La Cina “scopre” le patate: è boom di ricette

Tradizionalmente assente nella cucina tradizionale, l’ingrediente è sempre più presente nei piatti del Celeste impero.

Pur non essendo un ingrediente di base della cucina cinese, le patate si stanno tuttavia diffondendo grazie anche ai ricercatori che hanno trovato il modo di utilizzarle in oltre 300 ricette tradizionali come nel pane al vapore e i noodles. La Cina ha la più ampia superficie al mondo dedicata alla coltivazione e alla produzione di patate. Queste però non si adattano alle abitudini alimentari e ai gusti dei cinesi come ingrediente di base, dal momento che non contengono le proteine del glutine e hanno una scarsa duttilità.

LA RICERCA PER INSERIRE LE PATATE NEI PIATTI TRADIZIONALI

Ma i ricercatori dell’Institute of Food Science and Technology of the Chinese Academy of Agricultural Sciences (Caas) ritengono che siano ricche di componenti nutritivi e funzionali e che utilizzarle nei piatti di base potrebbe aiutare a migliorare la salute, oltre ad ottimizzare la struttura agricola cinese, contribuendo ad alleviare le pressioni sulle risorse e sull’ambiente, a garantire la sicurezza alimentare e a realizzare lo sviluppo sostenibile.

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La Cina “scopre” le patate: è boom di ricette

Tradizionalmente assente nella cucina tradizionale, l’ingrediente è sempre più presente nei piatti del Celeste impero.

Pur non essendo un ingrediente di base della cucina cinese, le patate si stanno tuttavia diffondendo grazie anche ai ricercatori che hanno trovato il modo di utilizzarle in oltre 300 ricette tradizionali come nel pane al vapore e i noodles. La Cina ha la più ampia superficie al mondo dedicata alla coltivazione e alla produzione di patate. Queste però non si adattano alle abitudini alimentari e ai gusti dei cinesi come ingrediente di base, dal momento che non contengono le proteine del glutine e hanno una scarsa duttilità.

LA RICERCA PER INSERIRE LE PATATE NEI PIATTI TRADIZIONALI

Ma i ricercatori dell’Institute of Food Science and Technology of the Chinese Academy of Agricultural Sciences (Caas) ritengono che siano ricche di componenti nutritivi e funzionali e che utilizzarle nei piatti di base potrebbe aiutare a migliorare la salute, oltre ad ottimizzare la struttura agricola cinese, contribuendo ad alleviare le pressioni sulle risorse e sull’ambiente, a garantire la sicurezza alimentare e a realizzare lo sviluppo sostenibile.

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L’Argentina spicca un mandato di cattura per il vescovo Zanchetta

Considerato vicino a papa Francesco, dal quale era stato richiamato a Roma nel 2017, è accusato di abusi sessuali ai danni di due seminaristi.

La magistratura di Salta, in Argentina, ha spiccato un mandato di cattura internazionale nei confronti del vescovo argentino Gustavo Zanchetta, domiciliato in Vaticano, accusato del reato di abuso sessuale semplice e continuato ai danni di due seminaristi, aggravato dal fatto di essere stato commesso da un ministro di culto.

L’APERTURA DI UN GIUDIZIO CANONICO AUTORIZZATA DAL PAPA

La pm María Soledad Filtrín ha deciso di emettere il mandato nei confronti dell’ex vescovo di Orán, considerato vicino a papa Francesco, dopo che lo stesso non ha risposto a ripetute telefonate ed e-mail inviategli al fine di procedere alla notifica degli atti processuali e dopo la sua decisione di costituire il suo domicilio nello Stato del Vaticano. Nel 2017 monsignor Zanchetta era stato richiamato a Roma dal pontefice, che ha autorizzato nel maggio di quest’anno l’apertura nei suoi confronti di un giudizio canonico.

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L’Argentina spicca un mandato di cattura per il vescovo Zanchetta

Considerato vicino a papa Francesco, dal quale era stato richiamato a Roma nel 2017, è accusato di abusi sessuali ai danni di due seminaristi.

La magistratura di Salta, in Argentina, ha spiccato un mandato di cattura internazionale nei confronti del vescovo argentino Gustavo Zanchetta, domiciliato in Vaticano, accusato del reato di abuso sessuale semplice e continuato ai danni di due seminaristi, aggravato dal fatto di essere stato commesso da un ministro di culto.

L’APERTURA DI UN GIUDIZIO CANONICO AUTORIZZATA DAL PAPA

La pm María Soledad Filtrín ha deciso di emettere il mandato nei confronti dell’ex vescovo di Orán, considerato vicino a papa Francesco, dopo che lo stesso non ha risposto a ripetute telefonate ed e-mail inviategli al fine di procedere alla notifica degli atti processuali e dopo la sua decisione di costituire il suo domicilio nello Stato del Vaticano. Nel 2017 monsignor Zanchetta era stato richiamato a Roma dal pontefice, che ha autorizzato nel maggio di quest’anno l’apertura nei suoi confronti di un giudizio canonico.

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Lo scontro Usa-Cina ora si sposta su Hong Kong

Dura presa di posizione di Pechino contro la risoluzione del Congresso americano sull’ex colonia britannica. «Pronti al contrattacco».

La Cina è pronta a prendere misure «per contrattaccare con vigore» in risposta al Congresso Usa che ha dato il via libera all’Hong Kong Human Rights and Democracy Act, il provvedimento a sostegno delle proteste dell’ex colonia, ora all’esame della firma di Donald Trump per la sua efficacia. «Condanniamo con forza e ci opponiamo con decisione alla approvazione di queste leggi», ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang, nel corso della conferenza stampa quotidiana.

PECHINO: «PRONTI A FORTI CONTROMISURE»

Geng ha ribadito l’invito a optare per il blocco dell’iter legislativo chiedendo a Trump di opporre il veto e di non firmare il testo varato dal Congresso, creando un caso piuttosto singolare vista la unanimità espressa dal Senato che è anche a controllo repubblicano. Il portavoce ha minacciato imprecisate «forti contromisure» se il provvedimento diventerà effettivo. «Sollecitiamo la parte Usa a capire la situazione, a fermare gli errori prima che sia troppo tardi e a evitare che questo atto diventi legge, smettendo di interferire negli affari di Hong Kong che sono questioni interne della Cina», ha detto ancora Geng. «Se gli Usa continuano ad adottare le azioni sbagliate, la Cina sarà costretta a prendere di sicuro forti contromisure», ha concluso Geng.

WANG: «CONNIVENZA COI CRIMINALI»

Il Congresso Usa, col via libera del provvedimento, «manda il segnale sbagliato di connivenza coi criminali violenti», ha rincarato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, per il quale la «sua essenza è di confondere e addirittura di distruggere Hong Kong. Questa è un’interferenza manifesta negli affari interni della Cina e un grave disservizio a comuni e fondamentali interessi di un ampio numero di compatrioti di Hong Kong».

LEGGI ANCHE: Perché Trump e il Congresso Usa non sono allineati su Hong Kong

Wang ha espresso le sue critiche durante un incontro con l’ex segretario alla Difesa americano William Cohen, ribadendo che la normativa costituisce un atto di interferenza negli affari interni della Cina. «Come possiamo parlare di democrazia? Come possiamo parlare di diritti umani quando ignoriamo i danni causati da azioni violente e illegali? La Cina si oppone fermamente a tutto questo non permetteremo mai ad alcun tentativo di minare la prosperità e la stabilità di Hong Kong, e di minacciare il sistema ‘un Paese, due sistemi’», ha concluso Wang.

COSA C’È NEL PROVVEDIMENTO

Il provvedimento mandato alla firma del presidente americano Donald Trump prevede l’approvazione di sanzioni a carico dei unzionari, di Hong Kong o cinesi, ritenuti colpevoli di abusi sui diritti e richiede la revisione annuale del riconoscimento dello status di partner speciale della città nei rapporti con gli Usa. Altre norme, invece, pribiscono l’export a favore della polizia locale di munizioni non letali o di altri sistemi antisommossa, tra lacrimogeni, spray al peperoncino, proiettili di gomma e taser.

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Dura presa di posizione di Pechino contro la risoluzione del Congresso americano sull’ex colonia britannica. «Pronti al contrattacco».

