Come funziona il Germanicum, la nuova proposta di legge elettorale

Depositato il ddl ispirato al modello tedesco. Previsti 391 seggi assegnati col proporzionale, soglia del 5% e diritto di tribuna. Cancellati i collegi uninominali del Rosatellum. Le novità.

L’eterno balletto tutto italiano delle leggi elettorali ha partortito un nuovo modello: questa volta si chiama Germanicum, un sistema di voto ispirato a quello tedesco, depositato dal presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera Giuseppe Brescia (Movimento 5 stelle).

ANCHE CHI NON SUPERA LO SBARRAMENTO PUÒ OTTENERE SEGGI

In cosa consiste? Sono previsti 391 seggi assegnati con metodo proporzionale, con soglia del 5% e un meccanismo che permette il diritto di tribuna. E cioè il partito che non supera lo sbarramento nazionale ma ottiene il quoziente in tre circoscrizioni in due Regioni ottiene seggi. La proposta cancella i collegi uninominali del Rosatellum e ne utilizza i 63 collegi proporzionali e le 28 circoscrizioni.

CAMERA: 400 DEPUTATI, OTTO ELETTI ALL’ESTERO

Dei 400 seggi della futura Camera, otto spetteranno ai deputati eletti all’estero (nelle circoscrizioni estere con metodo proporzionale), un seggio va all’eletto in Valle d’Aosta in un collegio uninominale. I restanti 391 seggi sono distribuiti proporzionalmente tra i partiti che superano il 5%.

NUOVO SENATO: 200 POSTI DA ASSEGNARE

I 63 collegi plurinominali del Rosatellum servivano per eleggere 386 deputati, quindi funzionano anche per la nuova Camera formato “mignon”. Stesso metodo per assegnare i 200 seggi del nuovo Senato: quattro vanno ai senatori eletti all’estero, uno alla Val d’Aosta e i restanti 195 sono distribuiti ai partiti che nel resto d’Italia oltrepassano la soglia.

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Il deputato Giuseppe Brescia (Movimento 5 stelle), presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera. (Ansa)

IN GERMANIA IL NUMERO DI ELETTI È VARIABILE

Pure il diritto di tribuna si ispira al modello tedesco anche se il sistema di assegnazione è diverso, dato che in Germania esistono collegi uninominali e il numero dei parlamentari è variabile e non fisso come in Italia.

TEMA LISTINI/PREFERENZE ANCORA DA AFFRONTARE

Il testo depositato da Brescia non affronta il tema delle preferenze. Sul piano della tecnica legislativa è una “novellazione” del Rosatellum, cioè interviene chirurgicamente su quel testo che prevede i listini bloccati, che non vengono modificati nel disegno di legge proposto da Brescia. L’accordo di maggioranza è che il tema listini/preferenze è demandato al successivo confronto.

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L’Italia nell’eterno gran ballo della legge elettorale da riformare

Maggioranza e opposizioni al tavolo per trovare un’intesa. Sarebbe il quinto nuovo sistema per votare dal 1994 a oggi. L’Italicum entrato in vigore senza mai essere applicato, il Rosatellum che non vuole più nessuno e il confronto con gli altri Paesi europei: storia di una giostra caotica tutta nostrana.

Per alcuni è una questione tecnica, che «non interessa agli italiani», per altri ha il potere di far cadere governi. Fatto sta che la legge elettorale è un grande classico nel dibattito politico. A ogni legislatura c’è l’estenuante confronto per riformarla. Dal 1994 in poi si sono susseguiti quattro diversi sistemi, in attesa del quinto dato in arrivo nel 2020. Addirittura uno di questi, l’Italicum, è entrato in vigore senza mai essere applicato. Una giostra in continuo movimento, che rappresenta un caso pressoché unico tra i grandi Paesi europei.

IL ROSATELLUM: MISTO FRA UNINOMINALE E PROPORZIONALE

Per cercare una soluzione definitiva è scattato l’ennesimo confronto alle Camere, spinto in particolare dall’approvazione del taglio del numero di parlamentari (che ora però deve passare per il vaglio del referendum confermativo). Il motivo? Serve un sistema in grado di garantire rappresentanza. Le elezioni 2018 si sono svolte con la legge Rosato, meglio nota come Rosatellum, sistema misto tra collegi uninominali, che elegge il 37% dei parlamentari, collegati alla parte proporzionale, che elegge l’altro 61%, a cui si somma il 2% di eletti all’estero. Ma su questa norma pende il giudizio della Corte costituzionale, che deve pronunciarsi sui quesiti referendari promossi dalla Lega per cancellare la parte proporzionale. E rendere la legge un maggioritario puro. Quindi, si gioca su un doppio fronte: quello parlamentare e l’altro referendario.

VERTICE MAGGIORANZA-OPPOSIZIONI: SOGLIA DI SBARRAMENTO AL 4%?

