Il cadavere dell’ex agente britannico James Le Mesurier rinvenuto nel centro della capitale turca. Con la sua Ong appoggiava il famoso gruppo di soccorritori in Siria.
Un ex agente dei servizi segreti inglesi e fondatore di una Ong che addestrava i gruppi di soccorritori dei Caschi Bianchi in Siria, James Gustaw Edward Le Mesurier, è stato trovato morto stanotte vicino alla sua casa nel centro di Istanbul. Secondo l’Afp, sarebbe precipitato dal balcone del suo appartamento: il suo corpo aveva fratture alle gambe e alla testa. Le autorità turche hanno fatto sapere di aver aperto un’inchiesta sulla sua morte. Ex ufficiale dell’esercito britannico, Le Mesurier aveva fondato la Mayday Rescue, con sedi a Istanbul e Amsterdam e finanziamenti dall’Onu e da vari governi. Nei giorni scorsi, la Russia lo aveva accusato di essere una spia camuffata da operatore umanitario.
#Zakharova: The White Helmets’ co-founder, James Le Mesurier, is a former agent of Britain’s MI6, who has been spotted all around the world, including in the #Balkans and the #MiddleEast. His connections to terrorist groups were reported back during his mission in #Kosovo. pic.twitter.com/Fa7JTuP39Z
Il cadavere dell’ex agente britannico James Le Mesurier rinvenuto nel centro della capitale turca. Con la sua Ong appoggiava il famoso gruppo di soccorritori in Siria.
Un ex agente dei servizi segreti inglesi e fondatore di una Ong che addestrava i gruppi di soccorritori dei Caschi Bianchi in Siria, James Gustaw Edward Le Mesurier, è stato trovato morto stanotte vicino alla sua casa nel centro di Istanbul. Secondo l’Afp, sarebbe precipitato dal balcone del suo appartamento: il suo corpo aveva fratture alle gambe e alla testa. Le autorità turche hanno fatto sapere di aver aperto un’inchiesta sulla sua morte. Ex ufficiale dell’esercito britannico, Le Mesurier aveva fondato la Mayday Rescue, con sedi a Istanbul e Amsterdam e finanziamenti dall’Onu e da vari governi. Nei giorni scorsi, la Russia lo aveva accusato di essere una spia camuffata da operatore umanitario.
#Zakharova: The White Helmets’ co-founder, James Le Mesurier, is a former agent of Britain’s MI6, who has been spotted all around the world, including in the #Balkans and the #MiddleEast. His connections to terrorist groups were reported back during his mission in #Kosovo. pic.twitter.com/Fa7JTuP39Z
Il cadavere dell’ex agente britannico James Le Mesurier rinvenuto nel centro della capitale turca. Con la sua Ong appoggiava il famoso gruppo di soccorritori in Siria.
Un ex agente dei servizi segreti inglesi e fondatore di una Ong che addestrava i gruppi di soccorritori dei Caschi Bianchi in Siria, James Gustaw Edward Le Mesurier, è stato trovato morto stanotte vicino alla sua casa nel centro di Istanbul. Secondo l’Afp, sarebbe precipitato dal balcone del suo appartamento: il suo corpo aveva fratture alle gambe e alla testa. Le autorità turche hanno fatto sapere di aver aperto un’inchiesta sulla sua morte. Ex ufficiale dell’esercito britannico, Le Mesurier aveva fondato la Mayday Rescue, con sedi a Istanbul e Amsterdam e finanziamenti dall’Onu e da vari governi. Nei giorni scorsi, la Russia lo aveva accusato di essere una spia camuffata da operatore umanitario.
#Zakharova: The White Helmets’ co-founder, James Le Mesurier, is a former agent of Britain’s MI6, who has been spotted all around the world, including in the #Balkans and the #MiddleEast. His connections to terrorist groups were reported back during his mission in #Kosovo. pic.twitter.com/Fa7JTuP39Z
Il primo miliziano a essere rimpatriato è stato un cittadino americano. Nelle prigioni di Ankara ci sono 1.200 terroristi.