La Cina è pronta a prendere misure «per contrattaccare con vigore» in risposta al Congresso Usa che ha dato il via libera all’Hong Kong Human Rights and Democracy Act, il provvedimento a sostegno delle proteste dell’ex colonia, ora all’esame della firma di Donald Trump per la sua efficacia. «Condanniamo con forza e ci opponiamo con decisione alla approvazione di queste leggi», ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang, nel corso della conferenza stampa quotidiana.

PECHINO: «PRONTI A FORTI CONTROMISURE»

Geng ha ribadito l’invito a optare per il blocco dell’iter legislativo chiedendo a Trump di opporre il veto e di non firmare il testo varato dal Congresso, creando un caso piuttosto singolare vista la unanimità espressa dal Senato che è anche a controllo repubblicano. Il portavoce ha minacciato imprecisate «forti contromisure» se il provvedimento diventerà effettivo. «Sollecitiamo la parte Usa a capire la situazione, a fermare gli errori prima che sia troppo tardi e a evitare che questo atto diventi legge, smettendo di interferire negli affari di Hong Kong che sono questioni interne della Cina», ha detto ancora Geng. «Se gli Usa continuano ad adottare le azioni sbagliate, la Cina sarà costretta a prendere di sicuro forti contromisure», ha concluso Geng.

WANG: «CONNIVENZA COI CRIMINALI»

Il Congresso Usa, col via libera del provvedimento, «manda il segnale sbagliato di connivenza coi criminali violenti», ha rincarato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, per il quale la «sua essenza è di confondere e addirittura di distruggere Hong Kong. Questa è un’interferenza manifesta negli affari interni della Cina e un grave disservizio a comuni e fondamentali interessi di un ampio numero di compatrioti di Hong Kong».

LEGGI ANCHE: Perché Trump e il Congresso Usa non sono allineati su Hong Kong

Wang ha espresso le sue critiche durante un incontro con l’ex segretario alla Difesa americano William Cohen, ribadendo che la normativa costituisce un atto di interferenza negli affari interni della Cina. «Come possiamo parlare di democrazia? Come possiamo parlare di diritti umani quando ignoriamo i danni causati da azioni violente e illegali? La Cina si oppone fermamente a tutto questo non permetteremo mai ad alcun tentativo di minare la prosperità e la stabilità di Hong Kong, e di minacciare il sistema ‘un Paese, due sistemi’», ha concluso Wang.

COSA C’È NEL PROVVEDIMENTO

Il provvedimento mandato alla firma del presidente americano Donald Trump prevede l’approvazione di sanzioni a carico dei unzionari, di Hong Kong o cinesi, ritenuti colpevoli di abusi sui diritti e richiede la revisione annuale del riconoscimento dello status di partner speciale della città nei rapporti con gli Usa. Altre norme, invece, pribiscono l’export a favore della polizia locale di munizioni non letali o di altri sistemi antisommossa, tra lacrimogeni, spray al peperoncino, proiettili di gomma e taser.

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All’attacco del “mito” Marchionne

La causa di General Motors contro Fca, le critiche di Automotive news, le frecciate di ex collaboratori e manager del settore. Sull’ex ad italo-canadese è cominciato un revisionismo di cui beneficerà il Ceo Psa Tavares. E a pagare saranno gli stabilimenti Fiat nel nostro Paese.

A Detroit, da tempo, se l’aspettavano. La vendetta di Mary Barra nei confronti (dell’immagine, reputazione e celebrità) di Sergio Marchionne. Lo hanno confermato diversi giornalisti dell’auto americani questa settimana al Los Angeles Convention Center che ospita un deludente salone dell’auto.

Gli stessi che confessano di avere più volte sentito uscire dalla bocca del defunto amministratore delegato di Fiat Chrysler commenti pesanti sulla ceo di General Motors. Ovviamente, con successiva preghiera di non pubblicare quelle esternazioni.

Va da sé che quelle affermazioni giungevano rapidamente alle orecchie del potente capo della comunicazione di Gm, Tony Cervone, e, quindi, di Mary Barra. La quale, dal canto suo, sta attraversando un momento decisamente non facile.

ACCUSE FEROCI DI GENERAL MOTORS NEI CONFRONTI DI MARCHIONNE

Persona non grata alla Casa Bianca, in seguito alla decisione di chiudere stabilimenti negli Stati Uniti perché impropri al passaggio all’elettrico e all’ibrido e senza sostanzialmente ridurre le attività produttive in Messico e Canada e avendo sfidato il sindacato che ha reagito con 40 giorni di sciopero costati al costruttore di Detroit circa 4 miliardi dollari, Barra è un po’ sotto assedio.

Marchionne è stato responsabile dell’ideazione, esecuzione e sostegno di una attività fraudolenta

Craig Glidden, il responsabile legale di Gm

Sicché l’annuncio di General Motors di fare causa a Fca, accusandola di aver corrotto membri del sindacato Uaw (United Auto Workers), non ha colto di sorpresa rappresentando un eccellente strumento di distrazione di massa. Una legittima domanda è: l’attacco frontale e durissimo nei confronti del defunto ad di Fiat Chrysler è solo frutto della esasperazione di Mary Barra o il capo del servizio legale Craig Glidden ci ha messo del suo?

Mary Barra, ceo di General Motors (foto di Bill Pugliano/Getty Images).

Parlando con i giornalisti, Glidden non solo ha detto che «il signor Marchionne è stato una figura centrale nel complotto», ma, sferrando un uppercut degno di George E. Foreman, ha sentenziato quasi sillabando le parole: «Marchionne è stato responsabile dell’ideazione, esecuzione e sostegno di una attività fraudolenta». Con buona pace dei ripetuti richiami all’etica, morale, principi dei quali sono disseminati i discorsi pubblici di Marchionne con tanto di citazioni saccheggiate, che aveva a suo tempo fatto notare malignamente qualcuno, dalle numerose raccolte di frasi celebri.

L’EX FCA IACOBELLI GIÀ IN GALERPER CORRUZIONE

Nell’avviare la causa, Gm ha naturalmente chiamato in causa chi è già stato condannato. Tra questi, spicca l’ex capo delle relazioni sindacali di Fiat Chrysler, Alphons (Al) Iacobelli, che sta scontando una pena di cinque anni e mezzo in una prigione federale. Finora è passata la tesi che Iacobelli abbia agito in proprio e all’insaputa di Marchionne, un ceo celebre per lasciare zero spazio di manovra ai suoi sottoposti. Tra l’altro, nella causa presentata alla corte distrettuale a Detroit, Gm sostiene che sono state pagate tangenti per corrompere le trattative fra il Uaw e le case automobilistiche statunitensi tra il 2009 e il 2015.

Iacobelli, “dimesso” all’improvviso da Fca, dopo qualche mese fu arruolato da Gm per occuparsi sempre di relazioni con il sindacato

Ad aggiungere una nota di bizzarra, c’è il fatto che Iacobelli, “dimesso” all’improvviso da Fca, dopo qualche mese fu arruolato da Gm per occuparsi sempre di relazioni con il sindacato. Sarà interessante seguire come si comporterà Iacobelli alla luce delle sferzanti accuse di Gm contro Marchionne. Così come è interessante osservare la progressiva e rapida crescita delle voci che fortemente ridimensionano il fenomeno Marchionne.

L’ELENCO DEI “PASTICCI” DI MARCHIONNE DI AUTOMOTIVE NEWS

L’autorevole settimanale di Detroit Automotive News, in un recente editoriale, ha elencato alcuni dei pasticci (messes) lasciati da Marchionne: le violazioni delle emissioni già sanzionate dall’Agenzia per la Protezione Ambientale e ancora oggetto di attenzione da parte del ministero di Giustizia. Lo stesso che continua a seguire la vicenda delle vendite di auto “gonfiate” ad arte e denunciate da alcuni concessionari. Concessionari che sono esasperati perché forzati di acquistare veicoli a fronte di un mercato americano dell’auto non certamente florido.

I motori di Fca inquinano e il costruttore anglo-olandese ha dovuto acquistare da Tesla per 1,8 miliardi di euro crediti di inquinamento, al fine di evitare multe. Senza dimenticare la brutta storia di corruzione che vede protagonisti alti dirigenti e sindacalisti. Nei giorni scorsi, lo Stato della California ha annunciato che veicoli di Fca, Gm e Toyota non saranno più acquistati dagli enti pubblici dell’importante stato americano. Si tenga presente che tra il 2016 e il 2018, le flotte pubbliche californiane hanno acquistato veicoli per un valore di oltre 58 milioni di dollari. Motivo della decisione, Fca ha deciso di appoggiare la politica di Donald Trump al quale notoriamente non interessa la difesa dell’ambiente.

