Introduzione di un visto elettronico e obbligo di munirsi di passaporto: il giro di vite del premier conservatore in caso di vittoria alle elezioni del 12 dicembre.
Boris Johnson prepara la stretta sul turismo. Con ricadute pesanti su tutti i viaggiatori stranieri, inclusi quelli provenienti dall’Unione europea. In caso di vittoria alle elezioni anticipate nel Regno Unito del 12 dicembre, il premier conservatore è pronto a complicare la vita ai cittadini Ue in viaggio per Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, equiparandoli agli extracomunitari.
SERVE IL VIA LIBERA TRE GIORNI PRIMA DEL VIAGGIO
L’intenzione è quella di introdurre – a partire dal primo gennaio 2021 – l’obbligo di compilare preventivamente un modulo elettronico simile allEsta statunitense per varcare il confine. Se il via libera all’ingresso nel Regno Unito non arriverà almeno tre giorni prima dell’arrivo in qualsiasi aeroporto o porto britannico, il cittadino Ue sarà rimandato a casa. Addio viaggi dell’ultimo minuto, dunque.
VADE RETRO PASSAPORTO ITALIANO
Non solo. La carta di identità non sarà più sufficiente, servirà il passaporto. In questo senso, la ministra dell’Interno Priti Patel, esponente euroscettica della destra più radicale in casa Tory, se l’è presa in particolare con le carte d’identità di Italia e Grecia, che ha definito facili da falsificare. Inoltre, sarà vietato l’ingresso nel Regno Unito ai condannati per una serie di reati – ancora non specificati -, e verrà applicato un sistema di conteggio volto a calcolare quanti cittadini Ue sono entrati e quanti sono usciti dal Paese in un certo periodo di tempo ed evitare soggiorni superiori ai tre mesi permessi dal visto turistico.
I SONDAGGI PREOCCUPANO JOHNSON
La condizione necessaria perché questa stretta sull’immigrazione europea annunciata da Johnson diventi realtà è che il premier conservatore vinca le elezioni del 12 dicembre, ottenendo la maggioranza assoluta in parlamento, e metta in atto la Brexit, ovvero l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Gli ultimi sondaggi, realizzati prima dell’attentato sul London Bridge, hanno innescato qualche accenno di preoccupazione in casa Tory sulla certezza di potersi aggiudicare la maggioranza assoluta dei seggi, vitale per la Brexit. Cala infatti il vantaggio (pur largo) attribuito ai conservatori sui laburisti: per Opinum, da 19 a 15 punti; per Bmg, addirittura fino al 6%. Con un massiccio recupero di voti del partito di Jeremy Corbyn ai danni delle terze forze, liberaldemocratici in testa.
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Introduzione di un visto elettronico e obbligo di munirsi di passaporto: il giro di vite del premier conservatore in caso di vittoria alle elezioni del 12 dicembre.
Boris Johnson prepara la stretta sul turismo. Con ricadute pesanti su tutti i viaggiatori stranieri, inclusi quelli provenienti dall’Unione europea. In caso di vittoria alle elezioni anticipate nel Regno Unito del 12 dicembre, il premier conservatore è pronto a complicare la vita ai cittadini Ue in viaggio per Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, equiparandoli agli extracomunitari.
SERVE IL VIA LIBERA TRE GIORNI PRIMA DEL VIAGGIO
L’intenzione è quella di introdurre – a partire dal primo gennaio 2021 – l’obbligo di compilare preventivamente un modulo elettronico simile allEsta statunitense per varcare il confine. Se il via libera all’ingresso nel Regno Unito non arriverà almeno tre giorni prima dell’arrivo in qualsiasi aeroporto o porto britannico, il cittadino Ue sarà rimandato a casa. Addio viaggi dell’ultimo minuto, dunque.
VADE RETRO PASSAPORTO ITALIANO
Non solo. La carta di identità non sarà più sufficiente, servirà il passaporto. In questo senso, la ministra dell’Interno Priti Patel, esponente euroscettica della destra più radicale in casa Tory, se l’è presa in particolare con le carte d’identità di Italia e Grecia, che ha definito facili da falsificare. Inoltre, sarà vietato l’ingresso nel Regno Unito ai condannati per una serie di reati – ancora non specificati -, e verrà applicato un sistema di conteggio volto a calcolare quanti cittadini Ue sono entrati e quanti sono usciti dal Paese in un certo periodo di tempo ed evitare soggiorni superiori ai tre mesi permessi dal visto turistico.
I SONDAGGI PREOCCUPANO JOHNSON
La condizione necessaria perché questa stretta sull’immigrazione europea annunciata da Johnson diventi realtà è che il premier conservatore vinca le elezioni del 12 dicembre, ottenendo la maggioranza assoluta in parlamento, e metta in atto la Brexit, ovvero l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Gli ultimi sondaggi, realizzati prima dell’attentato sul London Bridge, hanno innescato qualche accenno di preoccupazione in casa Tory sulla certezza di potersi aggiudicare la maggioranza assoluta dei seggi, vitale per la Brexit. Cala infatti il vantaggio (pur largo) attribuito ai conservatori sui laburisti: per Opinum, da 19 a 15 punti; per Bmg, addirittura fino al 6%. Con un massiccio recupero di voti del partito di Jeremy Corbyn ai danni delle terze forze, liberaldemocratici in testa.
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Nel libro Comunicazione integrata e reputation management, il docente della Luiss analizza l’evoluzione del settore. Un manuale dedicato agli addetti ai lavori e ai manager per realizzare progetti di successo.
Rispondere alle evoluzioni della società, dei consumatori e delle imprese attraverso l’utilizzo di nuove strategie e strumenti di comunicazione. Sono questi gli obiettivi del nuovo libro a cura di Gianluca Comin Comunicazione integrata e reputation management. Il volume, edito da Luiss University Press, analizza l’evoluzione che è avvenuta nell’ambito della Comunicazione Corporate e che ha portato a un lento ma inarrestabile processo di innovazione dei canali. Innescando la necessità per le imprese di adottare un approccio orientato al cosiddetto e-business.
«Nello scenario attuale, sono profondamente cambiate le leve per la gestione della comunicazione, della reputazione, e più in generale per il successo dell’impresa. È pertanto fondamentale continuare a formarsi, per interpretare le evoluzioni e mettere in atto strategie di successo», ha spiegato Comin, docente di Strategie di Comunicazione e Tecniche pubblicitarie presso la facoltà di Economia e Management della Luiss e direttore dell’Executive Program in Corporate Communication della Luiss Business School. «Questo manuale intende fornire un insieme strutturato di conoscenze e competenze chiave, che possano favorire la gestione della comunicazione in maniera strategica non solo ai professionisti della comunicazione, ma anche ai manager e leader d’azienda per realizzare progetti di successo». (Il libro è già acquistabile sul sito della Luiss University Press, sul sito di Ibs e quello di Amazon).
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«Nello scenario attuale, sono profondamente cambiate le leve per la gestione della comunicazione, della reputazione, e più in generale per il successo dell’impresa. È pertanto fondamentale continuare a formarsi, per interpretare le evoluzioni e mettere in atto strategie di successo», ha spiegato Comin, docente di Strategie di Comunicazione e Tecniche pubblicitarie presso la facoltà di Economia e Management della Luiss e direttore dell’Executive Program in Corporate Communication della Luiss Business School. «Questo manuale intende fornire un insieme strutturato di conoscenze e competenze chiave, che possano favorire la gestione della comunicazione in maniera strategica non solo ai professionisti della comunicazione, ma anche ai manager e leader d’azienda per realizzare progetti di successo». (Il libro è già acquistabile sul sito della Luiss University Press, sul sito di Ibs e quello di Amazon).
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Dopo il ko con il Bologna, l’allenatore aveva accusato i giocatori di non impegnarsi abbastanza. I partenopei sono settimi in classifica, sempre più lontani dalla zona Champions.
Il Napoli in ritiro. Questa volta la decisione non è della società, ma dell’allenatore Carlo Ancelotti. La squadra sarà in ritiro da mercoledì 4 dicembre fino al match con l’Udinese, in programma sabato 7. Ancelotti lo ha comunicato nel corso dell’allenamento del lunedì, dopo la sconfitta per 2-1 al San Paolo contro il Bologna. Il mister azzurro, che in occasione del ritiro di inizio novembre – poi non rispettato dalla squadra – s’era detto in disaccordo con la società, questa volta ha scelto di usare il pugno duro contro i giocatori che, nell’immediato post partita col Bologna, aveva accusato di non impegnarsi al massimo.
IL J’ACCUSE DI ANCELOTTI DOPO IL KO COL BOLOGNA
«Io mi prendo la maggior parte delle responsabilità», le parole a caldo di Ancelotti, «ma anche i giocatori si devono sentire responsabili: in campo ci vanno loro e devono provare a mettere sempre la stessa intensità come collettivo. Non ce la stanno mettendo tutta o lo fanno solo in parte». La squadra, secondo l’allenatore, «non riesce a mantenere un livello di attenzione e applicazione con continuità in campionato, cosa che invece riesce a fare in coppa. Per questo se venerdì si è parlato e si sono chiarite alcune cose, ora si apre un discorso nuovo tra me e la squadra. Sentirsi in discussione è il minimo, ma ne siamo tutti coinvolti al 100%: questo momento è durato troppo, ora deve finire velocemente, perché obiettivamente stiamo facendo troppo male. Se penso alla passata stagione siamo meno fluidi e efficaci, la costruzione sempre un po’ arruffata. Vedo che, quando incide l’aspetto caratteriale e di sacrificio, si pareggia con il Liverpool; ecco, il problema è stare lì al 100% con la testa, so che non è facile, ma bisogna esserci. Chi va in campo deve fare qualcosa di più».
