Il caso dell’assessore leghista in Umbria condannato per razzismo

Luca Coletto, veneto, nella nuova Giunta Tesei. A Verona finì coinvolto in un episodio di diffusione di idee discriminatorie sui nomadi. Il Pd: «Inaccettabile, persona lontana dalla nostra terra a livello geografico e di valori».

Era stata usata come grimaldello leghista contro il governo giallorosso. E ora l’Umbria, passata al centrodestra con le elezioni regionali 2019, deve già fare i conti con un caso politico che puzza di razzismo.

RACCOLTA FIRME CONTRO UN CAMPO NOMADI

Alla prima riunione della nuova legislatura è approdata all’Assemblea la questione sollevata dal Partito democratico sul nuovo assessore regionale Luca Coletto, leghista veneto al quale sono state affidate tra le altre le deleghe a Salute e Politiche di parità di genere, che venne condannato a due mesi (con tutti i benefici di legge) come allora consigliere provinciale a Verona (insieme con altri cinque esponenti del Carroccio) per l’accusa di diffusione di idee razziste per aver raccolto nell’estate 2001 firme per sgomberare un campo nomadi abusivo in città.

IL PD: «HA LA DELEGA ALLE DISCRIMINAZIONI…»

Secondo il capogruppo del Pd in Assemblea legislativa Tommaso Bori «avere in Giunta una persona che ha subito una condanna è grave, ma una condannata per razzismo è inaccettabile». Poi ha aggiunto: «L’Umbria respinge le idee portate avanti dal nuovo assessore. Chiediamo alla presidente se sapeva o era all’oscuro. La delega alle discriminazioni data a Coletto è un cortocircuito. Mi stupisce il silenzio della presidente circa la condanna dell’assessore Coletto. Avete scelto una persona esterna, lontana dall’Umbria a livello geografico e di valori».

COLETTO: «UN REATO DI OPINIONE»

Coletto ha replicato così: «Sfido a trovare su internet una mia frase razzista. È vero che c’è stata questa condanna, ma è anche vero che si trattava di un reato di opinione. Sono stato riabilitato a esercitare le mie funzioni, tanto che da quell’episodio sono stato assessore regionale alla Sanità del Veneto e anche sottosegretario e nessuno ha mai avuto da ridire».

Non c’è nulla di che preoccuparsi, da quell’episodio sono passati tanti anni


Luca Coletto

Coletto ha quindi spiegato di avere avuto una «interlocuzione» sulla vicenda con la presidente della Regione Donatella Tesei: «Non c’è nulla di che preoccuparsi, da quell’episodio sono passati tanti anni e non è mai successo nulla».

LA LEGA: «NON PRENDIAMO LEZIONI DAI DEM»

Il senatore della Lega Luca Briziarelli ha risposto così: «Che il Pd pretenda di dare lezioni agli altri su come governare l’Umbria con tutto quello che ha combinato in questi anni, dall’ambiente ai trasporti passando per l’economia è grave, ma che lo faccia in materia di sanità è addirittura offensivo nei confronti dei cittadini e degli operatori onesti che nonostante tutto tengono in piedi la nostra sanità».

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I sondaggi politici elettorali del 27 novembre 2019

La Lega si conferma saldamente al comando, ma fa registrare una battuta d’arresto. Crescita continua per Fratelli d’Italia. Lieve flessione per il Pd, stabile il M5s. La rilevazione Ixè.

Si conferma la battuta d’arresto della Lega nei sondaggi. L’ultima rilevazione condotta dall’istituto Ixè per a trasmissione di RaiTre Cartabianca ha rivelato che il partito di Matteo Salvini è sceso al 31,5% dal 31,9% dei consensi della settimana precedente.

FRATELLI D’ITALIA SUPERA LA SOGLIA DEL 10%

Boom, invece, di Fratelli d’Italia, che ha superato il 10,6 dal 9,9% dell’ultima rilevazione. Per quanto riguarda i partiti di governo, scende il Partito democratico, al 20,4% dal 21,2% della scorsa settimana, mentre il Movimento 5 stelle è sostanzialmente stabile al 16,06% dal 16,3%.

ITALIA VIVA SI CONFERMA STABILE

Stabile anche Italia viva di Matteo Renzi, che si assesta al 4,5% dal precedente 4,6%: +Europa è al 3%, la Sinistra sale al 2,2%, mentre Europa verde scende all’1%. A crescere è poi il numero degli indecisi o degli astenuti, che rappresenta il 37,6% del campione intervistato.

IL CENTRODESTRA POCO SOTTO IL 50%

Roberto Weber, presidente dell’istituto Ixè, commentando i dati ha spiegato: «Nel sondaggio si registra lo sfondamento di Fratelli d’Italia. Per un voto che Fdi dà alla Lega di Salvini, tre voti dal Carroccio si spostano sul partito di Giorgia Meloni. Quindi abbiamo questa radicalizzazione sulla destra e il centrodestra arriva a quota 49,5%». 

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La commissione Von der Leyen alla prova del voto del parlamento europeo

Con la preferenza palese, la maggioranza Ppe, socalisti e liberali dovrebbe reggere. Il M5s ha comunque deciso di votare a favore, mentre i Verdi hanno parlato di un’astensione ragionata e qualche voto potrebbe arrivare dalle fila dei conservatori, in particolare del Pis, All’opposizione l’estrema destra, con Fdi e Lega, e la sinistra europea.

Il giorno è infine arrivato: dopo tre aspiranti commissari bocciati – della Francia, dell’Ungheria e della Romania – dopo sostituzioni in corsa, polemiche e franchi tiratori – la nuova squadra della Commissione europea – senza il commissario britannico per via della Brexit – è pronta per cercare la conferma del parlamento europeo.

La neopresidente della Commissione europea Urusula von der Leyen e il presidente uscente Jean Claude Juncker, Bruxelles, 4 luglio 2019. (Thierry Monasse/Getty Images)

M5s e PIS CON LA MAGGIORANZA PPE, SOCIALISTI E LIBERALI

La sua presidente Ursula von der Leyen ha ottenuto il mandato con appena nove voti sopra la maggioranza: fondamentali dunque erano stati i voti del Movimento Cinquestelle che hanno definitivamente diviso le strade di grillini e leghisti, a Bruxelles ma anche a Roma. Per il voto sulla commissione, palese, la maggioranza Ppe, socalisti e liberali dovrebbe reggere. Il M5s ha comunque deciso di votare a favore, mentre i Verdi hanno parlato di un’astensione ragionata e qualche voto potrebbe arrivare dalle fila dei conservatori, in particolare del Pis, il partito di governo polacco. All’opposizione l’estrema destra, con Fdi e Lega, e la sinistra europea.

