Il Gratterismo è la malattia senile del giustizialismo

Il magistrato calabrese Gratteri si lamenta di come i giornali hanno trattato la retata contro la ‘ndrangheta. Ma chi non si inchina e attende l’esito del processo non va demonizzato. Siamo l’unico Paese che affronta il rapporto giudici-politici in modo non sobrio.

Nicola Gratteri è un magistrato calabrese in prima fila contro la ‘ndrangheta. Clamorose sono le sue inchieste e nell’ultima ha portato in galera alcune centinaia di persone offrendo alla pubblica opinione nomi di politici eccellenti che sarebbero collusi. Un minuto dopo ha dedicato il suo tempo a lamentarsi per come i grandi giornali hanno trattato la mega-retata. Nel frattempo è tornata circolare la notizia, in verità una indiscrezione mai accertata, che a suo tempo il presidente Giorgio Napolitano non lo avrebbe voluto come ministro della Giustizia, dove, dice ora Gratteri, avrebbe smontato e rimontato tutto.

FALCONE ERA UN UOMO DI DIRITTO, UNO SCIENZIATO

Io sono rimasto a Giovanni Falcone. Ho letto i suoi libri e le sue interviste e mi restano ancora in mente la qualità di uomo di diritto, un vero scienziato, e la sobrietà del suo modo di intendere il ruolo. Paolo Borsellino diventò più loquace nelle settimane successive all’assassinio del suo amico e compagno (si può dire “compagno” a uno che era di destra?) che ritenne vittima anche di una sottovalutazione dello Stato. Dopo loro due, la magistratura ha avuto moti magistrati bravi, molti “tragediatori” con le mani fra i capelli, molti dalle manette facilissime, alcuni che volevano rovesciare l’Italia come un guanto.

TANTI MAGISTRATI FINITI IN POLITICA

Tanti di loro sono finiti in politica, diventati ministri, presidenti di Regione e sindaci o hanno avuto incarichi apicali in parlamento. Non c’è categoria che non sia sta più premiata dei magistrati, anche se sono numerosi ormai i casi di inchieste fallite che non hanno retto la prova dei processi e persino, prima, del controllo del giudice istruttore.

DI MATTEO E GRATTERI VOGLIONO CHE L’ITALIA SI INCHINI

Eppure il siciliano Nino Di Matteo e il calabrese Gratteri vogliono che l’Italia gli si inchini, qualunque cosa loro dicano e qualunque bizzarra teoria espongano nelle loro indagini. Si crea, dopo le loro parole, una immediata corrente di sostenitori che li elegge a eroi moderni contro i politici, fra i quali vi sono tanti colleghi di Gratteri e di Di Matteo.

MA SI PUÒ NON PARTECIPARE AL CORO CONFORMISTA

La speranza è che lo Stato protegga loro due e tanti altri più di quanto abbia fatto con Falcone, Borsellino e i magistrati eroi silenziosi. Tuttavia chi non sente di partecipare al coro conformista pro Gratteri, attendendo l’esito delle indagini e dello stesso processo, non va demonizzato. Né la deputata calabrese del Partito democratico che critica Gratteri e difende il consorte invischiato nell’inchiesta deve perdere il diritto di parola per lesa “gratterità”. Il dilagare dei magistrati ha portato allo sfascio del sistema politico e all’avanzare di questa orribile destra che oggi è diventata garantista per paura.

SIAMO L’UNICO PAESE SENZA SPIRITO ISTITUZIONALE

Siamo l’unico Paese che non ha sobrietà e spirito istituzionale nell’affrontare il rapporto fra magistratura e politica. In Israele, per fare un solo esempio, sono caduti pezzi grossi e l’opinione pubblica non ha sospettato di protagonismo i magistrati che ne hanno falciato la carriera. In Brasile, invece, un magistrato legato a doppio filo alla presidenza ha mandato in galera ingiustamente Lula, ora scarcerato.

SI DIA UNA CALMATA: PIÙ CARTE E MENO INTERVISTE

Gratteri si dia una calmata. Se ha ragione, l’opinione pubblica se ne convincerà. Prosegua nel suo lavoro, produca carte invece che parole per interviste. Di queste ultime è affollato il sistema mediatico e ormai non le legge più alcuno. Buon Natale a tutti, arrivederci al 27 dicembre.

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A gennaio la resa dei conti sulle concessioni ad Autostrade

La ministra De Micheli (Pd): «All’inizio del 2020 decideremo su Aspi». Di Maio spinge: «Non c’è altra soluzione alla revoca». Renzi frena.

«Nessun esproprio proletario. Nessuna nazionalizzazione o vendetta. Vogliamo solo che le regole siano uguali per tutti. È così sbagliato in una democrazia liberale?», è quanto dice, in un’intervista in apertura del Corriere della Sera, la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli a proposito delle nuove norme sulle concessioni autostradali inserite nel Milleproroghe. «C’è un intervento su due concessioni», ricorda, «la RagusaCatania e la Tirrenica. Passeranno ad Anas e saranno completate, come giusto in un Paese normale. Poi vengono modificate le modalità di indennizzo in caso di revoca per tutti i concessionari che non si trovano ancora in questa condizione. È una previsione di legge generale. Come si fa in uno stato liberale, parifichiamo le condizione di tutti i concessionari davanti alla legge». E ad Aspi che sostiene che è già così, De Micheli risponde: «Non mi pare. Ci sono tre o quattro concessioni con condizioni più vantaggiose. Tra queste anche Aspi».

«LA REVOCA È UNA PROCEDURA SEPARATA»

Con le regole in vigore, ad Aspi spetterebbero 23,25 miliardi, osserva il Corriere introducendo la domanda su quanti soldi sarebbero con quelle nuove: «No, molto meno», replica De Micheli, «ma con la nuova regola ai concessionari eventualmente revocati spetterà la cifra iscritta a bilancio degli investimenti non ammortizzati, oltre a quanto previsto dal codice degli appalti. Per procedere alla revoca ci deve essere un inadempimento grave. Una cosa che va dimostrata e condivisa». Il decreto è un passo verso la revoca ad Aspi? «La revoca è una procedura separata». chiarisce la ministra, «sulla quale stiamo ancora acquisendo dati. Una volta che avremo terminato l’analisi, tutto il governo approfondirà il se, il come e il quando», e «a gennaio saremo in grado di prendere una decisione, ma fino a quando non avremo esaminato tutti gli aspetti non mi sbilancio».

DI MAIO: «NESSUNA ALTERNATIVA ALLA REVOCA»

«Come può finire? Abbiamo 43 vittime, delle famiglie che ancora piangono, indagini e perizie che ci dicono che Autostrade non ha provveduto adeguatamente alla manutenzione del Ponte Morandi nonostante fosse a conoscenza dei rischi. È gravissimo, non c’ è altra soluzione alla revoca della concessione, mi sembra evidente», afferma invece in una intervista alla Stampa, il leader del M5s e titolare della Farnesina, Luigi Di Maio. Alla domanda se il Pd in questa battaglia sia con i 5Stelle, risponde: «Su questo il governo è compatto e se qualcuno la pensa diversamente aspetto di ascoltare le loro motivazioni, sono curioso. Qui il punto è che non bisogna aver paura di combattere un colosso, lo Stato va protetto e la regola chi sbaglia paga deve valere per tutti».

RENZI FRENA

Frena il leader di Italia viva Matteo Renzi: «Ultimo messaggio politico prima degli auguri su autostrade. Punire i responsabili del crollo del ponte è doveroso! Fare leggi improvvisate che fanno fuggire gli investitori internazionali è invece un autogol: niente è più pericoloso del populismo normativo. Ne parleremo a gennaio».

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Il Conte bis ha messo nel mirino i contributi al Foglio

L’allarme della testata: «Il governo ci ha escluso dai finanziamenti all’editoria». Secondo il quotidiano, un cavillo burocratico viene usato per coprire un attacco politico.

