L’ex ministro al contrattacco dopo le dimissioni: «Stupiscono critiche dai vertici, sistema dei rimborsi poco trasparente».
«Mi stupisce che tante voci della leadership del M5s mi stiano attaccando. E per che cosa? Per aver fatto solo ciò che ho sempre detto». È quanto afferma in un lungo post su Facebook l’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, rispondendo alle critiche arrivate dai cinque stelle dopo la sua decisione di lasciare il governo.
«CRITICATO PER AVER FATTO CIÒ CHE AVEVO ANNUNCIATO»
«Credo che sia la prima volta nella storia del nostro Paese che un ministro venga criticato perché ha fatto ciò che aveva annunciato. Non da giorni, ma da mesi. Io sono così: se una cosa la dico poi la faccio e per questo ho lottato senza sosta, anche da ministro, per porre la questione nel governo», ha detto Fioramonti, ricordando che le prime interviste in cui annunciò che si sarebbe dimesso se non avesse trovato almeno un miliardo per la ricerca risalgono a giugno prima sul Fatto Quotidiano e poi su La Verità, quando era ancora viceministro del governo Conte uno.
«SISTEMA DEI RIMBORSI FARRAGINOSO E POCO TRASPARENTE»
«Non possono mancare le solite polemiche sui rimborsi», ha aggiunto poi replicando a chi nel Movimento lo ha accusato di non aver restituito circa 70 mila euro.. «In tanti, nel Movimento, abbiamo contestato un sistema farraginoso e poco trasparente di rendicontazione». E ancora: «Dopo aver restituito puntualmente per un anno, come altri colleghi, ho continuato a versare nel conto del Bilancio dello Stato e le mie ultime restituzioni saranno donate sul conto del Tecnopolo Mediterraneo per lo Sviluppo Sostenibile, un centro di ricerca pubblico che, da viceministro prima e da ministro poi, ho promosso a Taranto, una città deturpata da un modello di sviluppo sbagliato. Ed invito anche altri parlamentari M5s a fare lo stesso, non appena il conto sarà attivo».
BUFFAGNI: «SE ESCE DAL MOVIMENTO CERTO CHE SI DIMETTERÀ»
«Se Fioramonti sogna di fare il capo politico o lanciare il suo movimento verde sono fatti suoi legittimi, ma sono certo che se uscirà dal Movimento si dimetterà», ha scritto su Facebook il viceministro al Mise Stefano Buffagni. «Fioramonti non restituisce da dicembre 2018 e non sta quindi rispettando gli impegni presi con i cittadini. Eppure è stato nominato ministro lo stesso, legittimando un modo di agire fuori dal M5s. Ora al posto di attaccare sempre il capo politico (che non ha la paternità di questa designazione), impariamo a crescere come forza politica».
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Tanti personaggi di cultura, spettacolo e sport sono chiamati a fare spot per brand finanziari. Senza pensare agli effetti della cattiva reputazione di alcuni istituti di credito coinvolti in scandali e default o di certi prodotti. Questione di etica, troppo spesso trascurata.
Mi sono sempre chiesto, guardando gli spot pubblicitari di banche e società finanziarie, quanto e cosa sapessero di quell’azienda o di quel prodotto i personaggi del mondo della cultura, informazione, spettacolo e sport chiamati a fare i testimonial. Probabilmente nulla. Come la maggior degli italiani, tra l’altro, che in termini di informazione e cultura finanziaria sono tra i meno preparati rispetto ai cittadini dell’Unione europea e in generale di altri Paesi avanzati.
SPESSO AVVIENE UNA SIMBIOSI TRA BRAND E PERSONAGGIO
Una cosa è certa: il testimonial viene scelto per rappresentare un brand. Il marchio, a cui si associa il personaggio-persona fisica che lo pubblicizza, deve rispecchiarsi nel testimonial e viceversa. Si assiste, molto spesso, a una simbiosi tra brand e persona. Talmente forte che i contratti che di solito regolano questo tipo di pubblicità possono prevedere clausole e obblighi comportamentali che devono essere rispettati dal testimonial anche nella vita privata. Perché il personaggio famoso ha delle responsabilità ben precise che riguardano anche la vita privata, nei confronti dei suoi fan e del brand che pubblicizza.
NEI CONTRATTI CI SONO PURE CLAUSOLE MORALI
All’interno dei contratti ci sono molto spesso anche le cosiddette clausole morali. In altri termini la celebrity ha l’obbligo, per esempio, di mantenere nella vita privata comportamenti eticamente corretti oppure di non rilasciare dichiarazioni che in un certo qual modo possano incidere negativamente sulla reputazione dell’azienda.
I TESTIMONIAL SI TUTELANO DALLA BAD REPUTATION DI UNA BANCA?
Ma, in termini di responsabilità, è garantita la reciprocità? Cioè i vip si sono mai preoccupati di tutelarsi dai rischi derivanti dalla bad reputation del brand bancario o del prodotto finanziario? Sono convinto che il simpaticissimo Nino Frassica non sia assolutamente consapevole del fatto che, pubblicizzando una carta di credito revolving (carta Easy di Compass) stia spingendo i cittadini ignari verso un certo tipo di prodotto (tasso medio circa 16%; soglia usura del 24%) e in una spirale di pagamenti imposti prima di poter sancire la chiusura del debito.
PROPAGANDA CHE ARRIVA PERSINO DALL’INFORMAZIONE
Non solo, ma nei miei 22 anni di permanenza in quel sistema mi sono spesso imbattuto in famosi e gloriosi personaggi del mondo dell’informazione che partecipavano, retribuiti profumatamente, a convention aziendali dove si magnificavano i comportamenti virtuosi del management (di banche poi coinvolte in scandali e default). Ho ascoltato peana che la propaganda della Romania di Ceausescu al confronto sembrava ridicola.
NON BASTA L’ONESTÀ, SERVE PURE L’ETICA
Quello che stona, però, è che poi molti personaggi spesso vanno in televisione a fare i moralizzatori del sistema-Paese nel rispetto di una etica dei comportamenti che riguarda però… sempre gli altri. Etica, che parolone. E soprattutto che abuso improprio nel nostro Paese. Spesso confusa con il concetto di onestà. Senza voler scomodare filosofi e sacre scritture, forse è il caso di ricordare semplicisticamente che una persona onesta è «quella che non ruba» mentre una persona orientata a vivere secondo principi etici è «quella che non solo non ruba, ma che se vede un altro rubare lo denuncia». Intendendo come denuncia anche la capacità di dire no a un’agenzia pubblicitaria.
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Fondi ai Comuni per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati. Ammontano complessivamente a oltre 3 milioni di euro i contributi messi a disposizione dalla giunta regionale per venire incontro alle difficoltà che i cittadini con problemi di deambulazione incontrano per entrare nelle proprie abitazioni. La delibera, approvata dal governo Bardi su proposta dell’assessore all’Ambiente ed Energia, Gianni Rosa, indica i Comuni destinatari dei finanziamenti di cui beneficeranno i privati.