LA ZONA CHAMPIONS È LONTANA OTTO PUNTI
La classifica vede il Napoli settimo, con soli 20 punti in 14 partite (frutto di cinque vittorie, cinque pareggi e quattro sconfitte) e la zona Champions che si allontana sempre più: la Lazio, terza, è a +10, e la Roma, quarta, a +8.
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Il Napoli in ritiro. Questa volta la decisione non è della società, ma dell’allenatore Carlo Ancelotti. La squadra sarà in ritiro da mercoledì 4 dicembre fino al match con l’Udinese, in programma sabato 7. Ancelotti lo ha comunicato nel corso dell’allenamento del lunedì, dopo la sconfitta per 2-1 al San Paolo contro il Bologna. Il mister azzurro, che in occasione del ritiro di inizio novembre – poi non rispettato dalla squadra – s’era detto in disaccordo con la società, questa volta ha scelto di usare il pugno duro contro i giocatori che, nell’immediato post partita col Bologna, aveva accusato di non impegnarsi al massimo.
IL J’ACCUSE DI ANCELOTTI DOPO IL KO COL BOLOGNA
«Io mi prendo la maggior parte delle responsabilità», le parole a caldo di Ancelotti, «ma anche i giocatori si devono sentire responsabili: in campo ci vanno loro e devono provare a mettere sempre la stessa intensità come collettivo. Non ce la stanno mettendo tutta o lo fanno solo in parte». La squadra, secondo l’allenatore, «non riesce a mantenere un livello di attenzione e applicazione con continuità in campionato, cosa che invece riesce a fare in coppa. Per questo se venerdì si è parlato e si sono chiarite alcune cose, ora si apre un discorso nuovo tra me e la squadra. Sentirsi in discussione è il minimo, ma ne siamo tutti coinvolti al 100%: questo momento è durato troppo, ora deve finire velocemente, perché obiettivamente stiamo facendo troppo male. Se penso alla passata stagione siamo meno fluidi e efficaci, la costruzione sempre un po’ arruffata. Vedo che, quando incide l’aspetto caratteriale e di sacrificio, si pareggia con il Liverpool; ecco, il problema è stare lì al 100% con la testa, so che non è facile, ma bisogna esserci. Chi va in campo deve fare qualcosa di più».
LA ZONA CHAMPIONS È LONTANA OTTO PUNTI
La classifica vede il Napoli settimo, con soli 20 punti in 14 partite (frutto di cinque vittorie, cinque pareggi e quattro sconfitte) e la zona Champions che si allontana sempre più: la Lazio, terza, è a +10, e la Roma, quarta, a +8.
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Attacco frontale a Salvini e Meloni: «Le opposizioni hanno diffuso notizie allarmistiche, palesemente false». E in questo modo hanno «inquinato il dibattito pubblico e disorientato i cittadini».
È iniziata con un attacco frontale a Matteo Salvini e Giorgia Meloni l’informativa urgente del premier Giuseppe Conte sul Mes andata in scena alla Camera. Nel pomeriggio toccherà al Senato. «Le opposizioni hanno lanciato accuse infamanti contro di me. Sono state diffuse notizie allarmistiche, palesemente false. Del senatore Salvini non mi stupisco, sono note la sua disinvoltura a restituire la verità e la sua difficoltà a studiare i dossier. Mi meraviglio invece della deputata Meloni», ha esordito infatti il capo del governo, rivolgendosi direttamente alla leader di Fratelli d’Italia, presente in Aula.
Meloni ha reagito urlando e scatenando una breve bagarre, prontamente sedata dal presidente di Montecitorio, Roberto Fico. Conte ha proseguito così: «Sono qui per l’informativa sulle modifiche al Mes non solo perché doverosa dopo la richiesta, ma anche perché ho sempre cercato di assicurare un’interlocuzione chiara e trasparente con il parlamento».
Il premier ha messo in fila tutte le accuse che gli sono state rivolte negli ultimi giorni, smontandole pezzo dopo pezzo: «È stato detto che il Mes sarebbe stato già firmato, e per giunta di notte. Mi sembra quasi superfluo confermare a quest’Aula un fatto di tutta evidenza. Ossia che né da parte mia, né da parte di alcun membro del mio governo si è proceduto alla firma di un trattato ancora incompleto».
CONTE: «COSÌ SI MINA LA CREDIBILITÀ DELLE ISTITUZIONI»
Quanto all’accusa di alto tradimento, Conte ha scandito: «Questa è una questione diversa dal dire che si sono fatti degli errori politici o cattive riforme. È un’accusa che inquinail dibattito pubblico e disorienta i cittadini, ed è indice della forma più grave di spregiudicatezza. Perché pur di lucrare un qualche effimero vantaggio, finisce per minare alle basi la credibilità delle istituzioni democratiche». Se però le accuse rivolte contro il premier «non avessero fondamento, e anzi fosse dimostrato che chi le ha mosse era ben consapevole della loro falsità, avremmo la prova che chi ora è all’opposizione e si è candidato a governare il Paese con pieni poteri sta dando prova, e purtroppo non sarebbe la prima volta, di scarsa cultura delle regole e della più assoluta mancanza di rispetto delle istituzioni».
LA LEGA SAPEVA TUTTO
Il premier ha quindi ricordato alla Lega che «nel Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2019 è stata presentata e illustrata nel dettaglio la Relazione consuntiva sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea, in cui si parlava anche delle trattative condotte sul Mes. Nessunodei ministri presenti, compresi quelli della Lega, ha mosso obiezioni sul punto». E dunque «nessuno può oggi permettersi non dico di sostenere apertamente, ma anche solo di insinuare velatamente l’idea che il processo di riforma sia stato condotto nel segreto. O peggio, firmato nottetempo. Non solo c’è stata piena condivisione nel governo, ma su questa materia vi è stato, con il parlamento italiano, un dialogo costante, un aggiornamento approfondito».
L’AFFONDO CONTRO IL DEPUTATO BORGHI
Il premier ha rammentato anche come pochi giorni dopo quel Consiglio dei ministri la commissione Bilancio della Camera, presieduta dall’onorevole Claudio Borghi, nella seduta del 6 marzo 2019 «espresse parere favorevole» con la seguente condizione: «”Siano adottate in tutte le sedi istituzionali dell’Unione europea iniziative volte a sospendere, ove possibile, ogni determinazione conclusiva in merito agli atti di cui in premessa, nell’attesa degli esiti delle prossime consultazioni elettorali per l’elezione del parlamento europeo”. Il parere favorevole venne condiviso dall’onorevole Borghi. E, in rappresentanza del governo, il sottosegretario Massimo Garavaglia ritenne equilibrata la proposta di parere favorevole poi approvata». Sia Borghi, sia Garavaglia fanno parte della Lega.
DISCREZIONALITÀ SULLA VALUTAZIONE DEL DEBITO
Entrando nei dettagli della riforma del fondo salva-Stati, Conte ha spiegato che il nuovo trattato «lascia a una valutazione tutt’altro che automatica la verifica della sostenibilità del debito e delle condizioni macroeconomiche dei Paesi beneficiari dell’intervento del Mes, coerentemente con quanto preteso dall’Italia che si è opposta ad altri Paesi che avrebbero invece voluto maggiori automatismi. Infatti, l’articolo 13 del nuovo trattato recita che al recepimento della domanda di aiuto finanziario da parte di un Paese membro, “il presidente del Consiglio dei governatori incarica il direttore generale e la Commissione europea di concerto con la Bce di assolvere insieme i seguenti compiti”. E al punto B indica tra questi compiti quello di “valutare la sostenibilità del debito e la capacità di rimborso del sostegno alla stabilità. La valutazione è effettuata all’insegna della trasparenza e della prevedibilità, al contempo consentendo una sufficiente discrezionalità“. Quest’ultima previsione attenua fortemente qualsiasi forma di automatismo che era nelle precedenti versioni».
MELONI: «NOI GLI UNICI SEMPRE CONTRARI»
Al termine dell’informativa del premier, ci sono state le repliche dei deputati. Particolarmente accesi i toni usati da Giorgia Meloni: «Noi di Fratelli d’Italia ci siamo sempre opposti alla riforma del Mes. Lei, presidente Conte, ha letto 40 minuti di resoconti parlamentari per contraddire quello che ha fatto il suo governo. O il trattato è emendabile, e vedremo se ci saranno modifiche; o come dice il ministro Gualtieri è stato già chiuso. Voglio la verità, ma il governo non la può dire. Temo che il presidente Conte abbia dato l’ok di fatto su una riforma da cui l’Italia ha tutto da perdere, in cambio di una benedizione delle consorterie europee. Era l’oscuro prestanome del governo M5s-Lega, adesso come mai è diventato uno statista? Si è presentato come avvocato del popolo, non la faremo diventare il curatore fallimentare dell’Italia, la fermeremo prima. E vedremo cosa farà l’11 dicembre (quando la maggioranza sarà chiamata a votare una mozione sul Mes, ndr) Luigi Di Maio. Al M5s dico: basta con i proclami, abbaiate alla luna sui giornali e poi scodinzolate in parlamento. Per una volta alzate la testa, provate a dimostrare che la vostra poltrona vale meno dei risparmi degli italiani!».
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Attacco frontale a Salvini e Meloni: «Le opposizioni hanno diffuso notizie allarmistiche, palesemente false». E in questo modo hanno «inquinato il dibattito pubblico e disorientato i cittadini».