LA FAMA DI DIVORATORE DI MANAGER DELL’EX AD FCA

Recentemente, il sociologo Enrico Finzi, fondatore e responsabile di Sòno Human Tuning, ha così nominato Marchionne: «Lo ricordo così: umanamente sgradevole, talora sadico, sempre feroce, durissimo (e perciò ammirato dai corifei del potere), certo più capace della gran parte dei manager nostrani. Preso dal complesso di Crono, costrinse ad andarsene Luca de Meo, il suo giovane manager più brillante, prima adorato e poi ostacolato solo perché divenne geloso della crescita di notorietà dell’ex-pupillo. Così divorò altri ‘suoi‘ dirigenti, sottoponendo tutti gli altri a un super-sfruttamento feudale, di chi voleva affermarsi ogni ora del giorno e della notte come il Re Sole».

Peugeot ha comprato Fiat-Chrysler perché interessata al mercato americano. Comanderanno i francesi e gli unici a guadagnarci sono gli azionisti

L’ex top manager del gruppo Fiat, Riccardo Ruggeri, ha così liquidato la trattativa Fca-Psa: «Ma quale matrimonio con Psa? Gli Agnelli hanno venduto Fca. Smettiamola di raccontare balle. Peugeot ha comprato Fiat-Chrysler perché interessata al mercato americano. Comanderanno i francesi e gli unici a guadagnarci sono gli azionisti». E sempre a proposito della vicenda Fca-Psa, nessuno osa rispondere al seguente interrogativo: quando ci sarà da decidere la sorte, la chiusura degli stabilimenti in Italia (Pomigliano d’Arco, Termini Imerese, Melfi e chi più ne ha, più ne metta), secondo voi prevarrà la volontà e la decisione dei sei consiglieri (su 11) della corporation francese, oppure prevarrà la tesi di una società che ormai è olandese, londinese e americana?

CON LA FUSIONE FCA-PSA STABILIMENTI ITALIANI A RISCHIO

Chi può trarre beneficio da questa ondata anti-Marchionne è certamente Carlos Tavares, capo di Psa, per almeno due motivi: più si infrange l’immagine di Marchionne e meno si ricorre al paragone tra i due; un esercizio che, dicono in Psa, irrita fortemente il manager portoghese. In secondo luogo, l’attacco di Gm dovrebbe continuare a tenere sulla graticola il titolo azionario Fcau. Minore la capitalizzazione, minore il premio che dovrebbero incassare gli azionisti di Fca, in primis Exor e i 200 e passa membri del clan Agnelli, Elkann, Nasi, Camerana, ecc.

Operai Fiat davanti allo stabilimento di Pomigliano (foto di MARIO LAPORTA/AFP via Getty Images).

Chissà, forse l’articolo a firma Emmanuel Botta sul numero di questa settimana del settimanale francese L’Express sotto il titolo Fiat Chrysler: le magicien John Elkann rischia di essere uno degli ultimi pezzi che il cosiddetto “giovane” presidente di Fca e Exor può collezionare. Più la trattativa finalizzata all’acquisto di Fca (meno la piccola e tecnologicamente modesta Comau) andrà avanti e più emergeranno i problemi dell’ex casa automobilistica italiana.

Carlos Tavares si è impegnato a non toccare i marchi e i siti italiani le cui fabbriche utilizzano solo il 50% delle loro capacità. Dove troveranno i promessi risparmi per 3,7 miliardi di euro?

La già stagionata gamma di prodotti continuerà a invecchiare accentuando l’allentamento di clienti dalle concessionarie e la necessità di aumentare gli incentivi svilendo ulteriormente l’immagine e il valore dei marchi. Chrysler docet. Stando alle dichiarazioni ufficiali, Tavares avrà a disposizione 22 piattaforme, 14 marchi Fca e 54 fabbriche. Psa ha “ripulito” le sue strutture industriali. Carlos Tavares si è impegnato a non toccare i marchi e i siti italiani le cui fabbriche utilizzano solo il 50% delle loro capacità. Dove troveranno i promessi risparmi per 3,7 miliardi di euro? Quanti colletti bianchi Fca dovranno saltare?

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All’attacco del “mito” Marchionne

La causa di General Motors contro Fca, le critiche di Automotive news, le frecciate di ex collaboratori e manager del settore. Sull’ex ad italo-canadese è cominciato un revisionismo di cui beneficerà il Ceo Psa Tavares. E a pagare saranno gli stabilimenti Fiat nel nostro Paese.

A Detroit, da tempo, se l’aspettavano. La vendetta di Mary Barra nei confronti (dell’immagine, reputazione e celebrità) di Sergio Marchionne. Lo hanno confermato diversi giornalisti dell’auto americani questa settimana al Los Angeles Convention Center che ospita un deludente salone dell’auto.

Gli stessi che confessano di avere più volte sentito uscire dalla bocca del defunto amministratore delegato di Fiat Chrysler commenti pesanti sulla ceo di General Motors. Ovviamente, con successiva preghiera di non pubblicare quelle esternazioni.

Va da sé che quelle affermazioni giungevano rapidamente alle orecchie del potente capo della comunicazione di Gm, Tony Cervone, e, quindi, di Mary Barra. La quale, dal canto suo, sta attraversando un momento decisamente non facile.

ACCUSE FEROCI DI GENERAL MOTORS NEI CONFRONTI DI MARCHIONNE

Persona non grata alla Casa Bianca, in seguito alla decisione di chiudere stabilimenti negli Stati Uniti perché impropri al passaggio all’elettrico e all’ibrido e senza sostanzialmente ridurre le attività produttive in Messico e Canada e avendo sfidato il sindacato che ha reagito con 40 giorni di sciopero costati al costruttore di Detroit circa 4 miliardi dollari, Barra è un po’ sotto assedio.

Marchionne è stato responsabile dell’ideazione, esecuzione e sostegno di una attività fraudolenta

Craig Glidden, il responsabile legale di Gm

Sicché l’annuncio di General Motors di fare causa a Fca, accusandola di aver corrotto membri del sindacato Uaw (United Auto Workers), non ha colto di sorpresa rappresentando un eccellente strumento di distrazione di massa. Una legittima domanda è: l’attacco frontale e durissimo nei confronti del defunto ad di Fiat Chrysler è solo frutto della esasperazione di Mary Barra o il capo del servizio legale Craig Glidden ci ha messo del suo?

Mary Barra, ceo di General Motors (foto di Bill Pugliano/Getty Images).

Parlando con i giornalisti, Glidden non solo ha detto che «il signor Marchionne è stato una figura centrale nel complotto», ma, sferrando un uppercut degno di George E. Foreman, ha sentenziato quasi sillabando le parole: «Marchionne è stato responsabile dell’ideazione, esecuzione e sostegno di una attività fraudolenta». Con buona pace dei ripetuti richiami all’etica, morale, principi dei quali sono disseminati i discorsi pubblici di Marchionne con tanto di citazioni saccheggiate, che aveva a suo tempo fatto notare malignamente qualcuno, dalle numerose raccolte di frasi celebri.

L’EX FCA IACOBELLI GIÀ IN GALERPER CORRUZIONE

Nell’avviare la causa, Gm ha naturalmente chiamato in causa chi è già stato condannato. Tra questi, spicca l’ex capo delle relazioni sindacali di Fiat Chrysler, Alphons (Al) Iacobelli, che sta scontando una pena di cinque anni e mezzo in una prigione federale. Finora è passata la tesi che Iacobelli abbia agito in proprio e all’insaputa di Marchionne, un ceo celebre per lasciare zero spazio di manovra ai suoi sottoposti. Tra l’altro, nella causa presentata alla corte distrettuale a Detroit, Gm sostiene che sono state pagate tangenti per corrompere le trattative fra il Uaw e le case automobilistiche statunitensi tra il 2009 e il 2015.

Iacobelli, “dimesso” all’improvviso da Fca, dopo qualche mese fu arruolato da Gm per occuparsi sempre di relazioni con il sindacato

Ad aggiungere una nota di bizzarra, c’è il fatto che Iacobelli, “dimesso” all’improvviso da Fca, dopo qualche mese fu arruolato da Gm per occuparsi sempre di relazioni con il sindacato. Sarà interessante seguire come si comporterà Iacobelli alla luce delle sferzanti accuse di Gm contro Marchionne. Così come è interessante osservare la progressiva e rapida crescita delle voci che fortemente ridimensionano il fenomeno Marchionne.