“La rimozione delle barriere architettoniche è un atto di civiltà. I finanziamenti concessi dallo Stato, però, non bastano a coprire – – commenta l’assessore Rosa – tutte le richieste. Con i contributi concessi per il 2019 riusciremo a soddisfare le domande presentate ai Comuni dal 2016 al 2018 da persone alle quali è stata riconosciuta l’invalidità totale. Il governo regionale si adopererà per migliorare la condizioni delle persone disabili, a partire proprio dall’accessibilità degli edifici”.
I Comuni interessati sono Armento, Avigliano, Baragiano, Barile, Bella, Bernalda, Brienza, Brindisi di Montagna, Carbone, Castelluccio Inferiore, Castelmezzano, Castelsaraceno, Castronuovo, Colobraro, Episcopia, Ferrandina, Genzano di Lucania, Grassano, Grottole, Irsina, Lagonegro, Latronico, Lavello, Marsico Nuovo, Marsicovetere, Matera, Melfi, Miglionico, Missanello, Moliterno, Montalbano Jonico, Montemilone, Montemurro, Nova Siri, Oppido Lucano, Paterno, Pescopagano, Pietragalla, Pisticci, Policoro, Pomarico, Potenza, Rapolla, Ripacandida, Rotonda, Rotondella, San Costantino Albanese, San Fele, San Martino d’Agri, San Paolo Albanese, San Severino Lucano, Sant’Angelo Le Fratte, Sant’Arcangelo, Savoia di Lucania, Scanzano Jonico, Senise, Tolve, Trecchina, Tricarico, Tursi, Venosa e Viggianello.
Genovese agli arresti con l’accusa di omicidio stradale plurimo. Ma per il Gip le sostanze trovate nel sangue potrebbero essere state assunte in un’epoca precedente. Chiesa gremita per i funerali a Roma di Gaia e Camilla.
Omicidio stradale plurimo. Questa l’accusa con cui è stato arrestato il 20enne che era alla guida dell’auto che, nella notte tra il 21 e il 22 dicembre ha travolto e ucciso le due 16enni Gaia e Camilla a Corso Francia, a Roma. Pietro Genovese, figlio del regista Paolo, è ora ai domiciliari, misura giudicata sin troppo lieve dai familiari delle vittime, L’ordinanza gli è stata notificata al termine dei primi accertamenti condotti dalla polizia locale di Roma Capitale e in base alla relazione trasmessa alla procura. La posizione del ragazzo si era aggravata già immediatamente dopo l’incidente mortale costato la vita alle due giovani. Le analisi alle quali era stato sottoposto, infatti, avevano rivelato un tasso alcolemico tre volte superiore al consentito e tracce di sostanze stupefacenti.
GLI STUPEFACENTI FORSE ASSUNTI IN UN’ALTRO PERIODO
Eppure, proprio queste tracce non sono sufficienti a dimostrare che Genovese la fosse alla guida sotto effetto di quelle sostanze. È questo il ragionamento fatto dal Gip di Roma per escludere nei confronti del 20enne l’aggravante dell’alterazione psicofisica dovuta all’uso di stupefacenti. Per il giudice «le sostanze riscontrate, sebbene presenti, ben potevano essere state assunte dal Genovese in epoca precedente».
CHIESA GREMITA PER I FUNERALI DI GAIA E CAMILLA
Intanto, in una chiesa gremita di Collina Fleming gremita si sono tenuti i funerali di Gaia e Camilla. Tantissimi i ragazzi presenti, con decine le corone di fiori per le due amiche. Sul luogo dell’incidente è stato affisso uno striscione “Ciao angeli”. «Da giorni ci chiediamo il perché. Ci interroghiamo sull’insensatezza di quanto accaduto. Brancoliamo nel buio», ha detto il sacerdote nel corso delle esequie. « Ecco quello di oggi è il grande abbraccio che diamo ai genitori di Gaia e Camilla, in questa ora così buia». E ancora parole forti nell’omelia di don Matteo: «Il senso della vita, lo aveva chiesto giorni fa Camilla alla sua famiglia. Ecco, magari quando sei sbronzo o sei fatto ti metti a guidare? Questa è la vita? In fondo ci sentiamo onnipotenti e poi non riusciamo a seguire le regole base della convivenza. Ci riscopriamo tutti un po’ palloni gonfiati. Il senso della vita non è bere e fumarsela».
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La candidata leghista in Emilia-Romagna non verrà votata nemmeno da suo padre, quella calabrese è assediata pure dai compagni di Forza Italia, l’ex enfant prodige pugliese sa di minestra riscaldata. Il problema è che dall’altra parte Bonaccini, Callipo ed Emiliano non sono così validi, anzi. Ditelo che volete morire.
I candidati della destra per la presidenza di Emilia-Romagna, Puglia e Calabria sono debolissimi. Lucia Borgonzoni è da anni inconsapevolmente in politica nelle fila di una Lega che, crescendo in voti, le ha dato una popolarità che di suo non sarebbe stata capace di guadagnare. Jole Santelli è stata una vivacissima parlamentare calabrese di Forza Italia, ma mai è riuscita a entrare nella top ten delle gradite del Cavaliere. Raffaele Fitto è un ex enfant prodige pugliese, democristianissimo, poi molto berlusconiano e infine meloniano, autore cioè di una serie di strappi nel suo elettorato che non possono non aver lasciate ferite sul campo. Ma, soprattutto, già presidente della Regione Puglia, mai rimpianto.
UNA SINISTRA NORMALE LI BATTEREBBE TUTTI FACILMENTE
Chi per manifesta inadeguatezza – la Borgonzoni -, chi è assediata dai compagni di partito ostili – la Santelli – chi rappresenta il “rieccolo”, i tre mostrano una destra priva di idee e di personaggi nuovi. Una sinistra normale li batterebbe facilmente. Ma c’è una sinistra normale di fronte a Borgonzoni, Santelli e Fitto?
BONACCINI E QUELLA BATTAGLIA PERSONALE
L’attuale governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini combatte una battaglia che ha voluto far diventare personale togliendo simboli di partito. Dicono che abbia fatto bene, certo non ha sfondato il muro dell’Emilia-Romagna a differenza di tutti, dicesi tutti, i suoi predecessori. È tuttavia, per comune riconoscimento, un buon amministratore anche se resta incomprensibile perché mai stia accadendo, se i sondaggi non ingannano, che viva con grandi patemi d’animo la concorrenza di una candidata che neppure suo padre voterà.
CALLIPO BRAVO IMPRENDITORE, MA DI DESTRA
Pippo Callipo, il candidato di sinistra per la Regione Calabria, non è di sinistra. La sinistra è ormai fuori moda, ce ne occupiamo in pochi appassionati, tuttavia resta tenace, come un segreto di Fatima, per quale ragione la gente di sinistra di una regione disperata debba infine votare per un imprenditore, bravo per carità, che è di destra.