Dopo gli attacchi alla storica Radio Radicale avvenuti durante il primo governo Conte, sembra che ora nel mirino del governo sia entrato il quotidiano il Foglio, da sempre critico del M5s e non solo. In un editoriale firmato dalla redazione in prima pagina, il giornale fondato da Giuliano Ferrara e diretto da Claudio Cerasa parla di un “Tentativo che non riuscirà per colpire il Foglio e cercare di chiuderlo“.

«ESCLUSI DAI CONTRIBUTI ALL’EDITORIA»

«Un giornalista già consulente di Vito Crimi, indimenticabile maestro e padrone per un anno e mezzo dei contributi per l’editoria in area governativo-grillina, ha anticipato ieri via blog una decisione del Dipartimento, di cui è direttore il dottor Ferruccio Sepe e responsabile politico il sottosegretario Andrea Martella», si legge, «la decisione è di escludere il Foglio dai contributi all’editoria per il 2018, segnalata nel sito della presidenza del Consiglio».

LA RICHIESTA DI 6 MILIONI DA PARTE DEL GOVERNO

La motivazione dello Stato sarebbe un accertamento fiscale sul biennio 2009-2010. In quegli anni il Foglio non avrebbe raggiunto la diffusione sufficiente a ottenere i finanziamenti e inoltre il giornale sarebbe stato organo di un movimento inesistente. Accuse che la redazione nega e dichiara false. «La pretesa dell’autorità politica e burocratica delegata a confermare o cancellare l’erogazione dei contributi all’editoria è di indurre il Foglio a una grave crisi editoriale, eventualmente alla chiusura», scrive il quotidiano, «intimandogli la restituzione di sei milioni circa di euro per il biennio già menzionato e nel frattempo sospendendo l’erogazione di contributi a titolo di garanzia, procedendo senza nemmeno ancora avere acquisito la controrelazione del giornale rispetto al verbale dei finanzieri».

PROVVEDIMENTO MOTIVATO ENTRO FINE FEBBRAIO

In relazione a quanto pubblicato in data odierna dal Foglio, il Dipartimento per l’informazione e l’editoria precisa che «l’istruttoria tecnica in corso, conseguente agli esiti degli accertamenti condotti dalla Guardia di Finanza, non si è ancora conclusa». Infatti, a riscontro della espressa richiesta formulata dal Foglio, in data 9 dicembre di quest’anno, il Dipartimento ha concesso ulteriori 30 giorni. per acquisire le controdeduzioni della Testata. Premesso che l’anticipo pari al 50% del contributo 2018 risulta regolarmente erogato, in quanto anteriore alle comunicazioni della Guardia di Finanza, «la mancata erogazione del saldo non può al momento configurarsi quale diniego. Il termine finale di legge per l’adozione del provvedimento conclusivo verrà infatti a scadenza soltanto il prossimo 28 febbraio 2020. Per quella data sarà adottato, come richiede la legge n. 241/90, un provvedimento motivato ed espresso».

CRIMI: «LA LIBERTÁ DI STAMPA NON C’ENTRA»

Da parte sua l’ex sottosegretario, e oggi senatore Vito Crimi ha scritto un post di suo pugno sul Blog delle stelle per rispondere agli attacchi: «Il Foglio” è al centro di un’indagine della Guardia di Finanza. Motivo: nel biennio 2009-2010 avrebbe incassato 6 milioni di euro di contributi pubblici all’editoria senza averne avuto diritto. Soldi che adesso dovrebbe restituire. Ora, a causa di questo debito, il Dipartimento per l’Informazione e per l’Editoria ha bloccato l’erogazione dei nuovi contributi. E “Il Foglio” cosa fa?», si chiede Crimi. «Accusa il M5S e il sottoscritto. E qualche sprovveduto gli va dietro, urlando alla libertà di stampa (che non c’entra niente)».

«QUELLA DEL FOGLIO NON È INFORMAZIONE È LETAME»

«Mi chiedo: cosa c’entro io, il M5S o i collaboratori che hanno “osato” lavorare con noi, se “Il Foglio” si ritrova a dover restituire 6 milioni di euro che la Guardia di Finanza ritiene abbia incassato illecitamente 10 anni fa, quando il MoVimento quasi nemmeno esisteva? Quella prodotta oggi da “Il Foglio”, purtroppo, non è informazione. È letame. Letame che evidentemente a qualche sostenitore della “libera stampa” (a targhe alterne) piace rimestare e rilanciare per i suoi obiettivi», conclude.

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L’altra faccia di Consip oltre alle indagini sui renziani

Non c’è solo il caso finito sui giornali che ha riguardato il Giglio magico. La centrale degli acquisti della Pubblica amministrazione dal 1997 ha rappresentato una piccola rivoluzione. Tra web, sistema di contratti, gare e agenda digitale. I conti e la mission di una società per azioni di cui si conosce poco.

Consip significa Concessionaria servizi informativi pubblici, ma c’è il rischio che il grande pubblico finisca per associarla unicamente all’indagine sulla famiglia Renzi. E magari per concepirla come qualcosa da eliminare, in quanto occasione di corruzione. Invece si tratta di una sigla che ha rappresentato una rivoluzione nella Pubblica amministrazione italiana.

UNICO AZIONISTA IL TESORO

Società per azioni il cui unico azionista è il ministero dell’Economia e delle finanze, Consip è stata infatti la prima centrale di committenza in Italia e tra le prime in Europa a ricevere quella certificazione di qualità Iso 9001:2008 per i processi d’acquisto di beni e servizi che è ricercato riconoscimento internazionale. Al servizio esclusivo della Pubblica amministrazione, attualmente definisce la propria missione aziendale come «quella di rendere più efficiente e trasparente l’utilizzo delle risorse pubbliche, fornendo alle amministrazioni strumenti e competenze per gestire i propri acquisti e stimolando le imprese al confronto competitivo con il sistema pubblico».

L’INIZIO CON LA RIVOLUZIONE INFORMATICA

Ma quando nacque, nel 1997, doveva soprattutto adeguare lo Stato italiano alla rivoluzione informatica in corso. Attenzione alla data: è nel 1996 che il fenomeno internet esplose in tutto il mondo. Presto si capì che l’e-government, come venne ribattezzato, poteva rivoluzionare i rapporti tra Stato e cittadini. Il decreto legislativo del 19 novembre 1997 numero 414 affidò dunque alla Consip le attività informatiche dell’Amministrazione statale in materia finanziaria e contabile, mentre con i decreti del ministero del Tesoro del 22 dicembre 1997 e del 17 giugno 1998 fu assegnato alla società l’incarico di gestire e sviluppare i servizi informatici dello stesso ministero.

SISTEMA DA RIVEDERE DOPO TANGENTOPOLI

Se però a livello mondiale quelli erano stati gli anni della ascesa del web, in Italia un tema che era percepito come ancora più importate era di assicurare l’onestà nel sistema dei contratti della Pa, dopo che Tangentopoli aveva portato al passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Poteva essere la tecnologia il modo per assicurare correttezza e professionalità? Il nuovo millennio iniziò con quel decreto ministeriale attraverso il quale il 24 febbraio 2000 il ministero dell’Economia e delle finanze attribuì alla Consip anche l’attuazione del Programma per la razionalizzazione degli acquisti della Pubblica amministrazione, previsto dalla Legge finanziaria per il 2000. Un ruolo ulteriormente rafforzato tra 2013 e 2014.

OLTRE 400 PERSONE E 90 MILA CENTRI DI SPESA ABILITATI

Oggi Consip si presenta come «un’azienda di oltre 400 persone con un know-how ventennale sul procurement». Sono oltre 90 mila i centri di spesa abilitati, attraverso cui gestisce le gare per la Pubblica amministrazione. L’intervento è in tre principali ambiti. Il primo è il Programma di razionalizzazione degli acquisti della Pa. Offre alle amministrazioni strumenti di e-procurement, cioè il modo per gestire i propri acquisti via internet: convenzioni, accordi quadro, mercato elettronico, sistema dinamico di acquisizione, gare su delega e in Application service provider.

