Per l’Istat in Italia ci sono almeno 2 milioni di giovani in sofferenza

Secondo il rapporto “Benessere equo e sostenibile” nel nostro Paese ci sono milioni di giovani che soffrono privazioni nelle dimensioni del benessere, come lavoro, salute o istruzione.

Sono quasi due milioni i giovani tra i 18 e i 34 anni in condizioni di sofferenza, ovvero a cui mancano due o più dimensioni del benessere (dalla salute al lavoro, dalla sfera sociale a quella territoriale, passando per l’istruzione). È quanto è emerso da rapporto Istat sul Benessere equo e sostenibile (Bes). Quella che l’Istituto chiama la “multi-deprivazione” è più alta, si sottolinea, «tra i giovani adulti di 25-34 anni e nel Mezzogiorno».

IL REDDITO NON È TUTTO, FELICI SE LAUREATI

Il dossier si legge anche che sui livelli di benessere pesa di certo la componente economica, in primis il reddito familiare, ma «in misura minore rispetto ad altre caratteristiche come il titolo di studio, le condizioni di salute, l’occupazione e le condizioni abitative». «Ad esempio», ha scritto l’Istat, «la propensione a essere molto soddisfatti della vita è circa il triplo tra i laureati rispetto a coloro che posseggono al massimo la licenza secondaria inferiore, mentre all’aumentare del reddito familiare la propensione a essere molto soddisfatti cresce in misura minore».

UN RAGAZZO SU TRE INSUFFICIENTE IN ITALIANO

I ricercatori si sono concentrati anche sull’istruzione dei giovanissimi e hanno sottolineato che tra i ragazzi del secondo anno delle scuole superiori la quota di coloro che non «raggiunge la sufficienza (low performer) nelle competenze è del 30,4% per l’italiano e del 37,8% per la matematica». I dati del Bes si riferiscono in particolare all’anno scolastico 2018/2019. «Nelle regioni del Mezzogiorno la quota di studenti che non raggiungono un livello sufficiente sale al 41,9% per le competenze in italiano e al 53,5% per quelle in matematica».

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Scontro sugli sci a Plan de Corones: un morto e un ferito

Un turista sloveno ha perso la vita sulla pista Sonne. Ricoverato a Brunico in condizioni non gravi un giovane tedesco.

Un turista sloveno di 47 anni ha perso la vita in un incidente sugli sci in Val Pusteria. Sulla pista Sonne a Plan de Corones l’uomo si è scontrato con un giovane tedesco. Lo sloveno è morto, mentre il tedesco è stato trasportato all’ospedale di Brunico con ferite giudicate non gravi. Sul posto sono, tra l’altro, intervenuti i carabinieri per i rilievi di legge.

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Cosa sappiamo sul maxi blitz contro la ‘ndrangheta nel Vibonese

Vasta operazione del Ros in Calabria e nel resto dl’Italia. In manette oltre 300 persone tra avvocati, politici e membri della cosca Mancuso. Le accuse vanno da associazione mafiosa, all’estorsione e omicidio.

Una maxi operazione dei Carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Vibo Valentia è in corso per l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare del gip di Catanzaro su richiesta della Dda a carico di 334 persone. L’operazione ‘Rinascita-Scott‘ ha disarticolato tutte le organizzazioni di ‘ndrangheta operanti nel Vibonese e facenti capo alla cosca Mancuso di Limbadi. Complessivamente sono 416 gli indagati, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio e altri reati aggravati dalle modalità mafiose.

IN MANETTE ANCHE POLITICI

Tra le persone arrestate ci sono politici, avvocati, commercialisti, funzionari infedeli dello Stato e massoni. Tra loro anche l’avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli. In manette è finito anche il sindaco di Pizzo e presidente di Anci Calabria Gianluca Callipo, del Pd, l’ex consigliere regionale del Pd Pietro Giamborino (ai domiciliari) e il segretario del Psi calabrese Luigi Incarnato (domiciliari). Il gip ha imposto il divieto di dimora in Calabria per l’ex parlamentare ed ex assessore regionale del Pd Nicola Adamo, indagato per traffico di influenze. Tra gli arrestati c’è anche l’ex comandante del reparto operativo dei carabinieri di Catanzaro Giorgio Naselli, adesso comandante provinciale a Teramo. Contestualmente all’ordinanza di custodia cautelare, i carabinieri stanno notificando anche un provvedimento di sequestro beni per un valore di circa 15 milioni di euro.

OPERAZIONI ANCHE AL NORD E IN EUROPA

L’imponente operazione, frutto di indagini durate anni, oltre alla Calabria interessa varie regioni d’Italia dove la ‘ndrangheta vibonese si è ramificata: Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Sicilia, Puglia, Campania e Basilicata. Alcuni indagati sono stati localizzati e arrestati in Germania, Svizzera e Bulgaria in collaborazione con le locali forze di Polizia e in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria di Catanzaro. Nell’operazione sono impegnati 2500 carabinieri del Ros e dei Comandi provinciali che in queste ore stanno lavorando sul territorio nazionale supportati anche da unità del Gis, del Reggimento Paracadutisti, degli Squadroni Eliportati Cacciatori, dei reparti mobili, da mezzi aerei e unità cinofile.

GRATTERI: «PIÙ GRANDE BLITZ DOPO IL MAXI PROCESSO»

«È la più grande operazione dopo il maxi processo di Palermo». Così il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri ha sintetizzato l’operazione che ha portato ai 334 arresti. «Abbiamo disarticolato completamente le cosche della provincia di Vibo», ha aggiunto, «ma ha interessato tutte le regioni d’Italia, dalle Alpi alla Sicilia. Nell’ordinanza ci sono 250 pagine di capi di imputazione. È stato un grande lavoro di squadra fatto dai carabinieri del Ros centrale, di quello di Catanzaro, e del Comando provinciale di Vibo Valentia. Alla fase esecutiva dell’operazione hanno preso parte circa 3000 militari con tutte le specialità, dal Gis al Tuscania ai Cacciatori, tutte le sezioni Ros d’Italia e tutti i carabinieri della Calabria». Solo pochi giorni fa il neoprocuratore di Vibo, Camillo Falvo, che si è insediato il 18, salutando i colleghi della Procura di Catanzaro, dove per la Dda seguiva l’area di Vibo, aveva detto «ora o mai più». «Se era un riferimento a oggi? Anche», ha detto Gratteri.

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Cosa prevede il Patto della Salute per il periodo 2019-2021

Intesa raggiunta tra governo e regioni sui fondi per la Sanità. Misure per inserire gli specializzandi e tenere a lavoro i medici fino a 70 anni. Ma anche maggiore elasticità di spesa. Cosa c’è nell’accordo.