L’ELENCO DEI “PASTICCI” DI MARCHIONNE DI AUTOMOTIVE NEWS

L’autorevole settimanale di Detroit Automotive News, in un recente editoriale, ha elencato alcuni dei pasticci (messes) lasciati da Marchionne: le violazioni delle emissioni già sanzionate dall’Agenzia per la Protezione Ambientale e ancora oggetto di attenzione da parte del ministero di Giustizia. Lo stesso che continua a seguire la vicenda delle vendite di auto “gonfiate” ad arte e denunciate da alcuni concessionari. Concessionari che sono esasperati perché forzati di acquistare veicoli a fronte di un mercato americano dell’auto non certamente florido.

I motori di Fca inquinano e il costruttore anglo-olandese ha dovuto acquistare da Tesla per 1,8 miliardi di euro crediti di inquinamento, al fine di evitare multe. Senza dimenticare la brutta storia di corruzione che vede protagonisti alti dirigenti e sindacalisti. Nei giorni scorsi, lo Stato della California ha annunciato che veicoli di Fca, Gm e Toyota non saranno più acquistati dagli enti pubblici dell’importante stato americano. Si tenga presente che tra il 2016 e il 2018, le flotte pubbliche californiane hanno acquistato veicoli per un valore di oltre 58 milioni di dollari. Motivo della decisione, Fca ha deciso di appoggiare la politica di Donald Trump al quale notoriamente non interessa la difesa dell’ambiente.

LA FAMA DI DIVORATORE DI MANAGER DELL’EX AD FCA

Recentemente, il sociologo Enrico Finzi, fondatore e responsabile di Sòno Human Tuning, ha così nominato Marchionne: «Lo ricordo così: umanamente sgradevole, talora sadico, sempre feroce, durissimo (e perciò ammirato dai corifei del potere), certo più capace della gran parte dei manager nostrani. Preso dal complesso di Crono, costrinse ad andarsene Luca de Meo, il suo giovane manager più brillante, prima adorato e poi ostacolato solo perché divenne geloso della crescita di notorietà dell’ex-pupillo. Così divorò altri ‘suoi‘ dirigenti, sottoponendo tutti gli altri a un super-sfruttamento feudale, di chi voleva affermarsi ogni ora del giorno e della notte come il Re Sole».

Peugeot ha comprato Fiat-Chrysler perché interessata al mercato americano. Comanderanno i francesi e gli unici a guadagnarci sono gli azionisti

L’ex top manager del gruppo Fiat, Riccardo Ruggeri, ha così liquidato la trattativa Fca-Psa: «Ma quale matrimonio con Psa? Gli Agnelli hanno venduto Fca. Smettiamola di raccontare balle. Peugeot ha comprato Fiat-Chrysler perché interessata al mercato americano. Comanderanno i francesi e gli unici a guadagnarci sono gli azionisti». E sempre a proposito della vicenda Fca-Psa, nessuno osa rispondere al seguente interrogativo: quando ci sarà da decidere la sorte, la chiusura degli stabilimenti in Italia (Pomigliano d’Arco, Termini Imerese, Melfi e chi più ne ha, più ne metta), secondo voi prevarrà la volontà e la decisione dei sei consiglieri (su 11) della corporation francese, oppure prevarrà la tesi di una società che ormai è olandese, londinese e americana?

CON LA FUSIONE FCA-PSA STABILIMENTI ITALIANI A RISCHIO

Chi può trarre beneficio da questa ondata anti-Marchionne è certamente Carlos Tavares, capo di Psa, per almeno due motivi: più si infrange l’immagine di Marchionne e meno si ricorre al paragone tra i due; un esercizio che, dicono in Psa, irrita fortemente il manager portoghese. In secondo luogo, l’attacco di Gm dovrebbe continuare a tenere sulla graticola il titolo azionario Fcau. Minore la capitalizzazione, minore il premio che dovrebbero incassare gli azionisti di Fca, in primis Exor e i 200 e passa membri del clan Agnelli, Elkann, Nasi, Camerana, ecc.

Operai Fiat davanti allo stabilimento di Pomigliano (foto di MARIO LAPORTA/AFP via Getty Images).

Chissà, forse l’articolo a firma Emmanuel Botta sul numero di questa settimana del settimanale francese L’Express sotto il titolo Fiat Chrysler: le magicien John Elkann rischia di essere uno degli ultimi pezzi che il cosiddetto “giovane” presidente di Fca e Exor può collezionare. Più la trattativa finalizzata all’acquisto di Fca (meno la piccola e tecnologicamente modesta Comau) andrà avanti e più emergeranno i problemi dell’ex casa automobilistica italiana.

Carlos Tavares si è impegnato a non toccare i marchi e i siti italiani le cui fabbriche utilizzano solo il 50% delle loro capacità. Dove troveranno i promessi risparmi per 3,7 miliardi di euro?

La già stagionata gamma di prodotti continuerà a invecchiare accentuando l’allentamento di clienti dalle concessionarie e la necessità di aumentare gli incentivi svilendo ulteriormente l’immagine e il valore dei marchi. Chrysler docet. Stando alle dichiarazioni ufficiali, Tavares avrà a disposizione 22 piattaforme, 14 marchi Fca e 54 fabbriche. Psa ha “ripulito” le sue strutture industriali. Carlos Tavares si è impegnato a non toccare i marchi e i siti italiani le cui fabbriche utilizzano solo il 50% delle loro capacità. Dove troveranno i promessi risparmi per 3,7 miliardi di euro? Quanti colletti bianchi Fca dovranno saltare?

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L’ex capo dei gip di Palermo Vincenti si è ucciso

In pensione da giugno, era indagato per corruzione e rivelazione di notizie riservate nell’ambito dell’inchiesta su Zamparini.

L’ex capo dell’ufficio del Gip di Palermo Cesare Vincenti si è suicidato lanciandosi dal balcone della sua abitazione, nella zona residenziale di via Sciuti. Vincenti e il figlio Andrea, avvocato, erano indagati dal giugno scorso dalla Procura di Caltanissetta per corruzione e rivelazione di notizie riservate nell’ambito dell’indagine sulla presunta fuga di notizie relativa all’ex patron del Palermo Maurizio Zamparini che avrebbe appreso preventivamente della pendenza di una richiesta di custodia cautelare nei suoi confronti.

LA FESTA DI COMMIATO DISERTATA DAI MAGISTRATI

Vincenti era andato in pensione il 19 giugno scorso, così come previsto da tempo. Una settimana prima l’abitazione del magistrato e l’ufficio del Gip erano stati perquisiti nell’ambito dell’indagine della Procura di Caltanissetta per violazione del segreto investigativo, sull’eventuale esistenza di una talpa negli uffici giudiziari che avrebbe avvisato l’ex presidente del Palermo calcio Zamparini di una richiesta pendente di arresto a suo carico. Circa due settimane fa, come è prassi negli uffici giudiziari, Vincenti aveva organizzato una festa di commiato per il suo pensionamento al Palazzo di Giustizia. Alla cerimonia aveva partecipato però solo il personale amministrativo del suo ufficio; l’unico magistrato presente aveva spiegato che i colleghi non avevano potuto prendere parte perchè già impegnati.

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In pensione da giugno, era indagato per corruzione e rivelazione di notizie riservate nell’ambito dell’inchiesta su Zamparini.

L’ex capo dell’ufficio del Gip di Palermo Cesare Vincenti si è suicidato lanciandosi dal balcone della sua abitazione, nella zona residenziale di via Sciuti. Vincenti e il figlio Andrea, avvocato, erano indagati dal giugno scorso dalla Procura di Caltanissetta per corruzione e rivelazione di notizie riservate nell’ambito dell’indagine sulla presunta fuga di notizie relativa all’ex patron del Palermo Maurizio Zamparini che avrebbe appreso preventivamente della pendenza di una richiesta di custodia cautelare nei suoi confronti.

LA FESTA DI COMMIATO DISERTATA DAI MAGISTRATI

Vincenti era andato in pensione il 19 giugno scorso, così come previsto da tempo. Una settimana prima l’abitazione del magistrato e l’ufficio del Gip erano stati perquisiti nell’ambito dell’indagine della Procura di Caltanissetta per violazione del segreto investigativo, sull’eventuale esistenza di una talpa negli uffici giudiziari che avrebbe avvisato l’ex presidente del Palermo calcio Zamparini di una richiesta pendente di arresto a suo carico. Circa due settimane fa, come è prassi negli uffici giudiziari, Vincenti aveva organizzato una festa di commiato per il suo pensionamento al Palazzo di Giustizia. Alla cerimonia aveva partecipato però solo il personale amministrativo del suo ufficio; l’unico magistrato presente aveva spiegato che i colleghi non avevano potuto prendere parte perchè già impegnati.