È iniziata con un attacco frontale a Matteo Salvini e Giorgia Meloni l’informativa urgente del premier Giuseppe Conte sul Mes andata in scena alla Camera. Nel pomeriggio toccherà al Senato. «Le opposizioni hanno lanciato accuse infamanti contro di me. Sono state diffuse notizie allarmistiche, palesemente false. Del senatore Salvini non mi stupisco, sono note la sua disinvoltura a restituire la verità e la sua difficoltà a studiare i dossier. Mi meraviglio invece della deputata Meloni», ha esordito infatti il capo del governo, rivolgendosi direttamente alla leader di Fratelli d’Italia, presente in Aula.
Meloni ha reagito urlando e scatenando una breve bagarre, prontamente sedata dal presidente di Montecitorio, Roberto Fico. Conte ha proseguito così: «Sono qui per l’informativa sulle modifiche al Mes non solo perché doverosa dopo la richiesta, ma anche perché ho sempre cercato di assicurare un’interlocuzione chiara e trasparente con il parlamento».
Il premier ha messo in fila tutte le accuse che gli sono state rivolte negli ultimi giorni, smontandole pezzo dopo pezzo: «È stato detto che il Mes sarebbe stato già firmato, e per giunta di notte. Mi sembra quasi superfluo confermare a quest’Aula un fatto di tutta evidenza. Ossia che né da parte mia, né da parte di alcun membro del mio governo si è proceduto alla firma di un trattato ancora incompleto».
CONTE: «COSÌ SI MINA LA CREDIBILITÀ DELLE ISTITUZIONI»
Quanto all’accusa di alto tradimento, Conte ha scandito: «Questa è una questione diversa dal dire che si sono fatti degli errori politici o cattive riforme. È un’accusa che inquinail dibattito pubblico e disorienta i cittadini, ed è indice della forma più grave di spregiudicatezza. Perché pur di lucrare un qualche effimero vantaggio, finisce per minare alle basi la credibilità delle istituzioni democratiche». Se però le accuse rivolte contro il premier «non avessero fondamento, e anzi fosse dimostrato che chi le ha mosse era ben consapevole della loro falsità, avremmo la prova che chi ora è all’opposizione e si è candidato a governare il Paese con pieni poteri sta dando prova, e purtroppo non sarebbe la prima volta, di scarsa cultura delle regole e della più assoluta mancanza di rispetto delle istituzioni».
LA LEGA SAPEVA TUTTO
Il premier ha quindi ricordato alla Lega che «nel Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2019 è stata presentata e illustrata nel dettaglio la Relazione consuntiva sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea, in cui si parlava anche delle trattative condotte sul Mes. Nessunodei ministri presenti, compresi quelli della Lega, ha mosso obiezioni sul punto». E dunque «nessuno può oggi permettersi non dico di sostenere apertamente, ma anche solo di insinuare velatamente l’idea che il processo di riforma sia stato condotto nel segreto. O peggio, firmato nottetempo. Non solo c’è stata piena condivisione nel governo, ma su questa materia vi è stato, con il parlamento italiano, un dialogo costante, un aggiornamento approfondito».
L’AFFONDO CONTRO IL DEPUTATO BORGHI
Il premier ha rammentato anche come pochi giorni dopo quel Consiglio dei ministri la commissione Bilancio della Camera, presieduta dall’onorevole Claudio Borghi, nella seduta del 6 marzo 2019 «espresse parere favorevole» con la seguente condizione: «”Siano adottate in tutte le sedi istituzionali dell’Unione europea iniziative volte a sospendere, ove possibile, ogni determinazione conclusiva in merito agli atti di cui in premessa, nell’attesa degli esiti delle prossime consultazioni elettorali per l’elezione del parlamento europeo”. Il parere favorevole venne condiviso dall’onorevole Borghi. E, in rappresentanza del governo, il sottosegretario Massimo Garavaglia ritenne equilibrata la proposta di parere favorevole poi approvata». Sia Borghi, sia Garavaglia fanno parte della Lega.
DISCREZIONALITÀ SULLA VALUTAZIONE DEL DEBITO
Entrando nei dettagli della riforma del fondo salva-Stati, Conte ha spiegato che il nuovo trattato «lascia a una valutazione tutt’altro che automatica la verifica della sostenibilità del debito e delle condizioni macroeconomiche dei Paesi beneficiari dell’intervento del Mes, coerentemente con quanto preteso dall’Italia che si è opposta ad altri Paesi che avrebbero invece voluto maggiori automatismi. Infatti, l’articolo 13 del nuovo trattato recita che al recepimento della domanda di aiuto finanziario da parte di un Paese membro, “il presidente del Consiglio dei governatori incarica il direttore generale e la Commissione europea di concerto con la Bce di assolvere insieme i seguenti compiti”. E al punto B indica tra questi compiti quello di “valutare la sostenibilità del debito e la capacità di rimborso del sostegno alla stabilità. La valutazione è effettuata all’insegna della trasparenza e della prevedibilità, al contempo consentendo una sufficiente discrezionalità“. Quest’ultima previsione attenua fortemente qualsiasi forma di automatismo che era nelle precedenti versioni».
MELONI: «NOI GLI UNICI SEMPRE CONTRARI»
Al termine dell’informativa del premier, ci sono state le repliche dei deputati. Particolarmente accesi i toni usati da Giorgia Meloni: «Noi di Fratelli d’Italia ci siamo sempre opposti alla riforma del Mes. Lei, presidente Conte, ha letto 40 minuti di resoconti parlamentari per contraddire quello che ha fatto il suo governo. O il trattato è emendabile, e vedremo se ci saranno modifiche; o come dice il ministro Gualtieri è stato già chiuso. Voglio la verità, ma il governo non la può dire. Temo che il presidente Conte abbia dato l’ok di fatto su una riforma da cui l’Italia ha tutto da perdere, in cambio di una benedizione delle consorterie europee. Era l’oscuro prestanome del governo M5s-Lega, adesso come mai è diventato uno statista? Si è presentato come avvocato del popolo, non la faremo diventare il curatore fallimentare dell’Italia, la fermeremo prima. E vedremo cosa farà l’11 dicembre (quando la maggioranza sarà chiamata a votare una mozione sul Mes, ndr) Luigi Di Maio. Al M5s dico: basta con i proclami, abbaiate alla luna sui giornali e poi scodinzolate in parlamento. Per una volta alzate la testa, provate a dimostrare che la vostra poltrona vale meno dei risparmi degli italiani!».
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Il partito naviga a vista. Anche gli uomini più vicini al capo politico sono preoccupati per la tenuta del governo. Il riavvicinamento alla linea barricadera di Di Battista basterà per restare a galla?
Un uomo solo al comando. Ma in questo caso non è Fausto Coppi e c’è veramente poco di epico. Si tratta infatti di Luigi Di Maio.
Il capo politico M5s è in una condizione di crescente isolamento: addirittura i fedelissimi cominciano a manifestare un certo scetticismo sulle fughe in avanti del ministro degli Esteri. Soprattutto quando filtra l’ipotetica rottura con il Partito democratico.
I MESSAGGI DI BONAFEDE
«Non mi piace questo continuo riferimento a far saltare il governo. Noi siamo al governo per lavorare per i cittadini. Ciascuno si prende le responsabilità politiche delle proposte che porta avanti», ha scandito il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, lanciando un messaggio al Pd (contro le ipotesi di rotture definitive sulla prescrizione), affinché Di Maio intendesse.
Luigi Di Maio con il Guardasigilli Alfonso Bonafede (Getty).
In alcune situazioni, come sullo scudo penale per l’ex Ilva, il capo politico ha pubblicamente evocato la crisi. Altre volte è stata una voce del sen fuggita, e raccolta come indiscrezione, salvo poi essere smentita. Comunque un modo per inviare segnali di fumo ai suoi e agli alleati. E alimentare sospetti.
La presa di posizione di Bonafede non è passata inosservata. Il Guardasigilli è un fedelissimo del leader che ha voluto confermarlo in via Arenula durante la formazione del Conte II, sfidando le resistenze del Pd. Se uno come lui dissente dalla linea della “minaccia al governo” è una spia che si accende. Le sue affermazioni fanno da sponda alle parole del presidente della Camera, Roberto Fico, che qualche giorno fa ha invitato a far lavorare il parlamento fino al 2023. Dando una prospettiva di legislatura, l’opzione che preferisce. Un malessere simile è vissuto dal ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, grande sponsor del Conte II e considerato consigliere molto ascoltato da Di Maio.
Luigi Di Maio con Vincenzo Spadafora.
«Ho ascoltato con attenzione e sono rimasto molto affascinato dal racconto dell’astronauta Maurizio Cheli e ci ho trovato molte analogie con la politica di oggi», ha detto Spadafora il 28 novembre, come riportato dalla Dire. «Per esempio è vero che non puoi scegliere sempre con chi lavorare, che devi saper sopportare delle situazioni difficili e, come sullo Shuttle, è vero che basta premere il pulsante sbagliato per far esplodere tutto. Mi sembra un po’ la situazione in cui ci troviamo anche oggi col governo».