Jole Santelli, candidata del centrodestra in Calabria. (Ansa)
CANDIDARE EMILIANO È DIRE ALLA PUGLIA CHE È CONDANNATA
Fitto è una minestra riscaldata ma, purtroppo, lo è anche Michele Emiliano se sarà lui a vincere le Primarie pugliesi. È singolare come la sinistra non si accorga mai quando è arrivato il momento di cambiare, di mostrare un altro volto. Votare due reperti come Fitto o Emiliano è dire alla Puglia, afflitta dalla Xylella, dal caso Ilva, dallo scandalo bancario della Popolare di Bari, che è condannata.
Silvio Berlusconi con Raffaele Fitto.
NON FACCIAMO RIAVVICINARE SALVINI A PALAZZO CHIGI
Accadrà così che un appuntamento elettorale che avrebbe potuto portare solo delusioni a Matteo Salvini (che a giudicare da certe foto ha ripreso a gonfiarsi di birra), si potrebbe risolvere in un suo successo e quindi nel suo riavvicinamento a Palazzo Chigi per fare i soliti danni. È tutto qui il dramma della sinistra: nascono e muoiono i cinque stelle, Salvini si inventa la Lega nazionalista, Giorgia Meloni va al 10%, oggi addirittura nascono le benedette sardine, ma a sinistra si mettono in campo sempre i soliti o gente che non c’entra niente con la sinistra. E allora ditelo che volete morire!
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Non sarà più reato l’attività finalizzata all’uso personale e alla produzione in quantità minima. La pronuncia che ribalta i precedenti pareri della Consulta.
Non sarà più reato coltivare in casa la cannabis, il tutto beninteso se in quantità minima e solo per uso personale: è quanto hanno deciso le Sezioni unite penali della Cassazione con una pronuncia che è destinata a non passare inosservata. Secondo gli ‘ermellini’, che hanno preso la decisione il 19 dicembre scorso, «non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica». Se, raccomandano, «lo scarso numero di piante e il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale».
I PRECEDENTI PARERI DELLA CONSULTA
Su questo tema in passato la Corte Costituzionale si è pronunciata più volte, stabilendo in linea di principio che la coltivazione della cannabis costituisce sempre un reato, al di là della quantità, dall’uso personale che se ne può fare e dalla presenza dei cosiddetti principi attivi. Su quest’ultimo aspetto la Consulta ha sottolineato infatti il pericolo, sotto il profilo della salute, a cui possono andare incontro gli utilizzatori, nonché la creazione «potenziale di più occasioni di spaccio di droga». E finora proprio a questo principio si era uniformata la Cassazione.
NORMA PENALE NON CONFIGURABILE PER L’USO ESCLUSIVO
Ma con la nuova decisione i giudici della Cassazione hanno stabilito che «il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza», ma devono però «ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore».
IL RICORSO CONTRO UNA CONDANNA
La pronuncia ha preso le mosse dal caso di una persona che aveva fatto ricorso in Cassazione per l’annullamento di una condanna che riguardava la coltivazione di due piante di marijuana, una alta un metro e con 18 rami e l’altra alta 1,15 metri e con 20 rami.
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Piazza Affari negativa nella prima seduta dell’ultima settimana del 2019. Spread a quota 167. I mercati in diretta.
La Borsa di Milano ha aperto in calo la seduta del 27 dicembre. L’indice Ftse Mib ha ceduto lo 0,13% a 23.867 punti in avvio, per poi scendere ulteriormente a -0,4%. In rialzo le principali Borse europee, con gli investitori che attendono i verbali del Fomc della Fed e il bollettino economico della Bce. I mercati si avviano a concludere l’anno con performance positive, in attesa di vedere cosa accadrà per la Brexit e sul confronto tra Usa e Cina sul commercio internazionale. In rialzo Francoforte (+0,28%) e Parigi (+0,17%) mentre sono piatte Londra (-0,02%) e Madrid (+0,02%).
LO SPREAD APRE A QUOTA 167
Apertura a 167 punti base per lo spread tra Btp e Bund. Il rendimento del titolo decennale italiano è all’1,42%.
LA DIRETTA DEI MERCATI
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L’annuncio è arrivato in un post su Facebook col quale il primo cittadino ha raccolto l’invito di Silvio Berlusconi. Via libera a Jole Santelli per il centrodestra,
Mario Occhiuto ritira la propria candidatura alla presidenza della Regione Calabria, accogliendo l’invito che gli era stato rivolto dal leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. «Sono abituato a costruire, non a distruggere», ha scritto il sindaco di Cosenza in un post su Facebook.
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A bordo dal velivolo partito da Almaty e precipitato poco dopo il decollo c’erano 98 persone: 60 i feriti.
Tragedia in Kazakistan, dove un aereo con 98 persone a bordo è precipitato vicino alla città di Almaty. Un primo bilancio parla di di almeno 14 morti e 60 feriti. Secondo funzionari dell’aeroporto, il velivolo della Bek Air sarebbe precipitato poco dopo il decollo dallo scalo. Il personale dei servizi di emergenza si è immediatamente precipitato sul luogo dello schianto. L’aereo era in rotta da Almaty alla capitale del Paese Nursultan (ex Astana).
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I tagli erano un cavallo di battaglia dei due partiti. Ma ora il ministro della Difesa Guerini porta avanti i progetti degli F-35. Rischiando persino un ingorgo di acquisti in campo aeronautico. Così l’Italia è pronta a sborsare 3,5 miliardi nei prossimi anni. Sotto il pressing della Nato. Il quadro.
Cacciabombardieri di tutti i tipi. Con un’accelerazione sui programmi militari registrata nelle ultime settimane del 2019. E addirittura il rischio di creare un ingorgo di acquisti in campo aeronautico. Sulla spesa militare, insomma, il “governo della svolta” non ha affatto svoltato: è in continuità rispetto a quanto fatto (o non fatto) nelle ultime legislature.
DIREZIONE GIÀ PRESA CON LA MINISTRA TRENTA
Un deputato del Movimento 5 stelle con cui Lettera43.it ha interloquito sorride amaro: «Già con la ministra della Difesa Elisabetta Trenta si stava andando in quella direzione, ma ora col suo successore Lorenzo Guerini è meglio non parlarne proprio degli ideali di una volta…». Una spia del malumore celato in Transatlantico. Sì, perché tra i tanti temi scomodi sul tavolo c’è il capitolo della spesa militare. La cui riduzione un tempo era cavallo di battaglia del M5s e della sinistra, almeno quella più radicale.