Più risorse per la sanità, specializzandi in corsia, possibilità per i medici di rimanere al lavoro fino ai 70 anni, ma anche sei mesi di tempo per la revisione delle procedure sui commissariamenti, che tenderanno sempre più a essere una extrema ratio. È l’«ampia intesa» trovata sul Patto della Salute 2019-2021, firmato il 18 dicembre dopo una lunga trattativa tra il governo e le Regioni.

SBLOCCATI FONDI PER 9 MILIARDI E MEZZO IN TRE ANNI

Il punto di caduta sembra quello giusto: «Governo e Regioni insieme a difesa del diritto alla salute», ha twittato il ministro Roberto Speranza, «Ora è più forte il nostro Servizio sanitario nazionale». Per il presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini «finisce la stagione dei tagli»: il Patto, anzi, «sancisce il notevole incremento delle risorse destinate alla Sanità». Due miliardi già a partire dal prossimo anno, 3,5 con l’anno successivo, a cui si aggiunge quanto previsto dal Bilancio con un incremento, dopo i 4 miliardi già previsti per il 2019, di 2 miliardi per gli investimenti per l’edilizia sanitaria e l’aumento di 1,5 miliardi di quelli per l’ammodernamento tecnologico.

MISURE PER SPECIALIZZANDI E MEDICI ANZIANI

Nell’accordo sono rientrate anche due misure fortemente richieste dalle Regioni, ha spiegato l’assessore laziale Alessio D’Amato, entrambe legate al personale: l’impiego degli specializzandi già dal terzo anno nelle strutture sanitarie, ma anche la possibilità su base volontaria per i medici di rimanere in attività anche oltre i 40 anni di servizio e fino a 70 anni d’età. Nel Patto è inoltre prevista la revisione dei meccanismi e degli strumenti relativi ai piani di rientro e ai commissariamenti. «È stata inserita su richiesta della Regione Molise», ha spiegato il presidente Donato Toma, «ma condivisa da tutte le altre, la revisione delle procedure entro i prossimi 180 giorni anche alla luce delle disposizioni della Consulta», che si era pronunciata contro l’incompatibilità tra le figure di governatore e di commissario ad acta. Commissariamento che, si legge nel testo, «costituisce un rimedio ultimo dettato da circostanze eccezionali»: dall’anno prossimo il Comitato dei Lea (i Livelli essenziali d’assistenza) effettuerà ogni anno un monitoraggio, e in caso di «gravi criticità in almeno due macro-livelli di assistenza», si legge nel Patto, il Comitato inviterà la Regione entro trenta giorni a presentare un piano di risoluzione (‘Intervento di potenziamento dei Lea’) «nell’ambito della sostenibilità economica del Servizio sanitario regionale interessato».

MAGGIORE ELASTICITÀ SUL TETTO DELLA SPESA PER IL PERSONALE

Nel Patto è prevista inoltre, ha spiegato ancora Bonaccini, la rimodulazione «nella direzione di una maggiore flessibilità» del tetto di spesa del personale dal 5% al 10%, valutando la possibilità di un ulteriore innalzamento al 15%, e quella del tetto relativo agli acquisti di prestazioni dai privati accreditati. Prevista inoltre la revisione del decreto 70/2015 che fissava gli standard per l’assistenza ospedaliera. Tutti «strumenti importanti» secondo il coordinatore nazionale della commissione Salute Luigi Genesio Icardi. Scettici invece i ‘camici bianchi’ dello Smi, il Sindacato medici italiani: per il segretario generale Pina Onotri è un provvedimento «con luci e ombre, in cui ci sono poche risorse per i rinnovi contrattuali dei medici di famiglia». Il giudizio dei presidenti di Regione è però positivo: soddisfatto il governatore della Sardegna Christian Solinas («le nostre richieste più importanti sono state recepite») e quello del Veneto Luca Zaia («in questo documento c’è molto della nostra Regione»). «Per la sanità nuove assunzioni, investimenti, servizi migliori. Apriamo una nuova stagione di giustizia sociale» ha sintetizzato il presidente del Lazio, e segretario del Pd, Nicola Zingaretti.

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Cosa prevede il Patto della Salute per il periodo 2019-2021

Intesa raggiunta tra governo e regioni sui fondi per la Sanità. Misure per inserire gli specializzandi e tenere a lavoro i medici fino a 70 anni. Ma anche maggiore elasticità di spesa. Cosa c’è nell’accordo.

Più risorse per la sanità, specializzandi in corsia, possibilità per i medici di rimanere al lavoro fino ai 70 anni, ma anche sei mesi di tempo per la revisione delle procedure sui commissariamenti, che tenderanno sempre più a essere una extrema ratio. È l’«ampia intesa» trovata sul Patto della Salute 2019-2021, firmato il 18 dicembre dopo una lunga trattativa tra il governo e le Regioni.

SBLOCCATI FONDI PER 9 MILIARDI E MEZZO IN TRE ANNI

Il punto di caduta sembra quello giusto: «Governo e Regioni insieme a difesa del diritto alla salute», ha twittato il ministro Roberto Speranza, «Ora è più forte il nostro Servizio sanitario nazionale». Per il presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini «finisce la stagione dei tagli»: il Patto, anzi, «sancisce il notevole incremento delle risorse destinate alla Sanità». Due miliardi già a partire dal prossimo anno, 3,5 con l’anno successivo, a cui si aggiunge quanto previsto dal Bilancio con un incremento, dopo i 4 miliardi già previsti per il 2019, di 2 miliardi per gli investimenti per l’edilizia sanitaria e l’aumento di 1,5 miliardi di quelli per l’ammodernamento tecnologico.

MISURE PER SPECIALIZZANDI E MEDICI ANZIANI

Nell’accordo sono rientrate anche due misure fortemente richieste dalle Regioni, ha spiegato l’assessore laziale Alessio D’Amato, entrambe legate al personale: l’impiego degli specializzandi già dal terzo anno nelle strutture sanitarie, ma anche la possibilità su base volontaria per i medici di rimanere in attività anche oltre i 40 anni di servizio e fino a 70 anni d’età. Nel Patto è inoltre prevista la revisione dei meccanismi e degli strumenti relativi ai piani di rientro e ai commissariamenti. «È stata inserita su richiesta della Regione Molise», ha spiegato il presidente Donato Toma, «ma condivisa da tutte le altre, la revisione delle procedure entro i prossimi 180 giorni anche alla luce delle disposizioni della Consulta», che si era pronunciata contro l’incompatibilità tra le figure di governatore e di commissario ad acta. Commissariamento che, si legge nel testo, «costituisce un rimedio ultimo dettato da circostanze eccezionali»: dall’anno prossimo il Comitato dei Lea (i Livelli essenziali d’assistenza) effettuerà ogni anno un monitoraggio, e in caso di «gravi criticità in almeno due macro-livelli di assistenza», si legge nel Patto, il Comitato inviterà la Regione entro trenta giorni a presentare un piano di risoluzione (‘Intervento di potenziamento dei Lea’) «nell’ambito della sostenibilità economica del Servizio sanitario regionale interessato».