ALLA CAMERA IL M5S ANCORA SENZA GUIDA
Per molti ministri sembra il remake del film visto con il Conte I, quello con Matteo Salvini che minacciava un giorno sì e l’altro pure la fine dell’esecutivo. In un clima del genere anche il sottosegretario alla presidenza, Riccardo Fraccaro, appare in difficoltà. Da sempre è considerato un punto fermo del Movimento a trazione dimaiana, alfiere del taglio del numero dei parlamentari: il capo politico ha fatto di tutto pur di averlo a Palazzo Chigi, compresa la minaccia di far saltare la trattativa (già allora) per la nascita del governo. Così il sottosegretario resta prudente, fedele alla linea, annotando però il malcontento generale. A cominciare dall’insofferenza dei parlamentari: l’elezione del capogruppo alla Camera è diventata una telenovela che va avanti da ottobre, quando Francesco D’Uva ha lasciato l’incarico. L’unica certezza è che il prossimo presidente dei deputati avrà posizioni divergenti dallaleadership. Nell’ultima votazione si sono sfidati Davide Crippa e Riccardo Ricciardi, entrambi non proprio etichettabili come fedelissimi di Di Maio. Intanto c’è il concreto rischio di affrontare passaggi delicati a Montecitorio, dal dibattito sul Mes alla Legge di Bilancio, senza una guida riconosciuta.
Beppe Grillo con Luigi Di Maio in un fermo immagine tratto dal Blog delle Stelle.
DI MAIO E LA RITROVATA (E FORZATA) INTESA CON DI BATTISTA
La situazione non è tornata serena nemmeno dopo l’incontro tra Di Maio e il garante Beppe Grillo. Il faccia a faccia non ha prodotto i risultati auspicati. Appena sono finiti il video e le foto di rito, tutto è tornato in un magma indistinto. Così il ministro degli Esteri, avvertito l’isolamento politico, è stato tentato dal ritorno al passato, alla linea barricadera delle origini. In questa ottica viene letta la ritrovata intesa con Alessandro Di Battista, per cui l’alleanza con il Pd resta il male assoluto. Ed ecco che è stata sposata la strategia di attacco sulle concessioni ad Autostrade, sull’Europa matrigna, che mette sul tavolo il Mes, sulla sfida a Matteo Renzi per il caso Open e laquestione delle fondazioni.
I RIPOSIZIONAMENTI ALL’INTERNO DEL MOVIMENTO
Continui sommovimenti che preoccupano. «Da noi non esistono correnti», giurano nel M5s. Ed è una realtà: le correnti vere hanno comunque una struttura, dei punti di riferimento. In questo caso è tutto insondabile. Un esempio è il caso del senatore Gianluigi Paragone: sembrava diventato arcinemico di Di Maio, per la sua ostilità all’intesa con i dem. La rinnovata comunanza di vedute con Di Battista modifica però il posizionamento rispetto alla leadership pentastellata. Certo, esiste un’ala riconducibile a Fico, capitanata dal deputato Luigi Gallo, ma non si può definire una rete organizzata. Talvolta, specie sulla riorganizzazione del M5s, le posizioni incrociano quelle dei frondisti, gli ex ministri ed ex sottosegretari che masticano amaro per aver perso il posto al governo. Ma che a differenza di Fico non sono proprio entusiasti del governo con Pd, LeU e Italia Viva. Così diventa difficile avere una mappa chiara degli interlocutori anche per i dem.
Il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli (Ansa).
SUGGESTIONE PATUANELLI
Di Maio, nel suo essere uomo solo al comando, è inevitabilmente sotto pressione. Tanto che circolano ipotesi di una sostituzione con il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, l’uomo delle emergenze. Da capogruppo al Senato ha risposto colpo su colpo alla Lega, quando l’alleanza era agli sgoccioli, tenendo unito il gruppo. Adesso ha sul tavolo questioni scottanti, come l’ex Ilva e Alitalia, senza subire ricadute di immagine. È pur vero che Patuanelli ha bollato come «gossip» l’ipotesi della sua ascesa alla leadership. Ma non è un mistero che molti, soprattutto i parlamentari, vorrebbero affidargli una nuova emergenza. Il destino del Movimento 5 stelle.
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Il partito naviga a vista. Anche gli uomini più vicini al capo politico sono preoccupati per la tenuta del governo. Il riavvicinamento alla linea barricadera di Di Battista basterà per restare a galla?
Un uomo solo al comando. Ma in questo caso non è Fausto Coppi e c’è veramente poco di epico. Si tratta infatti di Luigi Di Maio.
Il capo politico M5s è in una condizione di crescente isolamento: addirittura i fedelissimi cominciano a manifestare un certo scetticismo sulle fughe in avanti del ministro degli Esteri. Soprattutto quando filtra l’ipotetica rottura con il Partito democratico.
I MESSAGGI DI BONAFEDE
«Non mi piace questo continuo riferimento a far saltare il governo. Noi siamo al governo per lavorare per i cittadini. Ciascuno si prende le responsabilità politiche delle proposte che porta avanti», ha scandito il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, lanciando un messaggio al Pd (contro le ipotesi di rotture definitive sulla prescrizione), affinché Di Maio intendesse.
Luigi Di Maio con il Guardasigilli Alfonso Bonafede (Getty).
In alcune situazioni, come sullo scudo penale per l’ex Ilva, il capo politico ha pubblicamente evocato la crisi. Altre volte è stata una voce del sen fuggita, e raccolta come indiscrezione, salvo poi essere smentita. Comunque un modo per inviare segnali di fumo ai suoi e agli alleati. E alimentare sospetti.
La presa di posizione di Bonafede non è passata inosservata. Il Guardasigilli è un fedelissimo del leader che ha voluto confermarlo in via Arenula durante la formazione del Conte II, sfidando le resistenze del Pd. Se uno come lui dissente dalla linea della “minaccia al governo” è una spia che si accende. Le sue affermazioni fanno da sponda alle parole del presidente della Camera, Roberto Fico, che qualche giorno fa ha invitato a far lavorare il parlamento fino al 2023. Dando una prospettiva di legislatura, l’opzione che preferisce. Un malessere simile è vissuto dal ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, grande sponsor del Conte II e considerato consigliere molto ascoltato da Di Maio.
Luigi Di Maio con Vincenzo Spadafora.
«Ho ascoltato con attenzione e sono rimasto molto affascinato dal racconto dell’astronauta Maurizio Cheli e ci ho trovato molte analogie con la politica di oggi», ha detto Spadafora il 28 novembre, come riportato dalla Dire. «Per esempio è vero che non puoi scegliere sempre con chi lavorare, che devi saper sopportare delle situazioni difficili e, come sullo Shuttle, è vero che basta premere il pulsante sbagliato per far esplodere tutto. Mi sembra un po’ la situazione in cui ci troviamo anche oggi col governo».
ALLA CAMERA IL M5S ANCORA SENZA GUIDA
Per molti ministri sembra il remake del film visto con il Conte I, quello con Matteo Salvini che minacciava un giorno sì e l’altro pure la fine dell’esecutivo. In un clima del genere anche il sottosegretario alla presidenza, Riccardo Fraccaro, appare in difficoltà. Da sempre è considerato un punto fermo del Movimento a trazione dimaiana, alfiere del taglio del numero dei parlamentari: il capo politico ha fatto di tutto pur di averlo a Palazzo Chigi, compresa la minaccia di far saltare la trattativa (già allora) per la nascita del governo. Così il sottosegretario resta prudente, fedele alla linea, annotando però il malcontento generale. A cominciare dall’insofferenza dei parlamentari: l’elezione del capogruppo alla Camera è diventata una telenovela che va avanti da ottobre, quando Francesco D’Uva ha lasciato l’incarico. L’unica certezza è che il prossimo presidente dei deputati avrà posizioni divergenti dallaleadership. Nell’ultima votazione si sono sfidati Davide Crippa e Riccardo Ricciardi, entrambi non proprio etichettabili come fedelissimi di Di Maio. Intanto c’è il concreto rischio di affrontare passaggi delicati a Montecitorio, dal dibattito sul Mes alla Legge di Bilancio, senza una guida riconosciuta.
Beppe Grillo con Luigi Di Maio in un fermo immagine tratto dal Blog delle Stelle.
DI MAIO E LA RITROVATA (E FORZATA) INTESA CON DI BATTISTA
La situazione non è tornata serena nemmeno dopo l’incontro tra Di Maio e il garante Beppe Grillo. Il faccia a faccia non ha prodotto i risultati auspicati. Appena sono finiti il video e le foto di rito, tutto è tornato in un magma indistinto. Così il ministro degli Esteri, avvertito l’isolamento politico, è stato tentato dal ritorno al passato, alla linea barricadera delle origini. In questa ottica viene letta la ritrovata intesa con Alessandro Di Battista, per cui l’alleanza con il Pd resta il male assoluto. Ed ecco che è stata sposata la strategia di attacco sulle concessioni ad Autostrade, sull’Europa matrigna, che mette sul tavolo il Mes, sulla sfida a Matteo Renzi per il caso Open e laquestione delle fondazioni.
I RIPOSIZIONAMENTI ALL’INTERNO DEL MOVIMENTO
Continui sommovimenti che preoccupano. «Da noi non esistono correnti», giurano nel M5s. Ed è una realtà: le correnti vere hanno comunque una struttura, dei punti di riferimento. In questo caso è tutto insondabile. Un esempio è il caso del senatore Gianluigi Paragone: sembrava diventato arcinemico di Di Maio, per la sua ostilità all’intesa con i dem. La rinnovata comunanza di vedute con Di Battista modifica però il posizionamento rispetto alla leadership pentastellata. Certo, esiste un’ala riconducibile a Fico, capitanata dal deputato Luigi Gallo, ma non si può definire una rete organizzata. Talvolta, specie sulla riorganizzazione del M5s, le posizioni incrociano quelle dei frondisti, gli ex ministri ed ex sottosegretari che masticano amaro per aver perso il posto al governo. Ma che a differenza di Fico non sono proprio entusiasti del governo con Pd, LeU e Italia Viva. Così diventa difficile avere una mappa chiara degli interlocutori anche per i dem.