ANCORA GLI F-35: VIA LIBERA DELLA CAMERA
L’ultimo tassello è arrivato con l’approvazione dell’esecutivo alla seconda fase del programma degli F-35, i caccia della Lockheed osteggiati da tutti a parole. Ma nei fatti mai bloccati dai vari governi che si sono susseguiti. Anche Matteo Renzi, quando soggiornava a Palazzo Chigi, era orientato a dimezzare il programma. Ma dietro le buone intenzioni non c’è stato nulla, né allora né adesso. Le avvisaglie c’erano state già a ottobre 2019, a sole poche settimane dall’insediamento di Guerini: il ministro della Difesa, in un’intervista, aveva scandito: «Avanti con gli F-35» perché c’è un «bisogno oggettivo e non rinviabile» e soprattutto «va garantita efficienza operativa dello strumento militare». Messaggio chiaro, seguito dalla prudente mozione proposta alla Camera dalla maggioranza. Che di fatto ha concesso il via libera, seppure con un giro di parole improntato alla cautela.
L’ESBORSO: 3,5 MILIARDI, 130 MILIONI PER AEREO
L’iter degli F-35 è diviso in tre fasi: la prima è stata una sorta di pre-serie e ha portato l’Italia ad acquistare 28 caccia (sui quali, come si sa, non possiamo tornare indietro); la seconda è la prima parte della produzione di serie; la terza è la ultima fase della full-rate production. Il sì alla seconda fase vuol dire acquistare il “blocco” di 27 aerei previsti per questo step: in totale saranno 55 gli F-35 acquistati. Insomma, nonostante i dubbi e le battaglie politiche, l’Italia spenderà nei prossimi anni oltre 3,5 miliardi di euro con un costo medio per aereo di 130 milioni.
ALTERNATIVA NAUFRAGATA: ED ERA MADE IN ITALY
Ma non è l’unico paradosso. Qualche strada alternativa, durante il Conte Igialloverde, era stata pure tentata dal M5s. Ma, a quanto pare, ogni ipotesi è naufragata. Nei mesi precedenti alla conferma della fase 2, secondo quanto risulta a Lettera43.it, sarebbe stato realizzato dai pentastellati un documento sottoposto al ministero della Difesa in cui si ragionava sull’opportunità di optare sui caccia M-346FA (Fighter Attack) al posto degli F-35. Le ragioni, a detta dei tecnici, sono molteplici: risultato più affidabili degli F-35, costano un quinto e sono già a disposizione perché non bisogna svilupparli. Con un altro “piccolo” particolare: essendo totalmente Made in Italy, ci sarebbero stati benefici esclusivi per le casse italiane.
CHE ATTIVISMO DI GUERINI: ALTRI 2,3 MILIARDI IMPEGNATI
Il progetto, però, non è andato avanti. Anzi, se ne sono aggiunti altri, ma orientati altrove. L’attivismo strategico di Guerini è stato visibile ancor prima dell’okay agli F-35. A pochi giorni dal suo insediamento al ministero, infatti, è arrivata l’adesione definitiva al programma per il Tempest britannico, il caccia di sesta generazione: il neo ministro ha apposto la firma sul progetto, dando seguito a quanto già tracciato dalla Trenta. Difficile stabilire, oggi, quale sarà l’impegno economico per l’Italia. Le stime più plausibili (ma che, ovviamente, non tengono conto dei costi indiretti) parlano di un impegno iniziale, quantificato dai britannici, in 2 miliardi di sterline, circa 2,3 miliardi di euro. Il processo è ancora lungo e mira a rendere i nuovi aerei militari operativi non prima del 2035.
Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini in visita alla base militare di Shamaa, nel Sud del Libano. (Ansa)
INCOGNITE SUI CACCIA: RISORSE ANCHE PER I “CONCORRENTI”
Restano numerosi interrogativi. Perché avviare un nuovo programma militare, nonostante per mesi abbia tenuto banco l’idea di bloccare gli F-35? È quello che si chiede, tra gli altri, il portavoce della Rete per il disarmo, Francesco Vignarca, che al di là dell’opportunità “militare”, ragiona anche su questioni prettamente economiche: «L’Italia si troverà tra qualche anno, inspiegabilmente e illogicamente, ad avere più di tre programmi militari in campo aeronautico: l’Eurofighter, l’F-35 e ora il Tempest». Con un particolare ulteriore e non secondario: «Il nostro Paese partecipa anche al programma dell’eurodrone (progetto sponsorizzato direttamente dall’Unione europea, ndr). Ma alcuni elementi di questo progetto confluiranno nel Fcas (Future Air Combat System), il caccia franco-tedesco, che è competitor diretto del Tempest. Insomma, pagheremo indirettamente anche il concorrente del nostro nuovo progetto», spiega ancora il portavoce della Rete disarmo. A conti fatti, dunque, c’è l’adesione a un programma militare, nonostante siano in piedi altri due “concorrenti” e mentre c’è la partecipazione, indiretta, allo sviluppo del competitor naturale dello stesso Tempest.
FATTORE NATO: PRESSING PER INVESTIRE IL 2% DEL PIL
Sulla spesa militare la linea è chiara: Guerini è pronto a soddisfare il “fattore Nato”. La spinta agli investimenti potrebbe rispondere anche agli impegni assunti nel 2014 in Galles, in particolare al 2% del Pil da spendere nella Difesa entro il 2024, come richiesto dall’Alleanza atlantica. Del resto «la quantità di risorse investite è oggetto di costante e sempre più attento monitoraggio» da parte della Nato, viene riferito. Finora, ha ricordato il titolare della Difesa, essere il secondo contributore alle missioni comuni «ci ha posto al riparo da più severe osservazioni». Ma con l’attenzione dell’amministrazione Trump la cosa potrebbe cambiare. La quota «dell’1,22% ci vede ancor lontani dagli obiettivi fissati», però proprio per questo, ha assicurato Guerini, «intraprenderemo tutti gli sforzi per un percorso teso a incrementare gradualmente gli investimenti con l’obiettivo di allineare il rapporto budget Difesa e Pil ad altri partner europei». Una strategia contestata dalla Rete disarmo: «Non c’è alcun documento scritto, alcuna direttiva che obbliga i Paesi a destinare alla difesa il 2% del Pil. Mi piacerebbe avere un governo che dica questo invece di cedere per accontentare i desiderata di Trump», commenta Vignarca.
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Un altro oltraggio alla memoria del simbolo della Resistanza, morta nel marzo del 2019.
Una svastica ha danneggiato la targa che ricorda la partigiana e sindacalista Tina Costa a Roma, nel quartiere di Cinecittà, che inaugurata 20 giorni fa ha già subito un altro atto vandalico. Il gesto «vergognoso e oltraggioso contro una protagonista della nostra Repubblica», è stato fermamente condannato dalle istituzioni locali e dal mondo della politica.
I MESSAGGI DI ZINGARETTI E RAGGI
«Tina, nessuno può dimenticare la sua incredibile tenacia e non saranno quattro idioti ad infangarne la memoria». Così su Facebook Nicola Zingaretti, segretario del Pd e presidente della regione Lazio, mentre la sindaca Virginia Raggi ha definito una «vergogna» l’atto vandalico che sarà prontamente ripulita: «È la seconda volta che la targa per la partigiana Costa viene imbrattata con svastiche. L’avevo già fatta ripulire dopo l’episodio di qualche giorno fa. Domani faremo altrettanto e abbiamo già denunciato il fatto al comandante della polizia locale chiedendo di tenere più sotto controllo la zona» , ha detto la presidente del municipio VII di Roma Monica Lozzi.