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La commissione Von der Leyen alla prova del voto del parlamento europeo

Con la preferenza palese, la maggioranza Ppe, socalisti e liberali dovrebbe reggere. Il M5s ha comunque deciso di votare a favore, mentre i Verdi hanno parlato di un’astensione ragionata e qualche voto potrebbe arrivare dalle fila dei conservatori, in particolare del Pis, All’opposizione l’estrema destra, con Fdi e Lega, e la sinistra europea.

Il giorno è infine arrivato: dopo tre aspiranti commissari bocciati – della Francia, dell’Ungheria e della Romania – dopo sostituzioni in corsa, polemiche e franchi tiratori – la nuova squadra della Commissione europea – senza il commissario britannico per via della Brexit – è pronta per cercare la conferma del parlamento europeo.

La neopresidente della Commissione europea Urusula von der Leyen e il presidente uscente Jean Claude Juncker, Bruxelles, 4 luglio 2019. (Thierry Monasse/Getty Images)

M5s e PIS CON LA MAGGIORANZA PPE, SOCIALISTI E LIBERALI

La sua presidente Ursula von der Leyen ha ottenuto il mandato con appena nove voti sopra la maggioranza: fondamentali dunque erano stati i voti del Movimento Cinquestelle che hanno definitivamente diviso le strade di grillini e leghisti, a Bruxelles ma anche a Roma. Per il voto sulla commissione, palese, la maggioranza Ppe, socalisti e liberali dovrebbe reggere. Il M5s ha comunque deciso di votare a favore, mentre i Verdi hanno parlato di un’astensione ragionata e qualche voto potrebbe arrivare dalle fila dei conservatori, in particolare del Pis, il partito di governo polacco. All’opposizione l’estrema destra, con Fdi e Lega, e la sinistra europea.

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Abbiate più cura di Liliana Segre, per favore

La senatrice a vita è una donna straordinaria. Evitiamo di immettere il suo nome nelle baruffe locali, nelle polemichette di tanti che vogliono fare i cretini come il sindaco di Biella.

Il sindaco di Biella ha ammesso di essere un cretino e ha chiesto scusa a Liliana Segre.

C’è una sua foto in cui si inginocchia davanti a Matteo Salvini per baciargli la mano e quindi è facile immaginare che sia stato il leader della Lega, preoccupato dalla figura indecente che il suo partito stava facendo, a imporre al primo cittadino di Biella la marcia indietro con l’ammissione della propria evidente natura.

Aspettiamo ora il sindaco di Sesto San Giovanni. Ma soprattutto dobbiamo aspettarci una maggiore tutela di Liliana Segre.

LILIANA SEGRE, ESEMPIO DI SOBRIETÀ E DIGNITÀ

La senatrice a vita è una donna straordinaria, ha avuto una vita terribilmente straordinaria e un rigore successivo nel raccontarla che ha pochi precedenti. È una cultura di famiglia. Conosco da anni l’avvocato Luciano Belli Paci con cui abbiamo in comune una appartenenza alla sinistra, spesso con differenze fra di noi, e una assidua partecipazione a iniziative contro l’antisemitismo e a difesa di Israele. Fino a che non c’è stata la nomina di Liliana a senatrice a vita, non sapevo che Luciano Belli Paci avesse cotanta madre.

Le cose ignobili che vengono pubblicate sui social sono terribili testimonianze di un sempre attivo antisemitismo, che è malattia di destra e di sinistra

Discrezione quindi, sobrietà, dignità. Sono queste le cose, oltre al coraggio, che dobbiamo imparare da Liliana Segre. Ma dobbiamo soprattutto imparare a rispettarla. Voglio dire che le cose ignobili che vengono pubblicate sui social sono terribili testimonianze di un sempre attivo antisemitismo, che è malattia di destra e di sinistra. Bisogna combattere costoro. Ma io critico anche questo attivismo di sindaci o consiglieri generosi che espongono Liliana Segre nei consessi comunali alla valutazione di gruppi di cretini nel giudicare se la senatrice meriti o no la cittadinanza onoraria.

EZIO GREGGIO HA DIMOSTRATO CHE UN COMICO VALE PIÙ DI UN CRETINO

Liliana Segre ha la cittadinanza onoraria italiana. Lei è l’onore di questo Paese, la sua memoria civile, soprattutto l’orgoglio dei cittadini più giovani. Capisco che molte comunità locali vogliano farle sentire vicinanza e affetto. Ma forse è il momento di metterla al riparo. Ho criticato la “genialata” di due colleghi del gruppo Repubblica di proporla anticipatamente come futuro capo dello Stato con uno sgarbo evidente al caro presidente Sergio Mattarella. Evitiamo di immettere il nome austero e rispettato di Liliana Segre nelle baruffe locali, nelle polemichette di tanti che vogliono fare i cretini come l’autoproclamato sindaco.

Da sinistra, Liliana Segre ed Ezio Greggio.

Mettere al riparo non vuol dire dimenticarla, al contrario. Se posso dirlo retoricamente, Liliana Segre è una riserva della patria che va chiamata nel mondo della comunicazione nei momenti cruciali quando la sua storia e soprattutto il suo pensiero attuale possono offrire agli italiani parole generose e utili. La vicenda di Biella ci consegna anche la bella notizia che uno dei comici più noti ha avuto un atteggiamento dignitoso ricordando il dramma del suo papà nei lager. Ezio Greggio ha capito che il suo nome non era stato proposto per i suoi meriti e per la sua appartenenza a quel territorio ma come deminutio della figura della Segre che, hanno pensato quelli di Biella, vale meno di un comico. Invece un comico vale più di un cretino e questo è un altro bel regalo per il Paese.

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La riforma del fondo salva-Stati incendia lo scontro tra governo e Lega

Torna altissima la tensione tra Conte e Salvini. Il premier accusa l’opposizione di «sovranismo da operetta» dopo mesi di silenzio. Gualtieri difende il negoziato. E il M5s è in fermento.