MAGGIORE ELASTICITÀ SUL TETTO DELLA SPESA PER IL PERSONALE

Nel Patto è prevista inoltre, ha spiegato ancora Bonaccini, la rimodulazione «nella direzione di una maggiore flessibilità» del tetto di spesa del personale dal 5% al 10%, valutando la possibilità di un ulteriore innalzamento al 15%, e quella del tetto relativo agli acquisti di prestazioni dai privati accreditati. Prevista inoltre la revisione del decreto 70/2015 che fissava gli standard per l’assistenza ospedaliera. Tutti «strumenti importanti» secondo il coordinatore nazionale della commissione Salute Luigi Genesio Icardi. Scettici invece i ‘camici bianchi’ dello Smi, il Sindacato medici italiani: per il segretario generale Pina Onotri è un provvedimento «con luci e ombre, in cui ci sono poche risorse per i rinnovi contrattuali dei medici di famiglia». Il giudizio dei presidenti di Regione è però positivo: soddisfatto il governatore della Sardegna Christian Solinas («le nostre richieste più importanti sono state recepite») e quello del Veneto Luca Zaia («in questo documento c’è molto della nostra Regione»). «Per la sanità nuove assunzioni, investimenti, servizi migliori. Apriamo una nuova stagione di giustizia sociale» ha sintetizzato il presidente del Lazio, e segretario del Pd, Nicola Zingaretti.

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Il 30 dicembre si decide sul ricorso contro lo stop all’altoforno 2 dell’Ilva

A ridosso della fine dell’anno si deciderà sul ricordo dei commissari straordinari contro la decisone del Tribunale di Taranto sul blocco dell’impianto.

È stata fissata per il 30 dicembre la decisione in camera di consiglio sul ricorso dell’Ilva in amministrazione straordinaria contro lo stop all’altoforno due dell’acciaieria di Taranto. È dello scorso 10 dicembre la decisione del Tribunale di Taranto che ha rigettato la richiesta di proroga presentata dai commissari straordinari Ilva sull’uso dell’Altoforno, sequestrato e dissequestrato più volte nel corso dell’inchiesta sull’incidente che nel 2015 costò la vita all’operaio Alessandro Morricella.

LEGGI ANCHE: Cosa prevede la bozza del decreto Taranto

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Le reazioni sul caso di razzismo a Sondrio

Il caso della madre insultata dopo la morte della figlia ha indignato la politica, per una volta senza distinzioni.

Muore una bambina di 5 mesi, la madre urla il suo dolore, nella sala d’attesa non c’è alcuna solidarietà, ma solo commenti razzisti. Lo scrive Sondriotoday, la notizia fa il giro del web. Questi i fatti: la mattina di sabato scorso, 14 dicembre, la mamma della piccola, una donna nigeriana residente a Sondrio, si era accorta che la piccola non stava bene e non respirava normalmente. È scesa in strada chiedendo aiuto e ha trovato un uomo che ha portato lei e la piccolina in ospedale in auto. Quando sono arrivati al Pronto soccorso dell’ospedale civile di Sondrio, però, la bimba era in condizioni disperate e non respirava già da tempo. I medici che l’hanno presa in cura non hanno potuto salvarle la vita. Poco dopo al nosocomio è arrivato anche il papà della neonata, avvisato dalla madre, e i genitori hanno purtroppo ricevuto la terribile notizia.

LA TESTIMONIANZA DI UNA RAGAZZA

Alla scena che è seguita ha assistito una giovane, Francesca Gugiatti, che era al pronto soccorso per un malore e che poi ha scritto su Facebook: «Dalla sala d’attesa iniziano commenti di ogni tipo. Chi parla di b, chi di satanismo, chi di scimmie, chi di ‘tradizioni loro’, chi di manicomi. Giudizi, parole poco appropriate, cattiveria, tanta». «La tristezza ha iniziato ad invadermi», ha raccontato agli amici la ragazza, «nel frattempo ho sperato più che mai che calasse il silenzio fra le voci insopportabili e malvagie di quegli individui. E invece no, anche di fronte alla morte di un innocente, le voci hanno continuato. La più tremenda è stata: ‘tanto loro ne sfornano uno all’anno’. Siete davvero schifosi».

LE REAZIONI DELLA POLITICA

Per una volta, i commenti e le reazioni della politica sembrano essere unanimi.

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Americano bendato, i carabinieri rischiano il processo

Chiuse le indagini sui due militari che erano con Hjorth durante lo stato di fermo. Mentre l’ex comandante Ottaviani è accusato di falso per aver testimoniato la consegna della pistola del compagno di Cerciello Rega.

Il caso dell‘omicidio di Mario Cerciello Rega rischia di avere sviluppi inattesi, rischiano il processo i carabinieri accusati, a seconda delle posizioni, di avere bendato Chistian Gabriel Natale Hjorth, colpevole dell’uccisione, mentre era in stato di fermo. Così come rischia il processo il comandante che che attestò di aver ricevuto la pistola del compagno di pattuglia di Cerciello.

VERSO IL RINVIO A GIUDIZIO PER DUE MILITARI E L’EX COMANDANTE

Per il bendaggio di Hjorth, la Procura di Roma ha chiuso le indagini, atto
che precede la richiesta di rinvio a giudizio, nei confronti di
due militari dell’Arma in servizio all’epoca dei fatti in via
Selci. Inoltre i magistrati romani hanno contestato il reato di falso all’ex comandante dei carabinieri della stazione di Romapiazza Farnese, Sandro Ottaviani, che registrò falsamente come Andrea Varriale gli avesea consegnato l’arma al pronto soccorso dell’ospedale Santo Spirito.

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Stretto di Messina, arrestato il sindaco di Villa san Giovanni e i vertici della Caronte

Il primo cittadino e il presidente e l’amministratore delegato della società dei traghetti fermati per corruzione.

Ci sono il sindaco di Villa San Giovanni Giovanni Siclari, oltre che Antonino Repaci e Calogero Fimiani, rispettivamente presidente del Cda e amministratore delegato della società di navigazione “Caronte & Tourist Spa”, tra le persone arrestate dai carabinieri di Reggio Calabria. Gli investigatori avrebbero accertato come i manager indagati hanno promesso di elargire utilità ad amministratori comunali che in cambio hanno asservito la loro pubblica funzione agli interessi privati della società di navigazione.

