I giudici frenano lo spegnimento dell’Ilva

L’altoforno 2 resta in funzione dopo la richiesta del tribunale di Milano. Mattarella incontra i sindacati e promette una soluzione. Ma il governo studia il piano B.

Continua la battaglia a tutto campo per fronteggiare l’addio di ArcelorMittal al polo siderurgico italiano. Ma, intanto, alla richiesta del giudice di Milano di non interrompere l’attività degli impianti, la società risponde con la sospensione delle procedure di spegnimento (anche se l’altoforno 2 al momento resta acceso) in attesa della prima udienza sul ricorso d’urgenza presentato dai commissari, fissata per il 27 novembre.

TENSIONE SIA TRA I LAVORATORI CHE NEL GOVERNO

La tensione era rimasta alta tra i lavoratori, indotto compreso, in presidio davanti ai cancelli dello stabilimento di Taranto, ma anche nel governo, che prepara un piano B e incassa la data di un nuovo incontro tra il premier Giuseppe Conte, i ministri dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, e dell’Economia, Roberto Gualtieri, e il gruppo franco-indiano. Il vertice è fissato per venerdì 22 novembre alle 18.30. La notizia giunta in serata stempera, almeno per il momento, gli animi mentre la preoccupazione dei sindacati, arrivata al Quirinale e, raccolta dal capo dello Stato, fa sentire il suo peso.

LA PREOCCUPAZIONE DEL QUIRINALE PER GLI SVILUPPI

Sergio Mattarella per lo più ascolta i problemi sul tappeto, ma afferma come l’ex Ilva sia un grande problema nazionale che va risolto con tutto l’impegno e la determinazione, non solo per le implicazioni importantissime sul piano occupazionale, osserva, ma anche per quanto riguarda il sistema industriale italiano. I sindacati appaiono sollevati dopo le notizia arrivate da Taranto e il leader della Cgil, Maurizio Landini, salito al Colle con i segretari di Cisl, Annamaria Furlan e Uil, Carmelo Barbagallo, afferma che si tratta di «un primo risultato importante ma adesso non c’è tempo da perdere». Furlan si augura che sia il primo passo per «salvare» la fabbrica.

IL TRIBUNALE DI MILANO FISSA LA PRIMA UDIENZA

«Abbiamo fatto un atto eccezionale, non è norma discutere di crisi aziendali con il presidente della Repubblica» – riconoscono le rappresentanze dei lavoratori – «ma il fatto che ci abbia immediatamente dato questo incontro credo significhi che anche il presidente condivida l’eccezionalità della situazione e la necessità di una soluzione in tempi rapidi». Sul versante giudiziario, dove si allargano le indagini anche sul fronte tributario e per false comunicazioni al mercato, arriva invece dal tribunale di Milano (una seconda inchiesta è aperta al tribunale di Taranto) la data della prima udienza sul ricorso d’urgenza dei commissari: il prossimo 27 novembre. E proprio nel fissare la data, il giudice aveva invitato ArcelorMittal «a non porre in essere ulteriori iniziative e condotte in ipotesi pregiudizievoli per la piena operatività e funzionalità degli impianti». In sostanza, a non fermarli. Invito accolto dalla multinazionale dell’acciaio che da parte sua «prende atto e saluta con favore l’odierna decisione del tribunale di non accogliere la richiesta di emettere un’ordinanza provvisoria senza prima aver sentito tutte le parti». Si apprende intanto che nel ricorso i commissari parlano dell’iniziativa «gravissima» e «unilaterale» con cui Am vuole sciogliere il contratto di affitto – e della «dolosa intenzione di forzare con violenza e minacce» un riassetto dell’obbligo contrattuale – che riguarda un impianto industriale di «interesse strategico» e che determinerebbe «danni sistemici incalcolabili». Danni in definitiva a carico dell’ «intera economia nazionale».

L’ESECUTIVO PENSA AL PIANO B

Intanto di fronte alla possibilità che ArcelorMittal non faccia passi indietro e non riveda la decisione di lasciare Taranto e gli altri siti del Paese, il governo pensa al piano B: in tal caso, per l’ex Ilva scatterà «l’amministrazione straordinaria, con un prestito ponte» da parte dello Stato in modo da riportare l’azienda sul mercato entro «uno-due anni», spiega il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia. «Se necessario rifaremo senza alcun problema» l’amministrazione straordinaria che ha già «salvato l’Ilva dal crack dei Riva». Una «alternativa non c’è».

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