UNA VITA DA ANTIFASCISTA
«Questa mattina», hanno raccontato Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Prc-Sinistra Europea, Vito Meloni, segretario della Federazione di Roma, e Giuseppe Carroccia, segretario del circolo Luigi Longo, «i compagni del circolo Luigi Longo di Rifondazione Comunista sono immediatamente intervenuti apponendo sopra al macabro simbolo nazista un cartello con la frase di Tina che è stata vigliaccamente imbrattata: ‘Sarò in piazza fino a quando avrò l’ultimo respiro perché so di essere dalla parte del giusto e che le mie idee sono condivise da tanti’. Tina – morta il 20 marzo 2019 a 93 anni – fino all’ultimo giorno è stata una militante dell’Anpi e di Rifondazione Comunista come Gennaro Di Paola che è venuto a mancare ieri a Massa Vesuviana. Erano giovanissimi quando entrarono nelle fila della Resistenza e non hanno mai smesso di testimoniare con la loro militanza la fedeltà ai principi di libertà e giustizia sociale dell’antifascismo».
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Un altro oltraggio alla memoria del simbolo della Resistanza, morta nel marzo del 2019.
Una svastica ha danneggiato la targa che ricorda la partigiana e sindacalista Tina Costa a Roma, nel quartiere di Cinecittà, che inaugurata 20 giorni fa ha già subito un altro atto vandalico. Il gesto «vergognoso e oltraggioso contro una protagonista della nostra Repubblica», è stato fermamente condannato dalle istituzioni locali e dal mondo della politica.
I MESSAGGI DI ZINGARETTI E RAGGI
«Tina, nessuno può dimenticare la sua incredibile tenacia e non saranno quattro idioti ad infangarne la memoria». Così su Facebook Nicola Zingaretti, segretario del Pd e presidente della regione Lazio, mentre la sindaca Virginia Raggi ha definito una «vergogna» l’atto vandalico che sarà prontamente ripulita: «È la seconda volta che la targa per la partigiana Costa viene imbrattata con svastiche. L’avevo già fatta ripulire dopo l’episodio di qualche giorno fa. Domani faremo altrettanto e abbiamo già denunciato il fatto al comandante della polizia locale chiedendo di tenere più sotto controllo la zona» , ha detto la presidente del municipio VII di Roma Monica Lozzi.
UNA VITA DA ANTIFASCISTA
«Questa mattina», hanno raccontato Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Prc-Sinistra Europea, Vito Meloni, segretario della Federazione di Roma, e Giuseppe Carroccia, segretario del circolo Luigi Longo, «i compagni del circolo Luigi Longo di Rifondazione Comunista sono immediatamente intervenuti apponendo sopra al macabro simbolo nazista un cartello con la frase di Tina che è stata vigliaccamente imbrattata: ‘Sarò in piazza fino a quando avrò l’ultimo respiro perché so di essere dalla parte del giusto e che le mie idee sono condivise da tanti’. Tina – morta il 20 marzo 2019 a 93 anni – fino all’ultimo giorno è stata una militante dell’Anpi e di Rifondazione Comunista come Gennaro Di Paola che è venuto a mancare ieri a Massa Vesuviana. Erano giovanissimi quando entrarono nelle fila della Resistenza e non hanno mai smesso di testimoniare con la loro militanza la fedeltà ai principi di libertà e giustizia sociale dell’antifascismo».
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Voci critiche interne alla maggioranza e attacchi netti dall’opposizione. Mentre i presidi delle scuole sono sempre più preoccupati.
Le dimissioni del ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti tengono banco nel dibattito politico sotto le feste. E fioccano le polemiche, dentro e fuori dal governo, tra maggioranza e opposizione. Fioramonti è vittima anche di quello che dovrebbe essere fuoco amico. «Se veramente ci si vuole battere per avere più risorse per la scuola bisogna stare in parlamento non all’estero, non a presentare un libro o a fare conferenze stampa», hanno attaccato Gabriele Toccafondi e Daniela Sbrollini, capogruppo di Italia Viva in Commissione Cultura a Camera e Senato, che hanno difeso il lavoro del governo sul fronte scuola: «In quattro mesi questa maggioranza ha votato un decreto scuola, con 50 mila assunzioni e risorse. Non è quanto volevamo, ma nella legge di Bilancio, di risorse per l’istruzione, ci sono».
DADONE: «SE HAI CORAGGIO NON SCAPPI»
Non fa il nome di Fioramonti, ma forse non ce n’è bisogno, la ministra per la Pubblica amministrazione Fabiana Dadone: «Trovo stucchevole che chi professi coraggio agli elettori poi scappi dalle responsabilità politiche», ha scritto in un post su Facebook. «Se hai coraggio, non scappi. Se condividi davvero una battaglia, non scappi, ma mangi sale quando devi e porti avanti un progetto (ammesso che lo si abbia mai realmente condiviso). La coerenza è per lo più un pregio, ma a volte rischia di sconfinare nella sterile testimonianza che, peraltro, si addice poco a chi occupa posizioni di responsabilità».
CARFAGNA: «ORA UN MINISTRO INDIPENDENTE»
Mara Carfagna guarda invece avanti, a ciò che sarà poi, e auspica la nomina di un ministro che sia indipendente e autonomo dalle forze politiche della maggioranza: «Il ministero dell’Istruzione da anni è considerato un parcheggio per notabili di partito in cerca di collocazione. Dal 2013 abbiamo avuto ben cinque ministri, e in seguito alle dimissioni di Fioramonti verrà nominato il sesto», ha detto la vicepresidente della Camera.«È tempo di affidare l’incarico a una personalità autorevole e capace di far capire ai partiti che il sistema dell’istruzione è il “core business” di un Paese moderno».
FORZA ITALIA: «ATTO GRAVE E IRRESPONSABILE»
Durissimi i deputati di Forza Italia in commissione cultura alla Camera Valentina Aprea (capogruppo), Luigi Casciello, Marco Marin, Antonio Palmieri e Gloria Saccani. «Le dimissioni del ministro Fioramonti, costituiscono un atto grave e irresponsabile», hanno scritto in una nota congiunta. «Già minacciate sin dal suo insediamento, arrivano ora in un momento delicato e denso di appuntamenti amministrativi per l’attività del ministero dell’Istruzione. Avere maggiore disponibilità finanziarie per le politiche della scuola, dell’Università e della ricerca è da sempre aspirazione legittima di tutti i ministri dell’istruzione della Repubblica, ma Fioramonti sembra aver sottovalutato irresponsabilmente di essere arrivato a Viale Trastevere da soli quattro mesi, in un momento di crisi economica del Paese».