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Trump ha dichiarato che pubblicherà la dichiarazione redditi prima del voto

Il tycoon ha twittato che presto, a ridosso del voto presidenziale del 2020, renderà pubblico lo stato delle sue finanze. Una risposta alla battaglia legale del procuratore di New York.

Donald Trump ha annunciato che renderà nota la dichiarazione dei redditi prima delle elezioni del 2020. «Io sono pulito e quando diffonderò (mia decisione) la mia dichiarazione dei redditi prima delle elezioni, essa dimostrerà solo una cosa, che sono molto più ricco che quello che pensa le gente», ha twittato, dopo aver criticato il tentativo del procuratore di New York di acquisire «tutte le operazioni finanziarie che ho fatto».

SITUAZIONE BLOCCATA ALLA CORTE SUPREMA

Il 18 novembre la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva temporaneamente bloccato l’invio alla Camera delle dichiarazioni dei redditi del presidente. L’Alta Corte deve decidere se occuparsi o meno del caso, dopo che l’amministrazione Trump ha presentato ricorso contro le sentenze che obbligano a presentare le dichiarazioni fiscali degli ultimi otto anni, sia personali che aziendali, alla Camera e alla procura di New York.

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La barca dei minori soli soccorsa da Open Arms

L’organizzazione non governativa ha recuperato un’imbarcazione alla deriva con 73 persone a bordo, di cui 24 ragazzini.

La barca dei ragazzini. L’organizzazione non governativa Open Arms ha fatto sapere di aver soccorso all’alba una imbarcazione alla deriva al largo della Libia, a 50 miglia a nord di Az Zawiya, con 24 minori che viaggiavano da soli. La barca trasportava 73 migranti, di cui 69 uomini, 4 donne, 2 bimbi di 4 e 3 anni e più di una ventina di ragazzi. Due volontari di Emergency, Gabriella e Ahmed, rispettivamente infermiera e mediatore culturale a bordo dell’imbarcazione dell’ong spagnola hanno confermato che i «tanti» minori «stanno viaggiando completamente soli».

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Un europeo su quattro ha sentimenti antisemiti

Una ricerca condotta per l’Anti-Defamation League ha messo in luce come il 25% della popolazione nutra attitudini negative verso gli ebrei. Boom in Polonia e Ungheria. Allarme violenza in Germania e Regno Unito.

Circa un europeo su quattro, il 25% della popolazione, nutre «forti attitudini negative» verso gli ebrei. Lo ha rivelato una indagine sull’antisemitismo svolta in Europa, Canada, Sud Africa, Argentina e Brasile tra aprile e giugno del 2019 su commissione della Anti-Defamation League (Adl), organizzazione ebraica internazionale.

IL BOOM IN EUROPA DELL’EST

In Europa, ad Ovest ci sono pochi cambiamenti, ma al Centro e all’Est c’è, rispetto al 2015, un forte aumento di pregiudizi anti ebraici: Polonia (+11%), Ucraina (+14%), Russia (+8%). Anche in Ungheria cresce. Scende in «maniera significativa» in Italia ed Austria. Per quanto riguarda il resto delle aree geografiche interessate dall’indagine, sia in Sud Africa e sia in Brasile i sentimenti antisemiti sono saliti del 9%, mentre in Argentina del 6%.

GLI AUMENTI INQUIETANTI IN POLONIA E UNGHERIA

Tornando all’Europa, in Polonia, secondo i dati riferiti dall’Adl, le attitudini antisemite hanno raggiunto il 48% della popolazione, mentre erano al 37% nel 2015. Circa tre su quattro di coloro che in Polonia hanno risposto alle domande dell’indagine hanno sostenuto, ad esempio, che «gli ebrei parlano troppo di quello che è successo loro durante la Shoah». In Ungheria – secondo i dati – il 25% della popolazione crede che gli «ebrei vogliano indebolire la cultura nazionale esprimendosi a favore di un maggior numero di immigranti in ingresso». Sempre in Ungheria, l’indice mostra il 42% di attitudine antisemita contro il 40% del 2015.

FINANZA, ECONOMIA E SLEALTÀ: LE “COLPE” DEGLI EBREI

Gli stereotipi sono sempre gli stessi: il controllo della finanza e dell’economia (in Ungheria lo pensa il 71%), la slealtà (gli ebrei sono più leali ad Israele che alla propria nazione). Un’accusa questa che, ad esempio, in Italia (dove pur si è registrato un calo dell’11% rispetto ai dati del 2015), rivolta, secondo l’indagine, da oltre il 40% della popolazione. Lo stesso avviene in Germania, in Danimarca, in Spagna, in Olanda, in Belgio e in Austria (dove il calo complessivo è stato dell’8%).

ALLARME VIOLENZA IN GERMANIA E REGNO UNITO

I sentimenti antisemiti non necessariamente si accompagnano sempre ad azioni violente: ad esempio – secondo l’indagine – sono rari in Ungheria e Polonia, mentre sono cresciuti di oltre il 10% in Germania e anche nel Regno Unito nei primi sei mesi del 2019. Infine l’atteggiamento dei musulmani in Belgio, Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito tende ad essere meno antisemita che nel resto delle nazioni extraeuropee e meno forte di quello che invece si registra in Medio Oriente e nel Nord Africa. «È molto preoccupante», ha detto Jonathan Greenblatt, presidente dell’Adl, «che circa un europeo su quattro alberghi tipi di sentimenti antisemiti che sopravvivono da prima della Shoah».

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Poste Italiane, la comunicazione interna come chiave di successo aziendale

Un’app per 130 mila dipendenti. Una nazionale di calcio allenata da un ex campione. L’ascolto delle persone. E il piano al 2022 punta a fare anche di più.

Un’app che connette 130 mila dipendenti, una nazionale di calcio aziendale e poi ascolto, pari opportunità, servizi di welfare e iniziative che coinvolgono anche la famiglia. Nel piano industriale di Poste Italiane “Deliver 2022”, lanciato dall’amministratore delegato Matteo Del Fante a febbraio 2018, il coinvolgimento dei dipendenti, e dunque la comunicazione interna, diventa ancora più importante. Tante le iniziative originali. Basti pensare che i lavoratori possono perfino trasformarsi in reporter: così almeno è stato per 42 persone selezionate per il ruolo di corrispondenti dalle diverse regioni italiane. Il loro compito è condividere con la redazione di Poste News storie e notizie dal territorio di competenza. L’azienda sta anche per lanciare “Posteaperte tutto l’anno” una serie di iniziative, sia in presenza sia online, che prevedono il coinvolgimento dei dipendenti e dei loro figli.  

L’APP CHE METTE IN COMUNICAZIONE I 130 MILA DIPENDENTI

Tra le ultime novità c’è l’applicazione “NoidiPoste” che connette tutti i 130mila dipendenti. Viene usata per gestire le trasferte, segnalare le assenze per malattia o trovare i contatti dei colleghi, che sono diffusi in oltre 12.800 uffici postali. La funzione “Camera con vista” consente ai dipendenti che rispondono ad una serie di requisiti di prenotare alloggi per le vacanze gratuiti in località turistiche. Sull’app si può consultare il menù della mensa, esprimere opinioni su prodotti e servizi di Poste e leggere tutte le ultime notizie aziendali.

LA NAZIONALE DI CALCIO DI POSTE.

Per fare squadra tra colleghi, Poste Italiane ha creato la sua “Nazionale” di calcio. È formata da 30 dipendenti tesserati in società dilettantistiche che praticano il calcio a livello agonistico, scelti tra 700 candidati e allenati dall’ex campione di Padova, Juventus e Fiorentina Angelo Di Livio. La comunicazione interna ha gestito attraverso la intranet tutto il processo di ricerca e selezione dei calciatori candidati alla Nazionale Gialloblù. Un’iniziativa premiata dalla “Intranet Italia Champions” (il contest che premia le migliori iniziative intranet italiane) come una tra le più interessanti case history di successo.

LE INIZIATIVE DI ASCOLTO DEI DIPENDENTI.