La riforma del meccanismo Salva-Stati riporta il dibattito tra maggioranza e opposizione ai livelli di guardia, con il premier e il leader della Lega che affilano i coltelli. Giuseppe Conte, chiamato a riferire in parlamento il prossimo 10 dicembre, sembra essere tornato ad agosto, quando sfoderava la sua verve polemica contro l’alleato che faceva cadere il governo. Si scaglia contro Matteo Salvini con una inusuale forza dandogli dell’«irresponsabile» per aver sollevato un «delirio collettivo» su un argomento che la Lega di governo aveva ampiamente condiviso in vertici di maggioranza e «con i massimi esponenti» del Carroccio.

«DALL’OPPOSIZIONE SOLO SOVRANISMO DA OPERETTA»

Ora, attacca il presidente del Consiglio, c’è chi «scopre» di essersi seduto al tavolo «a sua insaputa» o «non avendo capito quel che si era studiato». In questo modo, è l’attacco definitivo, non si fa «un’opposizione seria, credibile» in difesa degli interessi nazionali ma solo «sovranismo da operetta». La replica, neanche a dirlo, è altrettanto velenosa. «Il signor Conte è bugiardo o smemorato. Se fosse onesto direbbe che a quei tavoli, così come a ogni dibattito pubblico, compresi quelli parlamentari, abbiamo sempre detto di no al Mes. Non è difficile da ammettere», ribatte Salvini.

L’ULTIMO VERO DIBATTITO IN ITALIA LA SCORSA ESTATE

Ma dal governo contestano anche questa ricostruzione e invitano ad andare a rileggere le dichiarazioni della Lega in proposito. Di certo in tutto questo marasma quel che colpisce è la tempistica. Se è vero che la riforma dell’Esm, o Mes come la si chiama in Italia, sarà al centro del prossimo Eurogruppo di dicembre dove lo stesso vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis si augura di poter «raggiungere un accordo», è anche vero che l’ultimo vero dibattito in Italia, se si fa eccezione per alcune audizioni, risale alla scorsa estate.

GUALTIERI CONFERMA LA LINEA DI TRIA

«Da marzo a giugno 2019 abbiamo avuto quattro vertici di maggioranza coi massimi esponenti della Lega, in cui abbiamo discusso di Mes, delle fasi di avanzamento del negoziato e tutti i risvolti. Oggi si scopre l’esistenza del Mes e si grida allo scandalo», sottolinea Conte. E Salvini controbatte: «Ho sempre detto a Conte e Tria che non avevano mandato a trattare. Se qualcuno l’ha fatto, l’ha fatto tradendo il mandato del popolo italiano». Ma l’ex ministro del Tesoro, Giovanni Tria, ha già dato la sua versione sulla stampa: dice di aver combattuto «una battaglia durissima» per evitare l’inserimento di regole fisse sulla sostenibilità dei debiti di Paesi e che alla fine «i parametri fissi sono stati eliminati» dalle bozze di accordo. E il suo successore conferma: la riforma non introduce «in nessun modo la necessità di ristrutturare preventivamente il debito per accedere al sostegno finanziario. Effettivamente, all’inizio del negoziato alcuni Paesi lo avevano chiesto», ma, «anche grazie alla ferma posizione assunta dall’Italia, queste posizioni sono state respinte».

IL M5S INVOCA E OTTIENE UN VERTICE DI GOVERNO

Insomma, taglia corto Roberto Gualtieri: «Il dibattito di questi giorni su questo argomento è senza senso». Interviene anche Bankitalia, chiamata in causa da alcuni deputati secondo i quali avrebbe espresso preoccupazioni sulla revisione del trattato. «Il governatore Visco non ha espresso un giudizio sfavorevole sulla riforma del Mes», sottolinea palazzo Koch che conferma: la riforma non prevede né preannuncia «un meccanismo di ristrutturazione dei debiti sovrani». La questione intanto agita anche il M5s dopo la richiesta fatta a Di Maio dai deputati di adoperarsi per convocare un vertice di governo. La riunione è stata accordata, si terrà venerdì mattina molto presto, ma sul capo M5s è piovuta l’accusa di aver teso un sgambetto al premier, e per di più andando dietro a Salvini. Di Maio nega e il M5s lo appoggia: «Eravamo e continuiamo a essere contrari all’affidamento al Mes di compiti di sorveglianza macroeconomica degli Stati membri». Una posizione rimasta agli atti visto che a giugno il blog M5s tuonava contro la riforma e chiedeva a Conte di porre il veto. Anche per questo un sottosegretario M5s assicura: «Questa riforma non passerà o il gruppo parlamentare non lo teniamo più».

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I sondaggi politici elettorali del 18 novembre 2019

Salvini e Renzi perdono in una settimana rispettivamente lo 0,5% e lo 0,6% e calano al 34% e al 5%. I giallorossi si riequilibrano con il Pd a -0,3% e il M5s a +0,4%.

Matteo Salvini e Matteo Renzi sono i principali sconfitti dei sondaggi politici elettorali del 18 novembre 2019. Secondo la rilevazione di Swg per il TgLa7, la Lega passa dal 34,5% dell’11 novembre al 34% e Italia viva cala dal 5,6% al 5%. Variazioni meno significative per gli altri partiti, con il Pd che passa dal 18,6% al 18,3%, il M5s dal 15,8% al 16,2%, Fratelli d’Italia stabile al 9,5% e Forza Italia in crescita dal 6,2% al 6,4%.

La coalizione giallorossa di governo si afferma nei Comuni medio-grandi sfiorando il 50% in quelli oltre i 60 mila abitanti (49,9% è il dato preciso) mentre la coalizione di Centrodestra raggiunge il 51,5% in quelli con meno di 60mila abitanti e, nel totale dei Comuni, raggiunge il 49,1% a fronte del 43,9% dei partiti che sostengono l’attuale governo. È la sintesi dei risultati di una rilevazione, a cura di Noto Sondaggi ed Emg Acqua, commissionata da Asmel, l’Associazione nazionale per la Modernizzazione degli Enti Locali che rappresenta oltre 2.800 Comuni, che sarà illustrata lunedì prossimo, 18 novembre, a Napoli nel Forum Asmel sugli Enti Locali ospitato dal Centro Congressi dell’Hotel Ramada.

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Al potere Salvini e i sovranisti dureranno come il Conte 1

Dopo aver abolito temi come “costruire”, “fare” “dialogare”, questa destra arriverà impreparata al governo senza neppure l’alibi dei cinque stelle. Sogna e vuole solo lo scontro frontale.