La Turchia ha espulso il primo foreign fighter dell’Isis detenuto nelle sue carceri. Si tratta di un cittadino americano, secondo quanto riferito dal portavoce del ministero dell’Interno. Altri sette jihadisti tedeschi del Califfato saranno espulsi giovedì.
«Un
terrorista straniero americano è stato espulso dalla Turchia dopo
che tutti i passaggi»
burocratici «sono stati
completati», ha spiegato
il portavoce di Ankara, Ismail Catakli. Entro oggi saranno espulsi
anche «un terrorista
foreign fighter tedesco»
e uno danese, che si trovavano in centri di detenzione per stranieri,
ha aggiunto il portavoce, che non ha fornito altre informazioni per
identificare i jihadisti.
L’intenzione del governo di Recep Tayyip Erdogan di avviare i rimpatri, anche di miliziani che sono stati privati della cittadinanza dai loro Paesi, era stata anticipata nei giorni scorsi. Nelle prigioni turche ci sono 1.200 combattenti dell’Isis, tra cui diversi occidentali ed europei. Altri 287 jihadisti del Califfato, in gran parte stranieri, sono stati catturati da Ankara dopo la sua offensiva lanciata il 9 ottobre contro i curdi nel Nord Est della Siria.
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Ex trafficanti e criminali, negli Anni 70 vennero inquadrati dal regime di Damasco come forze di sicurezza da utilizzare nella repressione degli oppositori. Squadroni della morte che si sono macchiati di ogni atrocità. E ora combattono a Idlib. La scheda.
Bashar al-Assad il 22 ottobre scorso ha incontrato le truppe governative impegnate in prima linea, nella città di Hbeit, nella provincia di Idlib dove ancora sono intensi i combattimenti tra l’esercito di Damasco e le forze ribelli appoggiate dalla Turchia. Al fianco delle truppe siriane, utilizzate come teste di ponte nei combattimenti c’erano anche milizie paramilitari.
Non certo una novità. In Siria esiste infatti un esercito “fantasma” formato, almeno in origine, da ex detenuti, trafficanti di droga e armi, malavitosi: sono gli shabbiha. Parola che probabilmente in origine significava proprio fantasma ma che in Siria è da decenni sinonimo di criminale, teppista. Le stime parlano di 50 mila combattenti, presenti in tutti governatorati del Paese e reclutati dai servizi di sicurezza siriani. Si dice vengano addestrati sotto la supervisione di Hezbollah, quindi armati e impiegati nelle operazioni di polizia e dell’esercito.
Hafez al-Assad, ex presidente siriano padre di Bashar.
GLI SGHERRI DEL CLAN ASSAD
A organizzare queste squadre di mercenari furono Rifaat e Namir al Assad, rispettivamente fratello e cugino dell’ex presidenteHafez, padre di Bashar, che prese il potere con un colpo di Stato nel 1970. In un primo momento la loro azione si concentrò a Latakia, Banias e Tartous, sulla costa mediterranea. Poi si diffusero in modo capillare nell’intero Paese. Gli shabbiha erano utilizzati come milizie di sicurezza, ma anche come sicari per eliminare gli oppositori del regime. Si stima che fossero dalle 9 alle 10 mila unità, tutti appartenenti alla minoranza alawita (una corrente esoterica dell’islam sciita) la stessa della famiglia al Assad, che rappresenta il 10% della popolazione siriana. Con la morte di Hafez nel 2000 e l’arrivo sulla scena di Bashar, gli shabbiha o squadroni della morte hanno ampliato il loro raggio di azione. Il nuovo presidente infatti li ha ampiamente sfruttati per reprimere rivolte e manifestazioni.
Ribelli siriani con un presunto shabbiha catturato (Damasco, 2012).