AFFIDAMENTI ALLA SOCIETÀ DEI TRGHETTI

In particolare, secondo l’accusa Repaci – manager della società di traghettamento dello stretto di Messina – si è mosso anche con il vertice dell’amministrazione comunale, individuando il suo principale interlocutore nel sindaco Siclari – eletto con una lista civica e fratello del senatore di Forza Italia Marco – con l’obiettivo di assicurarsi l’affidamento di un’area sulla quale la società aveva progettato la realizzazione di alcuni lavori.

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«Ho contratto l’Hiv in laboratorio»: studentessa fa causa a due atenei

Un’ex allieva ha denunciato un’università del Veneto e una straniera sostenendo di aver preso il virus mentre faceva esperimenti per la tesi di laurea.

Manipola alcuni ‘pezzi‘ di Hiv mentre prepara la tesi di laurea nel laboratorio di un’università straniera, e pochi mesi dopo scopre di aver contratto il virus. La vittima è un’ex studentessa, poi laureatasi in un’Università del Veneto. Ora – riporta il sito del Corriere – ha fatto causa a entrambi gli atenei, quello italiano di partenza e quello ospitante, chiedendo al Tribunale di Padova (competente per l’ateneo italiano) un risarcimento milionario. L’episodio risale a sette anni fa.

IL TIPO DI HIV IN QUESTIONE NON CIRCOLA TRA LA POPOLAZIONE

Un episodio, ha raccontato lei stessa, che le ha distrutto la vita. Ora la donna, assistita dall’avvocato Antonio Serpetti, del foro di Milano, si è sostanzialmente costruita una vita “parallela”, nascondendo la sua condizione alla maggior parte delle persone con cui entra in contatto. Stando alla sequenza genetica della perizia di parte, il virus che l’ha colpita non circola tra la popolazione, ma corrisponde a quelli costruiti in laboratorio. Quindi il contagio potrebbe essere avvenuto proprio durante l’attività di ricerca. La vicenda giudiziaria è nelle fasi preliminari, anche se i giudici hanno già fissato la prima udienza; per l’avvocato Serpetti, l’Hiv da laboratorio «è curabile ma con più difficoltà, perché i farmaci disponibili sono stati sviluppati sui virus circolanti».

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Maxi sequestro contro il caporalato nel facchinaggio

Sigilli a 120 immobili riconducibili a un imprenditore della logistica, Giancarlo Bolondi, accusato, oltre che di frodi fiscali e riciclaggio, anche di sfruttamento del lavoro.

Un maxi sequestro di 120 immobili tra Milano, Lodi, Brescia, Torino, Genova e altre città è stato disposto a carico di un imprenditore della logistica, Giancarlo Bolondi della società Premium Net, accusato, oltre che di frodi fiscali e riciclaggio, anche di sfruttamento del lavoro, in particolare di ‘caporalato’ nel facchinaggio. Lo ha deciso la Sezione misure di prevenzione del tribunale di Milano, su richiesta dei pm Bruna Albertini e Paolo Storari e i sequestri sono stati eseguiti dalla Guardia di finanza di Pavia.

OPERAI COSTANTEMENTE SOTTO MINACCIA

A Bolondi, 63 anni, residente in Svizzera e già ai domiciliari, come si legge nel provvedimento della Sezion presieduta da Fabio Roia, è stato contestato dai magistrati di Pavia di essere stato a capo, tra il 2012 e il 2018, di un «network di consorzi e cooperative», attraverso il quale avrebbe anche «reclutato manodopera in condizioni di sfruttamento», approfittando dello «stato di bisogno dei lavoratori, tenuti costantemente sotto la minaccia di perdere il lavoro». Operai che dovevano accettare condizioni diverse rispetto ai contratti collettivi nazionali su turni, ferie e gestione dei riposi. Nelle oltre 100 pagine del decreto i giudici Rispoli-Cernuto-Pontani spiegano che all’indagine di Pavia è collegata l’amministrazione giudiziaria che venne disposta a maggio per Ceva Logistic Italia srl, ramo della multinazionale leader nel settore della logistica. Un commissariamento per «sfruttamento di manodopera», ossia sempre per un caso di caporalato, il primo che si era concluso con una misura di questo genere da parte dell’autorità giudiziaria.

«SISTEMA FRAUDOLENTO PER EVADERE LE IMPOSTE»

Ceva, che nel Pavese ha la ‘Città del libro’, una sorta di hub logistico per la distribuzione di materiale editoriale, chiariscono i giudici, era proprio «una delle clienti del ‘sistema Bolondi’» e impiegava nella ‘Città del libro’ «manodopera fornita dalla Premium Net». Il consorzio di Bolondi, infatti, spiegano ancora i giudici, era «in grado di interfacciarsi sul mercato dell’outsourcing con i principali attori economici pubblici e privati (nel provvedimento l’elenco delle imprese clienti, ndr)». Allo stesso tempo, almeno dal 2009 l’imprenditore avrebbe portato avanti, tra la Lombardia e il Lazio (un procedimento a suo carico anche dei magistrati di Velletri), «un sistema fraudolento di gestione delle attività economiche finalizzato ad evadere le imposte», affiancato «da un’attività» di «occultamento della provenienza illecita dei profitti», con ‘schermi’ societari e prestanome. Il tutto, tra cui anche proventi di «truffe ai danni del sistema previdenziale e del mancato pagamento ai dipendenti del Tfr (gli operai venivano spesso licenziati e poi riassunti in altre cooperative, ndr)», poi riciclato, secondo i giudici, «in investimenti immobiliari».

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Salta la norma sulla cannabis light: l’Italia resta senza una legge chiara

L’emendamento in manovra stralciato dalla presidente del Senato Casellati. Persa l’occasione per riempire un vuoto giuridico che lascia i produttori senza certezze. Esulta il centrodestra.

La cannabis legale esce dalla manovra per ragioni apparentemente tecniche, ma con conseguenze pesantemente politiche. La presidente del Senato Elisabetta Casellati ha comunicato all’Aula il giudizio di inammissiblità delle norme alla manovra che riguardano la cannabis light, scatenando le proteste in particolare del Movimento 5 stelle e la soddisfazione del centrodestra.

Due esponenti del Movimento hanno chiesto alla presidente Casellati di dimostrare che la scelta non sia stata frutto della «pressione della sua parte politica». La presidente ha replicato spiegando che è stata una «decisione meramente tecnica», aggiungendo: «Se ritenete questa misura importante per la maggioranza fatevi un disegno di legge».