Il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli (Ansa).
SUGGESTIONE PATUANELLI
Di Maio, nel suo essere uomo solo al comando, è inevitabilmente sotto pressione. Tanto che circolano ipotesi di una sostituzione con il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, l’uomo delle emergenze. Da capogruppo al Senato ha risposto colpo su colpo alla Lega, quando l’alleanza era agli sgoccioli, tenendo unito il gruppo. Adesso ha sul tavolo questioni scottanti, come l’ex Ilva e Alitalia, senza subire ricadute di immagine. È pur vero che Patuanelli ha bollato come «gossip» l’ipotesi della sua ascesa alla leadership. Ma non è un mistero che molti, soprattutto i parlamentari, vorrebbero affidargli una nuova emergenza. Il destino del Movimento 5 stelle.
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La diplomazia della Santa Sede sostiene l’approccio multilaterale alle crisi internazionali. E appoggia l’azione di organismi intergovernativi come le Nazioni Unite. Ora in crisi a causa del sovranismo dilagante.
La diplomazia della Santa Sede sostiene l’approccio multilaterale alle crisi internazionali e appoggia di conseguenza l’azione degli organismi intergovernativi come le Nazioni Unite.
L’IMPASSE DEGLI ORGANISMI INTERGOVERNATIVI
Se questi ultimi vivono da tempo una stagione di impasse è dovuto a vari fattori fra i quali ha un peso significativo l’idea, oggi diffusa, che gli interessi particolari, nazionali, debbano e possano prevalere anche al di fuori del principio di collaborazione fra nazioni e governi. Si tratta, tuttavia, di una prospettiva illusoria, fondata su una sorta di “ego del nazionalismo” che non contribuisce né alla tutela degli interessi specifici né, tanto meno, alla soluzione dei problemi di carattere globale che riguardano il Pianeta a cominciare dalla ricerca di soluzioni pacifiche ai conflitti.
LA DIPLOMAZIA VATICANA CONTRO I NAZIONALISMI
Il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha chiarito in una lectio magistralis tenuta nei giorni scorsi in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica a Roma, in quale prospettiva operi la diplomazia vaticana. Parolin, ha quindi riaffermato come l’azione della Santa Sede, anche sul piano degli strumenti della politica internazionale, delle sue finalità, della sua ispirazione cristiana, sia profondamente in contrasto con le opzioni nazionalistiche oggi spesso prevalenti che divergono profondamente, per metodo e per scala di valori, da quanto propone la Chiesa sul piano diplomatico a livello globale.
D’altro canto, basta ricordare, a conferma delle affermazioni del Segretario di Stato, che non sono stati pochi i motivi di dissidio fra la Santa Sede e alcuni degli slogan e dei protagonisti della scena mondiale. A cominciare dall’America first di Donald Trump il quale entrava in contrasto sia con i partner europei che con la nuova superpotenza economica cinese, mentre cercava di ampliare il proprio consenso interno attaccando le minoranze etniche e i migranti; non vanno poi dimenticate le accuse di ingerenza rivolte dal presidente brasilianoJair Bolsonaro a quanti – compreso il papa – chiedono la salvaguardia della foresta amazzonicaquale bene comune dell’umanità la cui distruzione ha ricadute ambientali che vanno ben oltre i confini del Brasile.
Il presidente del Brasile Jair Bolsonaro. (Getty)
Ma di fatto in questa problematica rientra – e forse si colloca al primo posto per importanza e gravità – il lungo e distruttivo conflitto siriano in cui la Santa Sede ha più volte denunciato il prevalere degli interessi di superpotenze regionali o globali su quelli di una popolazione civile straziata dal conflitto (si parla nel caso specifico di guerra combattuta da gruppi e milizie “per procura”).
Anche i movimenti nazionalisti che percorrono l’Europa in questi anni sono osservati con allarme dalla Santa Sede per la carica di odio che tendono a scatenare contro le minoranze, come ha ricordato il papa lo scorso 15 novembre quando ha pure affermato: «Vi confesso che quando sento qualche discorso, qualche responsabile dell’ordine o del governo, mi vengono in mente i discorsi di Hiltler nel ’34 e nel ’36». Per questo il primo obiettivo della diplomazia vaticana è quello di lavorare per la pace, la concordia e il dialogo fra le nazioni.
LE SFIDE DELL’ERA POST-GLOBALIZZAZIONE
Tanto più che il mondo nel quale oggi si muovono i diplomatici della Santa Sede non è più quello di una «comunità di genti cristiane» in cui al papa spettava il compito di costruire la pace «fra i principi cristiani», ma una realtà plurale e assai diversificata al suo interno per culture, tradizioni, religioni. Il compito dei nunzi e dei diplomatici del papa, allora, è quello di lavorare per il bene comune di ogni Paese nel quale ci si trova ad agire, mentre sul piano generale deve prevalere il principio di far progredire l’intera famiglia umana. Concetto che oggi non gode di grande popolarità.
Il segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin (Ansa).
Se infatti nella globalizzazione, ha spiegato il cardinale Parolin, l’importante per i singoli Stati era di non restare esclusi, «nella realtà post-globale in cui siamo immersi, il primo pensiero è proteggersi, chiudersi rispetto a quanto ci circonda poiché ritenuto fonte di pericolo o di contaminazione per idee, culture, visioni religiose, processi economici». D’altro canto, nell’attuale deriva in cui prevalgono gli isolazionismi o le visioni particolaristiche, i muri e i confini chiusi, secondo il Segretario di Stato vaticano, i protagonisti della politica internazionale appaiono spesso rassegnati rispetto al susseguirsi di crisi, violenze contro innocenti, violazioni di diritti fondamentali.
La diplomazia, a sua volta, ha le armi spuntate, è diventata impotente di fronte ai numerosi conflitti in atto, alla circolazione indiscriminata delle armi, al ricorso alla violenza terroristica o a impossibili condizioni di sopravvivenza di popoli e Paesi. Da qui la necessità e l’urgenza di tornare al multilateralismo quale strada maestra per scongiurare e guerre e contrapposizioni fratricide, aprire strade negoziali ovunque sia possibile, favorire la cooperazione e la riconciliazione fra le nazioni.
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La diplomazia della Santa Sede sostiene l’approccio multilaterale alle crisi internazionali. E appoggia l’azione di organismi intergovernativi come le Nazioni Unite. Ora in crisi a causa del sovranismo dilagante.
La diplomazia della Santa Sede sostiene l’approccio multilaterale alle crisi internazionali e appoggia di conseguenza l’azione degli organismi intergovernativi come le Nazioni Unite.
L’IMPASSE DEGLI ORGANISMI INTERGOVERNATIVI
Se questi ultimi vivono da tempo una stagione di impasse è dovuto a vari fattori fra i quali ha un peso significativo l’idea, oggi diffusa, che gli interessi particolari, nazionali, debbano e possano prevalere anche al di fuori del principio di collaborazione fra nazioni e governi. Si tratta, tuttavia, di una prospettiva illusoria, fondata su una sorta di “ego del nazionalismo” che non contribuisce né alla tutela degli interessi specifici né, tanto meno, alla soluzione dei problemi di carattere globale che riguardano il Pianeta a cominciare dalla ricerca di soluzioni pacifiche ai conflitti.
LA DIPLOMAZIA VATICANA CONTRO I NAZIONALISMI
Il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha chiarito in una lectio magistralis tenuta nei giorni scorsi in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica a Roma, in quale prospettiva operi la diplomazia vaticana. Parolin, ha quindi riaffermato come l’azione della Santa Sede, anche sul piano degli strumenti della politica internazionale, delle sue finalità, della sua ispirazione cristiana, sia profondamente in contrasto con le opzioni nazionalistiche oggi spesso prevalenti che divergono profondamente, per metodo e per scala di valori, da quanto propone la Chiesa sul piano diplomatico a livello globale.
D’altro canto, basta ricordare, a conferma delle affermazioni del Segretario di Stato, che non sono stati pochi i motivi di dissidio fra la Santa Sede e alcuni degli slogan e dei protagonisti della scena mondiale. A cominciare dall’America first di Donald Trump il quale entrava in contrasto sia con i partner europei che con la nuova superpotenza economica cinese, mentre cercava di ampliare il proprio consenso interno attaccando le minoranze etniche e i migranti; non vanno poi dimenticate le accuse di ingerenza rivolte dal presidente brasilianoJair Bolsonaro a quanti – compreso il papa – chiedono la salvaguardia della foresta amazzonicaquale bene comune dell’umanità la cui distruzione ha ricadute ambientali che vanno ben oltre i confini del Brasile.
Il presidente del Brasile Jair Bolsonaro. (Getty)
Ma di fatto in questa problematica rientra – e forse si colloca al primo posto per importanza e gravità – il lungo e distruttivo conflitto siriano in cui la Santa Sede ha più volte denunciato il prevalere degli interessi di superpotenze regionali o globali su quelli di una popolazione civile straziata dal conflitto (si parla nel caso specifico di guerra combattuta da gruppi e milizie “per procura”).
Anche i movimenti nazionalisti che percorrono l’Europa in questi anni sono osservati con allarme dalla Santa Sede per la carica di odio che tendono a scatenare contro le minoranze, come ha ricordato il papa lo scorso 15 novembre quando ha pure affermato: «Vi confesso che quando sento qualche discorso, qualche responsabile dell’ordine o del governo, mi vengono in mente i discorsi di Hiltler nel ’34 e nel ’36». Per questo il primo obiettivo della diplomazia vaticana è quello di lavorare per la pace, la concordia e il dialogo fra le nazioni.
