Il piano di Facebook per evitare a Usa 2020 la débacle del 2016

Lotta alle interferenze straniere, trasparenza delle pagine e stretta sulle fake news: dopo gli scandali Zuckerberg potenzia la war room di Menlo Park in vista delle elezioni.

Manca un anno alle elezioni presidenziali americane 2020 e stavolta Facebook non vuole arrivare impreparata e ripetere la débacle del 2016. Così il più famoso social network al mondo ha lanciato il suo piano per proteggere il processo democratico del voto da interferenze straniere e disinformazione, dichiarando guerra a fake news e falsi account.

«ABBIAMO NOI LA RESPONSABILITÀ»

«Abbiamo la responsabilità di fermare ogni abuso e interferenza sulla nostra piattaforma», ha affermato il gruppo di Mark Zuckerberg, che ha messo a punto protocolli di sicurezza e trasparenza che vanno dalla difesa degli account dei candidati e dei partiti alla strettissima sorveglianza della rete attraverso il lavoro di una vera e propria war room già sperimentata per le elezioni di metà mandato nel 2018 e dove sarà all’opera una task force di esperti ed analisti nei piani ancor più efficiente.

I CONTINUI ATTACCHI DOPO USA 2016

Del resto le Presidenziali americane del 2020 saranno più che mai le elezioni dei social media e quello che si vuole assolutamente evitare è ripetere gli errori del passato, quando la Russia nel 2016 ha fatto di Facebook l’attore principale per seminare discordia e incertezza, scoraggiare l’affluenza alle urne e dare impulso al nazionalismo bianco. Per questo Facebook è da anni nell’occhio del ciclone, con Zuckerberg costretto più volte a difendersi anche in Congresso.

Soprattutto dopo lo scandalo di Cambridge Analytica, la società a cui sono stati affidati senza consenso i dati di decine di milioni di utenti per utilizzarli per scopi politici.

LOTTA ALLE INTERFERENZE, AUMENTO DELLA TRASPARENZA E STRETTA SULLE FAKE NEWS

I cardini del piano messo a punto nel quartier generale di Menlo Park sono la lotta alle interferenze straniere con un programma in grado di individuare i cosiddetti ‘bad actors’ che agiscono nella rete, l’aumento della trasparenza delle pagine e della pubblicità, una severissima stretta su ogni forma di disinformazione e sui contenuti d’odio. Questa dunque la risposta di Facebook dopo che Twitter, sempre in previsione delle elezioni americane del prossimo anno, ha deciso di risolvere il problema in maniera drastica vietando gli spot pubblicitari di carattere politico. Ma per Zuckerberg non è questa la strada giusta da seguire, perché – sostiene il fondatore di Facebook – vietare la pubblicità politica vuol dire censurare la libertà di parola e di espressione.

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Hong Kong, c’è la prima vittima negli scontri tra manifestanti e polizia

Uno studente di 22 anni è morto dopo essere caduto da un parcheggio qualche giorno fa. Al momento dell’incidente sul posto erano in corso scontri tra forze dell’ordine e attivisti pro-democrazia.

Chow Tsz-lok, studente di 22 anni della Hong Kong University of Science and Technology, è morto nella mattinata dell’8 novembre per le gravi ferite alla testa riportate il 5 cadendo da un parcheggio vicino al quale c’era una protesta pro-democrazia e dove la polizia era intervenuta per disperdere la folla coi lacrimogeni.

È il primo caso di morte confermata per gli scontri tra dimostranti e polizia. Il tragico esito, reso noto dalla Hospital Authority, ha scatenato flah mob e sit-in di solidarietà da parte degli studenti, facendo temere azioni ben più pesanti nel weekend.

La polizia della città ha espresso cordoglio e vicinanza alla famiglia di Chow Tsz-lok. In una conferenza stampa, una portavoce ha assicurato che «quanto prima» sarà avviata un’indagine per fare luce e ricostruire tutta la vicenda, assicurando che l’intero corpo di polizia «è triste per l’accaduto, come tutte le altre persone di Hong Kong».

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Hong Kong, c’è la prima vittima negli scontri tra manifestanti e polizia

Uno studente di 22 anni è morto dopo essere caduto da un parcheggio qualche giorno fa. Al momento dell’incidente sul posto erano in corso scontri tra forze dell’ordine e attivisti pro-democrazia.

Chow Tsz-lok, studente di 22 anni della Hong Kong University of Science and Technology, è morto nella mattinata dell’8 novembre per le gravi ferite alla testa riportate il 5 cadendo da un parcheggio vicino al quale c’era una protesta pro-democrazia e dove la polizia era intervenuta per disperdere la folla coi lacrimogeni.