Giovedì 19 dicembre maggioranza e opposizioni si sono sedute al tavolo per cercare un’intesa ampia. La proposta in campo è quella di un proporzionale corretto. Una cornice generale in cui vanno inseriti gli elementi fondamentali, a cominciare dalla soglia di sbarramento: Pd e M5s vorrebbero fissarla al 5%, mentre gli alleati preferirebbero che fosse più bassa, meglio se al 3%. «L’accordo si troverà sul 4%», è la previosione “matematica” di una fonte parlamentare della maggioranza. Il leghista Roberto Calderoli, dopo aver partecipato al vertice nello studio del presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera Giuseppe Brescia, ha spiegato: «Noi non siamo aprioristicamente contrari a nulla, l’importante è che si faccia una legge e si torni presto alle urne». Mentre Pier Luigi Bersani (oggi Articolo uno) in un’intervista a Il Fatto Quotidiano si è detto addirittura disposto a qualiasi «inciucione» pur di non votare col Rosatellum.

SPAGNA: RIPARTIZIONE PER CIRCOSCRIZIONI

Il nodo da sciogliere è la modalità per l’elezione dei parlamentari: la spinta va verso il sistema spagnolo, ossia la ripartizione dei seggi sulla base della circoscrizione. In questo ogni circoscrizione (in Spagna corrispondono alle province) è una competizione a sé. La soglia di sbarramento è fissata al 3% su base circoscrizionale, ma tende a formarsi uno sbarramento implicito in base all’ampiezza delle stesse circoscrizioni (meno sono i seggi da ripartire, meno sono le liste che li ottengono). In questo senso vengono premiate le forze con maggiore radicamento in determinate regioni: perfetto per un Paese come la Spagna.

GERMANIA: SOGLIA AL 5% E MECCANISMO MISTO

Il sistema tedesco, più volte citato nel dibattito politico italiano, prevede invece una soglia di sbarramento al 5% al livello nazionale con un meccanismo misto tra collegi uninominali e proporzionale.

REGNO UNITO: MAGGIORITARIO SECCO ALLA MATTARELLUM

L’esperienza britannica è quella che in Italia è stata in parte sperimentata con il Mattarellum: c’è un maggioritario secco, chi consegue più voti nel collegio entra in parlamento.

FRANCIA: DOPPIO TURNO PER CHI SUPERA IL 12,5%

Anche in Francia c’è un sistema maggioritario, ma a doppio turno: i candidati che superano il 12,5% al primo turno possono partecipare al secondo. Una lieve differenza rispetto alle elezioni presidenziali che mandano al ballottaggio i due candidati più votati. Insomma un quadro vario tra i vari Paesi, che però hanno un punto in comune e mettono l’Italia dietro la lavagna: le leggi elettorali non cambiano a distanza di pochi anni. E nemmeno a ridosso del voto.

DALLA SECONDA REPUBBLICA UNA GIOSTRA CONTINUA

L’alternanza di leggi elettorali è infatti da capogiro: dalla Seconda Repubblica in poi è un ballo continuo; con un sensibile peggioramento negli ultimi cinque anni. Nella Prima Repubblica l’Italia ha avuto un sistema elettorale proporzionale, con i seggi ripartiti in base alle percentuali di voto. Per quasi 50 anni è stato una certezza, anche se va conteggiata la parentesi della “legge truffa” del 1953, che istituiva un premio di maggioranza alla lista in grado di superare il 50%.

VECCHIE ACCUSE: ECCESSO DI FRAMMENTAZIONE

Dopo quelle elezioni, però, è tornata la vecchia legge, che negli Anni 90 è finita sotto accusa per eccesso di frammentazione. La rumba delle continue modifiche è iniziata nel 1994, con l’entrata in vigore del Mattarellum (l’estensore è stato Sergio Mattarella, 20 anni prima dell’ascesa al Quirinale), assecondando l’esito di un referendum del 1993. Il sistema era principalmente maggioritario con il 75% dei seggi assegnati in collegi uninominali e il restante su base proporzionale.

LA PORCATA DI CALDEROLI: USATA PER TRE ELEZIONI

La riforma ha regolato tre tornare elettorali (1994, 1996, 2001), ma dopo aver superato i 10 anni è stata cancellata. La maggioranza di centrodestra, nel 2005, ha varato il Porcellum, chiamato così perché il leghista ideatore della legge, Calderoli, aveva usato la definizione di «porcata» per descriverla. Nonostante l’etichetta tutt’altro che nobile, si sono svolte altre tre elezioni politiche (2006, 2008, 2013) con questo meccanismo che prevedeva un proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione più votata alla Camera (mentre al Senato la ripartizione, anche dei premi, avveniva su base regionale).

LA LEGGE RENZIANA DECAPITATA DALLA CONSULTA

Dopo un ricorso alla Consulta, che ha dichiarato illegittimi alcuni punti del Porcellum, il tritacarne di sistemi elettorali ha aumentato i giri. L’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha spinto per l’approvazione dell’Italicum, una legge su base proporzionale con premio di maggioranza alla lista (ed eventuale ballottaggio in caso di mancato raggiungimento del 40% al primo turno). La riforma è entrata in vigore, ma gli italiani non hanno mai votato con questo sistema: un nuovo pronunciamento della Corte costituzionale ha di fatto decapitato l’Italicum. Così, a pochi mesi delle Politiche del 2018, il vuoto normativo è stato riempito con il Rosatellum. In attesa dell’ennesima riforma, la quinta in 25 anni. Salvo sorprese.