LA NORMA PER FISSARE LIMITI CHIARI ALLA VENDITA

L’emendamento a firma M5s avrebbe riscritto la legge sugli stupefacenti stabilendo definitivamente le percentuali di Thc per cui è legale la vendita di canapa. «La norma definiva che una pianta con un Thc non superiore allo 0,5% non può essere considerata stupefacente», ha detto il senatore pentastellato Alberto Airola, «la canapa industriale non ha potere drogante e viene usata in tanti ambiti, tra cui il tessile. Questo è un dibattito artefatto perché chiunque sa che le varietà di cannabis con potere stupefacente contengono un Thc molto più alto, parliamo di valori che si aggirano intorno al 10%».

ESULTANO SALVINI E IL CENTRODESTRA

«Ci tengo a ringraziare tecnicamente la presidente del Senato a nome di tutte le comunità di recupero dalle dipendenze che lavorano in Italia e a nome delle famiglie italiane per aver evitato la vergogna dello Stato spacciatore», ha detto Matteo Salvini intervenendo in Senato.

Attualmente la cannabis light è commercializzabile in Italia con scarsissima chiarezza normativa. A maggio 2019 una sentenza della Cassazione aveva bloccato la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti «derivati dalla coltivazione della cannabis», come l’olio, le foglie, le infiorescenze e la resina.

IL VUOTO NORMATIVO LASCIATO DALLA CASSAZIONE

La commercializzazione di “cannabis sativa L” non rientra nell’ambito di applicazione della legge n.242 del 2016 che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà per uso a fini medici. «Pertanto integrano reato», affermava la Cassazione nella sua sentenza, «le condotte di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della ‘cannabis sativa L.’, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante». Proprio quest’ultima precisazione ha lasciato un grosso buco normativo, lasciando al singolo giudice la facoltà di valutare se un prodotto ha “efficacia drogante” o meno. La Cassazione stessa aveva manifestato al mondo della politica l’urgenza di riscrivere una legge chiara. In Italia il settore occupa circa 10 mila persone, che dovranno aspettare ancora per avere la certezza di lavorare secondo la legge.

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Nel 2018 calano i migranti in arrivo, boom di italiani all’estero

I dati dell’Istat smentiscono l’invasione dal continente africano. Per la prima volta da quattro anni calano gli arrivi. Crescono invece gli expat: in 10 anni oltre 800 mila persone hanno lasciato l’Italia.

Immigrati per la prima volta in calo in Italia (-17% l’anno scorso quelli provenienti dall’Africa), mentre aumentano (+1,9%) invece i connazionali che si trasferiscono all’estero alla ricerca di un lavoro. Nel solo 2018 sono stati 117mila, cifra che fa lievitare a 816mila gli espatriati nell’ultimo decennio. È il quadro, per certi aspetti sorprendente, che emerge dal report dell’Istat sulle iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente relativo al 2018.

SEGNO MENO SUI FLUSSI DALL’ESTERO

Le iscrizioni anagrafiche dall’estero (immigrazioni) sono state circa 332 mila, per la prima volta in calo rispetto all’anno precedente (-3,2%) dopo i costanti incrementi registrati tra 2014 e 2017. Più di cinque su sei riguardano cittadini stranieri (286 mila, -5,2%). In particolare sono in netta diminuzione,anche se restano consistenti le immigrazioni provenienti dal continente africano, soprattutto da Nigeria (18 mila, -24%), Senegal (9 mila, -20 %), Gambia (6 mila, -30%), Costa d’Avorio (5 mila, -27%) e Ghana (5 mila, -25%) che durante il 2017 avevano fatto registrare aumenti record. Con la Lombardia che resta la regione più ospitale: è infatti la meta di un immigrato su 5.

BOOM DI EXPAT DALL’ITALIA

L’esercito di italiani che fa le valige verso l’estero è composto soprattutto di giovani (l’età media è sui 30 anni, 2 su 3 hanno tra i 20 e i 49 anni) e qualificati: quasi 3 su 4 hanno un livello di istruzione medio-alto e in cifre è pari a circa 182mila il numero dei laureati che negli ultimi 10 anni hanno fatto le valigie. La destinazione preferita è il Regno Unito e la regione in assoluto con più partenze è la Lombardia. Ma è soprattutto il Sud a essere depauperato di risorse umane preziose, anche a vantaggio delle regioni del Centro-Nord: solo l’anno scorso ha perso oltre 16mila laureati, oltre la metà (8.500) provenivano da Sicilia e Campania.

REGNO UNITO, GERMANIA E FRANCIA DESTINAZIONI TOP

Secondo i dati, nel 2018 sono state 157mila (+1,25 nel 2017) le cancellazioni dall’anagrafe e quasi 3 su 4 hanno riguardato emigrati italiani. A spiegare la ripresa dell’emigrazione sono le difficoltà del mercato del lavoro in Italia , soprattutto per giovani e donne, ma anche il mutato atteggiamento nei confronti del vivere in un altro Paese , proprio delle generazioni nate e cresciute nell’epoca della globalizzazione, che spinge i giovani più qualificati a investire con maggior facilità il proprio talento nei paesi esteri in cui sono maggiori le opportunità di carriera e di retribuzione. E se è il Regno Unito ad accogliere la maggioranza degli italiani che vanno all’estero (21 mila), fanno la loro parte anche Germania (18 mila), Francia (circa 14 mila), Svizzera (quasi 10 mila) e Spagna (7 mila). Mentre tra i paesi extra-europei, le principali mete di destinazione degli emigrati italiani sono Brasile, Stati Uniti, Australia e Canada (nel complesso 18 mila).

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Come la classifica sulla qualità della vita 2019 fotografa il divario Nord-Sud

La graduatoria del Sole 24 ore incorona ancora Milano, e in generale città a province dell’arco alpino. In recupero anche Roma e Milano ma il Mezzogiorno resta indietro.

Milano conferma la sua leadership e vince per il secondo anno consecutivo la Qualità della vita 2019, la graduatoria del Sole 24 Ore giunta alla trentesima edizione e pubblicata il 16 dicembre sul quotidiano e sul sito. L’ultima classificata, quest’anno, è Caltanissetta mentre Roma e Napoli salgono alcuni gradini.

QUALI SONO GLI INDICATORI DEL SOLE

La Qualità della vita 2019 è una versione extra large della tradizionale indagine del quotidiano sul benessere nei territori, su base provinciale: rispetto all’anno scorso, infatti, il numero di indicatori è aumentato da 42 a 90, divisi in sei macro aree tematiche che indagano altrettante componenti dello star bene. Le classifiche di tappa sono: “Ricchezza e consumi”, “Affari e lavoro”, “Ambiente e servizi”, “Demografia e società”, “Giustizia e sicurezza”, “Cultura e tempo libero”.