È il primo caso di morte confermata per gli scontri tra dimostranti e polizia. Il tragico esito, reso noto dalla Hospital Authority, ha scatenato flah mob e sit-in di solidarietà da parte degli studenti, facendo temere azioni ben più pesanti nel weekend.

La polizia della città ha espresso cordoglio e vicinanza alla famiglia di Chow Tsz-lok. In una conferenza stampa, una portavoce ha assicurato che «quanto prima» sarà avviata un’indagine per fare luce e ricostruire tutta la vicenda, assicurando che l’intero corpo di polizia «è triste per l’accaduto, come tutte le altre persone di Hong Kong».

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Buia e Salini: la ministra De Micheli tra due fuochi

La titolare delle Infrastrutture da un lato si è schierata dalla parte dei piccoli costruttori capitanati dal presidente dell’Ance, dall’altro non riesce a sottrarsi al fascino di Progetto Italia. Ma il suo tentativo di districarsi tra interessi contrapposti e ataviche guerre sta destando qualche malumore.

Paola De Micheli non sa che pesci prendere. Da un lato, la ministra delle Infrastrutture si è schierata a favore dei piccoli imprenditori delle costruzioni, che hanno nel presidente dell’Ance, il parmense Gabriele Buia il loro punto di riferimento. Dall’altro, non riesce a sottrarsi al fascino di un potere forte come Progetto Italia, il nuovo super raggruppamento che unisce Impregilo e Astaldi sotto la guida di Pietro Salini con la decisiva partecipazione nel capitale di Cdp. Peccato che Buia e Salini siano come cane e gatto, l’un contro l’altro armati in una guerra che contrappone migliaia di imprese di piccole e medie dimensioni a un colosso che la fa da padrone in un mercato interno che è già povero di suo per l’influenza nefasta del “partito del No” a tutte le infrastrutture esistenti in Italia.

DE MICHELI STRETTA TRA INTERESSI CONTRAPPOSTI

Eppure, la ministra nata all’ombra di Pier Luigi Bersani, passata poi con Matteo Renzi e ora diventata fervente paladina di Nicola Zingaretti, non si è persa d’animo: prima è andata all’assemblea dell’Ance del 30 ottobre convocata per denunciare che ci sono ben 749 opere ancora bloccate per un valore complessivo di 62 miliardi, e si conquistata gli applausi assicurando la platea che la sua volontà è quella di concentrarsi sulla rigenerazione urbana e sulla casa, temi che interessano i piccoli costruttori. Poi ha incontrato i plenipotenziari di Salini e quelli di Cdp dicendo loro che non sarebbe certo rimasta insensibile agli interessi del neonato polo di Progetto Italia. Insomma, la ministra cerca districarsi tra interessi contrapposti e ataviche guerre in un settore come quello delle costruzioni dall’alto tasso di litigiosità, destando qualche malumore al ministero di piazza della Croce Rossa già provato dalle giravolte del suo ineffabile predecessore Danilo Toninelli.

Quello di cui si occupa la rubrica Corridoi lo dice il nome. Una pillola al giorno: notizie, rumors, indiscrezioni, scontri, retroscena su fatti e personaggi del potere

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Buia e Salini: la ministra De Micheli tra due fuochi

La titolare delle Infrastrutture da un lato si è schierata dalla parte dei piccoli costruttori capitanati dal presidente dell’Ance, dall’altro non riesce a sottrarsi al fascino di Progetto Italia. Ma il suo tentativo di districarsi tra interessi contrapposti e ataviche guerre sta destando qualche malumore.

Paola De Micheli non sa che pesci prendere. Da un lato, la ministra delle Infrastrutture si è schierata a favore dei piccoli imprenditori delle costruzioni, che hanno nel presidente dell’Ance, il parmense Gabriele Buia il loro punto di riferimento. Dall’altro, non riesce a sottrarsi al fascino di un potere forte come Progetto Italia, il nuovo super raggruppamento che unisce Impregilo e Astaldi sotto la guida di Pietro Salini con la decisiva partecipazione nel capitale di Cdp. Peccato che Buia e Salini siano come cane e gatto, l’un contro l’altro armati in una guerra che contrappone migliaia di imprese di piccole e medie dimensioni a un colosso che la fa da padrone in un mercato interno che è già povero di suo per l’influenza nefasta del “partito del No” a tutte le infrastrutture esistenti in Italia.

