempi sono tanto stretti che le modifiche potrebbero essere concentrate tutte al Senato, mentre la Camera rischia di non toccare palla. Le opposizioni già minacciano ricorsi alla Consulta e sul punto anche i partiti che sostengono il governo avrebbero opinioni divergenti. Per evitare l’esercizio provvisorio ci sono solo 25 giorni, da qui al 31 dicembre.

E dunque nel vertice a Palazzo Chigi, e verosimilmente anche nel colloquio fra Conte e Mattarella, si sono affrontate questioni di calendario che non sono affatto mera burocrazia, perché richiamano gli equilibri fra le due Camere. Possibile che gli emendamenti presentati e votati al Senato vengano in parte condivisi con i deputati, chiamati a “travasare” le loro istanze.

Ma la Lega è pronta a dare battaglia. Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio a Montecitorio, ha dichiarato: «Non vorrei che il governo volesse procedere con un maxi emendamento al Senato, chiudere lì il testo e farlo arrivare alla Camera con la fiducia. Non ci sarebbero precedenti, e allora altro che l’intervento della Consulta dell’anno scorso…».

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