AGENDA DIGITALE E REVISIONE DELLA SPESA

Il secondo è il procurement di specifici “progetti-gara”, per singole amministrazioni e per tutte le amministrazioni, sulle iniziative per realizzare l’Agenda digitale italiana. Il terzo è lo sviluppo di Progetti specifici: assegnati con provvedimenti di legge o atti amministrativi, a seguito dell’esperienza maturata nella gestione di iniziative complesse, in tema di revisione della spesa, razionalizzazione dei processi e innovazione nella Pubblica amministrazione.

ANCHE SULL’INNOVAZIONE QUALCHE PROBLEMA GIUDIZIARIO

La Consip sostiene che lo sviluppo della sua attività «è caratterizzato da un modello organizzativo del tutto innovativo nella realtà italiana, che coniuga le esigenze delle amministrazioni con l’attenzione alle dinamiche del mercato, in un’ottica di massima trasparenza ed efficacia delle iniziative». In realtà la vicenda della famiglia Renzi dimostra che neanche l’innovazione riesce a sottrarsi del tutto a un certo tipo di problemi che continuano a scombussolare la politica italiana.

REALTÀ IMPONENTE AL DI LÀ DEI GUAI

Tuttavia, la Consip resta una realtà imponente. Alla fine del 2019 il valore di tutti gli acquisti della Pubblica amministrazione effettuati nel 2019 attraverso la Consip è arrivato a 14,5 miliardi: il 16% in più rispetto all’anno precedente, e con un risparmio di spesa per la Pa che è stato stimato in oltre 3 miliardi. Sono stati 700 mila gli ordini di spesa, con aggiudicatari oltre 130 mila fornitori: per il 99% Piccole e medie imprese. Negli ultimi tre anni il valore degli acquisti è aumentato del 77%, mentre nell’ultimo biennio è salito del 38% il numero delle gare aggiudicate.

UTILE NETTO 2019 A 7 MILIONI

Altri dati appena resi noti: 87 gare sopra la soglia comunitaria da 200 mila euro, per un totale di 350 lotti e un valore bandito di 14 miliardi, 80 aggiudicate per un totale di 190 lotti e un valore offerto sul mercato di oltre 7 miliardi. Oltre 1.150 le gare bandite dalle singole amministrazioni in autonomia sulla piattaforma di e-procurement Mef/Consip, per un valore di 5,2 miliardi. Un utile netto di esercizio che la società prevede in chiusura 2019 a 7 milioni di euro, con un aumento del 30% rispetto al 2018.

L’AZIENDA PROVA A RIPOSIZIONARSI

L’amministratore delegato della Consip Cristiano Cannarsa ha commentato dicendo che «tutti gli indicatori della gestione da luglio 2017 indicano una crescita a doppia cifra, confermando la fiducia di amministrazioni e imprese nel progetto di riposizionamento dell’azienda e premiando il nostro sforzo per soluzioni efficaci e innovative». Particolare orgoglio è mostrato per inclusione delle piccole e medie imprese «che oggi hanno raggiunto una partecipazione media di 5,7 pmi per ogni lotto messo a gara con un aumento del 73% rispetto a due anni fa».

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Come funzionano e quanto pesano le cinque nuove tasse del governo

Plastic e sugar tax sono le più chiacchierate. E partiranno da luglio e ottobre. Ma con l’anno nuovo bisognerà fare i conti anche con le imposte su auto aziendali, sigarette fai da te e giochi. La scheda.

La parte “dare” è legata all’impatto che alcune tasse avranno sul costo dei prodotti, come la sugar tax sulle bibite. La parte “avere” sarà sotto forma di bonus befana e lotteria degli scontrini, che garantiranno il rimborso di una quota degli acquisti fatti con carta di credito. Sono i provvedimenti più “pop” di manovra e dl fisco, quelli che avranno un effetto facilmente constatabile sui portafogli: cinque nuove tasse e il cosiddetto piano “cashless”.

PLASTIC TAX DA LUGLIO E SUGAR TAX DA OTTOBRE

Oltre alla sugar e alla plastic, il primo capitolo comprende le tasse sulle auto aziendali, quella sulle cartine per le sigarette fai da te e quella sui giochi. La sugar tax e la plastic tax hanno praticamente monopolizzato il dibattito politico. In un primo momento, le bozze della manovra prevedevano che entrassero in vigore a gennaio. La tassa sulla plastica, da applicare sugli imballaggi monouso, era fissata a un euro al chilogrammo. Quella sullo zucchero, che grava sulle bevande analcoliche, a 10 centesimi al litro. Alla fine, la prima è stata ridotta a 45 centesimi ed entrerà in vigore a luglio. La seconda è rimasta tale e quale come ammontare, ma è slittata a ottobre.

AUTO AZIENDALI, DALLA STRETTA ALLA RIMODULAZIONE

C’è poi il fringe benefit, cioè il ‘peso’ in busta paga delle auto aziendali. Dopo un batti e ribatti all’interno della maggioranza di governo, dalla stretta ipotizzata in un primo momento si è passati a una rimodulazione, che azzera di fatto il maggior gettito atteso dallo Stato. La revisione della tassazione sui mezzi aziendali si è trasformata quindi in un incentivo all’acquisto di mezzi “green”. Le nuove disposizioni si applicheranno infatti solo ai nuovi contratti e prevedono che l’impatto delle auto ecologiche sugli stipendi scenda dal 30% al 25%, e che quello delle auto più inquinanti salga fino al 60%.

L’IMPOSTA PER I FUMATORI CHE USANO CARTINE E FILTRI

Un’altra tassa che potrebbe avere impatto diretto sui portafogli riguarda i fumatori. Non tutti, solo quelli che rollano le sigarette. L’imposta si applica alle cartine e ai filtri ed è di 0,0036 euro «per ciascun pezzo contenuto nella confezione destinata alla vendita»: quindi, una confezione da 50 cartine costerà 0,18 centesimi in più. Anche a giocare ci sarà un po’ meno gusto. La manovra prevede infatti che dal 15 gennaio il prelievo sulle vincite alle slot oltre i 200 euro salga da 12% al 20%. Per le lotterie istantanee, come i gratta e vinci, dal primo marzo il prelievo sulle vincite oltre 500 euro passerà dal 12% al 20%.

DA LUGLIO PARTE LA LOTTERIA DEGLI SCONTRINI

C’è però anche una lotteria che premia senza trattenere. È’ quella degli scontrini, che scatterà a luglio. I dettagli sono ancora da definire, ma dovrebbe prevedere estrazioni mensili, con premi da 10 mila euro, 30 mila euro e 50 mila euro e una annuale più consistente. Parteciperanno i consumatori che hanno fatto acquisti con carte e bancomat. Con il bonus befana, agli acquirenti verrà restituita, in un’unica soluzione, una quota delle spese fatte nell’anno precedente, sempre con carte o bancomat: «Credo che arriveremo a far trovare nei conti correnti fino a 2 mila euro», ha ipotizzato il premier Giuseppe Conte.

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Lo scontro tra Autostrade e governo sulle concessioni

Durissima lettera di Aspi al governo contro la misura contenuta nel Milleproroghe. Si minaccia la risoluzione del contratto e la richiesta di 23 miliardi di danni allo Stato.

Scontro durissimo tra Autostrade e il governo, col Consiglio d’amministrazione di Aspi che ha lanciato il contrattacco sulla norma inserita nel decreto Milleproroghe che stabilisce, in casi eccezionali, il trasferimento immediato del controllo delle strade e della rete all’Anas. Uno strumento destinato a sbloccare i cantieri fermi, ma che potrebbe avere un effetto diretto sulla revoca della concessione chiesta a più riprese dal Movimento 5 stelle dopo il crollo del Ponte Morandi.