CALDEROLI RINGRAZIA BABBO NATALE
Sarcastico il senatore della Lega Roberto Calderoli: «Grazie a Babbo Natale per aver pensato ai nostri bambini mandando a casa con un sacco di carbone il pessimo ministro Fioramonti, uno dei peggiori ministri della storia repubblicana, quello che voleva tassare le merendine, quello che voleva togliere il crocifisso dalle aule perché non ci rappresenta. Grazie Babbo Natale per averlo fatto andare via, ora confidiamo nella Befana che magari nella calza ci farà trovare le dimissioni di tutto il governo».
PREOCCUPATI I PRESIDI
Preoccupazione è stata invece espressa dall’Associazione nazionale presidi: «Le dimissioni del ministro Lorenzo Fioramonti. nell’aria da alcuni giorni, ci preoccupano per l’inevitabile incertezza che si abbatte sul mondo della scuola e, soprattutto, per le ragioni delle dimissioni legate al mancato reperimento dei fondi necessari all’istruzione ed alla ricerca», ha affermato il presidente Antonello Giannelli. «Fioramonti, che ringrazio per l’impegno profuso durante il mandato, è stato un interlocutore sensibile e partecipe; questo suo gesto dimostra coerenza ma rende evidente la scarsa considerazione della politica per la scuola».
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Tra le 70 e le 130 mila tonnellate di piccoli rifiuti ogni anno contaminano il Mediterraneo. Finendo dentro lo stomaco del 37% del pescato. Il fotografo Bertuccio ha documentato tutto in un reportage a bordo di feluche e lampare. La storia.
Sopra e poi d’un fiato giù, in profondità, negli abissi. “Dove si fermano gli occhi”, appunto. Il reportage di Davide Bertuccio è un pendolo che oscilla tra universi evidenti e nascosti, a volte persino impossibili da esplorare. Il filo conduttore è il mare, il suo, lo Stretto di Messina, con un enorme carico di segreti e uno stato di salute piuttosto precario.
ASSIEME AI RICERCATORI E AI PESCATORI
Lui, 28enne a bagnomaria, grande per la generazione Greta e giovane abbastanza per non sentirsi responsabile dei disastri ambientali, lo ha studiato con i ricercatori dell’università siciliana, lo ha vissuto assieme ai pescatori che a quella distesa blu hanno dedicato la vita, sotto il sole a picco e la pioggia battente. Senza lamentarsi mai, perché, insegnano i Malavoglia, per certe preghiere non è detto ci sia qualcuno disposto ad ascoltarle.
DUE APPROCCI SULLO STESSO PIANO (FOTOGRAFICO)
«Volevo mettere sullo stesso piano i due approcci», spiega il fotografo a Lettera43.it, «chi dice che una determinata situazione secondo criteri oggettivi non possa esistere e coloro che affermano il contrario per averlo vissuto sul campo. Entrambi hanno ragione».
A bordo delle barche coi pescatori.
L’INQUINAMENTO DA UNA PROSPETTIVA NUOVA
Un lavoro di un oltre un anno, tra laboratori e barche, affrontato con l’obiettivo di raccontare l’inquinamento da una prospettiva nuova, diversa e il più possibile completa: «Cercavo una storia e ho incominciato a leggere articoli sulle microplastiche, incuriosendomi al tema. Ho scoperto che, in proporzione alla grandezza, il Mediterraneo è uno dei mari che sono nelle peggiori condizioni». Qui ogni anno – si legge nel reportage – confluiscono tra le 150 mila e le 500 mila tonnellate di macroplastiche, mentre le micro, cioè con un diametro inferiore a cinque millimetri, oscillano tra le 70 e le 130 mila.
Foto dall’interno delle imbarcazioni.
EPPURE LO STRETTO DI MESSINA DOVREBBE ESSERE PULITO
Secondo i dati elaborati dall’Ismar-Cnr con l’università di Ancona, se negli oceani le tracce di materiali simili per chilometro quadrato sono 335 mila, soltanto moltiplicandoli per quattro si avrà una fotografia del “Mare Nostrum”. Non esistono isole felici: «Lo Stretto di Messina, per via delle fortissime correnti, dovrebbe rappresentare un’eccezione ed essere pulito. Condizionale d’obbligo perché la realtà è opposta».
Ogni anno nel Mediterraneo finiscono migliaia di tonnellate di microplastiche.
CRATERI SOTTOMARINI PIENI DI PLASTICA
I motivi essenzialmente due: «Innanzitutto i canyon sottomarini», prosegue Bertuccio, «hanno la capacità di attrarre qualunque cosa ruoti nella loro orbita. Dentro si trova di tutto: pneumatici, macchine, elettrodomestici ammassatisi nel tempo che progressivamente si deteriorano nell’acqua. Con le moderne tecnologie si può pensare di fotografarli, tuttavia il mio budget non era sufficiente per intraprendere l’impresa. L’altro fattore è l’inquinamento in senso lato. L’aumento progressivo delle temperature, per esempio, ha comportato modifiche all’ecosistema e lo spostamento definitivo di numerose specie».
Ricercatori che analizzano il pesce inquinato.
UN PESCE SU TRE È MALATO
Il climate change non fa sconti, ma chi resta non se la passa meglio e i numeri sono spietati. «Il 37% sul totale del pescato si porta nello stomaco microplastiche», continua Bertuccio. «Per dimostrarlo, sono stato con gli scienziati al mercato, dove abbiamo comprato tre pesci che sarebbero potuti arrivare facilmente sulle nostre tavole. Giunti in laboratorio li abbiamo aperti e sezionati: come volevasi dimostrare, uno era malato».
Il 37% del pescato ha dei rifiuti nello stomaco.
PICCOLISSIME PARTICELLE ANNIDATE OVUNQUE
A rendere peggiore il quadro c’è una serie di constatazioni: «Nella normalità dei casi ed escludendo pesci che per piccole dimensioni si consumano interi, le plastiche risiedono in parti dell’organismo che non vengono mangiate dagli esseri umani. Siamo ben lontani, però, dal poter tirare un sospiro di sollievo. Esistono, infatti, le nanoplastiche di dimensioni ridottissime e annidate ovunque».
IL FOTOGRAFO SICILIANO CHE HA GIRATO IL MONDO
Trasferitosi dalla Sicilia a Milano dopo il diploma, Bertuccio si era iscritto alla facoltà di biotecnologie mediche, presto abbandonata per inseguire la passione della vita. Quattro anni dopo si è laureato allo Ied e ha iniziato a girare il mondo, macchinetta rigorosamente in spalla. Inserito nel 2014 tra i 10 fotografi under 25 più promettenti d’Italia e nel 2019 tra i nominati al prestigioso 6×6 World Press Photo Global Talent, pur giovanissimo, ha già allestito mostre da Tokyo a Parigi, passando per gli Stati Uniti e facendo ovunque incetta di premi: «Eppure narrare le vicende di casa ha un sapore speciale. Gran parte dei miei coetanei è stata costretta a emigrare per inseguire i propri sogni, soprattutto se coincidevano con professioni creative. Tornare e contribuire nel mio piccolo a fare qualcosa per questo posto è motivo d’orgoglio. Chi ha il mare dentro, d’altronde, se lo porta sempre dietro».