Non c’è dubbio che la destra abbia intercettato una maggioranza di italiani. È una destra divisa in tre che vede la Lega dominare, nelle singolari sembianze non più secessioniste ma sovraniste.

Al suo inseguimento, che si farà via via più asfissiante, la destra di tradizione di Giorgia Meloni che attrae gli elettori scappati dopo Gianfranco Fini. Poi si sono i resti di Silvio Berlusconi, un personaggio che si è buttato via poco dignitosamente in questo squallido suo finale d’opera.

Questa destra dice di rappresentare il popolo perché la sua campagna anti-immigrati ha sfondato nei sondaggi e nel voto reale e ha conquistato le periferie urbane. Tanti soloni di sinistra sono convinti che tutto ciò sia vero e cioè che la forza della destra, e parallelamente la debolezza della sinistra, sia rappresentata da questa identità popolare fondata su una paura da comprendere.

LA BORGHESIA RICCA E IMPRENDITORIALE HA MOLLATO LA SINISTRA

A me sembra che il dato rilevante della destra italiana sia il fatto che pezzi fondamentali di borghesia imprenditoriale e degli affari abbiano deciso di chiudere con la sinistra e soprattutto con i suoi sogni industrialisti. Antipolitica e sovranismo sono stati la miscela di un movimento, partito dall’alto e sceso verso il basso, cementato dall’idea che bisognasse rassegnarsi a Paese più piccolo (più disinvolto nelle alleanze internazionali) e fuori dal circuito dei grandi Stati industrializzati.

Il segretario del Pd Nicola Zingaretti.

Il popolo, quello che vota nelle periferie, conta poco: bisogna guardare alla sala di comando. Scriveva in modo geniale Alessandro Leogrande, analizzando il popolo infuriato che seguiva Giancarlo Cito a Taranto, che il cuore del malcontento era nella borghesia ricca della città dei due mari, la rivolta era partita da lì. La destra ha un popolo, ma non è il popolo a spiegare il successo della destra. È storia, questa.

QUESTA DESTRA NON HA IDEE PER L’ITALIA

Ho scritto più volte che trovo stupefacente le tesi di quei commentatori annunciano la vigilia di una importante vittoria elettorale della destra (molto probabile), ma soprattutto immaginano che stia per iniziare un’epoca. Stavo per scrivere un ventennio, ma vorrei evitare polemichette.
Personalmente credo che la destra che vincerà le elezioni durerà poco al governo come è accaduto con il Conte 1.

Fino a che si tratta di scassare, vanno bene Meloni, Matteo Salvini e i direttori di Libero e della Verità

C’è più di una malattia nel sangue della destra. La prima è la fragilità umana e culturale della sua leadership. Fino a che si tratta di scassare, vanno bene Meloni, Matteo Salvini e i direttori di Libero e della Verità, quando si tratterà di governare vedremo lo stesso spettacolo che conosciamo dai tempi della nipote di Mubarak.

Il segretario federale della Lega, Matteo Salvini, e la candidata a governatore dell’Emilia Romagna per la Lega Lucia Bergonzoni.

La malattia più grave della destra non è però solo la sua leadership (la sinistra ne è immune perché ha soppresso il problema). La malattia più grave è che la destra (a differenza di tutte le destre di tutti i Paesi del mondo e anche delle esperienze conservatrici italiane), non ha la minima idea di quel che deve fare con l’Italia.

CON I SOVRANISTI AL POTERE SCOPPIERANNO NUOVE PROTESTE

Mi colpiscono queste cose: ogni volta che la sinistra all’opposizione si imbatte nel tema del governo altrui, soprattutto in caso di calamità nazionali, è tutto un discutere di quel che bisogna fare, di come essere sinistra “per” e non sinistra “contro”. Poi spesso le cose restano uguali al passato, ma il dibattuto ferve e investe anche tanti intellettuali e politici di rango. La destra non si pone questo problema, non c’è un solo intellettuale di destra che sa uscire dal “diciannovismo”, parlo anche dei migliori, di quelli i cui testi commentano le vicende politiche spesso con acume.

Questa destra arriverà impreparata al governo senza neppure l’alibi dei cinque stelle

La destra ha abolito il tema “costruire”, “fare” “dialogare”. Ritiene probabilmente che il tempo del dialogo sia finito e che si avvicinino tempi cupi. È una destra che sogna e vuole solo lo scontro frontale. C’è l’illusione dei pieni poteri, frase di Salvini non sfuggitagli dal cuore perché è essa stessa il cuore di un disegno. Del resto è inquietante questo riferimento costante dello stesso Matteo Salvini al fatto di essere pronto a donare la vita per l’Italia: a cosa pensa, alla guerra civile? Credo che la sua cultura sia in quell’orizzonte spaventoso.

Questa destra arriverà impreparata al governo senza neppure l’alibi dei cinque stelle. E quel che è più grave è che quella borghesia degli affari che l’appoggia, al Nord come al Sud, non ha alcuna voglia di elaborare progetti, di fare squadra. Vuole sopravvivere nel declino, questo il filo che unisce destra e poteri forti. In mezzo c’è il popolo che li vota, che ha creduto al sogno berlusconiano, che sarà felice di cacciare un po’ di migranti ma che alla fine scoprirà che da questa Versailles sovranista e populista non verranno neppure brioches. Non so guidato da chi, ma vedremo presto sollevarsi un altro popolo infuriato contro tutto questo. Fra molto meno di vent’anni.

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Mattia Santori sulle sfide e il futuro delle Sardine di Bologna

Dopo il successo di Piazza Maggiore a Bologna, il flashmob trasloca nelle altre città emiliano-romagnole in vista delle elezioni di gennaio. «Se Salvini prende la nostra Regione», spiega uno degli organizzatori a L43, «vorrà dire che non ci sono più argini. E la gente deve rendersene conto».

Sono riusciti a portare in piazza Maggiore a Bologna 14 mila persone contro Matteo Salvini. E ora Mattia Santori, Andrea Garreffa, Giulia Trappoloni e Roberto Morotti, gli organizzatori di 6 mila Sardine, sono pronti a replicare il flashmob in tutte le città dell’Emilia-Romagna in vista delle Regionali del 26 gennaio. A partire, lunedì 18 novembre, da Modena. Manifestazioni senza bandiere e simboli di partito, ma aperte a tutti. «Per dimostrare», dice Santori a Lettera43.it, «che esiste un’alternativa. E per chiedere alle persone se sono davvero disposte a lasciare che le cose accadano senza fare niente».