LA LETTERA DI AUTOSTRADE A MINISTERI E PALAZZO CHIGI

Con una lettera spedita a Palazzo Chigi, al ministero dei Trasporti e al ministero dell’Economia è la stessa società di Atlantia a minacciare a sua vota la revoca delle concessioni, con tutte le conseguenze del caso. A cominciare dal risarcimento del 100% del valore della concessione (23 miliardi di euro) in ragione dei  «molteplici diritti e principi sanciti dalla Costituzione e dal diritto comunitario, incluso il rispetto del principio di affidamento e a tutela del patrimonio della società e di tutti gli stakeholders». La risposta del ministro Paola De Micheli è stata altrettanto perentoria: minaccia intollerabile, non in linea con il ruolo di un concessionario di un bene dello Stato.

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Tra M5s e Pd è scontro aperto sul 5G e la Cina

Il ministro della Difesa dem Guerini mette in guardia l’alleato di governo dopo la relazione del Copasir sulla tecnologia cinese. Il pentastellato Patuanelli minimizza.

Si apre il fronte 5G tra gli alleati di governo M5s e Pd. Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, invita a valutare «con attenzione» la relazione del Copasir che ha messo in guardia sui rischi che potrebbero derivare dall’ingresso delle aziende cinesi nella tecnologia per reti mobili di quinta generazione. In precedenza, il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, aveva invece rassicurato spiegando che la normativa varata «garantisce la sicurezza nazionale». Da tempo l’attivismo dei colossi delle tlc orientali Huawei e Zte in Europa è guardato con preoccupazione dall’amministrazione Trump, che ha esortato gli alleati a non fare entrare i cinesi in un settore così sensibile. Secondo Guerini – che da presidente del Copasir fino allo scorso settembre aveva seguito la partita 5G con una lunga serie di audizioni sul tema – il dibattito che si è sviluppato sul tema, anche a livello internazionale, «non può essere ignorato» e la questione va affrontata «con ancora più determinazione perché attiene alla sicurezza nazionale».

«TENERE ALTA LA GUARDIA»

L’Italia, ha ricordato, «ha certamente già affrontato il tema 5G. L’approvazione del perimetro di sicurezza cibernetica nazionale e l’estensione del golden power al 5G sono provvedimenti importanti e sostanziali per la sicurezza delle nostre infrastrutture strategiche. Tuttavia», ha sottolineato, «il Copasir, dopo un anno intenso di approfondimento e audizioni, ha evidenziato come sia comunque necessario tenere alta la guardia per limitare potenziali rischi. Sono indicazioni che vanno valutate con attenzione». Il ministro ha anche rilevato che il tema è stato ampiamente dibattuto in questi anche dalla Nato, contraria a condividere operazioni con Paesi che adottano tecnologie cinesi.

ANCHE IL CENTRODESTRA ALL’ATTACCO DEL M5S

E sulla dialettica M5s-Pd si infila il leader della Lega, Matteo Salvini. «Troppe cose», osserva l’ex vicepremier, «non tornano nei rapporti tra Movimento 5 stelle e Cina, a partire dal ministro Patuanelli che minimizza la relazione del Copasir sul 5G. Non permetteremo al governo sbarchi, tasse e manette di mettere ancora più in pericolo l’Italia». Mara Carfagna (Forza Italia) chiede al governo di mettere «un argine al tentativo di colonizzazione cinese» ed «assumere una posizione chiara e condivisa sulla rete 5G, escludendo aziende che potrebbero mettere a rischio la sicurezza dei dati dei nostri concittadini e trovando rapidamente alternative praticabili. L’Italia non può rimanere indietro nello sviluppo tecnologico a causa dell’irresponsabilità, se non peggio, di Di Maio e Patuanelli». Per la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ci sono «molte cose da chiarire nel coinvolgimento di Casaleggio su una serie di questioni. Penso che la questione non sia affatto secondaria, per esempio, su tutto quello che riguarda anche i rapporti con la Cina, con il 5G, con Huawei. La sicurezza nazionale di uno Stato sovrano come l’Italia non può essere assoggettata agli interessi di qualche azienda legata ai ministri del governo».

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Malore per Mastella: ricoverato in terapia intensiva

Il sindaco di Benevento trasportato all’ospedale San Pio del capoluogo sannita. Difficoltà respiratorie legate a un’asma bronchiale, ma le sue condizioni non desterebbero preoccupazione.

Apprensione per le condizioni del sindaco di Benevento Clemente Mastella, trasportato all’ospedale San Pio del capoluogo sannita in seguito a un malore. Mastella è ricoverato in terapia intensiva per difficoltà respiratorie legate ad asma bronchiale. Secondo quanto si è appreso, al momento le sue condizioni di salute non desterebbero preoccupazione.

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Crisi 737 Max: licenziato il ceo di Boeing

Il cda ha deciso di non rinnovare la fiducia a Dennis Muilenburg. Per l’azienda è stato un anno disastroso, con due dei suoi aerei caduti e 346 vittime.

L’amministratore delegato di Boeing, Dennis Muilenburg, si è dimesso dopo che il cda dell’azienda ha deciso di non rinnovargli la fiducia. Il colosso dell’aviazione nomina David Calhoun presidente a amministratore delegato a partire dal 13 gennaio. Il cambio ai vertici è legato alla crisi del 737 Max. «Credo fermamente nel futuro di Boeing e del 737 Max», ha affermato Calhoun in una nota.

«PIÙ TRASPARENZA CON AUTORITÀ E CONSUMATORI»

Il consiglio di amministrazione di Boeing ha deciso che un cambio della leadership «era necessario per riportare fiducia nella società. Sotto la nuova leadership, Boeing», si legge in una nota, «opererà con un rinnovato impegno alla trasparenza», inclusa una migliore comunicazione con la Federal Administration Aviation, le autorità a livello globale e i consumatori.

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Le indagini sulla morte delle ragazze investite e uccise a Roma

La procura capitolina ha disposto l’autopsia sui corpi di Gaia e Camilla. E gli esami tossicologici hanno accertato per il giovane alla guida un tasso alcolemico oltre il consentito.

Due giorni dopo la tragedia, Roma e i suoi abitanti ancora non si capacitano dell’assurda morte di Gaia e Camilla, le due ragazze di 16 anni travolte e uccise mentre attraversavano Corso Francia. «Adesso non ho ragioni per andare avanti, Gaia era la mia forza dopo l’incidente che avevo subito», è stato il disperato messaggio affidato dal padre di Gaia al suo legale, l’avvocato Giovanni Maria Giaquinto. «Voglio giustizia, non vendetta», sono state invece le sole parole della mamma di Camilla. «Il padre, la madre e la sorella di Camilla sono distrutti per quanto accaduto», ha detto l’avvocato Cesare Piraino. «Una famiglia unita, colpita in modo tragico da questa vicenda».

LA PROCURA DI ROMA DISPONE L’AUTOPSIA

Intanto, la procura di Roma ha affidato incarico per effettuare l’autopsia sui corpi delle due ragazze. L’atto istruttorio è stato disposto dal pm Roberto Felici, titolare del fascicolo in cui è indagato per omicidio stradale Pietro Genovese che era al volante dell’auto. E proprio gli accertamenti tossicologici su Genovese hanno rivelato che il giovane aveva un tasso alcolemico pari a 1,4 grammi per litro (per la normativa vigente è consentito mettersi alla guida con un tasso di alcolemia di massimo 0,5 g/litro). Stabilita anche la non negatività ad alcune sostanze stupefacenti.

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Bimba rapita invia la posizione col telefono e viene ritrovata

La bambina di 11 anni, residente a Milano, era stata portata dal padre siriano in Danimarca. È riuscita a mandare la sua localizzazione via cellulare alla madre.

È stata ritrovata in Danimarca e sta bene la bambina rapita il 20 dicembre scorso a Milano dal padre, il siriano Maher Balle, che già l’aveva rapita tre anni fa e l’aveva portata in Siria. La ragazzina è stata rintracciata dagli uomini della squadra mobile di Milano e da quelli dello Scip della Polizia e attualmente si trova in una struttura della polizia danese. La ragazzina è stata affidata alla madre dopo la separazione dei genitori. Il padre l’aveva presa a scuola senza che il personale, forse non informato, sollevasse questioni.