DE MICHELI STRETTA TRA INTERESSI CONTRAPPOSTI

Eppure, la ministra nata all’ombra di Pier Luigi Bersani, passata poi con Matteo Renzi e ora diventata fervente paladina di Nicola Zingaretti, non si è persa d’animo: prima è andata all’assemblea dell’Ance del 30 ottobre convocata per denunciare che ci sono ben 749 opere ancora bloccate per un valore complessivo di 62 miliardi, e si conquistata gli applausi assicurando la platea che la sua volontà è quella di concentrarsi sulla rigenerazione urbana e sulla casa, temi che interessano i piccoli costruttori. Poi ha incontrato i plenipotenziari di Salini e quelli di Cdp dicendo loro che non sarebbe certo rimasta insensibile agli interessi del neonato polo di Progetto Italia. Insomma, la ministra cerca districarsi tra interessi contrapposti e ataviche guerre in un settore come quello delle costruzioni dall’alto tasso di litigiosità, destando qualche malumore al ministero di piazza della Croce Rossa già provato dalle giravolte del suo ineffabile predecessore Danilo Toninelli.

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Col voto anticipato Renzi sparirebbe dalla scena politica

In un’intervista a Repubblica il leader di Italia viva implora di non far cadere il Conte bis. Sa che se andasse a elezioni ora sarebbe finito.

Matteo Renzi alla Repubblica dell’8 novembre dice che il voto anticipato sarebbe un suicidio, soprattutto annichilirebbe Pd e Italia viva separandoli definitivamente. Per il resto l’intervista è solo autopromozione.

È del tutto evidente che Renzi abbia capito che tirando la corda questa può spezzarsi e che dopo Giuseppe Conte c’è solo il voto e che il voto ravvicinato dopo il Conte 2 porta al governo Salvini prima ancora che si possano manifestare appieno i primi cenni di una competition fra lui e Giorgia Meloni alla quale i sondaggi danno già il 10%.

Detto tra parentesi, questo dato della Meloni richiede una riflessione. Perché dice che c’è una destra che torna a casa, avendone trovata una e segnala un trend che ha accompagnato tutte le altre avventure precedenti, come quelle di M5s e Lega, cioè dapprincipio una lenta ma inesorabile ascesa, infine una esplosione nel voto. Non so se accadrà, so solo che la descrizione di una destra pacificata che va verso la vittoria e che con serenità governa è una sciocchezza come l’idea che il primo Conte dovesse durare 20 anni.

IL PD SE CORRESSE DA SOLO POTREBBE OTTERE IL 20% DEI VOTI

Torniamo a Renzi. Al medesimo sfuggono due ipotesi di lavoro che sono davanti al Pd nel caso si rompesse l’alleanza: che cinque stelle e Italia viva rompano talmente i cabasisi al povero Nicola Zingaretti da costringerlo a far saltare il tavolo. Oppure, altra soluzione, che Matteo Salvini si “compri” un po’ di deputati grillini facendo crollare l’attuale maggioranza. Il Pd messo alle strette potrebbe andare al voto da solo o con pochi alleati al centro e a sinistra dichiarando di aver fatto di tutto per dare una mano al Paese dopo l’estate alcolica di Salvini e l’autunno giovanilistico di Renzi e Luigi Di Maio. Potrebbe assestarsi su una cifra intorno al 20% dei voti o poco più che è il dato di molte socialdemocrazie europee e da qui potrebbe tentare la risalita avendo come vantaggio di non avere in parlamento nessun renziano, Renzi compreso, e pochi pentastellati, ma non Di Maio.

SERVE UNA COALIZIONE NUOVA DA OPPORRE AI SOVRANISTI

Il Pd potrebbe, soluzione che io suggerisco, affrontare il trauma della chiusura anticipata della legislatura facendo una sorta di Big bang, cioè formando un cartello elettorale in cui si scioglierebbero i partiti e si darebbe vita a una coalizione di italiani che non vogliono prender ordini da Vladimir Putin, che non vogliono svendere le imprese ai francesi, che vogliono mantenere una società industriale di nuovo tipo, avendo al centro il tema di lavori straordinari e di una operazione sul cuneo fiscale, non da rimandare come vuole Renzi, ma da rendere più efficace. Di fronte alla minaccia di destra con una coalizione di italiani veri. Direi risorgimentale e digitale. Anche in questo caso Renzi e i grillini andrebbero a ramengo e ci sarebbe la possibilità di accogliere convergenze fra la società civile che è stufa di politicanti come i due Mattei e di signori o signorine come Di Maio e Barbara Lezzi.