IL BALZO DELLE GRANDI PROVINCE

Se il caso di Milano è emblematico, questa classifica fotografa le performance positive di tutte le province delle grandi città: Roma, diciottesima, sale di tre posizioni rispetto alla classifica dello scorso anno. Napoli, pur essendo nella metà inferiore della classifica generale (81°), rispetto alla scorsa edizione della Qualità della vita ha all’attivo una salita di 13 posizioni. Sulla stessa linea le performance di Cagliari, che fa un balzo di 24 posizioni (20°), Genova sale di 11 gradini (45°), Firenze di sette (15°) e Torino è 33esima (+ 5 sul 2018). Infine, Bari mette a segno un incremento di 10 posizioni, raggiungendo il 67° posto. Bologna in calo pur restando nella parte alta della classifica al 14° posto.

MILANO TOP PER LAVORO E RICCHEZZA, MALE SU SICUREZZA

Milano vanta più record: oltre alla prima posizione nella classifica generale, ottiene anche il primato nella categoria “Affari e lavoro“, il secondo posto nella classifica di tappa “Ricchezza e consumi” e il terzo in “Cultura e tempo libero“. È negativa, invece, la performance in “Giustizia e sicurezza“: il capoluogo lombardo, con la sua provincia, si piazza in ultima posizione soprattutto per numero di reati denunciati e litigiosità. Un dato che potrebbe essere letto anche come segno che a Milano, a differenza di altre realtà geografiche, i cittadini denunciano di più i reati.

BRILLANO LE CITTÀ DELL’ARCO ALPINO

Subito dietro il capoluogo lombardo, nella classifica generale 2019, si confermano le province dell’arco alpino: sul podio ci sono anche Bolzano e Trento, rispettivamente al secondo e al terzo posto, seguite da Aosta. A spingerle sono i record “di tappa”, ovvero le macro aree tematiche di cui è composta la classifica generale: Aosta è prima in “Ricchezza e consumi”, Trento vince in “Ambiente e servizi” e Bolzano in “Demografia e società”. Per gli altri record di tappa, Oristano è prima in “Giustizia e sicurezza” e Rimini in “Cultura e Tempo libero”. Nella top ten delle province più vivibili, dove si incontrano anche Trieste (5ª) e Treviso (8ª), quest’anno entra la provincia di Monza e Brianza, che sale di 17 posizioni fino alla sesta, Verona che ne guadagna sette e arriva al settimo posto e – a chiudere la top ten – Venezia e Parma che salgono rispettivamente di 25 e 19 piazzamenti.

IL SUD CONTINUA AD ARRANCARE

La coda della classifica è occupata dalle province del Sud: Caltanissetta occupa l’ultimo posto per la quarta volta nella storia dell’indice dopo le performance negative del 1995, nel 2000 e nel 2008. Foggia (105ª) e Crotone (106ª) la precedono di poco. Su base regionale, riemerge la contrapposizione Nord-Sud, con Trentino Alto-Adige, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia sul podio, seguite dal Veneto, presente nella top 10 con tre province, dall’Emilia-Romagna, che cresce, soprattutto nella classifica di tappa “Affari e lavoro”, e dalla Lombardia. In fondo alla classifica, invece, ci sono Sicilia e Calabria, rispettivamente ultima e penultima.

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Caso Cucchi, due carabinieri imputati parte civile contro i colleghi

Colombo Labriola e Francesco Di Sano, coinvolti nel processo sui depistaggi, sostengono di essere stati «costretti a obbedire agli ordini»,

Due carabinieri imputati al processo sui depistaggi per la morte di Stefano Cucchi hanno annunciato l’intenzione di costituirsi parte civile nei confronti di altri due loro colleghi co-imputati per il reato di falso ideologico. Si tratta di Colombo Labriola e Francesco Di Sano, che intendono costituirsi parte civile nei confronti di Francesco Cavallo e Luciano Soligo, entrambi tenente colonnello e loro superiori in grado, dai quali – secondo i legali – avrebbero ricevuto disposizioni di modifica di alcuni atti. «L’ordine fu dato da chi, insistendo sulla modifica, sapeva qualcosa di più costringendo gli altri a eseguirla» – ha detto uno dei loro legali in aula. «Loro hanno subito un danno di immagine, come è successo per gli agenti della polizia penitenziaria».

«NON SAPEVAMO DEL PESTAGGIO»

«Non sapevamo del pestaggio», è la versione dei due. «Dopo i Cucchi, le vittime siamo noi. C’è stata una strana insistenza nel chiederci di eseguire quelle modifiche che all’epoca non capivamo. Oggi sappiamo tutto e per questo abbiamo deciso di costituirci parte civile. Non siamo nella stessa linea gerarchica, l’abbiamo subita, erano ordini».

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Le Sardine puntano a superare il 25% dei consensi

Fissati gli obiettivi dopo la prima assemblea andata in scena a Roma in presenza di 150 animatori. Nessun partito per ora, ma sostegno alle liste di sinistra in Emilia-Romagna e Calabria.

Primo obiettivo non fermarsi e tornare nelle piazze ovunque, sul territorio. L’altro traguardo è superare il 25% dei consensi fra gli italiani. Dopo aver invaso le grandi città, le Sardine, riunite per la prima volta a Roma in assemblea, promettono battaglia nei territori: dalle periferie ai piccoli centri. «Particolare attenzione» sarà dedicata alla Calabria e all’Emilia-Romagna, dove tramonta l’ipotesi di una lista separata, in vista delle prossime elezioni. «Negli ultimi 30 giorni» – si legge in un lungo post su Fb – «le Sardine hanno scatenato una straordinaria energia, occorrerà molta pazienza per dare anche un’identità politica a questo fenomeno». Insomma, ancora movimento, il partito può attendere.

L’IMPEGNO DI CONTE SUL DECRETO SICUREZZA

All’indomani della conquista di piazza San Giovanni, luogo simbolo della sinistra politica e sindacale italiana, le Sardine ottengono comunque un primo risultato, seppure parziale: l’impegno del premier Conte a rivedere il decreto sicurezza. «Le richieste delle Sardine sui decreti sicurezza» – sottolinea il premier – «le abbiamo già ascoltate. Tra i punti del programma di governo c’era l’impegno a raccogliere le raccomandazioni del presidente Mattarella per ritornare a quella che era la versione originale del secondo decreto per come era uscita dal Consiglio dei ministri».

