Nuovo governo, vecchi problemi: la cura Kazimi salverà l’Iraq?
Dalle tensioni settarie all’eterno scontro Usa-Iran: l’esecutivo di Kazimi ha convinto il parlamento. Riuscirà a fare lo stesso con i manifestanti?
Ci sono voluti mesi per riuscire ad approdare a un nuovo esecutivo dalle ceneri del governo guidato da Abdul-Mahdi, 77enne e già vice-presidente e ministro del petrolio e delle finanze, travolto dall’ondata delle manifestazioni di protesta da un lato e dalla repressione stragista che ne è seguita. Si è trattato di un approdo sofferto costato il fallimento dei due tentativi portati avanti per formare un nuovo governo (Mohammad Tawfiq Allawi, ex ministro delle Telecomunicazioni, con cittadinanza britannica e sostenuto dai partiti vicini all’Iran, e poi Adnan Zurfi) . È stato il terzo, il capo dell’intelligence interna, Mustafa Kazimi a farcela dopo alcuni aggiustamenti dell’ultima ora e a ottenere il necessario voto favorevole del parlamento sulla nuova compagine governativa. Mancano ancora due ministri di peso, agli Esteri e al Petrolio, ma è opinione piuttosto condivisa che si sia finalmente cominciato a giocare la partita della governabilità.
LE LOGICHE SETTARIE E LA SPARTIZIONE DEL POTERE
Su quale base? Fondamentalmente su quella identificata con le parole muhahasa ta’fia che rispecchiano un sistema che noi chiameremmo di consociativismo, cioè di riparto del potere in tutte le articolazioni politico-istituzionali del Paese fra i rappresentanti etnico-settari – curdi, islamici sciiti e islamici sunniti – oppure, se si vuole, un sistema di censo virtuale costruito sulla divisione del lavoro secondo la valutazione della percentuale della popolazione afferente, rispettivamente, agli sciiti, ai sunniti e ai curdi. Intendiamoci, questo sistema non è un’esclusiva dell’Iraq in Medio Oriente e altrove; però è stato codificato nel lontano 1992 da una coalizione di gruppi politici in esilio anticipando di molto l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e della sua occupazione dopo il 2003. E ciò avvenne nell’aspettativa che la regola del partito unico del regime baathista sarebbe più potuto tornare e che nessun altro gruppo etnico o settario sarebbe stato in condizione di prevalere sugli altri. Nobile intento ma pessima soluzione, considerata col senno di poi, anche perché avallata nel tempo sia dagli Usa che da Teheran come quella che meglio garantiva la politica di influenza cui entrambi puntavano invece di propiziare la creazione di condizioni suscettibili di promuovere il consenso in base alla cittadinanza.
Ogni governo succedutosi dopo la promulgazione della Costituzione del 2005 ha sventolato la bandiera dell’inclusività (leggasi consociativismo)
Ebbene, anche Kazimi ha dovuto piegarsi a questa logica per affermare il suo governo e il suo premierato in parlamento. Ed è legittimo temere che questa “servitù” non prometta nulla di veramente costruttivo in direzione degli obiettivi di riforma del sistema complessivo di potere annunciati al Paese nel momento in cui aveva accettato l’incarico del presidente della Repubblica. Del resto, ogni governo succedutosi dopo la promulgazione della Costituzione del 2005 ha sventolato la bandiera dell’inclusività (leggasi consociativismo) ma è rimasta forte nell’opinione pubblica la percezione che dietro a questa bandiera vi fosse in realtà marginalizzazione e discriminazione. Con i risultati visti verso la fine del 2019. Rimane la speranza che la scelta fatta sia da accreditare al quel pragmatismo e a quella duttilità che negli anni hanno fatto accrescere la stima verso Kazimi da parte di un po’ di tutti i gruppi. Lo vedremo; e soprattutto lo vedrà il diretto interessato che ha subito dovuto mettere in conto la ripresa delle massicce manifestazioni di protesta in tutto il Paese dopo i primi due mesi dallo scoppio del coronavirus: da Baghdad a Nassirya a Bassora, tutte all’insegna della rivendicazione di un completo mutamento del sistema politico, della fine della corruzione, di migliori condizioni di vita, etc.
LE SFIDE DELL’ANTI-TERRORISMO
Tutto ciò mentre il neo-premier decretava il rilascio dei dimostranti dei mesi precedenti ancora in prigione, compensazioni alle famiglie delle centinaia di vittime di allora, lo sblocco dell’erogazione delle pensioni e poneva il generale Wahab al Saadi, distintosi nella lotta all’Isis, alla testa dell’anti-terrorismo. La sua credibilità è alla prova anche sul fronte del Covid-19 e soprattutto del delicato problema delle ripercussioni del crollo del prezzo del petrolio, la risorsa decisiva del Paese sotto tutti i punti di vista, dall’economico al sociale. In questo contesto si colloca l’ulteriore sfida che si pone per Kazimi: come giostrarsi tra le confliggenti strategie di influenza dell’Iran da un lato e degli Usa dall’altro. Con la postilla tutt’altro che marginale delle radici piuttosto profonde piantate dal primo, oggi peraltro in difficili condizioni socio-economiche e sanitarie, e la volontà dei secondi di incrementare la presenza politico-militare in quel Paese cardine degli equilibri di potere nella regione, mentre una parte importante della popolazione guarda ormai con criticità la loro presenza.
IL BRACCIO DI FERRO USA-IRAN
L’Iran non sembra voler demordere dalla posizione acquisita in anni di promozione della propria immagine, da ultimo nella lotta all’Isis. Gli Usa dal canto loro stanno mettendo a punto un disegno strategico che dovrebbe scattare il prossimo giugno nel corso di un incontro bilaterale programmato da tempo anche sotto la pressione del parlamento che vede in loro una vera presenza ostile. Un primo importante gesto è venuto con la decisione di consentire all’Iraq di continuare a rifornirsi di elettricità e di gas dall’Iran per altri 120 giorni senza incorrere nelle cosiddette “sanzioni statunitensi di secondo grado”; concessione accompagnata dall’esplicito favore per le annunciate misure programmatiche di Kazimi, tra le quali la tenuta di elezioni, la sottoposizione al controllo statale di tutte le forze armate e le iniziative miranti a fronteggiare i gravi problemi della sanità e dell’economia del Paese. Iniziative per le quali lo stesso Donald Trump ha fatto sapere di voler assistere il Paese nel corso di una telefonata diretta proprio a Kazimi. L’evoluzione della situazione in Iraq ci riguarda da vicino, non solo per l’importanza oggettiva del Paese ma anche per la nostra presenza in loco nel contesto Nato e Comando Multinazionale che, quantunque ridimensionata a causa del coronavirus, è integra un importante baluardo contro lo stato islamico ancora carsicamente e pericolosamente presente sul territorio iracheno.
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