PER ORA RENZI ELETTORALMENTE NON ESISTE

Renzi vuole evitare queste due soluzioni? Sia costruttivo. Deve semplicemente togliersi dalla testa ciò che lo ha mosso negli anni dell’ascesa, del successo e della sua attuale fragile resurrezione. Cioè che la sinistra, e in particolare gli ex comunisti, quelli non sbianchettati come la sua Teresa Bellanova, non sono un deposito di consensi da saccheggiare ostentando disprezzo. Renzi elettoralmente, per ora, non esiste. È figlio degli errori della sinistra non della sua evoluzione.

Chi era ossessionato da Massimo D’Alema fra un po’ sarà fuori dalla politica italiana

Non è caduto perché la sinistra lo voleva morto, ma perché lui voleva uccidere ogni ombra che venisse dalla sinistra. Renzi ha bisogno di fare chiarezza mentale nei suoi pensieri. Il prossimo voto, e la prossima sconfitta, diranno che chi ha difeso la Ditta, essendo così colpevole di coservatorismo, tuttavia attrae ancora una buona parte di italiani, chi era ossessionato da Massimo D’Alema fra un po’ sarà fuori dalla politica italiana. In sintesi, se la attuale coalizione non è in grado di emettere un solo suono dignitoso, lasci il fiato per le trombe del ritiro. Un ritiro ordinato e pieno di idee per il futuro, può almeno salvare la bandiera.

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È morto Fred Bongusto

Il cantante, malato da tempo, si è spento all’età di 84 anni. La sua canzone più famosa era “Una rotonda sul mare”.

È morto la notte scorsa, nella sua abitazione a Roma, Fred Buongusto. Il cantante, che aveva 84 anni, era malato da tempo. A renderlo noto il suo ufficio stampa. La sua canzone più famosa era Una rotonda sul mare.

In una nota l’ufficio stampa del cantante scrive che «la notte scorsa, alle 3,30 circa, ha cessato di battere il cuore di Fred Bongusto». Il celebre artista, nato a Campobasso, e il cui nome all’anagrafe era Alfredo Antonio Carlo Buongusto.

I funerali saranno celebrati a Roma, lunedì 11 novembre, alle 15, nella Basilica di Santa Maria in Montesanto, la Chiesa degli artisti in piazza del Popolo. Bongusto fu molto popolare negli anni Sessanta e Settanta come il classico cantante confidenziale che spopolava in quegli anni.

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Esplode tir sull’A1: feriti due vigili del fuoco

Il camion è andato in fiamme in un’area di sosta nel Bolognese prima di detonare. Un pompiere ferito al bacino e l’altro al braccio.

Sono due vigili del fuoco le persone rimaste ferite durante un intervento per l’incendio di un tir, nella notte nell’area di servizio Cantagallo sull’A1, nel Bolognese. C’è stata un’esplosione e i due sarebbero caduti da una scala, riportando fratture, uno al bacino e l’altro a un braccio. Sono stati portati all’ospedale Maggiore Anche altri pompieri della stessa squadra sono finiti a terra per lo spostamento d’aria.

IL TRAFFICO PARZIALMENTE INTERROTTO

La chiamata di soccorso è arrivata alle 2.10 alla sala operativa del 115, per un incendio di un tir parcheggiato nell’area di servizio Cantagallo Ovest, sull’A1, direzione Sud. L’esplosione è avvenuta durante lo spegnimento, portato a termine dai rinforzi arrivati dalla sede centrale di Bologna dei vigili del fuoco e del distaccamento volontario di Monzuno. L’autostrada è stata parzialmente interrotta durante le operazioni di soccorso. È intervenuta anche la Polizia Stradale e personale di Autostrade. Le operazioni si sono concluse alle 6.30.

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L’appello di Matteo Renzi al Pd per evitare il voto anticipato

Il leader di Italia viva si è appellato al suo ex partito chiedendo di evitare il ritorno alle urne: «Sarebbe un suicidio di massa».

Tornare al voto sarebbe «un suicidio di massa». Ne è convinto Matteo Renzi. In una lunga intervista a Repubblica il leader di Italia viva ha spiegato che l’esecutivo deve resistere e tenere duro. In particolare l’ex sindaco di Firenze si è appellato al Partito democratico: «Se il Pd vuole votare, lo dica. Se i parlamentari del Pd hanno deciso di andare contro il muro hanno il dovere di comunicarlo al Paese e palesarlo in Aula».