OLTRE 150 ANIMATORI NELLA RIUNIONE A PORTE CHIUSE

Così oltre 150 animatori delle manifestazioni locali di queste settimane si sono dati appuntamento in un palazzo occupato per fare il punto su come andare avanti. Una riunione a porte chiuse, durata oltre quattro ore, convocata per avere un primo contatto fisico tra persone in carne e ossa che sinora si sono parlate solo sui social. È stata anche l’occasione per dar vita a tavoli tematici, fare un primo bilancio di cosa si può migliorare nella convocazione delle piazze. Al momento niente che possa far pensare a un passaggio dal movimento spontaneo a qualcosa di più organizzato, lista o partito. Prima che parlasse il leader Mattia Santori, è una Sardina pugliese, Grazia De Sario, a escludere ogni esordio elettorale: «Non faremo un partito, non ci saranno candidature e non ci saranno liste civiche in Emilia-Romagna. Appoggeremo le liste di sinistra», taglia corto circondata dalle troupe tv. Poco più tardi, ai microfoni di Mezz’ora di più, anche se in modo meno esplicito, anche Santori allontana l’ipotesi di una loro discesa in campo: «Puntiamo a trovare un dialogo con la politica, non siamo ancora pronti a trovare né i punti del dialogo né un interlocutore del dialogo».

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Manifesti di CasaPound contro le vittime del fascismo a Trieste

Il messaggio è stato affisso al Parco della Pace, dove il 15 dicembre si celebra la commemorazione dei cinque partigiani uccisi nel 1941. Il movimento: «Erano terroristi».

Un altro sfregio alla Resistenza. Alcuni manifesti di CasaPound sono comparsi la mattina del 14 dicembre a Opicina, sul Carso triestino, nel Parco della Pace – l’ex poligono di tiro gestito dall’Anpi locale – dove domenica 15 è prevista la commemorazione dei cinque antifascisti fucilati nel 1941 sulla base di una sentenza emessa da un Tribunale speciale. Nei manifesti firmati dal movimento di estrema destra i cinque fucilati vengono definiti «terroristi, né vittime, né martiri». La scoperta è stata fatta dagli agenti della Digos di Trieste da un controllo effettuato alla vigilia della cerimonia.

«ERANO TERRORISTI»

«Quando, circa tre settimane fa, il Comune di Trieste ha deciso di affidare la gestione di questo spazio all’Associazione nazionale Partigiani d’Italia di Trieste abbiamo espresso tutte le nostre perplessità ricordando che chi ogni anno viene commemorato a Opicina non è né una vittima né un martire ma solo un terrorista», ha spiegato in una nota Francesco Clun, responsabile provinciale di CasaPound Italia. «Per questo abbiamo deciso di ricordare a tutti a chi è dedicato quel monumento e chi, ogni anno, l’Anpi, assieme ad esponenti politici locali, commemora. L’unica cosa di cui non aveva bisogno questa città è un’altra meta di pellegrinaggio per i nostalgici titini».

L’ANPI INVOCA LO SCIOGLIMENTO DI CASAPOUND

Il fatto ha provocato la ferma reazione dell’Anpi di Trieste: «I manifesti affissi illegittimamente questa notte sul Carso triestino a Opicina da parte di CasaPound Italia Trieste rappresentano un atto gravissimo, che riteniamo possa configurarsi come apologia del fascismo», ha scritto l’associazione in una nota tornando, con l’Anpi nazionale, a chiedere lo scioglimento del movimento di estrema destra «in quanto organizzazione fascista».

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Mezza Brindisi evacuata per far brillare una bomba

L’ordigno inglese della Seconda Guerra Mondiale è a forte rischio esplosione. Circa 54 mila persone lasceranno le loro case. Anche i carcerati saranno trasferiti.

Il 15 dicembre, a partire dalle 5 del mattino, Brindisi diventerà una città fantasma o giù di lì. Metà della sua popolazione, carcerati inclusi, sarà evacuata per permettere la rimozione di una bomba inglese della Seconda Guerra Moondiale ripiena di circa 40 chili di tritolo, scoperta il 2 novembre durante i lavori di ampliamento di un maxi cinema. Gli aerei saranno bloccati, così come i treni, e l’area isolata. Si tratta di una operazione particolarmente delicata. Gli artificieri dell’XI reggimento genio guastatori di Foggia hanno infatti verificato che la spoletta dell’ordigno è stata danneggiata dalla ruspa del cantiere ed è molto vicina al congegno di attivazione della bomba. Un fatto che rende alto il rischio di esplosione. Una situazione senza precedenti che richiede massima cura.

OLTRE 54 MILA PERSONE INTERESSATE

Sono più di 54 mila le persone che dovranno lasciare le proprie case per alcune ore. Il coordinamento della Prefettura e il coinvolgimento di Comune, Asl, Soprintendenza, forze dell’ordine e Protezione civile, ha preparato da giorni un piano di evacuazione entro un raggio di 1.617 metri dal luogo del ritrovamento che è costantemente presidiato ormai da più di un mese. Per ragioni di sicurezza, è stato stabilito che anche sul piano verticale, per più di 1.200 metri di altezza, non vi dovranno essere intralci. La circolazione aerea sarà quindi bloccata a partire dalle 9.30, l’aeroporto chiuso fino alle 12. Un tratto di ferrovia sarà pure off-limits a partire dalle 8 del mattino, fino al termine delle operazioni. La superstrada Brindisi – Lecce interrotta per alcuni chilometri, con un percorso alternativo.

GAS CHIUSO ENTRO 500 METRI

Alle abitazioni che si trovano nel raggio di 500 metri dalla bomba sarà anche staccato il gas mentre non vi saranno interruzioni di luce e acqua. Vi sarà comunque l’obbligo di lasciare la zona interdetta, in caso contrario il rischio è di una denuncia penale. Gli artificieri inizieranno a operare non appena l’evacuazione sarà conclusa. Utilizzeranno strumentazione meccanica per lavorare a distanza, poi trasferiranno la bomba in una cava perché sia fatta brillare. Per i cittadini e per gli animali domestici sono state allestite 14 aree di accoglienza, per lo più scuole. I detenuti del carcere di via Appia verranno trasferiti nell’istituto penitenziario di Lecce per un giorno. Alcuni comuni del Brindisino, come Mesagne e Ostuni, hanno offerto ospitalità agli evacuati con eventi e visite guidate gratuite. A giudicare comunque dall’impennata delle prenotazioni di bed and breakfast e hotel, è probabile che gran parte degli interessati abbia deciso di lasciare la città già da oggi e di trascorrere il weekend fuori.