LE SFIDE DELL’ERA POST-GLOBALIZZAZIONE
Tanto più che il mondo nel quale oggi si muovono i diplomatici della Santa Sede non è più quello di una «comunità di genti cristiane» in cui al papa spettava il compito di costruire la pace «fra i principi cristiani», ma una realtà plurale e assai diversificata al suo interno per culture, tradizioni, religioni. Il compito dei nunzi e dei diplomatici del papa, allora, è quello di lavorare per il bene comune di ogni Paese nel quale ci si trova ad agire, mentre sul piano generale deve prevalere il principio di far progredire l’intera famiglia umana. Concetto che oggi non gode di grande popolarità.
Il segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin (Ansa).
Se infatti nella globalizzazione, ha spiegato il cardinale Parolin, l’importante per i singoli Stati era di non restare esclusi, «nella realtà post-globale in cui siamo immersi, il primo pensiero è proteggersi, chiudersi rispetto a quanto ci circonda poiché ritenuto fonte di pericolo o di contaminazione per idee, culture, visioni religiose, processi economici». D’altro canto, nell’attuale deriva in cui prevalgono gli isolazionismi o le visioni particolaristiche, i muri e i confini chiusi, secondo il Segretario di Stato vaticano, i protagonisti della politica internazionale appaiono spesso rassegnati rispetto al susseguirsi di crisi, violenze contro innocenti, violazioni di diritti fondamentali.
La diplomazia, a sua volta, ha le armi spuntate, è diventata impotente di fronte ai numerosi conflitti in atto, alla circolazione indiscriminata delle armi, al ricorso alla violenza terroristica o a impossibili condizioni di sopravvivenza di popoli e Paesi. Da qui la necessità e l’urgenza di tornare al multilateralismo quale strada maestra per scongiurare e guerre e contrapposizioni fratricide, aprire strade negoziali ovunque sia possibile, favorire la cooperazione e la riconciliazione fra le nazioni.
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Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres: «Agire nella speranza di un mondo migliore oppure capitolare».
«Agire nella speranza di un mondo migliore oppure capitolare». Si è aperta così, con il discorso del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, la Cop25 di Madrid, la conferenza sul clima cui partecipano le delegazioni dei Paesi firmatari degli Accordi di Parigi del 2015.
L’umanità si trova davanti a un bivio e Guterres ha chiesto ai rappresentanti dei vari governi se vogliono davvero essere ricordati come «la generazione che ha messo la testa sotto la sabbia, che si gingillava mentre il pianeta bruciava».
Il segretario generale delle Nazioni unite ha continuato affermando che i nuovi dati mostrano che i gas serra hanno raggiunto livelli record e che non c’è altro tempo da perdere, aggiungendo che se non si agisce subito contro il carbone «tutti i nostri sforzi per combattere i cambiamenti climatici sono destinati al fallimento».
Guterres ha quindi esortato in particolare i grandi Paesi inquinatori a intensificare i loro sforzi. Altrimenti «l’impatto su tutte le forme di vita del pianeta, compresa la nostra, sarà catastrofico».
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I due leader tengono a battesimo la pipeline. Costruita da Gazprom, fornirà alla Cina 38 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Il progetto.
Il presidente russo Vladimir Putin e l’omologo cinese Xi Jinping, in video collegamento rispettivamente da Sochi e da Pechino, hanno tenuto a battesimo il lancio del gasdotto ‘Forza della Siberia’, costruito da Gazprom, che fornirà alla Cina, a regime, 38 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Il contratto fu firmato nel 2014 sull’onda della crisi ucraina e del grande gelo fra Russia e Occidente. «Il rapporto energetico fra Russia e Cina raggiunge un altro livello», ha detto Putin dando il via alle forniture.
BOCCHE CUCITE SUL PREZZO DI FORNITURA DEL GAS
Il gasdotto, lungo 3 mila chilometri, trasporterà il gas dai centri di produzione di Irkutsk e Yakutia ai consumatori dell’Estremo Oriente russo e quindi in Cina, attraverso la rotta orientale. Il prezzo di fornitura del gas è uno dei segreti di Stato più inaccessibili della Russia di Putin ma, stando a indiscrezioni pubblicate da alcuni media, varrà circa 400 miliardi di dollari nell’arco dei prossimi 30 anni. Alla cerimonia di lancio del gasdotto ha partecipato anche l’amministratore delegato di Gazprom Alexei Miller, che si trovava presso la città di confine fra Russia e Cina Blagoveshchensk, dove è dislocata una stazione di pompaggio del gasdotto.
XI JINPING: «UNA NUOVA FASE DELLA NOSTRA COOPERAZIONE»
«Quest’anno celebriamo i 70 anni da quando sono stati stabiliti i legami diplomatici tra Russia e Cina e iniziamo le forniture alla Cina», ha affermato Putin. «Questo passaggio porta il partenariato strategico russo-cinese nel settore energetico a un livello completamente nuovo e ci avvicina all’obiettivo di un interscambio commerciale di 200 miliardi di dollari entro il 2024», ha rimarcato Putin. «Lo sviluppo delle relazioni russo-cinesi è e rimarrà una traiettoria prioritaria nella politica estera di ciascuno dei nostri Paesi», ha detto Xi Jinping, sottolineando come l’entrata in servizio del gasdotto sia «un importante risultato intermedio e l’inizio di una nuova fase della nostra cooperazione».
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Al siderurgico legata anche la crisi dell’auto. Per i dazi di Trump, la concorrenza dalla Cina e la conversione green dell’Ue. Il cuore della Ruhr è malato: migliaia di cassintegrati agli altiforni.
Anche i grandi soffrono. La crisi dell’acciaio mette a rischio migliaia di posti di lavoro, anche in Germania, soprattutto nei bacini siderurgici della Saarland e della Ruhr contesi nella Prima guerra mondiale per le risorse minerarie e per le industrie pesanti. Ma il cuore europeo delle acciaierie soffre di una «pressione immensa» allertano i vertici dei metalmeccanici (Ig Metall) del Nord Reno-Vestfalia. Le condizioni di mercato, per diversi fattori concomitanti, sono reputate «molto difficili» anche dai vertici del gruppo Nirosta che entro la fine del 2021 programma di abbattere 373 posti di lavoro, in primo luogo negli stabilimenti della Saarland. Nel 2012 Thyssenkrupp cedette il ramo Nirosta ai finlandesi di Outokumpu, che evidentemente non ritengono più redditizio produrre in Germania. Ma non è una questione di stranieri: anche Dillinger e il gruppo Saarstahl, aziende con secoli di storia nel Land, hanno annunciato 1500 esuberi in tre anni.
MENO 4% DI PRODUZIONE DI ACCIAIO
Monta aria di smantellamento tra gli altiforni tedeschi: un comparto di 80 mila addetti siderurgici, 22 mila dei quali nella Saarland, 45 mila in Nord Reno-Vestfalia, diverse altre migliaia in Land come l’Assia. Le acciaierie più grandi reggeranno, ma cambiando radicalmente impianti e lavorazioni. Al costo di miliardi di euro di riconversione e di migliaia di posti di lavoro persi. Nel 2019 in Germania si è prodotto il 4% dell’acciaio in meno dello stesso del 2018. E da settembre parte dei lavoratori della Saarstahl sono in cassa integrazione, come da marzo in Assia alla Buderus Edelstahl che ha cancellato 150 posti di lavoro. Il comparto non migliorerà nel 2020: per l’anno fiscale da settembre 2019 a settembre 2020, l’ammiraglia Thyssenkrupp ha preannunciato una perdita netta«significativamente più elevata», considerato che il bilancio di quest’anno si è chiuso con 304 milioni di euro di perdita netta, rispetto ai 62 milioni del 2018.
Il monumento alle miniere della Saarland. GETTY.
DALLA SIDERURGIA IL 6% DI EMISSIONI CO2
Così per il 3 dicembre è annunciata in Nord Reno-Westfalia una mobilitazione dei lavoratori di Thyssenkrupp. Contro il «circolo vizioso», dicono, che si trascina dietro anche la grave crisi dell’auto. La tagliola dei dazi di Donald Trump sull’acciaio dall’Ue (con la minaccia di dazi ancora più pesanti sulle auto, e ogni auto ha circa un quintale di acciaio) ha aggravato la contrazione. Già in atto a causa dell’import di acciaio a basso costo – soprattutto dalla Cina -, e del processo di automazione anche nell’industria pesante. Non ultimo, grava l’adeguamento agli obiettivi dell’Ue di emissioni zero e di decarbonizzazione entro il 2050 dell’Ue: alla lunga, l’onere più grande per la siderurgia che da sola in Germania causa il 6% delle emissioni Co2 (il 2,5% gli altiforni di Duisburg, nella Ruhr).Angela Merkel ci punta molto: ha appena approvato un piano per il clima di 100 miliardi entro il 2030, che se da un lato dà incentivi anche alle acciaierie per pulirsi, dall’altro ne uccide il comparto e gli indotti.