Poste Italiane, inoltre, fa un ampio uso di sondaggi interni per valorizzare il punto di vista di tutti i dipendenti. Per esempio, ha messo in pista InEvidenza, un’indagine sulla valutazione della comunicazione interna. Poi c’è Valore, rivolta ad un target specifico di colleghi, tra cui i portalettere, per la rilevazione del grado di soddisfazione su alcuni aspetti rilevanti della propria attività lavorativa. #DaiVocealFuturo invece è un sondaggio d’opinione per la popolazione di BancoPosta e BancoPosta Fondi SGR, con l’obiettivo di ricevere opinioni e spunti per migliorare performance e soddisfazione. Infine, Progetto Sport, la survey dedicata agli sport praticati in Poste su tutto il territorio, con l’obiettivo di ragionare su nuove iniziative di aggregazione tra colleghi. 600 lavoratori sono stati inoltre coinvolti nell’iniziativa “Libera il tuo talento”, progetto di autopromozione di team di dipendenti con un’idea originale. Il dialogo ha avuto poi un ulteriore sbocco concreto con l’accordo raggiunto lo scorso giugno 2018 con le organizzazioni sindacali che prevede, per il triennio 2018-2020, il coinvolgimento di 6 mila lavoratori con nuove assunzioni, stabilizzazione dei rapporti a tempo determinato e conversione di “part time” in “full time”.

UN PIANO SANITARIO PER TUTTI I DIPENDENTI.

Altre iniziative di comunicazione interna sono poi legate ai progetti aziendali in tema di welfare. Nell’ultimo rinnovo del contratto di lavoro del personale, Poste ha istituito un Fondo di Assistenza sanitaria gratuito per i dipendenti. Al Piano possono iscriversi tutti i dipendenti con contratto a tempo indeterminato, compresi gli apprendisti e i neoassunti. Nell’ambito del progetto “Piano Salute”, inoltre, sono previsti seminari informativi, oltre a visite gratuite per la prevenzione oncologica realizzate in collaborazione con la Fondazione ANT (Assistenza Nazionale Tumori).

ATTENZIONE ALLE PARI OPPORTUNITÀ.

I servizi di welfare non si fermano però alla sanità: infatti, le lavoratrici del gruppo in congedo di maternità hanno diritto al 100% della retribuzione per tutti e cinque i mesi di assenza dal lavoro (meglio rispetto all’80% previsto per legge). Poste Italiane è attenta alle pari opportunità e allo sviluppo della managerialità femminile: al punto che il 44% dei componenti del CdA e il 45% dei quadri e dei dirigenti è donna (dati 2018). Una presenza resa possibile da iniziative di welfare come realizzazione di asili nido, adozione di modelli flessibili di organizzazione del lavoro e introduzione di percorsi formativi. La comunicazione interna, infine, è stata determinante per il successo di numerose iniziative di Poste Italiane legate alla solidarietà, come per esempio “Valori ritrovati”: un progetto di economia circolare realizzato in collaborazione con la Fondazione Caritas Roma Onlus, a cui vengono affidati i pacchi che non possono essere recapitati al destinatario per aiutare le famiglie socialmente svantaggiate.

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Matera e la Basilicata nei principali mercati europei

La costante crescita di attenzione dei mercati esteri per la Basilicata e per Matera continua a stimolare azioni di promozione nei luoghi e negli eventi di particolare efficacia per il turismo. Il World Travel Market di Londra, la cui 40esima edizione quest'anno si è svolta nei giorni dal 4 al 6 novembre scorsi, è uno dei principali avvenimenti di settore ed è stata l'occasione per l’Agenzia di Promozione Territoriale della Basilicata per promuovere i prodotti dell'offerta lucana. Inoltre, il WTM di Londra arricchisce il programma di azioni che l'Apt ha posto in essere in collaborazione con ENIT, l'Agenzia Nazionale Turismo, quali, tra l'altro, la presenza al workshop sul luxury tourism, svoltosi a New York nelle scorse settimane, che ha visto maggiormente rappresentato il territorio di Matera e dintorni.
Occasioni utili per far conoscere ai numerosissimi operatori internazionali del settore le peculiarità sia della Capitale Europea della Cultura che dell’intero territorio regionale, contemplando dunque gli aspetti culturali, storico-archeologici, architettonici, paesaggistici, naturalistici, senza tralasciare naturalmente il turismo attivo, religioso, del folklore e quello eno-gastronomico.
È stata anche l’occasione colta dall’Apt per presentare al grande pubblico le numerose opportunità della Basilicata in un'ottica di destagionalizzazione: dalla vacanza attiva, che può contare ormai su attrattori dal forte appeal, al turismo lento, che nella nostra regione trova una sempre maggiore rilevanza, accanto alla Città dei Sassi che è e continuerà ad essere porta di ingresso del turismo lucano.
Il WTM di Londra ha intercettato non solo il mercato del Regno Unito ma più in generale quello europeo, considerando in particolare anche Francia, Germania e Paesi Bassi, per rimanere ai mercati principali. Una crescita registrata già da alcuni anni e che nel 2019 – in base ai dati provvisori dei primi 7 mesi, confrontati con il periodo analogo del 2018 –  ha visto in questi quattro mercati europei un incremento degli arrivi di circa il 6% e di circa il 5% delle presenze. A Matera il dato è ancor più significativo con oltre il 20% degli arrivi in più e quasi il 30% di incremento delle presenze.
La Capitale Europea della Cultura dunque si conferma la più importante area di intervento promozionale, da anni punto focale e trainante di una costante azione, anche in collaborazione con gli uffici regionali e con altre istituzioni a ciò deputate. È il caso, ad esempio, della campagna di comunicazione radiotelevisiva “Become Culture” sui canali Rai, frutto di un accordo di collaborazione con partner istituzionali, tra cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Regione Basilicata, che ha portato a oltre 423 milioni di contatti lordi; come è il caso delle attività all'interno dell'aeroporto di Bari-Palese e dell’Apertura dell’Openspace Basilicata nel centro di Matera, luogo non temporaneo destinato ad azioni di comunicazione e promozione che perdurino oltre l’anno 2019.
Sono solo alcune delle azioni che si affiancano ad altre attività online e offline, che segnano l'impegno costante per Matera e testimoniano come l'Apt sia da anni impegnata, in maniera strategica e in condivisione con gli uffici regionali preposti e l'intero sistema territoriale: una collaborazione che deve andare oltre le piccole polemiche legate – ad esempio – alla vendita in un determinato posto fisico o in un altro, di titoli di ingresso ad eventi, i cui risultati, in un mondo soprattutto fatto da e-commerce ed altri canali, vanno probabilmente addebitati più ad una progettazione a monte che ridotti al mero desk dove vendere in loco.
Abbiamo davanti infatti la sfida del 2020 con Matera che deve mantenere e consolidare i risultati raggiunti e la Basilicata deve ancora crescere e per farlo è inevitabile che la governance turistica intera sia consapevole dei problemi da affrontare ma anche del positivo momento che stiamo vivendo ed in cui, come è ragionevole che sia, siamo tutti chiamati a raccogliere sia i meriti che gli stimoli per migliorare.