LA POSIZIONE INVIATA ALLA MADRE

È stata la stessa bimba a mandare attorno alle 2 della scorsa notte via cellulare la sua posizione con Google maps alla madre subito dopo averla chiamata. Lo ha spiegato l’avvocato della donna, Angelo Musicco, riportando quanto le ha raccontato la sua cliente. In contemporanea da quanto è stato riferito Procura e polizia hanno geolocalizzato la ragazzina ad Aarhus, seconda città danese. Il pm di Milano Cristian Barilli ha aperto un’inchiesta per sottrazione internazionale di minori.

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Niente affitto a CasaPound? Otto dirigenti a giudizio per un danno di 4,5 milioni

Otto dirigenti statali sono stati citati a giudizio da parte della Corte dei Conti di Roma per la mancata riscossione, per 15 anni, del canone del palazzo occupato dall’organizzazione neofascista. Con la loro inerzia, o azioni dilatorie, avrebbero determinato «una perdita economica per le finanze pubbliche» .

Citazione a giudizio per otto dirigenti statali da parte della Corte dei Conti di Roma per la mancata riscossione, per 15 anni, del canone del palazzo occupato a via Napoleone III, in una zona centrale della Capitale, sede di CasaPound. Un danno erariale pari a 4,5 milioni di euro per quello che i magistrati contabili considerano un esproprio favorito dal fatto che i dirigenti non hanno messo in campo né misure per riscuotere il canone, né per ritornare in possesso dell’immobile.

IN STATO DI DIRITTO NON ESISTE L’ESPROPRIAZIONE AL CONTRARIO

A rispondere per omessa disponibilità del bene e mancata riscossione dei canoni dovranno essere dirigenti e funzionari dell‘Agenzia del Demanio e del Miur, proprietario dell’immobile. L’udienza è stata fissata al 21 aprile. Nel provvedimento di citazione a giudizio i magistrati contabili affermano che l’immobile al centro della vicenda «è un bene di proprietà dello Stato, appartenente al patrimonio indisponibile» e quindi «non è tollerabile in uno Stato di diritto una sorta di ‘espropriazione al contrario», che ha finito per sottrarre per oltre tre lustri una struttura di ben sei piani, sede storica di uffici pubblici, al patrimonio (indisponibile) dello Stato, causando in tal modo un danno certo e cospicuo all’erario”.

LA LORO INERZIA HA CAUSATO PERDITA ECONOMICA PUBBLICA

Secondo la Corte dei Conti di Roma e Lazio i dirigenti citati non hanno messo in campo azioni né per arrivare alla restituzione dell’immobile occupato da Casapound né per avviare azioni risarcitorie.«I convenuti dirigenti preposti agli uffici competenti non hanno dato disposizioni per agire in via di autotutela amministrativa e per coltivare le azioni civilistiche volte alla restituzione del bene e al risarcimento dei danni che, richiesti in via autonoma o nell’ambito di azioni penali o civili possessorie e petitorie (mai intentate o mai coltivate), sarebbero stati liquidati in sede giudiziaria (sempre in misura pari ai canoni di locazione non percepiti)”, scrivono i magistrati contabili. Gli otto a giudizio, «inoltre, non hanno dato disposizioni per richiedere l’indennità di occupazione sine titulo agli occupanti l’immobile in questione e per costituirli in mora, a partire dall’Associazione Casapound. Il comportamento appare censurabile anche per la genericità delle inconcludenti iniziative adottate in un lasso di tempo certo sufficiente ad intraprendere altre e più adeguate strade quali quelle amministrative e giudiziarie descritte a titolo di mero esempio nel presente atto (non spettando a questa Procura fornire dettagliate indicazioni sulla condotta lecita da attendersi dai convenuti)«. Insomma, per i magistrati contabili gli otto dirigenti con la loro inerzia, o azioni dilatorie, avrebbero determinato «una perdita economica per le finanze pubbliche» permettendo un esproprio di fatto nel pieno centro di Roma.

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La manovra attesa al via libero definitivo della Camera

Appuntamento alle 18 per il voto conclusivo di Montecitorio. In una giornata campale per il governo, tra il Consiglio dei ministri e il vertice sui nodi del Milleproroghe.

Giornata di fuoco per il governo quella dell’antivigilia di Natale. L’appuntamento cruciale è fissato per le 18, quando alla Camera andrà in scena il voto destinato a dare il via libera definitivo alla legge di Bilancio. Subito dopo sono previsti, nell’ordine, un Consiglio dei ministri e un vertice con all’ordine del giorno il cosiddetto “salvo intese”, vale a dire tutti i nodi ancora aperti nel “decretone” Milleproroghe.

SUL TAVOLO LA REVOCA DELLE CONCESSIONI AUTOSTRADALI

Si tornerà sul tasto che ha innescato lo scontro nella riunione di governo dello scorso 20 dicembre: la revoca delle concessioni autostradali che ha avuto l’ok senza il voto delle due ministre renziane Teresa Bellanova e Elena Bonetti. Alcune limature sono state messe a punto dal ministero delle Infrastrutture, però il quadro d’insieme è chiuso. Va, invece. affrontato il piano di innovazione digitale della ministra pentastellata Paola Pisano che – secondo il compromesso proposto dal dem Dario Franceschini – dovrebbe avere comunque un “gancio” nel Milleproroghe: poi, in parlamento, si vedrà.

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Cappato assolto per aver accompagnato a morire dj Fabo

L’esponente radicale: «Ho agito per la libertà di scelta». Per la procura c’è l’esigenza di una legge. Ma il parlamento è fermo dal 2013.

Ora il parlamento deve agire: «L’esigenza di una legge sussiste». Così ha dichiarato la procura di Milano nel pronunciare la richiesta di assoluzione per Marco Cappato, imputato per aiuto al suicidio nel caso di dj Fabo. Richiesta accolta dalla corte d’Assise di Milano che ha assolto l’esponente radicale con formula piena «perché il fatto non sussiste».

«HO AGITO PER LA LIBERTÀ
DI SCELTA»

L’esponente dei radicali era imputato per aiuto al suicidio per la vicenda di dj Fabo, accompagnato a morire in Svizzera nel febbraio 2017. Nel chiedere l’assoluzione, l’accusa aveva ricordato la recente sentenza della Corte costituzionale, spiegando che nella vicenda ricorrono tutti e 4 i requisiti indicati dalla Consulta, che ha tracciato la via sulla non punibilità dell’aiuto al suicidio. «Ho agito per libertà di scelta e per il diritto di autodeterminazione individuale», ha detto Cappato, che durante il processo ha ricevuto la notizia della morte della madre, malata da tempo.

IL PARLAMENTO FERMO DAL 2013

«L’assoluzione di oggi di Marco Cappato dà libertà alla libertà», ha commentato Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni, commentando la sentenza di oggi aggiungendo che «la strada che abbiamo intrapreso era giusta fin dall’inizio» e sottolineando che «la politica è ferma su questi temi» in quanto su fine vita ed eutanasia il Parlamento dal 2013 non fa alcuna legge». L’avvocato Massimo Rossi ha precisato che “c’è stato un passo in più verso la civiltà, non soltanto giuridica»

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Dagli abusi alle riforme, in Vaticano è un Natale di terremoti

Le rivelazioni sulle violenze dei Legionari di Cristo nei confronti dei minori hanno scosso la Curia. Mentre per papa Francesco «non siamo più nella cristianità». Scandali, denunce, potere che difende i privilegi: cosa sta succedendo nella Chiesa.

Il Natale 2019 in Vaticano è stato preceduto da una raffica di notizie sorprendenti e rivelatrici. Papa Francesco nel discorso di auguri alla Curia vaticana ha ribadito la necessità di riformare gli uffici e le funzioni dei dicasteri che “governano” la Chiesa universale chiarendo che organismi storicamente importanti – e dal ruolo ben definito – fra i quali la Congregazione per la dottrina della fede (l’ex Sant’uffizio) e la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli (Propaganda fide), non potranno più essere quelli del passato. Quello che stiamo attraversando infatti, per il papa, è un cambiamento d’epoca che pone la Chiesa di fronte a sfide drammatiche per la sua stessa sopravvivenza.