Un’immagine tratta dal profilo Facebook di Mattia Santori.

DOMANDA: Intanto siete riusciti a battere Matteo Salvini: al Paladozza c’erano poco più di 5 mila simpatizzanti.
RISPOSTA. Matteo Salvini è il primo rappresentante di una politica populista fatta di slogan, che parla alla pancia delle persone. E, per quanto si sforzi di mostrarsi vicino alla gente, la sua è finzione. Costruisce un teatro al quale ci hanno già abituati sia Berlusconi sia Renzi. Riempie il PalaDozza, ma lo fa con trentini, lombardi e veneti. Quella non è politica, è marketing. Noi abbiamo voluto lanciare un modello diverso, fatto di partecipazione e di relazioni umane. 

Avete detto che non vi definite anti-politici né criticoni. Cosa significa?
La nostra piazza non è contro la politica, ma a favore della politica buona. Crediamo nel ritorno di una politica seria, articolata e complessa. Fatta di testa, non di pancia. Non a caso, l’inno delle sardine è Come è profondo il mare di Lucio Dalla. Una canzone bellissima, quasi poetica, ma che al contempo ha un testo lungo e non immediato. 

Crediamo nel ritorno di una politica seria, articolata e complessa. Fatta di testa, non di pancia. Non a caso, l’inno delle Sardine è Come è profondo il mare di Dalla

Molti politici, dal Pd al M5s, hanno messo il cappello sul vostro successo. Vi siete sentiti strumentalizzati?
Sinceramente non abbiamo percepito nulla del genere, né da parte dei partiti di centrosinistra né dal Movimento 5 stelle. A parte la Lega, che come al solito ha un modo di comunicare abbastanza bieco, abbiamo avuto l’impressione che il nostro messaggio sia passato in maniera netta. 

Il centrodestra e la Lega però alle urne sembrano inarrestabili. Cosa si aspetta in Emilia-Romagna?
Non lo so. Ci siamo limitati a lanciare un messaggio. Però vi sembra normale che contro anni di buon governo che parte da un radicamento sul territorio e da proposte concrete ci sia una candidata famosa soltanto per aver indossato in parlamento una maglietta con su scritto “Parlateci di Bibbiano”? Questo messaggio è arrivato così forte e chiaro che anche tanti nostri amici di destra, dopo aver visto ciò che abbiamo fatto, ci hanno detto: «Mai con la Lega». 

Qual è il futuro delle Sardine?
Questo dipenderà dalle Sardine. Dobbiamo capire che i primi responsabili della deriva populista siamo noi, in quanto cittadini. Se la risposta delle piazze sarà numerosa come quella di Bologna sicuramente andremo lontano. Ma dobbiamo mettere in conto che, essendo un movimento spontaneo, c’è il rischio che chi lo porta avanti commetta degli errori. 

Possiamo definire le Sardine un movimento di resistenza?
In qualche modo sì. Perché quella che stiamo subendo in Emilia-Romagna è un’invasione. Un’invasione dei messaggi di Salvini e della Lega. E sappiamo benissimo che se la nostra regione, che è una terra fatta di confronto, di volontariato e di associazionismo, capitola allora daremo un messaggio preciso a tutta Italia e anche a tutta Europa. Cioè che non c’è più un argine. E la gente deve rendersene conto. 

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Lega al 34% nei sondaggi politici del 15 novembre 2019

Lontani Pd (19,5%) e M5s (16,8%). La coalizione di centrodestra al 49,4%, sei punti in più di quella giallorossa.

Se si andasse al voto la Lega otterrebbe il 34% dei consensi, il Pd il 19,5% mentre il Movimento 5 Stelle 16,8%. Sono i dati che emergono dal sondaggio Index Research effettuato per la trasmissione per Piazza Pulita, su La7. Per quanto riguarda gli altri partiti del centrodestra: Fratelli d’Italia conferma il secondo posto con il 9% di consensi mentre Forza Italia è al 6.4%. Italia Viva di Matteo Renzi è 4,8% mentre Più Europa all’1,8%, i Verdi sono all’1,9%. Gli indecisi al 38,3%. Il sondaggio Index si concentra poi sui consensi che otterrebbero le coalizioni. Quella “giallorossa” (Pd, Iv, M5s, Sinistra) è data al 43,4% mentre il centrodestra (Lega, Fdi e Fi) si attesta al 49,4% dei consensi.

LISTA CALENDA ALL’1% (IN ATTESA DEL 21 NOVEMBRE)

Questi dati sono simili – almeno per le forze di testa – a quelli usciti da un’altra rilevazione, pubblicata il 14 novembre da Emg, secondo cui la Lega è primo partito con il 33% dei consensi seguita dal Pd con il 19,5% e il Movimento 5 Stelle dato al 16,1%. Tra gli altri partiti, Fratelli d’Italia è al 9,8%, Forza Italia al 7,4%. Italia Viva è al 5,7%, Più Europa al 1,8%, La Sinistra 1,7%, Europa Verde al 1,0% e Lista Calenda 1,0%. Proprio Calenda il 15 novembre ha annunciato su Twitter: «Il 21 lanceremo il nuovo movimento politico. Nonostante il poco tempo siamo pronti a lavorare con Stefano Bonaccini ed il Pd per combattere insieme. Ovviamente se i 5s non saranno alleati».

OLTRE IL 50% CONTRO IL GOVERNO PD-M5S

A proposito del governo giallorosso, il sondaggio Emg ha rilevato che la maggioranza degli intervistati è contro l’esecutivo attualmente in carica. Alla domanda «Lei pensa che sia stato un bene far nascere questo Governo?”» il 54% degli intervistati ha risposto “no”, il 28% ha risposto “sì”. Il 18% ha preferito non rispondere.

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Bologna scende in piazza per dire “no” a Salvini

Oltre 10 mila persone riunite in piazza Maggiore, mentre al Paladozza il leader leghista lanciava la candidatura per le Regionali di Borgonzoni. Davanti a più di un seggiolino vuoto.