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Mezza Brindisi evacuata per far brillare una bomba

L’ordigno inglese della Seconda Guerra Mondiale è a forte rischio esplosione. Circa 54 mila persone lasceranno le loro case. Anche i carcerati saranno trasferiti.

Il 15 dicembre, a partire dalle 5 del mattino, Brindisi diventerà una città fantasma o giù di lì. Metà della sua popolazione, carcerati inclusi, sarà evacuata per permettere la rimozione di una bomba inglese della Seconda Guerra Moondiale ripiena di circa 40 chili di tritolo, scoperta il 2 novembre durante i lavori di ampliamento di un maxi cinema. Gli aerei saranno bloccati, così come i treni, e l’area isolata. Si tratta di una operazione particolarmente delicata. Gli artificieri dell’XI reggimento genio guastatori di Foggia hanno infatti verificato che la spoletta dell’ordigno è stata danneggiata dalla ruspa del cantiere ed è molto vicina al congegno di attivazione della bomba. Un fatto che rende alto il rischio di esplosione. Una situazione senza precedenti che richiede massima cura.

OLTRE 54 MILA PERSONE INTERESSATE

Sono più di 54 mila le persone che dovranno lasciare le proprie case per alcune ore. Il coordinamento della Prefettura e il coinvolgimento di Comune, Asl, Soprintendenza, forze dell’ordine e Protezione civile, ha preparato da giorni un piano di evacuazione entro un raggio di 1.617 metri dal luogo del ritrovamento che è costantemente presidiato ormai da più di un mese. Per ragioni di sicurezza, è stato stabilito che anche sul piano verticale, per più di 1.200 metri di altezza, non vi dovranno essere intralci. La circolazione aerea sarà quindi bloccata a partire dalle 9.30, l’aeroporto chiuso fino alle 12. Un tratto di ferrovia sarà pure off-limits a partire dalle 8 del mattino, fino al termine delle operazioni. La superstrada Brindisi – Lecce interrotta per alcuni chilometri, con un percorso alternativo.

GAS CHIUSO ENTRO 500 METRI

Alle abitazioni che si trovano nel raggio di 500 metri dalla bomba sarà anche staccato il gas mentre non vi saranno interruzioni di luce e acqua. Vi sarà comunque l’obbligo di lasciare la zona interdetta, in caso contrario il rischio è di una denuncia penale. Gli artificieri inizieranno a operare non appena l’evacuazione sarà conclusa. Utilizzeranno strumentazione meccanica per lavorare a distanza, poi trasferiranno la bomba in una cava perché sia fatta brillare. Per i cittadini e per gli animali domestici sono state allestite 14 aree di accoglienza, per lo più scuole. I detenuti del carcere di via Appia verranno trasferiti nell’istituto penitenziario di Lecce per un giorno. Alcuni comuni del Brindisino, come Mesagne e Ostuni, hanno offerto ospitalità agli evacuati con eventi e visite guidate gratuite. A giudicare comunque dall’impennata delle prenotazioni di bed and breakfast e hotel, è probabile che gran parte degli interessati abbia deciso di lasciare la città già da oggi e di trascorrere il weekend fuori.

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La manifestazione delle Sardine a Roma

A piazza San Giovanni va in scena il primo appuntamento nazionale del movimento nato appena un mese fa. Previste decine di migliaia di persone. Dopo la provocazione, CasaPound rinuncia a partecipare.

Il partito che (ancora) non c’è e che (per ora) non vuole essere tale si misura con San Giovanni a Roma, la piazza della sinistra, ma di recente gremita dal centrodestra a guida leghista. Già una prima prova di maturità per le Sardine, a un solo mese dall’improvviso apparire del movimento a Bologna, in funzione anti-Salvini alle Regionali e per una politica senza odio fatta da competenti.

PRIMO BANCO DI PROVA NAZIONALE PER IL MOVIMENTO

Il primo meeting nazionale del non-partito liquido, «una festa contro l’odio e per i valori antifascisti e costituzionali», alla quale hanno aderito decine di migliaia di persone, 100 mila secondo gli organizzatori, 35 mila per la questura. «L’idea era riempire la piazza e cambiare un po’ la percezione della politica in questi anni», ha detto il leader delle Sardine Mattia Santori, «direi che l’obiettivo è stato raggiunto». Con sit-in minori in mezzo mondo. E con il premier Giuseppe Conte – al quale le Sardine «fanno simpatia», delle quali vede «la positività» – pronto a incontrarle, se lo chiederanno. A San Giovanni si sono viste famiglie, giovani, anziani, in una marea multiforme accomunata dal motto “Roma non si lega” e dalle note di Bella ciao.

DOPO LA PROVOCAZIONE, CASAPOUND RINUNCIA ALLA PIAZZA

Oltre al numero di partecipanti, dopo l’ultima, affollatissima manifestazione di Torino, sono state sciolte le incognite sulla presenza o meno di CasaPound, che avrebbe potuto cercare visibilità, sfruttando un’apparente apertura poi ritrattata del ‘portavoce’ romano Stephen Ogongo. «Mica ci avrete creduto?», ha scritto Simone Di Stefano. «Quello delle Sardine è un vuoto pneumatico che non può essere riempito con nessuna buona idea. Pappagalli del Bella ciao, state bene così!».

IL SOSTEGNO DEL PD

Si sono invece presentati i dem, rappresentati sul palco dall’eurodeputato Pietro Bartolo, l’ex medico dei migranti che ha chiesto di cancellare i decreti sicurezza. «Siamo i partigiani del 2020, dobbiamo resistere. Non possiamo farci portare via la nostra Costituzione e la nostra Europa, che deve mettere al centro l’uomo». Sostegno è arrivato anche dal segretario del Pd, Nicola Zingaretti: «Grazie per aver reso #Roma così bella, per la passione, per chiedere una politica sana», ha scritto su Twitter. «Belle le proposte che avete lanciato, faremo di tutto per metterle in atto ed essere all’altezza del vostro impegno. Cambiamola insieme, la nostra bella Italia».

TUTTI IN STRADA CON UNA SARDINA

Gli organizzatori hanno chiesto di presentarsi solo col il simbolo della sardina. Un lungo happening dalle 15 dai contorni da definire, come la linea del movimento al di là di antirazzismo, antifascismo e antipopulismo e sovranismo. Normale per un fenomeno repentino. Prima prova nel cuore politico del Paese anche per Mattia Santori, uno dei quattro creatori trentenni delle Sardine, ma finora vero leader con le sue numerose apparizioni tivù. Una novità, politica in senso ampio, che piace a tutti tranne a Matteo Salvini e Giorgia Meloni (perché anche in Forza Italia ci sono dei simpatizzanti), ma che teme di essere strumentalizzata per scopi elettorali.

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