LA FEDE SPESSO DERISA E NEGATA

«Fratelli e sorelle», ha detto Francesco, «non siamo nella cristianità, non più!». II tema della riforma della Curia, ha spiegato, non è legato solo alla necessità di aggiornare istituzioni vetuste e limitare le burocrazie, il nodo vero è quello dell’evangelizzazione in un’epoca in cui i pastori, i vescovi, non sono più i primi a produrre cultura e valori, né i più ascoltati. La fede in tutto l’Occidente, ha precisato il papa, non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, al contrario avviene che essa venga spesso derisa e negata.

SENZA REAZIONE DESTINATI A ESSERE TRAVOLTI

Se negli anni passati Francesco aveva elencato tutti i vizi della Curia romana compilando severi e drammatici j’accuse di un mondo arrogante e chiuso in se stesso, nelle proprie dinamiche interne, nei privilegi anacronistici fatti passare per tradizione, attaccato al potere a volte allo sfarzo, quest’anno il papa è passato a delineare la fine di un mondo che fra non molto se non si reagisce, era il sottinteso di un intervento inusuale, travolgerà anche la cittadella d’Oltretevere.

STRATEGIA OSTRUZIONISTICA CONTRO FRANCESCO

La Curia finora ha fatto orecchie da mercante di fronte ai tentativi di riforma interna promossi dal papa, la bozza finale della nuova costituzione vaticana arrivata all’ultimo miglio (doveva essere approvata prima di Natale), è stata sommersa da centinaia di emendamenti secondo la più classica strategia ostruzionistica. Questa volta Bergoglio, tuttavia, ha lanciato un allarme che è andato oltre la contesa ormai classica fra il papa venuto dalla fine del mondo e il vecchio ordine romano, ha fatto capire che il tempo sta per scadere perché nelle città di oggi, ha detto al nutrito drappello di cardinali e alti funzionari curiali riuniti ad ascoltarlo, la Chiesa per orientarsi ha bisogno di «nuove mappe»; insomma se si vuole salvare la barca di Pietro, Curia compresa, non c’è tempo da perdere. Chissà se il messaggio verrà recepito. Nel frattempo Francesco si è circondato di fedelissimi nei dicasteri chiave delle finanze vaticane (snodo nevralgico della riforma), considerando ormai fallito ogni tentativo di governo che coinvolgesse l’opposizione.

DECISIONE FORTE SUL POTENTE SODANO

In questa direzione va anche la decisione di mandare in pensione il già anziano cardinale Angelo Sodano (92 anni), che ha lasciato l’incarico non solo onorifico di decano del sacro collegio cardinalizio. Francesco ne ha accetto la rinunzia e al contempo ha riformato l’istituto stabilendo che la carica ha la durata in tutto di cinque anni eventualmente rinnovabili; Sodano è rimasto al suo posto per quasi 15 anni. Considerato da sempre uno degli uomini più potenti in Vaticano, è stato fra le altre cose attaccato da un altro peso massimo del sacro collegio, l’arcivescovo di Vienna Christoph Schoenborn, che ha ricordato come l’ex decano lo avesse violentemente messo sotto accusa davanti a Benedetto XVI nel 2010 per essersi impegnato con i vescovi austriaci nel denunciare gli abusi sessuali commessi dal cardinale Hans Hermann Groer, ex arcivescovo di Vienna (un’inchiesta del giornalista Hubertus Czernin arrivò a parlare di circa 2 mila ragazzi abusati da Groer).

LEGAMI OSCURI CON GLI SCANDALI SUGLI ABUSI

Sodano negò con virulenza la fondatezza delle notizie contro Groer. La carriera di Sodano, del resto, è costellata da episodi riferibili allo scandalo degli abusi sessuali: abbiamo già ricordato i suoi legami – raccontati da alcune vittimecon il sacerdote cileno abusatore Fernando Karadima, vicino al dittatore Augusto Pinochet (i rapporti di Sodano con i regimi sudamericani sono un altro argomento di critica nei suoi confronti). Dalla vicenda Karadima è scaturita una crisi che ha portato alle dimissioni dei vertici della Chiesa cilena in tempi recenti.

TUTTE LE MACCHIE DEI LEGIONARI DI CRISTO

Ancora, l’ex Segretario di Stato di Giovanni Paolo II e per un breve periodo di Benedetto XVI è stato chiamato in causa da testimonianze e inchieste giornalistiche per aver offerto protezione al fondatore dei Legionari di Cristo, l’oscuro padre Marcial Maciel (del resto protetto dallo stesso Karol Wojtyla), dal conclamato profilo criminale. E proprio sabato 21 dicembre, dalla Congregazione dei Legionari, in quello che assomiglia a un tentativo pubblico di contribuire alla verità, è stato diffuso un rapporto nel quale si accusa lo stesso fondatore dell’organizzazione di aver abusato di almeno 60 minori, parte di un più vasto gruppo di 175 ragazzi compresi fra gli 11 e i 26 anni vittime di abusi – nell’arco di 80 anni – commessi da 33 sacerdoti membri della Congregazione, 18 dei quali ne fanno ancora parte (ma i casi potrebbero essere molti di più). Anche diverse decine di seminaristi, emerge dal rapporto, hanno subito e compiuto violenze.

UNA «MAFIA» CHE COPRIVA LE VIOLENZE

D’altro canto non può essere dimenticato quanto disse il cardinale brasiliano Joao Braz de Aviz, capo del dicastero vaticano per la vita religiosa e gli istituti di vita consacrata, che a fine 2018 spiegò come le accuse contro Maciel fossero note al Vaticano dal 1943, quindi aggiunse: «Chi lo ha coperto era una mafia, non rappresentava la Chiesa». In questo quadro va ricordato che fra le finalità note dei Legionari rientrava quella di combattere la diffusione della teologia della liberazione in America Latina. Infine è arrivata la notizia che solo nell’ultimo anno sono giunte in Vaticano circa 1.000 denunce relative a casi di abusi sessuali commessi da esponenti del clero. La crisi insomma è ben lungi dal concludersi, anche se con Francesco la Chiesa ha iniziato la sua lunga traversata del deserto.

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L’ex ministro Bray e la cultura come mezzo di rilancio per l’Italia

Un patrimonio da valorizzare. Nonostante i pochi fondi. Mentre la spinta digitale e il crollo della lettura dei libri sono un freno al sapere. «Ma il nostro Paese può ricostruirsi un ruolo importante valorizzando le nostre capacità». L’intervista.

Massimo Bray, direttore generale della Treccani e già ministro per i Beni, le Attività culturali e il Turismo del governo presieduto da Enrico Letta, ha scritto un libro importante per questo nostro presente, un testo per molti aspetti intimo e utile a riflettere sull’importanza cruciale del patrimonio culturale italiano – inteso nella sua accezione più ampia possibile. Il titolo del volume rimanda al gesto della consultazione, della ricerca: Alla voce cultura. Diario sospeso della mia esperienza di ministro, in libreria per i tipi Manni editori.

CULTURA E CAPACITÀ DI FARE POLITICA

Spiega Bray: «Valorizzare la cultura significa sviluppare la nostra capacità di fare politica. Per decenni siamo stati capaci di ascoltare le esigenze di un quadrante fondamentale quale è l’area del Mediterraneo, facendo di tutto questo un’esperienza costruttiva per il nostro Paese. Oggi l’Italia ha smarrito questo ruolo che invece va ricostruito, sia come Paese ma anche come Unione europea».