Schiavone (Apt) su ruolo Matera e Basilicata nei mercati europei

La costante crescita di attenzione dei mercati esteri per la Basilicata e per Matera continua a stimolare azioni di promozione nei luoghi e negli eventi di particolare efficacia per il turismo. Il World Travel Market di Londra, la cui 40esmia edizione quest’anno si è svolta nei giorni dal 4 al 6 novembre scorsi, è uno dei principali avvenimenti di settore ed è stata l’occasione per l’Agenzia di Promozione Territoriale della Basilicata – si legge in una nota del direttore generale dell’Apt, Mariano Schiavone – per promuovere i prodotti dell’offerta lucana. Inoltre, il WTM di Londra arricchisce il programma di azioni che l’APT ha posto in essere in collaborazione con l’ENIT, l’Agenzia Nazionale Turismo, quali, tra l’altro, la presenza al workshop sul luxury tourism, svoltosi a New York nelle scorse settimane, che ha visto maggiormente rappresentato il territorio di Matera e dintorni.
Occasioni utili per far conoscere ai numerosissimi operatori internazionali del settore le peculiarità sia della Capitale Europea della Cultura che dell’intero territorio regionale, contemplando dunque gli aspetti culturali, storico-archeologici, architettonici, paesaggistici, naturalistici, senza tralasciare naturalmente il turismo attivo, religioso, del folklore e quello eno-gastronomico.
È stata anche l’occasione colta dall’Apt per presentare al grande pubblico le numerose opportunità della Basilicata in un'ottica di destagionalizzazione: dalla vacanza attiva, che può contare ormai su attrattori dal forte appeal, al turismo lento, che nella nostra regione trova una sempre maggiore rilevanza, accanto alla Città dei Sassi che è e continuerà ad essere porta di ingresso del turismo lucano.
Il WTM di Londra – prosegue la nota dell’Agenzia – ha intercettato non solo il mercato del Regno Unito ma più in generale quello europeo, considerando in particolare anche Francia, Germania e Paesi Bassi, per rimanere ai mercati principali. Una crescita registrata già da alcuni anni e che nel 2019 – in base ai dati provvisori dei primi 7 mesi, confrontati con il periodo analogo del 2018 – ha visto in questi quattro mercati europei un incremento degli arrivi di circa il 6% e di circa il 5% delle presenze. A Matera il dato è ancor più significativo con oltre il 20% degli arrivi in più e quasi il 30% di incremento delle presenze.
La Capitale Europea della Cultura dunque si conferma la più importante area di intervento promozionale, da anni punto focale e trainante di una costante azione, anche in collaborazione con gli uffici regionali e con altre istituzioni a ciò deputate. È il caso, ad esempio, della campagna di comunicazione radiotelevisiva “Become Culture” sui canali Rai, frutto di un accordo di collaborazione con partner istituzionali, tra cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Regione Basilicata, che ha portato a oltre 423 milioni di contatti lordi; come è il caso delle attività all’interno dell’aeroporto di Bari-Palese e dell’Apertura dell’Openspace Basilicata nel centro di Matera, luogo non temporaneo destinato ad azioni di comunicazione e promozione che perdurino oltre l’anno 2019.
Sono solo alcune delle azioni che si affiancano ad altre attività online e offline, che segnano l’impegno costante per Matera e testimoniano come l’Apt sia da anni impegnata, in maniera strategica e in condivisione con gli uffici regionali preposti e l’intero sistema territoriale: una collaborazione che deve andare oltre le piccole polemiche legate – ad esempio – alla vendita in un determinato posto fisico o in un altro, di titoli di ingresso ad eventi, i cui risultati, in un mondo soprattutto fatto da e-commerce ed altri canali, vanno probabilmente addebitati più ad una progettazione a monte che ridotti al mero desk dove vendere in loco.
Abbiamo davanti infatti la sfida del 2020 con Matera che deve mantenere e consolidare i risultati raggiunti e la Basilicata deve ancora crescere e per farlo è inevitabile che la governance turistica intera sia consapevole dei problemi da affrontare ma anche del positivo momento che stiamo vivendo ed in cui, come è ragionevole che sia, siamo tutti chiamati a raccogliere sia i meriti che gli stimoli per migliorare.
  

La pace in Yemen non è più un miraggio

A un anno dal cessate il fuoco tra i ribelli Houthi e le forze militari del governo yemenita, qualcosa sta cominciando a cambiare nel Paese mediorientale. Anche grazie una differente strategia dell’Arabia saudita, che sta favorendo il processo di de-escalation del conflitto.

All’incirca un anno fa la comunità internazionale fu attraversata da un moto di speranza per le confortanti notizie che stavano giungendo da Stoccolma dove si stava perfezionando un accordo di cessate il fuoco tra i ribelli Houthi e le forze militari del governo yemenita sostenute dalla coalizione araba a guida saudita.

Si parlò allora di un primo significativo passo in direzione della fine di una guerra che aveva già provocato decine di migliaia di morti, oltre 2 milioni di sfollati e un disastro umanitario di spaventose dimensioni.

Punti nevralgici dell’accordo erano stati, allora, la liberazione dei porti sul mar Rosso di Salif, Ras Issa e soprattutto di Hodeida, un vero e proprio polmone di sopravvivenza per gli yemeniti dall’occupazione delle milizie degli Houthi e una serie di misure di confidence building tra cui lo scambio di migliaia di prigionieri.

Ci sono voluti mesi e mesi – di fatto il vero ritiro dai porti è iniziato solo nel maggio del 2019 – prima che l’accordo facesse emergere risultati significativi. E ciò per la complicità di un contesto di grande complessità sul quale ha influito anche il riaccendersi del terrorismo – sia di Al Qaeda che dell’Isis – che continuava e continua a trovarvi utile concime per le sue radici stragiste. Contesto che d’altra parte si è reso anche più problematico per il progressivo sfilarsi dalla coalizione anti-Houthi di parte dei suoi componenti e che ha segnato un serio vuoto con l’abbandono del campo da parte dei sudanesi (circa 10 mila uomini) con la svolta rivoluzionaria che ha portato alla destituzione del presidente Omar al Bashir e, soprattutto, con lo scontro che ha visto contrapposte le forze militari del presidente Abd Rabu Mansur Hadi con quelle dei separatisti del Sud (Stc); le prime sostenute dall’Arabia Saudita e le ultime dagli Emirati, a loro volta preziose alleate di Riad contro gli Houthi. e la conseguente occupazione di Aden da parte dello Stc.

L’IMPORTANTE INTESA DEL 5 NOVEMBRE

Un bel pasticcio anche perché dilatatosi ad altre tribù e ad altri gruppi regionali. C’erano sufficienti ragioni insomma per indurre Riad a ricalibrare l’impegno a sostenere in via esclusiva (ed escludente) il presidente Hadi, rifugiato in Arabia Saudita, e a mantenere la forza dell’unione con gli Emirati. E in tale contesto a orientarsi rapidamente verso un orizzonte strategico disegnato dall’assoluta necessità di sgomberare il campo da quella che rischiava di essere una “guerra civile minore all’interno della guerra civile maggiore”. Non è stato affatto agevole ma in qualche modo l’obiettivo è stato raggiunto con un’intesa – il cosiddetto accordo di Riad – siglata il 5 novembre dopo la ripresa del controllo di Aden. Un’intesa molto significativa perché ha previsto l’inclusione del movimento separatista nel governo yemenita e quello delle milizie del Sud sotto l’autorità dei ministri dell’Interno e della Difesa.

L’IMPENNATA DELLO SCONTRO

Non è stato agevole perché ha di fatto sanzionato una sorta di supremazia dell’Arabia Saudita che potrebbe essere messa in discussione se non si realizza anche l’altra parte della guerra civile. E non lo è stato perché è maturato in concomitanza – e forse anche grazie – all’impennata dello scontro con gli Houthi. Mi riferisco a quella serie di “incidenti” occorsi a danno di petroliere saudite e soprattutto al pesante attacco di settembre, con droni e missili ai due siti petroliferi sauditi dell’Aramco, rivendicato proprio dagli Houthi ma difficilmente dissociabile da una responsabilità iraniana.

L’Arabia Saudita ha dato l’impressione di essere propensa a cambiare logica e ad accettare che i nodi della guerra siano anche legati a fattori come l’eccesso di autoritarismo di Hadi

Al di là dell’intenso dibattito sull’effettiva responsabilità di questi atti, è pur vero che Riad ha condannato questo «vero e proprio atto di guerra» assumendo anche toni minacciosi, ma è altrettanto vero che tutto si è fermato a livello verbale, quasi a dimostrazione della sua impotenza di fronte alla dura constatazione della sua vulnerabilità. E dunque del rischio di esporsi, contrattaccando, a una spirale conflittuale dagli esiti perniciosi visti i limiti del loro ombrello protettivo. In quel clima ha avuto la funzione di un suggerimento da non lasciar cadere la dichiarata disponibilità degli Houthi a interrompere gli attacchi sul territorio saudita – una sorta di tregua insomma – se anche Riad si fosse impegnata a fare altrettanto su quello yemenita. E, di conseguenza di ridare ossigeno al processo di de-escalation del conflitto, ormai auspicabile anche da parte degli Houthi dopo tanti anni di guerra impantanata, di stallo militare superabile solo con la politica e con i crediti acquisiti con l’accordo di Stoccolma e i segnali derivanti dall’accordo di Riad.