Per diventare a emissioni zero Thyssenkrupp stima una spesa di 10 miliardi di euro, anche nella ricerca
PRODURRE ACCIAIO GREEN COSTA MOLTO
Thyssenkrupp è il primo della branca a cavalcare la rivoluzione green lanciata dall’ultimo governo della cancelliera: entro il 2050 il gruppo intende dichiararsi clima neutrale. Ma per ridurre a zero l’impatto delle emissioni nocive per l’ambiente, nel siderurgico bisogna sostituire tutti gli altiforni a carbone con altiforni a idrogeno, facendoli lavorare con fonti di energia rinnovabili. Il colosso di Essen stima una spesa di 10 miliardi di euro, anche nella ricerca, per la trasformazione: senza aiuti statali impossibile anche per multinazionali del suo calibro. Tanto più che per Paesi come la Germania attingere dal solare per smantellare le centrali a carbone è più difficile e costoso. Produrre acciaio internamente resterà poi sempre oneroso anche per il costo del lavoro, più alto che negli stabilimenti in Cina sempre più grandi e numerosi. E come se non bastasse nel 2019 si è arrivati a un surplus di acciaio nel mondo, anche per il calo di produzione delle auto a causa delle minori richieste.
Le scorie durante la produzione dell’acciaio Thyssen negli altiforni di Duisburg. GETTY.
ANCHE LE TUTE BLU DELL’AUTO IN SCIOPERO
La Saarland è pronta a diventare una «regione modello per la produzione di acciaio a emissioni zero». Ma il governo locale guidato dalla Cdu di Merkel chiede che una «protezione del settore a livello nazionale», anche attraverso un pressing nell’Ue per una riesame delle clausole di salvaguardia a freno delle importazioni di acciaio a basso costo. L’agitazione cresce anche nel settore dell’auto: a novembre a Stoccarda, nella capitale tedesca dell’auto, hanno dimostrato in 15 mila dai colossi Daimler, Audi, Bosch e dagli altri gruppi dell’indotto. Ig Metall stima piani di ristrutturazione per 160 aziende del ramo, solo nel Baden-Württemberg: il governo (Verdi e Cdu) del Land – ricco ma legato all’export di auto – ha convocato a settembre i rappresentanti di categoria e il governo. Anche per ridiscutere i parametri della cassa integrazione e per chiedere aiuto al ministero del Lavoro. E se si ferma l’indotto tedesco dell’auto e dell’acciaio, si blocca anche l’indotto italiano.
PIÙ TASSE E MENO AUTO E ACCIAIO. ANCHE IN ITALIA
Tutte le case automobilistiche investono massicciamente in auto elettriche e a guida autonoma. Il contraltare, come nel siderurgico, è tagliare il costo del lavoro in stabilimenti dove gli operai sono sostituiti da robot. D’altronde i 100 miliardi della Grande coalizione vanno in premi all’acquisto di veicoli elettrici, in riduzioni nei biglietti dei mezzi pubblici meno inquinanti come i treni, e in investimenti per spingere l’energia da fonti rinnovabili, che in Germania sono soprattutto parchi eolici. Tutte spese finanziate dai rincari alle tariffe per le emissioni Co2 nei trasporti e nell’edilizia (per i quali saranno introdotte certificazioni) e dagli aumenti sul consumo di benzina e diesel. Mentre ai costruttori si impongono quote obbligatorie di auto elettriche e sul territorio si piantano stazioni di ricarica. Tempi più verdi, ma molto più grigi per l’industria pesante tedesca che produrrà magari dell’acciaio più pulito. Ma che di sicuro produrrà meno acciaio.
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"Quando a fine agosto venne inaugurata nella Casa delle Muse la mostra a lui dedicata nell’ambito delle iniziative promosso dal circuito Acamm, l’artista libanese Assadour, di origini armene e trapiantato a Parigi, non riuscì a raggiungere Montemurro, ma promise di farlo.
A questo paese – spiega una nota della Fondazione Sinisgalli – lo legava l’amicizia con Leonardo Sinisgalli, conosciuto insieme a Libero de Libero nel 1968 a Roma e frequentato fino al 1980. In omaggio a questa amicizia, si scelse di portare nella Casa delle Muse una retrospettiva con 51 pezzi fra suoi dipinti, acquerelli, disegni, opere grafiche, libri d’artista, documenti del periodo 1967-2013, curata da Federico De Melis.
La promessa di Assadour è stata mantenuta e così, martedì 3 dicembre alle ore 18:00, per la Fondazione Leonardo Sinisgalli sarà un onore accogliere uno di maggiori artisti contemporanei nella Casa delle Muse, fra le sue opere e quelle dell’amico Sinisgalli.
A dare il benvenuto all’artista saranno il Presidente della Fondazione Sinisgalli, Mario Di Sanzo, il Sindaco di Montemurro, Senatro Di Leo, il giornalista e poeta Mario Trufelli, e il Direttore, Biagio Russo.
Nel corso dell’incontro verrà proiettata un’intervista che Mario Trufelli fece ad Assadour a Matera nel 1995".
Si chiama Emanuele Castrucci, insegna Filosofia del diritto e sostiene che il Führer abbia «difeso l’intera civiltà europea». L’ateneo prima bolla le sue parole come opinioni personali, poi annuncia provvedimenti.
Un tweet pro Hitler pubblicato sul proprio profilo social. Il protagonista è un docente dell’università di Siena, il professor Emanuele Castrucci, che nell’ateneo toscano insegna Filosofia del diritto. «Vi hanno detto che sono stato un mostro per non farvi sapere che ho combattuto contro i veri mostri che oggi vi governano dominando il mondo», si legge in un tweet accompagnato da una foto di Adolf Hitler. Sempre sul suo profilo il docente aggiunge: «Hitler, anche se non era certamente un santo, in quel momento difendeva l’intera civiltà europea».
Vi hanno detto che sono stato un mostro per non farvi sapere che ho combattuto contro i veri mostri che oggi vi governano dominando il mondo. pic.twitter.com/R3noH2Glbh
Le parole di Castrucci sono state segnalate da alcuni utenti, tra cui il giornalista del Foglio Luciano Capone. Commenti critici si sono levati anche per la iniziale presa di posizione, ritenuta troppo lieve, del rettore di Siena Francesco Frati. «Il professor Castrucci scrive a titolo personale e se ne assume la responsabilità», è stata la replica del rettore a un tweet del giornalista di Sky Marco Congiu. «L’università di Siena, come dimostrato in molteplici occasioni, è dichiaratamente anti-fascista e rifugge qualsiasi forma di revisionismo storico nei confronti del nazismo».
Caro @marcocongiu, il Prof. Castrucci scrive a titolo personale e se assume la responsabilità. L’Università di Siena, come dimostrato in molteplici occasioni, è dichiaratamente anti-fascista e rifugge qualsiasi forma di revisionismo storico nei confronti del nazismo. https://t.co/1Aejt0CNPZ
I toni dell’università e del suo rettore si sono fatti più duri in un comunicato arrivato a stretto giro, in cui Frati ha condannato «con fermezza» le parole del docente: « Le vergognose esternazioni del prof. Castrucci offendono la sensibilità dell’intero Ateneo; ho già dato mandato agli uffici di attivare provvedimenti adeguati alla gravità del caso».
Il Rettore condanna con fermezza i contenuti filo-nazisti del post pubblicati Prof. Castrucci. "Le vergognose esternazioni del Prof. Castrucci offendono la sensibilità dell'intero Ateneo; ho già dato mandato agli uffici di attivare provvedimenti adeguati alla gravità del caso". pic.twitter.com/y9gXCHc5nw
Sulla questione è intervenuta anche la vice ministra dell’Istruzione Anna Ascani in un post su Facebook: «Davvero inquietante che un professore si abbandoni ad espressioni di esaltazione del nazismo e dell’antisemitismo. Nella scuola e nell’università italiana non può esserci spazio per simili inaccettabili espressioni. La scuola e l’università sono infatti da sempre fortemente legati ai valori della Costituzione che, lo ricordiamo, è anti-fascista».
Il professore si vergogni e chieda scusa
Anna Ascani, vice ministra dell’Istruzione
E ancora: «Simili aberranti esternazioni, non solo sono lesive dei valori educativi che ispirano la scuola e l’università, ma non possono e non devono ricevere legittimazione nel nostro Paese da parte di nessuno, tanto meno di un professore. La scuola e l’università condannano da sempre il nazismo e l’antisemitismo in tutte le sue forme. Il professore si vergogni e chieda scusa».
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Fino all’ultimo alcuni dei suoi manager hanno cercato di fargli cambiare idea. Ma non c’è stato niente da fare. E alla fine la lettera ai giornali in cui il patron del gruppo ha scaricato i vertici di Autostrade si è rivelata un enorme boomerang.
Fino all’ultimo alcuni dei suoi manager hanno cercato di fargli cambiare idea. «Aspettiamo, facciamolo più avanti», era l’argomento usato nel tentativo di dissuadere Luciano Benetton dal mandare ai giornali la letterapubblicata domenica primo dicembre in cui, prendendo le distanze dal management di Autostrade, denunciava una campagna di odio nei confronti della sua famiglia dopo i fatti del Ponte Morandi.
OLIVIERO TOSCANI, ASCOLTATISSIMO CONSIGLIERE
Ma è stato inutile. Il leader del gruppo non ha voluto sentire ragione. O meglio, ha dato ragione a quanti lo avevano incitato a prendere carta e penna. In primis Oliviero Toscani, l’artefice negli Anni 80 di famose e innovative campagne pubblicitarie che da quando Luciano ha ripreso le redini della United Colors è riapparso al suo fianco e gli fa da ascoltatissimo consigliere; la compagna Laura Pollini, e il figlio Alessandro.