GLI ORRORI DURANTE LA GUERRA CIVILE
È infatti con lo scoppio della rivoluzione siriana, nel febbraio 2011, che gli shabbiha hanno assunto un ruolo centrale nel contenimento delle proteste. Questi paramilitari hanno cominciato ad affiancare anche polizia e servizi durante la cattura e gli interrogatori degli oppositori. Testata sul campo la loro terribile efficacia, il regime li ha poi impiegati anche al fronte, anche come cecchini. 25 maggio 2012 furono loro a entrare a Houla, a nord di Homs, aprendo di fatto la strada all’esercito nella città ribelle. Quel venerdì di proteste si trasformò in un bagno di sangue: le milizie massacrarono 108 civili, tra i quali 49 bambini e 20 donne. Gli squadroni della morte hanno combattuto accanto alle truppe governative a Hama, Daraa, Homs, Damasco e Ghuta al Sharqya e sono state utilizzate come rinforzo alle Tiger Forces, le forze speciali guidate da Suhail Al Hasan, accusato di crimini da Human Rights Watch e nella black list di Stati Uniti ed Europa. E proprio in Europa alcuni di questi miliziani, come raccontato da Al Arabya, sarebbero arrivati mescolandosi tra i richiedenti asilo.
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Una moglie, una sorella, un figlio e altri parenti del sedicente Califfo morto il 26 ottobre sono finiti in manette. Tutti catturati in Turchia o al confine siriano. Il fratello Abu Amza invece è svanito nel nulla. Cosa sappiamo della famiglia del super-terrorista.
Prima, nell’ordine temporale di cattura da quel che se ne sa, una moglie e un figlio. Poi una sorella, suo marito e la nuora con prole. Domani chissà. L’intelligence turca si è svegliata dopo la lunga e cruenta operazione del Pentagono che la notte del 26 ottobre ha distrutto un grande compound fortificato dove, almeno dal maggio scorso, risiedeva il leader dell’Isis con pochi intimi. A una ventina di chilometri dalla Turchia, in una zona di influenza turca, ricostruita dalla Turchia e amministrata da ribelli islamisti addestrati in Turchia. Di certo quel che affiora dagli arresti compiuti da Ankara – non confermati dagli alleati americani della Nato – è che dopo la disfatta al Baghdadi, come da informative dei curdo-siriani e degli 007 iracheni, poteva contare solo sulla più stretta parentela.
LE MOGLI CATTURATE
Troppi dell’inner circle hanno parlato. Lo avrebbe tradito anche una delle quattro mogli che si ritiene avesse preso in sposa al Baghdadi. Arrestata dall’intelligence irachenaall’inizio del 2019, insieme a un corriere dell’Isis avrebbe rivelato informazioni preziose per la Cia sulla fuga di al Baghdadi verso l’Ovest della Siria. In quei mesi altri diversi suoi aiutanti di punta catturati sarebbero stati interrogati in Iraq, spifferando le abitudini del sedicente califfo. Dalla ricostruzione data in pasto all’opinione pubblica dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan solo questo novembre, un’altra moglie del super-terrorista con una taglia di 25 milioni di dollari sulla testa sarebbe stata arrestata già il 2 giugno 2018 in territorio turco.
Asma Fawzi Muhammad al-Qubaysi, una delle presunte mogli di al Baghdadi arrestata dai turchi (Ansa).
Asma Fawzi al Qubaysi, prima moglie di al Baghdadi, sarebbe stata individuata alla frontiera nella provincia di Hatay, insieme con una figlia che si presentava come Leila Jabeer, mentre tentavano di sconfinare sotto false identità.
ALCUNI MEMBRI DEL CLAN SAREBBERO IN FUGA VERSO LA TURCHIA
Peccato che gli americani, a quanto pare, per un anno e mezzo non avessero avuto comunicazione di tutto questo. Il Dipartimento di Stato ha dichiarato di «non poter confermare nulla» di quanto affermato da Erdogan. Neanche la cattura, annunciata dalla Turchia sempre all’inizio di novembre, della sorella 65enne di al Baghdadi, Rasmiya Awad. Scovata in una roulotte con la famiglia e con i cinque nipoti, anche questa «miniera di informazioni» si riparava non lontano dal luogo di intercettazione della prima moglie: la provincia siriana confinante Azaz, che guarda Antiochia e Alessandretta. Il presidente turco rivendica arresti nel clan di al Baghdadi «quasi a doppia cifra», sfidando di fatto Donald Trump. Nel gruppo anche un figlio del sedicente califfo, dall’identità, è stato assicurato, «accertata dal Dna». Altri membri della cerchia ristretta tenterebbero invece di entrare in Turchia dal Nord-Ovest della Siria dove al Baghdadi aveva trovato fiancheggiatori.