DOMANDA. Direttore, se oggi in Italia andassimo a leggere alla voce “cultura” cosa troveremmo?
RISPOSTA. Sicuramente la presenza di un grandissimo fermento, di energie giovani che vogliono non solo difendere il nostro patrimonio artistico ma intuiscono come la cultura possa fare da collante, creare comunità, avere la forza del cambiamento. Di fronte a una crisi economica – che indubbiamente è anche una crisi di valori, come ripeto più volte nel libro – c’è una parte dell’Italia che crede di poter affidare alla cultura la capacità di una svolta antropologica che bisogna mettere in campo e mira a valorizzare non solo i monumenti ma anche le biblioteche, gli archivi, tutti quei luoghi di cui si parla troppo poco e che invece dovrebbero recuperare la storia e il ruolo importante che nel tempo hanno avuto nel nostro Paese.

Nel libro vengono citate le parole di Aldo Moro sulla «capacità creativa» degli italiani.
Leggevo qualche giorno fa gli scritti del periodo in cui Moro predispose l’insegnamento dell’Educazione civica nelle scuole – Aldo Moro insieme con Concetto Marchesi fu l’estensore dell’articolo 9 della Costituzione: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione» – e in cui riconosceva quella grande capacità della cultura di fare politica estera, andando incontro alle grandi sfide globali della sua epoca, che poi sono per altri aspetti le stesse che affrontiamo in questi anni. L’Italia quindi deve essere anche oggi capace di giocare un ruolo importante nel mondo proponendo e sviluppando un modello che sappia partire dalle fondamenta di una forte valorizzazione culturale.

Eppure assistiamo spesso a una dinamica per cui i fondi per la conservazione dei Beni culturali nel nostro Paese si fermano al Nord Italia: a malapena arrivano a Roma, raramente scendono oltre il Centro Italia, nel Meridione.
L’Italia ha pochi fondi per la cultura dappertutto. Nel libro affronto il problema di Taranto, oggi purtroppo di grande attualità. Ricordo gli sforzi per far partire il museo nazionale di Taranto, con un tessuto civico di associazioni che avevano grandi attese proprio nei confronti delle istituzioni, una tensione che sento tutt’oggi. Taranto è una città che ha bisogno di un progetto a lungo termine sia sul fronte culturale ma soprattutto relativo alla politica industriale, problema che riguarda in realtà tutto il Mezzogiorno. Un territorio in cui la popolazione da un lato invecchia e dall’altro assiste a una continua partenza dei giovani dai paesi e ha sempre meno quella energia necessaria a rilanciare il Paese. Sul Mezzogiorno è necessario un discorso corale su più aspetti.

La lettura e tanti settori della cultura oggi passano anche e soprattutto attraverso le piattaforme digitali, con la carta che sta perdendo posizioni a favore di altri supporti. Qual è il ruolo dei social e del digitale nella diffusione delle tematiche culturali in Italia?
Questo è un aspetto importante e bisogna porsi il problema di come utilizzare il mondo digitale in relazione ai contenuti. Quello che sottolineo è che non ci dobbiamo meravigliare dello strumento ma utilizzarlo al meglio, con una attenzione alla certificazione delle fonti. Ed è una capacità questa che stiamo smarrendo in molti settori della comunicazione: il rischio per il prossimo futuro è che i nostri figli studino e si informino su piattaforme digitali – web e social – i cui contenuti non sono certificati. Bisogna fare in modo di certificare ciò che si legge online. Il portale Treccani, per esempio, ha una rubrica chiamata “Una poesia al giorno” ed è visitata da moltissimi utenti. Una delle grandi scommesse del futuro sia a livello di Paese sia di Unione europea, è proprio lavorare per rendere affidabili i contenuti veicolati sul web.

Restando sui temi della lettura, oggi le statistiche dicono che sei italiani su 10 non leggono nemmeno un libro all’anno. Cosa manca? Perché questa disaffezione?
Quello della lettura è un tema importante. Ma mi domando e domando: facciamo abbastanza per far leggere? Stiamo davvero investendo nella scuola? Sento da anni ripetere in continuazione che «bisogna ripartire dalla scuola», ma nella pratica quali reali risorse stiamo dando al corpo dei docenti? Come recita la Costituzione, ai docenti è affidata la formazione dei cittadini del futuro: ma stiamo davvero dando agli insegnanti la dignità e le risorse per fare al meglio il loro mestiere? Queste sono le vere domande e non mi meraviglio se poi gli italiani leggono poco. Bisognerebbe quindi discutere di tutto questo una volta fatti questi investimenti. C’è poi un altro dato: probabilmente sta cambiando anche il modo di leggere. Adesso abbiamo i tablet e gli smartphone che sono supporti utili anche alla lettura. Ma torniamo al problema precedente sulla qualità dei contenuti online.

Nel suo libro riporta una bellissima poesia di Natalia Ginzburg scritta dopo la morte del marito, Leone. Cosa ci insegna quella generazione?
A me colpiscono le parole di Natalia Ginzburg e immagino lo strazio nell’andare a Regina Coeli e trovare Leone massacrato dalla violenza nazifascista. Quella era una generazione che affidava ai libri, alla lettura e alla cultura una nuova forma di opposizione a qualunque privazione di libertà. Era una generazione che aveva coraggio, che difendeva una grande esperienza editoriale come quella dell’Einaudi nella situazione più difficile come la privazione della libertà. Non desistevano, avevano energia, coraggio. Ed è quello di cui oggi ha bisogno questo nostro Paese per affrontare l’attuale momento di difficoltà. L’Italia ha bisogno di quegli esempi. Ovviamente si tratta di due periodi storici molto diversi ma il mio invito alle nuove generazioni è ad avere coraggio – il coraggio delle idee – a difendere le idee e portarle avanti. In fondo ho un approccio molto ottimistico nei confronti del nostro Paese.

Il momento più bello nella sua esperienza da Ministro?
La festa a Carditello, un luogo pieno di simboli e di emozioni. Fu davvero per me una emozione fortissima. Ricordo una signora che mi venne incontro dicendomi «grazie, non solo per aver recuperato la Reggia prima in completo abbandono, ma anche perché finalmente ieri al telegiornale hanno parlato bene della Terra dei Fuochi».

E il più difficile?
Il momento più complicato da affrontare: i giorni delle nomine a Pompei, perché volevo assolutamente premiare il merito, tutelare il valore dello straordinario patrimonio di Pompei; sapevo che avevamo fatto un grande progetto su quel sito archeologico ma bisognava affidarlo a mani esperte. Furono giorni tesi in cui non mi è mai mancato il sostegno di Enrico Letta che conoscevo poco e con cui approfondii il rapporto proprio durante quella esperienza. Fu una fase davvero non facile.

Un’ultima domanda: a chi è rivolto il suo libro?
Il libro mi auguro lo leggano i ragazzi e le ragazze che sono convinto sapranno ridare un ruolo a questo nostro Paese, sperando che possano capire quanto abbiamo creduto in alcuni valori forti che sono scritti nella Costituzione. Ma mi piacerebbe anche che a leggerlo fosse una classe dirigente che deve ritrovare la fiducia in se stessa e capire che non deve stare in un angolo ma venire incontro alle attese del Paese, facilitandone la capacità di fare impresa, di creare forme di solidarietà. Siamo un’Italia per tanti aspetti ricchissima di esperienza ma purtroppo spesso ripiegata su se stessa. Siamo un Paese che deve saper guardare avanti, ripartendo da quello spirito che aveva Leone Ginzburg.

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Inchiesta della Corte dei conti sulle autostrade, Atlantia crolla in Borsa

I magistrati contabili in sostegno al governo: clausole troppo favorevoli ai concessionari. Grosse perdite per il titolo della società dei Benetton dopo le modifiche alla legge sugli indennizzi delle concessioni.

Mai era stata realizzata una inchiesta così approfondita sulle autostrade e i loro concessionari. E mai aveva mosso accuse così argomentate al sistema di gestione della rete italiana. Sono 200 le pagine con cui la Corte dei conti spiega quanto il regime attuale abbia favorito i concessionari e non l’interesse dei cittadini: erano attese da mesi dal governo già ai ferri corti con Autostrade per l’Italia dopo il crollo del ponte Morandi. E sono arrivate sul tavolo dell’esecutivo venerdì. Per questo forte della sponda dei magistrati contabili il governo ha emesso il decreto su Aspi.