A Bologna migliaia di persone sono scese in piazza contro Matteo Salvini nel giorno della convention leghista al Paladozza. Il 14 novembre collettivi e centri sociali hanno sfilato cgià dal tardo pomeriggio. In strada oltre 2 mila persone e attimi di tensione. Per allontanare il corteo che si stava avvicinando ai blindati schierati per proteggere il Paladozza la polizia ha usato gli idranti. Dal corteo, in via Riva Reno, poco distante dal palazzetto, sono partite bottiglie, fumogeni e palloncini pieni di vernice. A protezione della zona circostante il Paladozza, un ingente schieramento di uomini e mezzi. Ma l’”accoglienza” di Bologna a Salvini non è finita qui. In piazza Maggiore alcune migliaia di persone hanno fatto un flash mob pacifico nel segno delle sardine, il simbolo scelto per l’occasione per ingaggiare con la Lega una guerra di numeri su chi avesse più partecipazione, rispetto all’iniziativa del Paladozza. Gli organizzatori avevano annunciato di voler riempire il ‘Crescentone’ della piazza con migliaia persone strette, appunto, come sardine: obiettivo abbondantemente raggiunto, visto che la piazza era gremita. Circa 11 mila i presenti.

SALVINI LANCIA LA CANDIDATURA DI BORGONZONI

Dalla convention leghista, parlando delle proteste, Salvini ha detto: «Se sono pacifiche, sono le benvenute». Il leader del Carroccio ha poi parlato di temi nazionali: «Prima gli italiani potranno liberamente e democraticamente andar a votare, meglio sarà per tutti». E sulla condanna di due carabinieri per l’omicidio di Stefano Cucchi: «Se qualcuno ha usato violenza, ha sbagliato e pagherà. Questo testimonia che la droga fa male sempre e, comunque, io combatto la droga in ogni piazza». Passando al tema Regionali, Salvini ha lanciato la candidatura di Lucia Borgonzoni e l’assalto alla Regione fortino del centrosinistra, dove si vota il 26 gennaio : «È la candidata di tutto il centrodestra ma non solo, anche di tanti emiliani e bolognesi che si candideranno nelle liste civiche a sostegno di Lucia».

NIENTE SOLD-OUT AL PALADOZZA

Ad ascoltare Borgonzoni un palazzo dello sport con qualche seggiola vuota: circa 5 mila i presenti, ma il sold-out annunciato nei giorni scorsi non c’è stato. Nei numeri, la piazza ha più che doppiato la Lega. La fedelissima di Salvini (per lei sono arrivati sotto le Due Torri anche i governatori di Veneto, Lombardia, Sardegna, Umbria e Friuli-Venezia Giulia) ha indicato tra le priorità lo snellimento della burocrazia per aziende e famiglie, oltre alla sanità: «Quando dico che ci sono problemi, la gente mi guarda come una marziana, ma ci sono». Inevitabili i riferimenti ai cavalli di battaglia di Bibbiano («Mi criticano per quella maglietta, ma si dovrebbe vergognare chi non ha controllato») e all’assegnazione delle case popolari: «Dire che devono andare a chi è qui da più tempo, non è razzismo, ma giustizia».

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Alle Regionali in Emilia-Romagna cresce l’ipotesi desistenza per il M5s

Mentre Salvini prepara la kermesse al PalaDozza,, il Pd corteggia i cinque stelle. Che, però, non escludono più di saltare un giro. La Lega a Bologna attesa dalle contestazioni.

Mentre Matteo Salvini prepara la kermesse al PalaDozza, in vista delle Regionali in Emilia-Romagna del 26 gennaio, prosegue la corte serrata del Partito democratico al Movimento 5 stelle per mettere in piedi un’alleanza che ricalchi la maggioranza di governo. Anche se, in casa cinque stelle, prende sempre più quota l’ipotesi di un giro di riposo, di una sorta di desistenza in chiave anti-Lega, senza il simbolo sulla scheda.

DI MAIO NON ESCLUDE A PRIORI LA DESISTENZA

Dell’ipotesi aveva parlato nei giorni scorsi Max Bugani, capogruppo in Comune a Bologna e membro del direttivo di Rousseau. Il capo politico Luigi Di Maio, che nei giorni scorsi aveva assicurato che il M5s sarebbe stato della partita con un proprio candidato alternativo sia al Pd sia alla Lega, per la prima volta non ha escluso la possibilità. «Dove non saremo pronti non ci presenteremo. Nei prossimi giorni prenderemo decisioni su questo», ha detto. La decisione dovrebbe essere presa il 15 novembre, in un incontro al quale parteciperanno i parlamentari del territorio con il capo politico Luigi Di Maio.

L’APPELLO DEL MINISTRO DE MICHELI

Intanto, dal Pd, agli appelli più volte ripetuti da Bonaccini, si è aggiunto quello di un membro del governo che è anche esponente di spicco del Pd emiliano-romagnolo, la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli. «Mi piacerebbe» – ha detto – «se il ‘primo bacio’ tra Pd e M5s fosse in Emilia, ma capisco che ci sono dei problemi. Con i colleghi dei cinque stelle ho lavorato bene. Ma continuo a rimanere un’emiliano-romagnola che vorrebbe e farà di tutto affinché Bonaccini continui a essere governatore».

PRODI BENEDICE LA CANDIDATURA DI BONACCINI

A Bonaccini è arrivata intanto anche la ‘benedizione’ di Romano Prodi «Questi» – ha detto Prodi riferendosi alla giunta uscente – «hanno governato bene, mentre Salvini porta per mano la candidata. L’elettore riflette non solo sui grandi slogan, ma anche sulle cose e su cosa un’alternativa a questo potrebbe produrre. La disoccupazione cala e tutti vengono a farsi curare qui». La Lega, intanto, Lucia Borgonzoni, puntando a riempire il PalaDozza di Bologna e lanciando le proprie parole d’ordine. Il clima si preannuncia caldissimo: oltre al flashmob delle ‘6 mila sardine’ in piazza Maggiore ci sarà un corteo dei centri sociali e dei collettivi universitari, che cercherà di avvicinarsi il più possibile alla convention del Carroccio, sicuramente ‘blindata’ dalle forze dell’ordine. Nella vicina Porta Lame, prevista anche una biciclettata organizzata dagli anarchici. Appuntamenti che potrebbero rendere molto delicata la gestione dell’ordine pubblico.

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A Padova negano l’ingresso della bandiera venetista allo stadio e la Lega insorge

Proteste sia dal governatore del Veneto Luca Zaia, sia dal deputato leghista Massimo Bitonci. Ma per la questura è tutto regolare.