Rasmiya Awad, ritenuta la sorella di al Baghdadi (Ansa).
I CORRIERI TRADITORI
Il sedicente califfo viveva asserragliato in un una ridotta con tunnel nel villaggio di Barisha, a sud-ovest di Azaz e del cantone curdo di Afrin riconquistato dai turchi nel 2018. Anche lui a un passo dal valico per la provincia di Hatay. L’intelligence di Ankara rivendica anche un ruolo nell’uccisione di al Baghdadi ben superiore all’appoggio logistico e allo spazio aereo messi a disposizione per le operazioni americane:Ismael al Ethawi, un altro corriere e aiutante di punta del capo dell’Isis fermato all’inizio di quest’anno, avrebbe contribuito al successo del blitz Usa. Sebbene dagli ufficiali di sicurezza americani sia filtrato che per identificare di al Baghdadi a Barisha è stato decisivo l’apparato di sicurezza curdo-siriano delle brigate Ypg nemiche di Erdogan. Un finto fedelissimo del leader dell’Isis, suo assistente agli spostamenti e con un fratello morto a causa dei terroristi, ha portato per vendetta ai curdi campioni di sangue e capi di biancheria.
Il sito di Al Baghdadi in Siria distrutto dal blitz degli Usa.
IL FRATELLO CHE MANCA ANCORA ALL’APPELLO
Risparmiata nel blitz, la talpa è stata trasportata in un luogo sicuro a incassare la maxi ricompensa. Degli altri uccisi e dei sopravvissuti nell’operazione americana non si hanno nomi. Tra i famigliari di al Baghdadi morti insieme a lui potrebbero esserci due mogli, stando al resoconto di Trump. Ma il condizionale è d’obbligo. Perché la Difesa di Washington ha confermato genericamente l’uccisione di tre donne, lasciando vaga anche l’identità dei minori (11, sempre secondo il presidente Usa) tratti in salvo dalle unità speciali durante il blitz. Poche ore dopo, un aiutante saudita di al Baghdadi è stato ucciso in altre operazioni antiterrorismo Usa nel Nord della Siria, condotte contro i gruppi qaedisti più estremisti che davano protezione ai vertici dell’Isis. Nulla invece si sa ancora del destino di uno dei cinque fratelli di al Baghdadi, nome di battaglia Abu Hamza, a lui pare molto vicino.
Il sedicente Califfo al Baghdadi morto il 26 ottobre scorso.
DUBBI SUL SUCCESSORE DI AL BAGHDADI
Buio fitto anche sul successore di al Baghdadi. Sempre il Dipartimento di Stato Usa ha confessato di non sapere «quasi niente» di Abu Ibrahim al Hashemi al Qurayshi, designato con un proclama ufficiale. Gli analisti dell’intelligence cercano di ricostruirne l’identità e i trascorsi: dietro il nome probabilmente di battaglia, per gli esperti potrebbe celarsi il super-ricercato (5 milioni di dollari di taglia) Hajji Abdullah al Afari il cui nome spicca in alcuni documenti interni dell’Isis. Un altro suo pseudonimo sarebbe il primo nome circolato come successore di al Baghdadi al Haj Abdullah Qardash, in un comunicato attribuito all’Isis ma diverso dai quelli diffusi dai canali ufficiali della rete jihadista. Cinquantenne, iracheno di origine turcomanne, al Afari sarebbe un ex maggiore dell’esercito di Saddam Hussein, radicalizzato nella prigione di Camp Bucca come al Baghdadi. Con lui avrebbe anche in comune gli studi islamici, ma un background militare parecchio più forte.
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