SULLE IMBARCAZIONI SI CONDIVIDE TUTTO
Nell’ultimo anno ha vissuto fianco a fianco con i pescatori, invadendo il loro universo fino a diventarne parte integrante: «Sono stato sulle feluche, le tradizionali imbarcazioni su cui si caccia lo spada nello Stretto o ospite delle “lampare”, piccole barche che attraggono i pesci attraverso un raggio di luce. Si usavano un tempo per pescare le aguglie, ora è l’usanza è praticamente scomparsa». Il motivo piuttosto scontato: «Non si prende nulla, l’ho constatato di persona». Sono le conseguenze dello sfruttamento intensivo: «Le reti hanno certamente apportato un contributo pesante in termini di devastazione, i fondali sono colmi di residui in cui gli animali continuano intrappolarsi». Con la pesca magra rimangono i ricordi, sugellati dagli scatti: «A bordo impari a condividere tutto, non esistono i concetti di mio e tuo. Le giornate sono dure, segnate dal sole: iniziano all’alba e si concludono al tramonto». In mezzo, tanto lavoro e lo spazio di un panino, sperando che almeno stavolta il mare sia clemente.
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La popstar cancella la tappa di Miami e si scusa coi fan. Preoccupazioni per il suo stato di salute e il rischio di danni permanenti al fisico.
Ancora uno stop per il tour di Madonna. ‘Madame X’ si ferma ancora e ad annunciarlo è proprio la popstar con un video e un lungo messaggio su Instagram. Nel suo post, Madonna parla di un dolore fortissimo che è arrivato a farla piangere durante le prove per lo show a Miami. Per questo è stata fermata dai medici che la seguono, per evitare il rischio di danni permanenti al suo fisico.
CONFERMATO PER ORA IL TOUR EUROPEO
L’ultima parte del tour di Madonna in Nord America si sarebbe dovuta concludere a Miami. Restano per ora confermate, invece, le date in Europa, in programma a partire da gennaio. «Mentre salivo la scala per cantare ‘Batuka’ sabato sera a Miami», ha scritto Madonna su Instagram, «ero in lacrime per il dolore causato dalle mie lesioni che è stato indicibile negli ultimi giorni… Mi considero una guerriera, non mollo mai tuttavia ora è il momento di dare retta al mio corpo e di accettare che il dolore è preoccupante. Voglio dire quanto mi dispiace a tutti i miei fan per essere costretta a cancellare il mio ultimo spettacolo».
A consigliare lo stop alla popstar sono stati i medici: «Hanno detto chiaramente che se voglio continuare il mio tour devo riposarmi il più possibile in modo da non causare danni irreversibili al mio fisico», ha scritto Madonna. «Non ho mai lasciato che una lesione mi impedisse di esibirmi ma questa volta devo accettare che non c’è alcuna vergogna nell’essere umana e di premere il pulsante pausa».
LA RABBIA DEI FAN
Eppure, secondo il tabloid Daily Mail, alcuni fan non l’avrebbero presa bene, arrabbiandosi per la cancellazione dello spettacolo a due ore dal suo inizio. Nel suo ultimo post su Instagram, Madonna appare in posa da modella. «Se proprio devo riposarmi e fare niente almeno posso parlo con stile», ha scherzato Madonna, che già a fine novembre aveva cancellato alcune tappe a Boston. Anche se non ci sono notizie ufficiali sulle cause dei suoi problemi di salute, alcuni media hanno rivelato che si tratta di una lesione al legamento crociato.
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Due alpinisti sono caduti mentre salivano verso la vetta il 26 dicembre. Ritrovato il corpo dell’escursionista dispersa a Natale.
Tre morti nel giro di poche ore, a cavallo tra Natale e Santo Stefano. È il tragico bilancio delle festività sul Gran Sasso. Il 26 dicembre hanno perso la vita due alpinisti che facevano parte di una cordata di tre arrampicatori. Avevano pernottato nel rifugio Franchetti, poi due di loro erano partiti per un’escursione in mattinata, decisi a salire in vetta. Durante la scalata, però, sono caduti e scivolati a valle. Il Soccorso Alpino ha avviato le operazioni di recupero dei due corpi.
RITROVATO IL CORPO DI UNA ESCURSIONISTA DISPERSA IL 25
È stato già ritrovato, invece, il cadavere dell’escursionista dispersa nel pomeriggio del 25. A lanciare l’allarme al 118 per il suo mancato rientro erano stati i familiari. Le intenzioni della donna erano di salire in vetta a Corno Grande, ma probabilmente un distaccamento nevoso ne ha causato la morte. L’elicottero del 118, partito dalla base di Preturo (L’Aquila) e in volo dalla mattina del 26 dicembre all’alba, ha avvistato il corpo nel Vallone dei Ginepri, a circa 2500 metri e sta provvedendo al recupero. Il ritrovamento è avvenuto dopo un’intera notte di ricerche, supportate anche dall’elicottero dell’Aeronautica Militare, che in volo notturno ha portato in quota le squadre di tecnici del Soccorso Alpino e Speleologico Abruzzo. La salma verrà trasportata dall’elicottero del 118 all’obitorio dell’ospedale di Teramo.
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Due alpinisti sono caduti mentre salivano verso la vetta il 26 dicembre. Ritrovato il corpo dell’escursionista dispersa a Natale.
Tre morti nel giro di poche ore, a cavallo tra Natale e Santo Stefano. È il tragico bilancio delle festività sul Gran Sasso. Il 26 dicembre hanno perso la vita due alpinisti che facevano parte di una cordata di tre arrampicatori. Avevano pernottato nel rifugio Franchetti, poi due di loro erano partiti per un’escursione in mattinata, decisi a salire in vetta. Durante la scalata, però, sono caduti e scivolati a valle. Il Soccorso Alpino ha avviato le operazioni di recupero dei due corpi.
RITROVATO IL CORPO DI UNA ESCURSIONISTA DISPERSA IL 25
È stato già ritrovato, invece, il cadavere dell’escursionista dispersa nel pomeriggio del 25. A lanciare l’allarme al 118 per il suo mancato rientro erano stati i familiari. Le intenzioni della donna erano di salire in vetta a Corno Grande, ma probabilmente un distaccamento nevoso ne ha causato la morte. L’elicottero del 118, partito dalla base di Preturo (L’Aquila) e in volo dalla mattina del 26 dicembre all’alba, ha avvistato il corpo nel Vallone dei Ginepri, a circa 2500 metri e sta provvedendo al recupero. Il ritrovamento è avvenuto dopo un’intera notte di ricerche, supportate anche dall’elicottero dell’Aeronautica Militare, che in volo notturno ha portato in quota le squadre di tecnici del Soccorso Alpino e Speleologico Abruzzo. La salma verrà trasportata dall’elicottero del 118 all’obitorio dell’ospedale di Teramo.