Volevano entrare allo stadio con una bandiera raffigurante il leone di San Marco, simbolo del Veneto e dei venetisti, ma sono stati bloccati dagli addetti alla sicurezza che hanno trattenuto il vessillo. È quanto successo a un ragazzino di 14 anni, a sua madre e a suo fratello più piccolo, domenica 10 novembre, in occasione della partita Padova-Sudtirol del campionato di Serie C. La decisione ha scatenato immediatamente le polemiche degli ultrà che, nel secondo tempo, hanno staccato gli striscioni e sospeso i cori per cinque minuti in segno di protesta. E successivamente anche quelle della Lega.

LUCA ZAIA: «INCIVILE VIETARE L’INGRESSO DELLA BANDIERA»

A denunciare prontamente l’accaduto ci hanno pensato diversi esponenti del Carroccio, cominciando dal governatore della Regione Veneto Luca Zaia, il quale ha affermato che «vietare l’ingresso allo stadio alla bandiera con il leone di San Marco dei tifosi veneti è un atto quantomeno incivile». Sono poi seguiti i commenti di Silvia Rizzotto, capogruppo veneto della Lista Zaia in consiglio regionale, per cui il gesto rappresenta «un atto contro il Veneto e le sue pressanti richieste di autonomia», e quelli di Nicola Finco, capogruppo della Lega in Regione, per il quale il gesto è ancor più grave perché «viene da un rappresentante dello Stato, il questore Paolo Fassari, che dovrebbe conoscere la storia della nostra Regione». Infine, è intervenuto anche il deputato leghista Massimo Bitonci, che ha depositato un’interrogazione al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese per chiedere «se non ritenga opportuno approfondire la dinamica della vicenda».

PER LA QUESTURA LA NORMATIVA È STATA RISPETTATA

La risposta della questura non ha però tardato ad arrivare: secondo il questore Paolo Fassari, la normativa consente l’accesso libero solo alle bandiere delle due squadre in campo e al tricolore. Per le altre, invece, deve essere richiesta un’autorizzazione, in mancanza della quale gli addetti alla sicurezza sono costretti a proibirne l’ingresso.

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I sondaggi politici elettorali dell’11 novembre 2019

Per la prima volta le forze di centrodestra sfondano il muro del 50%. Fdi cresce più della Lega, ma avanza anche il Pd. Tracollo M5s. Cosa dice la rilevazione Swg.

Per la prima volta i tre partiti di centrodestra superano il 50% nelle intenzioni di voto degli italiani. È questo il dato più significativo dell’ultimo sondaggio realizzato da Swg per il TgLa7, andato in onda la sera dell’11 novembre.

LEGA PRIMO PARTITO E ANCORA IN CRESCITA

Nella rilevazione pubblicata nel corso del telegiornale condotto da Enrico Mentana, la Lega raggiunge il 34,5%, Fratelli d’Italia il 9,5% e Forza Italia il 6,2%. per un totale del 50,2%, a cui potrebbe essere aggiunto l’1,3% di Cambiamo!, la lista del governatore ligure Toti.

Nel dettaglio, si conferma a crescita del Carroccio, che guadagna uno 0,4% rispetto al sondaggio della settimana precedente. Fa meglio ancora il partito di Giorgia Meloni, cresciuto dello 0,6%, mentre Fi resta stabile.

IL PD GUADAGNA OLTRE UN PUNTO, CROLLA IL M5S

Avanza, un po’ a sorpresa, anche il Partito democratico, che guadagna oltre un punto percentuale, dal 17,5% al 18,6%. Consensi erosi, forse, all’alleato di governo, visto che il Movimento 5 stelle un punto lo lascia sul terreno, passando dal 16,8% al 15,8%. Svanisce l’effetto novità per Italia viva: il partito di Matteo Renzi scende al 5,6% dal precedente 6%. MdP, Verdi e +Europa flettono dello 0,3% ciascuno.

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Salvini: «Ho ricevuto un altro proiettile»

Il leader della Lega rivela nuove minacce a chi gli chiede se sia più a rischio lui o Liliana Segre. E smentisce di aver incontrato la senatrice.

L’incontro con Liliana Segre? A quanto pare non c’è stato. In compenso Matteo Salvini non sembra avere alcuna intenzione di abbassare i toni del dibattito e pur confermando la proprio solidarietà alla senatrice messa sotto scorta dopo la denuncia delle centinaia di minacce e insulti antisemiti ricevute, informa di essere lui stesso esposto all’odio: «A me è appena arrivato un altro proiettile, non piango», ha detto Salvini al suo arrivo a Eicma a chi gli chiedeva se fosse più a rischio lui o la senatrice sopravvissuta ai campi di sterminio, «in un Paese civile non dovremmo rischiare né io né la Segre».

INCONTRO NON CONFERMATO

Il leader della Lega non ha confermato l’incontro dell’8 novembre a Milano con la senatrice: «Io gli incontri che ho li comunico. Gli incontri che non comunico io, per quanto mi riguarda, non ci sono», ha detto l’ex ministro dell’Interno. «L’incontro con la Segre l’avrò più avanti. Lo chiedo io. Quando avverrà? Presto», ha aggiunto. A chi gli ha chiesto quali saranno i temi che affronterà con Segre, Salvini ha risposto: «Io ascolto ascolto, è una donna estremamente intelligente. Sono giovane, ho voglia di capire, di imparare e di ascoltare». Quanto alla presidenza della commissione contro l’odio, la senatrice «farà le sue scelte a prescindere da quello che suggerisce Salvini. Ritengo che sia una donna estremamente intelligente quindi non ha assolutamente bisogno dei miei consigli».

LEGA IN PIAZZA IL 10 DICEMBRE

La Lega sarà comunque presente in piazza a Milano il 10 dicembre per la manifestazione dei sindaci in sostegno a Segre: «Sì», ha confermato Salvini, «quando c’è qualcosa di democratico che riguarda il futuro lo sosteniamo». Ma «il dibattito tra fascismo e comunismo che sono sepolti dal passato, non mi appassiona» e se Forza nuova e CasaPound si candidano alle elezioni «vuol dire che rispettano la legge e la Costituzione».