IL NODO DELLA CONDIVISIONE DEL POTERE

L’Arabia Saudita ha dato cioè l’impressione – anzi, più che l’impressione – di essere propensa a cambiare logica, approccio e ad accettare che i nodi della guerra siano anche legati ad altri fattori come l’eccesso di autoritarismo di Hadi, come del suo predecessore, alla diffusa corruzione e al ruolo denegato agli Houthi di una reale partecipazione alla gestione del governo del Paese e, forse, anche a fattori precedenti la spinta conflittuale iraniana. Questa sua propensione era implicita nell’intesa con le forze separatiste del Sud che aveva in qualche modo indicato la rotta da seguire nel senso di una condivisione di questo potere di governo su cui portare anche Hadi, chiamato a riprendere posto ad Aden. Tutto ciò con l’implicito corollario di una sorta di garanzia tutelare esercitata dalla Casa reale saudita per la quale lo Yemen resta più che mai un tassello di fondamentale importanza per la sua sicurezza e stabilità. Superfluo sottolineare come questo processo negoziale con gli Houthi molto sottotraccia, ora in Oman, sia soltanto all’inizio e possa deragliare, ma la prospettiva di una correzione degli errori del passato rappresenta un segno incoraggiante.

L’EMBLEMATICO DISCORSO DEL RE SALMAN

Intanto il primo ministro sta rientrando in Yemen (Aden, capitale provvisoria) con i colleghi delle Finanze, dell’Educazione, delle Telecomunicazioni in adempimento dell’accordo siglato con i separatisti del Sud in vista di un ritorno istituzionale del Paese ad una relativa normalità. Martin Griffiths, l’Inviato speciale delle Nazioni Unite, non ha mancato di manifestare espressioni di incoraggiamento e l’auspicio che la fine del conflitto possa maturare nei primi mesi del 2020. Ed è significativo che nel discorso annuale di fronte al parlamento saudita (Shoura Council) lo stesso re Salman abbia fatto esplicito riferimento ai colloqui di pace in corso e abbia nel contempo sollecitato l’Iran, alle prese con i drammatici sviluppi delle manifestazioni di protesta che lo stanno attraversando, ad abbandonare l’ideologia espansionistica che ha fatto tanto male, ha sottolineato, al suo stesso popolo.

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I punti del possibile disgelo fra ArcelorMittal e governo sull’ex Ilva

Un vertice riservato avrebbe preparato il documento per far decollare il negoziato. Quattro temi chiave: ripristino dello scudo penale; funzionalità dell’Altoforno 2; occupazione con 1 miliardo di investimenti anche grazie a Intesa e forza lavoro assorbita da Cdp. Le indiscrezioni.

Come risolvere lo stallo sull’ex Ilva, provocando il disgelo tra il governo e i franco-indiani di ArcelorMittal? Forse un passo avanti c’è già stato, durante un vertice riservato avvenuto martedì 19 novembre al Tesoro. L’obiettivo? Sottoscrivere un cosiddetto memorandum of understanding in quattro punti da consegnare ai giudici di Milano nell’udienza convocata per mercoledì 27 per chiedere una proroga fino a Natale.

NEGOZIATO PRONTO A «DECOLLARE»

La rivelazione è stata fatta da Il Messaggero, secondo cui è «pronto il documento che farà decollare il negoziato» in vista della riunione di venerdì 22 a Palazzo Chigi con il premier Giuseppe Conte.

1. CERTEZZA DEL DIRITTO: RIPRISTINO DELLO SCUDO

Cosa prevedono i punti? Innanzitutto «la certezza del diritto mediante il ripristino dello scudo penale». Anche se il presidente della Camera, il grillino Roberto Fico, ha ribadito che «è un pretesto» per Mittal e che non c’è alcuna «motivazione» per reinserirlo.

2. FUNZIONALITÀ DELL’ALTOFORNO 2

Il secondo punto riguarda «la funzionalità dell’Altoforno 2, che deve poter tornare a produrre adeguatamente».

3. OCCUPAZIONE: RILANCIO E AMMORTIZZATORI

Il punto tre è dedicato al tema dell’occupazione, con «i 5 mila esuberi che l’azienda prevede» e con gli ammortizzatori: sono infatti previste misure «a supporto del rilancio del territorio mediante una combinazione pubblico-privato per creare condizioni di lavoro sostenibili».

In questo ambito che il governo avrebbe allertato Intesa SanPaolo, che è il principale creditore dell’amministrazione straordinaria


Le indiscrezioni de Il Messaggero

Secondo il quotidiano «l’ultimo punto è uno dei passaggi più delicati perché necessita di circa 1 miliardo di investimenti: ed è in questo ambito che il governo avrebbe allertato Intesa SanPaolo, che è il principale creditore dell’amministrazione straordinaria» e «i banchieri milanesi avrebbero dato disponibilità a esaminare un progetto concreto», quindi «Intesa potrebbe anche rafforzare l’impegno».

4. RICONVERSIONE: FORZA LAVORO ASSORBITA DA CDP

Il punto quattro, infine, «riguarda la tecnologia legata alla riconversione del piano ambientale: comporta una riduzione della forza lavoro che potrebbe essere assorbita dalla Cassa depositi e prestiti mediante misure compensative, cioè schierando Cdp Immobiliare attiva nell’housing sociale. Gli immobili di proprietà potrebbero ospitare gli sfollati del rione Tamburi».

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Il manifesto delle Sardine: «Populisti, ci troverete ovunque. Benvenuti in mare aperto»

Il movimento bolognese su Facebook sfida i “nemici”. E mette in guardia: «Siete gli unici a dover avere paura. La festa è finita».

Le Sardine bolognesi su Facebook sfidano i populisti spiegando, nero su bianco, le ragioni della loro mobilitazione dopo il successo inaspettato dei primi appuntamenti di Bologna e Modena. Una sorta di manifesto in cui i quattro organizzatori – Giulia, Andrea, Roberto e Mattia – raccontano chi sono e quali sono gli obiettivi del banco.

«CARI POPULISTI, LA FESTA È FINITA»

«Cari populisti, lo avete capito. La festa è finita. Per troppo tempo avete tirato la corda dei nostri sentimenti. L’avete tesa troppo, e si è spezzata», comincia la “lettera” dei capi banco. «Per anni avete rovesciato bugie e odio su noi e i nostri concittadini: avete unito verità e menzogne, rappresentando il loro mondo nel modo che più vi faceva comodo […]. Avete scelto di affogare i vostri contenuti politici sotto un oceano di comunicazione vuota. Di quei contenuti non è rimasto più nulla». Le Sardine accusano i populisti di aver «buttato in caciara» argomenti seri. E di aver spinto i seguaci «a insultare e distruggere la vita delle persone sulla Rete».

LEGGI ANCHE: Mattia Santori sul futuro delle “sue” Sardine

«CREDIAMO NELLA POLITICA CON LA P MAIUSCOLA»

Ora però, la marea pare essere cambiata. «Siete gli unici a dover avere paura», continua il manifesto. «Siamo scesi in una piazza, ci siamo guardati negli occhi, ci siamo contati. Siamo un popolo di persone normali […] Amiamo le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica), la creatività, l’ascolto. Crediamo ancora nella politica e nei politici con la P maiuscola. In quelli che pur sbagliando ci provano, che pensano al proprio interesse personale solo dopo aver pensato a quello di tutti gli altri. Sono rimasti in pochi, ma ci sono».

LEGGI ANCHE: Le Sardine dovrebbero nuotare verso Sud

«Vi siete spinti troppo lontani dalle vostre acque torbide e dal vostro porto sicuro. Noi siamo le sardine, e adesso ci troverete ovunque. Benvenuti in mare aperto». E quindi un’ultima citazione da Com’è profondo il mare di Lucio Dalla, diventato l’inno delle piazze. «È chiaro che il pensiero dà fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce. Anzi, è un pesce. E come pesce è difficile da bloccare, perché lo protegge il mare. Com’è profondo il mare».

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La legge elettorale divide Pd da M5s, renziani e Leu

Vertice interlocutorio sulla riforma. I dem spingono per il doppio turno. Mentre grillini, Italia viva e sinistra propongono il proporzionale, ma con la soglia ancora da decidere.

La certezza è che il Rosatellum, l’attuale legge elettorale, è destinato ad andare in pensione. Ma l’esito del primo vertice di maggioranza, tenuto la sera del 20 novembre, sulla legge elettorale, ha fatto emergere due modelli tra cui i partiti sceglieranno: o il doppio turno, su cui ha insistito il Pd, o un proporzionale sul quale però è aperta la discussione sulla soglia di sbarramento. Per il proporzionale, sempre a quanto si apprende, si sono invece schierati M5s e i due partiti più piccoli Iv e LeU.

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