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Legge elettorale, la maggioranza converge sul proporzionale

Il ministro per le Riforme d’Incà ha confermato che entro a fine anno arriverà un testo definitivo. Si tratta sul modello spagnolo. Restano le incognite per il referendum sul taglio dei parlamentari.

La maggioranza ha deciso: se una riforma della legge elettorale ci deve essere sarà in chiave proporzionale. Lo ha confermato il ministro per le Riforme Federico D’Incà al termine del vertice di maggioranza spiegando che «entro la fine dell’anno» la maggioranza produrrà un testo definitivo e che si privilegia un «proporzionale con un meccanismo antiframmentazione».

La maggioranza si trova ora davanti ad un doppio bivio: il primo è quello sul tipo di proporzionale, per cercare o meno di allargare il consenso anche a qualche partito di opposizione; il secondo riguarda invece l’eventuale voto anticipato in primavera che farebbe saltare la riforma con il taglio dei parlamentari e non obbligherebbe a uno nuova legge elettorale.

Questi i punti centrali del confronto al vertice serale di maggioranza del 4 dicembre al quale il ministro Federico D’Incà si è presentato con delle simulazioni con i diversi sistemi elettorali e in cui si è confermato l’impegno a presentare un testo entro il 20 dicembre.

Il doppio turno nazionale, proposto dal Pd, sembra infatti archiviato, vista la contrarietà di M5s, Iv e Leu. Infatti alla riunione con i capigruppo in serata D’Incà ha portato – come concordato in precedenza – una serie di proiezioni con i soli sistemi proporzionali, riconducibili a due principali varianti: con soglia nazionale (al 4 e al 5%) o con soglia circoscrizionale, cioè il cosiddetto sistema spagnolo. Quest’ultimo garantisce ai partiti in bilico nel raggiungimento di una soglia nazionale (appunto 4-5%) di poter eleggere dei parlamentari almeno nelle grandi circoscrizioni urbane, garantendogli un diritto di tribuna, specie in Senato.

IL NODO DELLE LISTE BLOCCATE

Il Pd preferisce un sistema con soglia unica nazionale, ma tra i Dem c’è anche chi – come Andrea Orlando – guarda con favore al sistema spagnolo: garantendo i partiti più piccoli, favorisce le alleanze anche negli Enti locali. A questo primo bivio se ne accoppia un secondo sul contenuto della legge: voto di preferenza, brevi listini bloccati o ancora collegi uninominali come il modello in vigore per il Senato fino al 2006.

LA QUESTIONE DEI TEMPI E L’EVENUTALE RITORNO ALLE URNE

L’altra scelta di fondo, di natura squisitamente politica, è la velocità con cui procedere con la riforma elettorale. Infatti mandarla avanti rapidamente per taluni rischia di accelerare la fine della legislatura, mentre c’è chi paventa un pericolo simmetricamente opposto: se per una qualsiasi ragione dovesse invece cadere a breve la legislatura, prima di avere la nuova legge, si voterebbe con il Rosatellum, un vantaggio per la Lega di Salvini che, se Pd e M5s non si alleano, potrebbe vincere quasi tutti i collegi uninominali.

A RISCHIO IL REFERENDUM SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI

Il tema dei tempi si intreccia con quello della eventuale richiesta di referendum sul taglio dei parlamentari che va presentata entro il 12 gennaio. Se verranno raccolte le 65 firme necessarie in Senato (ad oggi hanno firmato in 52 senatori), l’entrata in vigore del taglio dei parlamentari slitterà a dopo lo svolgimento del referendum (aprile-maggio). Ma ciò potrebbe indurre qualche partito a far cadere la legislatura prima per poter rieleggere un Parlamento con 945 eletti anziché 600. Un dubbio che ha frenato la raccolta di firme inizialmente partita a piè sospinto. Nessun partito dichiara questa intenzione ma molti parlamentari riferiscono che vi sono diffidenze su accordi in tal senso tra leader di partiti.

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La legge elettorale divide Pd da M5s, renziani e Leu

Vertice interlocutorio sulla riforma. I dem spingono per il doppio turno. Mentre grillini, Italia viva e sinistra propongono il proporzionale, ma con la soglia ancora da decidere.

La certezza è che il Rosatellum, l’attuale legge elettorale, è destinato ad andare in pensione. Ma l’esito del primo vertice di maggioranza, tenuto la sera del 20 novembre, sulla legge elettorale, ha fatto emergere due modelli tra cui i partiti sceglieranno: o il doppio turno, su cui ha insistito il Pd, o un proporzionale sul quale però è aperta la discussione sulla soglia di sbarramento. Per il proporzionale, sempre a quanto si apprende, si sono invece schierati M5s e i due partiti più piccoli Iv e LeU.

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