UNA LETTERA TRASFORMATA IN BOOMERANG
Ma appena diffusa e ripresa dai giornali, quella lettera si è rivelata un boomerang come pochi. E il tentativo di scaricare su Castellucci,Cerchiai e gli altri top manager la totale responsabilità di quanto accaduto con la tragedia di Genova, con le pesanti negligenze di Autostrade che stanno emergendo dalleindagini della magistratura, salvaguardando l’azionista, ha avuto l’effetto contrario. In molti domenica nell’aprire i quotidiani si sono domandati come la famiglia potesse non sapere. Edizione, la holding che controlla Atlantia, nomina 12 consiglieri su 15, designa il presidente Fabio Cerchiai, che gode di stock option come tutti i manager di prima linea, e anche molti dei dirigenti più importanti hanno una carriera passata nelle aziende del gruppo di Ponzano. Forse Luciano se ne è sempre occupato poco, impegnato com’era a far tornare i conti della Benetton in rosso da anni. O forse ha voluto implicitamente addossare al fratello Gilberto, deceduto circa un anno fa e da sempre responsabile della diversificazione del business di Ponzano, il mancato controllo del lavoro dei manager?
L’IRRITAZIONE DELLA POLITICA
L’iniziativa ha destato subito sconcerto, perché non opportuna nei contenuti e nella tempistica. Ha fatto arrabbiare la politica, al punto da togliere argomenti al Pd, unica sponda che era rimasta al gruppo di Treviso per tentare di attenuare l’ostracismo dei 5 stelle che vogliono revocare le concessioni. Ed è suonata come uno schiaffo ai manager e dirigenti di Atlantia e Aspi, che tolto Castellucci sono per la gran parte gli stessi, che si sono sentiti accusati e non difesi. Il tutto a circa un mese dall’altra lettera del gruppo al governo nella quale chiedeva di mettere una pietra tombale sul tema concessione in cambio dell’impegno del gruppo su Alitalia. Anche allora la reazione politica fu dura al punto che anche la moderata Paola De Micheli, ministro Pd delle Infrastrutture, era intervenuta appoggiando la linea dura del M5s.
Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere.
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Per cinque secoli il disegno ha nascosto un inganno: è stato realizzato per dare forma in modo criptato alla formula aritmetica e geometrica della divina proporzione, che le botteghe tramandavano solo fra di loro. La scoperta di Roberto Concas.
Trent’anni di riflessione, sette di ricerche per capire che l’Uomo Vitruviano di Leonardo è l’immagine dell’algoritmo segreto che gli artisti hanno usato dal IV al XVIII Secolo per ”certificare” le proprie opere come ispirate dalla divina proporzione.
In altre parole, per cinque secoli il celebre disegno ha nascosto un inganno. È stato realizzato per dare forma in modo criptato alla formula aritmetica e geometrica che le botteghe usavano e tramandavano solo fra di loro, in osservanza dei parametri imposti dalla Chiesa.
Sono queste le conclusioni cui è giunta la ricerca di Roberto Concas, storico dell’arte già direttore dei Musei Nazionali di Cagliari. Il suo lavoro, anticipato in esclusiva all’agenzia di stampa Ansa, sarà oggetto di due volumi editi da Giunti e di una grande mostra che avrà luogo a Cagliari a maggio del 2020, organizzata dal Polo Museale Statale della Sardegna. Tutto con il titolo ”L’inganno dell’Uomo Vitruviano. L’algoritmo della divina proporzione”.
IL DISEGNO VA GUARDATO ALLO SPECCHIO
Ma non finisce qui. Concas si è infatti accorto che il disegno realizzato da Leonardo nel 1490 in realtà contiene due uomini in due diverse età della vita – forse addirittura tre – e va guardato allo specchio per riportare alla luce l’immagine vera del disegno e dare un senso a quelli che finora erano considerati dei semplici errori.
LA GENESI DELLA SCOPERTA DI CONCAS
Concas ha spiegato così la genesi della sua scoperta: «Tutto è iniziato dalle domande che mi sono posto sui Retabli della Sardegna, le caratteristiche pale d’altare. “Perché, mi chiedevo, hanno questa forma particolare a tre?”. Non c’erano risposte. Ho cercato per 30 anni. Poi a un certo punto trovo l’algoritmo che mi fa capire quale sia la parte centrale e quale quella laterale. Ma era solo l’inizio. Nel 2012, guardando il disegno dell’Uomo Vitruviano, noto una proporzione simile nella riga sotto: due parti più piccole, una centrale più grande. È faticoso spiegarlo, ma è stato come aprire una scatola dopo l’altra, ogni soluzione me ne apriva tre insieme, una casistica. Ho iniziato a capire che il disegno contiene due volti. L’occhio destro è di un uomo maturo,quello a sinistra di un volto più giovane. Mi è venuta un’intuizione. Leonardo ha sempre scritto a sinistra e ha imparato usando lo specchio. Anche qui usa lo specchio per ricostruire la figura completa. E le misure mi hanno dato ragione».
PERCHÉ LE MISURE DELLE BRACCIA SONO DIVERSE
Quindi due uomini, e con lo specchio si vede bene, di età diversa, ma disegnati per rappresentare quella che il frate matematico Luca Pacioli definiva come la scienza segretissima della divina proporzione. Un sistema d’insieme «rilevabile con misure micrometriche, regole della geometria piana, calcoli aritmetici e infine con l’uso di una banalissimo specchio», prosegue Concas. Ad esempio «le misure delle braccia, che sono diverse, vengono dal concetto di un numero generatore, 225,5 e 180,5. Facendo sottrazioni o divisioni si ottengono tutte le misure esatte delle due braccia».
LA REGOLA CHE NON DOVEVA ANDARE PERDUTA
Leonardo «temeva che potesse perdersi per stradaquella regola che era stata usata da architetti, artisti, letterati e poeti. Usata per la prima volta nell’Arco di Costantino, nel 315-325 dopo Cristo. Ma anche nella Pietà di Michelangelo e ovviamente nella Gioconda. Erano regole semplici in fondo, come quelle del gioco del calcio, 17 regole semplici. Così anche Raffaello faceva capolavori stando nelle regole. L’algoritmo, dal IV secolo fino al XVIII, serviva a diffondere e difendere le corporazioni. Per essere riconoscibili e certificarsi non bastava disegnare una Madonna, andava fatto secondo le regole segrete, che in modo semplificato si potrebbero definire della doppia spirale, che ha un significato filosofico molto antico». Se Leonardo avesse svelato che L’Uomo Vitruviano conteneva questo segreto, racconta ancora Concas, «lo avrebbero messo al rogo». Un mistero smarrito «quando con l’Illuminismo ha avuto termine il potere della Chiesa e il laicismo ha preso spazio. Ma se ci guardiamo intorno ne troviamo tracce, finora a noi incomprensibili, ovunque».
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Il governo potrebbe vararlo già nel Consiglio dei ministri del 2 dicembre. In 40 anni lo Stato ha speso 10 miliardi per tenere in piedi l’ex compagnia di bandiera.
Un decreto ad hoc per sbloccare il nuovo prestito da 400 milioni per Alitalia. Il governo potrebbe vararlo già nel Consiglio dei ministri del 2 dicembre. O, al più tardi, giovedì 5. L’obiettivo è consentire ai commissari l’utilizzo della nuova liquidità (stanziata col decreto fiscale) anche se non è stata ancora finalizzata la cordata per la cessione della ex compagnia di bandiera. Il prestito non dovrebbe però essere aumentato ma dovrebbe rimanere di 400 milioni.
Quando faremo pagare con il proprio patrimonio un po’ di ad che hanno utilizzato Alitalia come bancomat?
Luigi Di Maio
«Su Alitalia siamo tutti d’accordo che vada fatta una norma che permetta alla struttura commissariale di utilizzare il prestito ponte», ha dichiarato il leader del Movimento 5 stelle e ministro degli Esteri Luigi Di Maio, nella notte del 2 dicembre uscendo da Palazzo Chigi. «Tutti siamo d’accordo che dobbiamo dare una chance a questa compagnia ma è arrivato il momento anche di fare un’azione di responsabilità sugli amministratori. Quando è che decideremo con un’azione di responsabilità chi è che ha causato i danni ad Alitalia e facciamo pagare con il proprio patrimonio un po’ di ad che l’hanno utilizzata come bancomat?».
L’INDAGINE IN CORSO DELL’UNIONE EUROPEA
La nuova iniezione di capitali è necessaria per tenere in vita la compagnia visto che non è stato possibile trovare un acquirente sul mercato, nonostante le sette proroghe dei termini per presentare un’offerta. Dei 900 milioni del primo prestito ponte, sul quale l’indagine della Ue è ancora in corso, sono rimasti nelle casse di Alitalia al 31 ottobre solo 315 milioni. La compagnia perde circa 1 milione di euro al giorno. Il nuovo prestito deve essere rifinalizzato perché, come ha spiegato lo stesso ministro dello Sviluppo, Stefano Patuanelli, la cordata con Fs-Delta e Atlantia non c’è più. Su quest’altro prestito, la commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, ha fatto già sapere che «la Commissione è in contatto con le autorità italiane».
LO STATO HA SPESO 10 MILIARDI PER TENERE IN PIEDI ALITALIA
Alitalia continuerà quindi a volare con soldi pubblici in amministrazione straordinaria, come sta facendo dall’aprile del 2017 quando Etihad staccò la spina e i lavoratori bocciarono successivamente in un referendum un piano di ricapitalizzazione da 2 miliardi di euro e con circa 1.000 esuberi. Secondo le stime, la somma spesa dallo Stato negli ultimi 40 anni per tenere in piedi l’ex compagnia di bandiera è salita a circa 10 miliardi di euro.
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