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La polemica sulla Lega e i 300 mila euro in bond ArcelorMittal

Il M5s all’attacco per i presunti investimenti del Carroccio nel colosso indo-francese. Di Maio: «Ora ho capito perché il partito di Salvini si schierava con l’azienda». Ma la notizia è uscita in aprile, quando i due erano alleati.

La vicenda ex Ilva-Arcelor Mittal prende un nuovo risvolto tutto politico che potrebbe gettare altre ombre sui conti della Lega. A far scoppiare la polemica è stato il viceministro M5s al Mise Stefano Buffagni.

«La Lega», ha sostenuto, «ha investito 300 mila euro in bond di ArcelorMittal. Mi auguro pensi a difendere gli italiani e non le multinazionali».

L’INCHIESTA SUI SOLDI DELLA LEGA

Buffagni fa riferimento a una notizia pubblicata sull’Espresso da Giovanni Tizian e Stefano Vergine ad aprile. Secondo i due giornalisti, la Lega avrebbe investito in titoli negli anni scorsi 1.200.000 euro. Dei quali 300 mila euro in bond della multinazionale che aveva comprato Ilva e che ora si vuole ritirare.

Lega, dai diamanti ai bond di Arcelor Mittal

Dai diamanti in Tanzania ai bond di Arcelor Mittal. Salvini che si dice, a parole, contro l’Europa delle banche, dovrebbe spiegarci, perché il suo partito avrebbe investito, a scopo di lucro, 300 mila euro in obbligazioni dell’azienda franco-indiana che ha acquistato l’Ilva e che ora minaccia di recedere, unilateralmente, dal contratto firmato con lo Stato. Infatti, quella stessa Lega, a parole sovranista, che chiede di reintrodurre l’immunità penale per Arcelor Mittal, secondo diversi organi di stampa, avrebbe investito 300 mila euro proprio in un bond corporate di Arcelor Mittal. Cioè dice di essere dalla parte dei cittadini, dei lavoratori, contro i poteri forti, ma investe soldi in obbligazioni di multinazionali straniere. Da “prima gli italiani!” a “prima i franco-indiani”, in questo caso. A parole fa finta di combattere l’Europa “serva di banche e multinazionali", salvo poi schierarsi sempre dalla parte di quest’ultime. È forse per questo che la Lega, invece di prendersela con la multinazionale franco-indiana, e difendere i lavoratori come sta facendo l’esecutivo, si è scagliata contro il Governo? Salvini scappa e non risponde, come sempre, come ieri mattina, a precisa domanda, dice di chiedere all’amministratore della Lega su questi investimenti. Quindi investono a sua insaputa i soldi del partito? È chiaro, quindi, il motivo per cui l'ex sottosegretario leghista al Mise, Edoardo Rixi, dimessosi per lo scandalo delle spese pazze in Liguria, si spendesse così tanto per Arcelor. Ed è curioso che Arcelor, a luglio del 2018, assunse come capo comunicazione proprio l'ex portavoce di un leghista d'annata, Roberto Maroni. Insomma fra l'azienda franco-indiana e la Lega ci sono molti rapporti e molti contatti. E chissà cosa avrà detto loro Salvini, da vicepremier, quando ha incontrato i vertici di Arcelor Mittal. Forse si è passati da prima i lavoratori a prima gli investimenti, quelli del partito verde.Ma la domanda è: ritenete normale che la Lega, come emerge dalle inchieste, investa soldi pubblici (ricordate i famosi 49 milioni di rimborsi elettorali con i quali acquistarono diamanti in Tanzania), non solo su obbligazioni Arcelor Mittal, ma anche su alcune delle più famose banche e multinazionali, come l’americana General Electric, la spagnola Gas Natural, le italiane Mediobanca, Enel, Telecom e Intesa Sanpaolo? Non c’è un macroscopico conflitto d’interessi se parliamo di un partito che è in Parlamento e che dovrebbe tutelare gli interessi degli italiani?

Posted by MoVimento 5 Stelle on Thursday, November 7, 2019

Secondo i due, autori anche de Il libro nero della Lega,  «sia sotto la gestione di Roberto Maroni, sia in seguito sotto quella di Salvini, parecchi milioni sono stati investiti illegalmente. Una legge del 2012 vieta infatti ai partiti politici di scommettere i propri denari su strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato dei Paesi dell’Unione europea. Il partito che si batte contro «l’Europa serva di banche e multinazionali» (copyright di Salvini) ha cercato di guadagnare soldi comprando le obbligazioni di alcune delle più famose banche e multinazionali».

IL M5S ALL’ATTACCO

Il M5s, che quando queste notizie sono uscite era alleato della Lega, ha deciso ora di attaccare il Carroccio a testa bassa. «Ogni volta che io provavo a essere duro, la Lega si schierava con Arcelor. Ora ho capito perché: hanno investito in Arcelor e stanno battagliando ancora per la multinazionale e non per i lavoratori. Abbiamo smascherato il finto sovranismo. Abbiamo gli unici sovranisti al mondo che perorano le battaglie delle multinazionali anziché i cittadini e i lavoratori», ha detto venerdì il ministro degli Esteri e capo del M5s, Luigi Di Maio.

«NON C’È UN MACRO CONFLITTO D’INTERESSI»

Un’accusa rimbalzata anche sui social del Movimento e richiamata dai parlamentari pentastellati. «Perché la Lega di Salvini ha investito 300 mila euro in obbligazioni di Arcelor Mittal? Salvini, come al solito, piuttosto che rispondere preferisce scappare. Eppure, secondo diversi organi di stampa, il suo partito avrebbe investito soldi pubblici, cioè soldi di tutti i cittadini, non solo su obbligazioni Arcelor Mittal, ma anche su alcune delle più famose banche e multinazionali mondiali (…) Ma viene da chiedersi: non c’è forse un macroscopico conflitto d’interessi per un partito che è in parlamento e che dovrebbe tutelare gli interessi degli italiani?», si legge in una nota dei portavoce del MoVimento 5 Stelle in commissione Attività produttive alla Camera.

LA REPLICA DI SALVINI: «NON ABBIAMO BOND»

«Io querelo poco e niente, ma oggi un po’ di gente la querelo, visto che dicono che abbiamo azioni o bond di Arcelor Mittal: roba assolutamente fantasiosa», ha replicato Salvini, incontrando la stampa a Firenze. A onor del vero, nessuno ha detto che la Lega ha in portafogli attualmente le obbligazioni, ma che le ha avute.

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