LEGGI ANCHE: Via libera al Milleproroghe con una mina ai concessionari autostradali

Nella relazione della Corte dei Conti sulle “Concessioni autostradali” si afferma, «l’esigenza di procedere alla rapida introduzione di un sistema tariffario tale da consentire un rendimento sul capitale investito, compatibile con quello di mercato per investimenti di rischio comparabile e di procedere all’accelerazione delle procedure per la messa a gara delle convenzioni scadute». La Corte rileva la necessità di una maggiore effettività dei controlli, anche sulle infrastrutture, accompagnata da una continua verifica sugli investimenti.

ATLANTIA TRASCINA AL RIBASSO PIAZZA AFFARI

Intanto dopo la nuova norma sulle concessioni autostradali nel decreto Milleproroghe, è scivolone in borsa per Atlantia – società dei Benetton che controlla Autostrade per l’Italia – che arriva a sfiorare il -4% per lo scontro col governo. E resta altissima la tensione nella maggioranza sulle autostrade. Per il Movimento Cinque Stelle non ci sono dubbi: è stata aperta la porta alla revoca delle concessioni. Ma il Pd non la pensa così. E Italia Viva, chiede che il tema venga affrontato in Parlamento. Intanto Aspi fa sapere che se confermata norma sulle concessioni, valuterà azioni a propria tutela.

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Cinque condannati a morte per l’omicidio Khashoggi, ma zero addebiti al principe

L’annuncio della procura di Riad. L’Onu aveva trovato “prove credibili” contro Mohammed bin Salman e il consigliere Saud al Qahtani,

Giustizia non è fatta. La procura di Riad ha annunciato che cinque persone sono state condannate a morte in Arabia Saudita per l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato saudita a Istanbul nel 2018. Sempre la procura della capitale saudita ha spiegato che Saud al Qahtani, stretto consigliere ed ex responsabile per la comunicazione sui social media del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman non è stato incriminato per l’omicidio del giornalista. Secondo le indagini condotte dagli esperti dell’Onu c’erano «prove credibili» di responsabilità individuali del principe e del suo consigliere.

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Salvini col presepe è un po’ Divino Otelma e un po’ Milingo

Il leghista usa i simboli religiosi come arma di distrazione di massa. Fa già pena così, ma la cosa più ridicola è che la stampa di destra lo considera il nuovo predicatore in chiave anti-papa. Di persone del genere ne ha solo l’Italia nel mondo.

L’uso della religione in politica è una storia antica. Altrettanto antica è la denigrazione della Chiesa e dei suoi rappresentanti. Spesso tutto ciò si è tradotto anche in formidabili battute satiriche. C’era quel manifesto Dc, rivolto ai comunisti pronti a votare, in cui si diceva: «Dio ti vede, Stalin no». Barzellette, anche pesanti, su preti e papi non si contano e la tradizione socialista e anarchica, ben più che quella comunista, offrono migliaia di esempi. Oggi siamo di fronte a un fenomeno nuovo che non fa ridere ma che sarà seppellito, come dicevamo alcuni decenni fa, da una risata.

SEMBRA LA MACCHIETTA DI TROISI E ARENA

C’è un’area politica guidata da uno che si fa chiamare “il Capitano” (e Francesco Totti ritarda nel querelarlo!!!) che fa dei simboli religiosi la sua arma di distrazione di massa. Matteo Salvini si presenta con i rosari in mano, invoca la Madonna e altri santi, sembra la macchietta di Massimo Troisi e Lello Arena che si contendevano l’intercessione di San Gennaro.

SCENEGGIATA NAPOLETANA CON GESÙ BAMBINO

L’ultima trovata è stata presentarsi con un piccolo presepe, con evidente allusione al fatto che Gesù bambino è lui. Le vecchie volpi del giornalismo di destra, invece di farsi una risata, enfatizzano questo nuovo predicatore, questo Milingo del Nord. Alcuni analisti pensano che questa sceneggiata, in questo caso di può dire «napoletana», sia in grado di rendere più vicino e simile ai suoi potenziali elettori un ragazzo attempato altrimenti noto per le sue gran bevute. Anche se pochi dei suoi elettori hanno in mano il rosario, invocano la Madonna ogni due minuti, e tanto meno girano con un presepe in mano, Salvini lo fa per dire: «Sono uno di voi». Fin qui sono fatti suoi.

LA DESTRA INONDA FRANCESCO DI INFAMIE

Il dato più drammatico, e per tanti aspetti più clamorosamente ridicolo, è che attorno a Salvini è cresciuta una genìa di commentatori-commentatrici che ormai ha come attività quotidiana quello di spiegare al papa come si fa il papa. Fra Libero e La Verità gli anti-papa sono ormai decine, ai quali si è aggiunta a dar man forte la papessa Maria Giovanna Maglie. Per tutti loro il papa non fa il papa, anzi – sostiene un commentatore sudaticcio – non è un papa. Un giorno, quando tutta questa storia sarà finita, bisognerà scrivere un libro raccogliendo le “coglionerie” di questi anti-papa che inondano di infamie Francesco suggestionati da cardinaloni a cui Francesco sta togliendo potere.

Papa Francesco. (Ansa)

GIORNALISTI CHE SPERANO IN UN PAPA IN STILE SANTANCHÈ

Solo nei regimi dittatoriali o che aspirano al potere dittatoriale esiste e si sviluppa questa sostituzione dei laici anti-papa al papa vero. Per fare un esempio che piacerà agli anti-comunisti, ricordo di aver vistato, con un certo orrore, in Urss una ex chiesa trasformata in museo dell’ateismo. L’uso bellico dei preti, anche se molti si ribellarono, fu una caratteristica del fascismo. Salvini e i suoi giornalisti stanno cercando di spodestare il papa, di partecipare anzitempo al conclave, immaginando un papa che pensi come Daniela Santanchè.

NEL PRESEPE DEL CAPITANO CI SARÀ MIRRA O BIRRA?

Poi vi chiedete per quale ragione io pensi che questa gente è arrivata all’ultimo giro. Forse vinceranno una campagna elettorale, ma poco dopo, birra più birra meno, si cappotteranno in parcheggio. Immagino che nel presepe di Salvini ci siano solo personaggetti rigorosamente bianchi, che mirra stia per birra, che il piccolo bambino sia nato cristiano e non ebreo. Immagino i giorni in cui vestito come il Divino Otelma, abito che indossa quotidianamente anche a Maria Giovanna Maglie, Salvini girerà per quei pesi della Calabria abituati a portare le statue di fronte alle case di gente di rispetto.

SIAMO UNA RIDICOLA ATTRAZIONE TURISTICA

Sento però che un inizio di risata inizia a percepirsi. Questa religiosità delle destra italiana non ha somiglianze al mondo. Di cretini così, che si credono il papa, ne abbiamo solo noi. Potrebbe diventare una attrazione turistica mostrare politici che sono un po’ Otelma un po’ Milingo.

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A Venezia è sempre acqua alta

Prevista una marea di 150 centimetri sul medio mare. In città è già a un metro e 15.

A Venezia l’acqua alta continua a salire. I rilevamenti alla Punta della Dogana davanti a San Marco registrati dal Centro maree del Comune hanno segnato alle 8.30 del 23 dicembre 135 centimetri. Lo stesso Centro conferma, al momento, la previsione di 150 centimetri di acqua alta sul medio mare per le ore 9.40. A favorire il fenomeno l’assenza del vento di bora e lo scirocco, invece, che persiste in centro Adriatico favorendo la cosiddetta onda di sessa, cioè il movimento oscillatorio del mare. Nelle stazioni di rilevamento in mare la marea tocca già in questi momenti i 147 cm in città sta salendo, ed è intorno ai 115 cm.

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