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Era stato spostato con la principessa Martha Louise, figlia di Re Harald V. Nel 2017 aveva accusato Kevin Spacey di molestie.
Si è tolto la vita a 47 anni Ari Behn, scrittore ed ex genero del re di Norvegia. Lo ha reso noto il suo portavoce, citato dai media internazionali. Autore di numerosi romanzi e opere teatrali, Behn aveva sposato la principessa Martha Louise nel 2002 per poi divorziare nel 2016. La coppia ha avuto tre figlie. Behn è stato, sempre nel 2017, anche tra gli accusatori di Kevin Spacey, l’attore premio Oscar finito al centro dello scandalo #MeToo: disse che 10 anni prima l’attore lo avrebbe molestato toccandolo sotto a un tavolo in modo inappropriato dopo un concerto per il premio Nobel per la Pace, invitandolo a uscire con lui in terrazzo. «Magari più tardi», gli avrebbe risposto lui imbarazzato.
L’ESORDIO NEL 1999
Il primo romanzo di Behn fu pubblicato nel 1999, ma la fama arrivò tre anni più tardi, nel 2002, proprio grazie al matrimonio reale con la primogenita di re Harald V. Il suo ultimo libro, Inferno, è invece datato 2018 ed è un racconto della sua dura lotta contro la malattia mentale. «Ari è stato una parte importante della nostra famiglia per molti anni, e abbiamo ricordi belli di lui con noi», ha fatto sapere la casa reale norvegese in una nota.
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La notizia dell’addio all’incarico era filtrato la sera di Natale. La spiegazione è arrivata la mattina dopo con un post su Facebook. «Si trovano risorse per tutto, ma mai per l’istruzione».
Non avrebbe voluto andarsene così, con tutto quel clamore la sera di Natale. Lorenzo Fioramonti, la sua lettera di dimissioni al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’aveva presentata il 23, prima della Vigilia, ma aveva deciso di aspettare a rendere pubblica la sua decisione e di collaborare per una transizione rapida ed efficace al vertice del ministero dell’Istruzione. La notizia però è filtrata nel bel mezzo delle feste, così anche lui si è trovato a fornire la sua versione dei fatti la mattina del 26.
L’ATTESA PER L’APPROVAZIONE DELLA MANOVRA
«Prima di prendere questa decisione, ho atteso il voto definitivo sulla Legge di Bilancio, in modo da non porre tale carico sulle spalle del parlamento in un momento così delicato», ha spiegato il ministro dimissionario con un post sulla sua pagina Facebook. «Le ragioni sono da tempo e a tutti ben note: ho accettato il mio incarico con l’unico fine di invertire in modo radicale la tendenza che da decenni mette la scuola, la formazione superiore e la ricerca italiana in condizioni di forte sofferenza».
La sera del 23 dicembre, ho inviato al Presidente del Consiglio la lettera formale con cui rassegno le dimissioni da…
Un fine che evidentemente non riteneva più raggiungibile, considerando che dei 3 miliardi che aveva chiesto per la scuola in linea di galleggiamento, ne sono arrivati solo 1,9. «Mi sono impegnato per rimettere l’istruzione – fondamentale per la sopravvivenza e per il futuro di ogni società – al centro del dibattito pubblico, sottolineando in ogni occasione quanto, senza adeguate risorse, fosse impossibile anche solo tamponare le emergenze che affliggono la scuola e l’università pubblica».
«NON È STATA UNA BATTAGLIA INUTILE»
Nonostante le dimissioni, per Fioramonti «non è stata una battaglia inutile e possiamo essere fieri di aver raggiunto risultati importanti: lo stop ai tagli, la rivalutazione degli stipendi degli insegnanti (insufficiente ma importante), la copertura delle borse di studio per tutti gli idonei, un approccio efficiente e partecipato per l’edilizia scolastica, il sostegno ad alcuni enti di ricerca che rischiavano di chiudere e, infine, l’introduzione dell’educazione allo sviluppo sostenibile in tutte le scuole (la prima nazione al mondo a farlo)».
«SERVIVA PIÙ CORAGGIO»
Ma non è bastato: «La verità è che sarebbe servito più coraggio da parte del governo per garantire quella ‘linea di galleggiamento’ finanziaria di cui ho sempre parlato, soprattutto in un ambito così cruciale come l’università e la ricerca. Pare che le risorse non si trovino mai quando si tratta della scuola e della ricerca, eppure si recuperano centinaia di milioni di euro in poche ore da destinare ad altre finalità quando c’è la volontà politica».
«COMBATTUTO PER OGNI EURO IN PIÙ»
Sulle tempistiche delle sue dimissioni ha precisato: «Alcuni mi hanno criticato per non aver rimesso il mio mandato prima, visto che le risorse era improbabile che si trovassero. Ma io ho sempre chiarito che avrei lottato per ogni euro in più fino all’ultimo, tirando le somme solo dopo l’approvazione della Legge di Bilancio. Ora forse mi criticheranno perché, in coerenza con quanto promesso, ho avuto l’ardire di mantenere la parola».
«UN GOVERNO CHE PUÒ ANCORA FARE BENE»
L’ormai ex ministro ha poi fatto capire di sostenere ancora il governo, invocando però quel coraggio necessario per fare le scelte giuste: «Le dimissioni sono una scelta individuale, eppure vorrei che – sgomberato il campo dalla mia persona – non si perdesse l’occasione per riflettere sull’importanza della funzione che riconsegno nelle mani del governo. Un governo che può fare ancora molto e bene per il Paese se riuscirà a trovare il coraggio di cui abbiamo bisogno».
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La ragazza di 26 anni si stava recando a messa col padre quando la loro macchina è stata centrata da una Giulietta nel parcheggio.
Stava andando in chiesa per la messa della Vigilia, Ilaria, la giovane volontaria laureata in sociologia rimasta uccisa la notte del 24 dicembre in un tragico e assurdo incidente. Mentre entrava nel parcheggio con la Lancia Y10 del padre, la ragazza di 26 anni è stata centrata in pieno da una Alfa Romeo Giulietta lanciata ad alta velocità. È successo ad Arce, nel Frusinate.
IL PADRE È RIMASTO FERITO
Lo scontro tra le due auto, su una delle quali viaggiava la 26enne con suo padre, sarebbe avvenuto a pochi metri dalla chiesa di Sant’Eleuterio, lungo la regionale ‘Valle del Liri’, poco prima della mezzanotte. Il padre e il conducente dell’altra auto, un 30enne residente a Colli, nella frazione di Monte San Giovanni Campano, sono rimasti feriti, ma non sarebbero in pericolo di vita. Sulla dinamica indagano i carabinieri di Sora e la procura di Cassino. La 26enne era una volontaria della protezione civile di Fontana Liri.
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