«Per me», ha continuato, «è una follia, un suicidio di massa. Italia viva pensa che si debba votare nel 2023, alla scadenza naturale, dopo aver eletto il nuovo Presidente della Repubblica». L’obiettivo primario per Renzi è l’abbassamento del costo degli interessi da portare a 50 miliardi, «per incidere in Europa, per costruire l’alternativa al sovranismo no euro».

Poi una stoccata, ancora una volta, alla foto di Narni e al voto regionale in Umbria: «Se qualcuno pensa di fare come in Umbria anticipando le elezioni, faccia pure: con questa scelta si perdono tutti i collegi uninominali e si causano sonore sconfitte in Emilia Romagna, Toscana e Lazio. Non so che nome dare a questa ipotesi politica: in psicologia si chiama masochismo». Se sul tavolo rimane il voto anticipato, Renzi ha mostrato di non avere dubbi: «Se vogliono votare, ognuno andrà per la propria strada. Se come spero si andrà avanti, facciamo insieme un grande patto per la crescita».

RENZI E L’APPOGGIO A TEMPO A CONTE

«Questo governo non è il mio, ma è comunque meglio dell’alternativa: il voto, la destra, il Quirinale ai sovranisti, l’Italia in bilico sull’euro», ha continuato il leader di Italia viva, «Chi volendo di più vagheggia nuove elezioni, forse si mette in pace la coscienza, ma mette a terra il Paese». Poi un cenno al premier Conte: «In Italia è il parlamento che tiene in vita il governo, e quando cade un governo se ci sono i numeri si va avanti. Pensiamo a dare una mano a Conte, oggi. Del doman non v’è certezza».

«SFRUTTIAMO L’EVENTUALE INTESA USA-CINA SUI DAZI»

Nel mondo «nessuno si domanda se ci sarà una nuova recessione ma solo quando. L’Italia concentri su questo le sue attenzioni, non sulle risse quotidiane», ha esortato Renzi. «Se, come penso, Trump e Xi chiuderanno l’accordo sul commercio tra Usa e Cina, avremo mesi di tranquillità in più. Non vanno sprecati. Serve un grande patto politico per la crescita, non le polemiche di queste ore».

«ILVA? LO SCUDO PENALE È SOLO UNA SCUSA»

Poi un cenno sullo spinoso caso Ilva, «Lo scudo penale non è la causa del recesso ma l’alibi dietro al quale la proprietà indiana si nasconde, grazie anche all’appoggio inspiegabile di parte dell’establishment italiano», ha spiegato Renzi. «Non è questo il motivo che spinge Mittal ad andarsene, bensì la richiesta di cinquemila esuberi. Lo scudo penale è stato introdotto da Gentiloni e tolto dal governo Conte-Salvini, non da noi. Calenda», ha concluso replicando a una domanda sul fatto che l’ex ministro abbia parlato della responsabilità di Italia Viva sullo scudo, «fa l’avvocato difensore di Mittal, noi facciamo gli avvocati difensori dei lavoratori».

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Il piccolo Alvin è tornato in Italia dalla Siria

Il bimbo di 11 portato via nel 2014 dalla madre che voleva arruolarsi nell’Isis è atterrato a Fiumicino. Ha passato gli ultimi anni in un campo profughi prima di essere ritrovato dal padre e dagli investigatori italiani.

È tornato oggi in Italia Alvin, il bimbo di 11 anni di origine albanese portato via dall’Italia nel dicembre del 2014 dalla mamma che voleva unirsi all’Isis. Il piccolo, la cui madre sarebbe morta in un’esplosione, era finito poi nel campo profughi di Al Hol, a Nord Est della Siria, dove è stato ritrovato. Alvin è stato trasferito con un volo di linea dell’Alitalia, giunto poco dopo le 7.00 all’aeroporto di Roma Fiumicino da Beirut.

Il grattacielo Pirelli con le finestre che compongono la scritta: “Free Alvin” per l’operazione condotta per il ritrovamento del bimbo.

Il bimbo torna a casa grazie alla tenacia di investigatori, magistrati, 007, donne e uomini della Croce Rossa e dell’Unhcr, abituati a lavorare nelle zone di guerra, e soprattutto la forza di un padre che non si è mai arreso pur di riportare indietro il figlio che ha visto prima gli orrori del Califfato e poi la madre, seguace dell’Isis e che lo aveva portato via dalla sua famiglia, morire in un’esplosione a fianco a lui.

LE INDAGINI E IL RITROVAMENTO

Dopo la caduta dell’Isis e la morte della madre di origine albanese, il bimbo viveva nell’area ‘orfani’ di Al Hol, campo sotto il controllo dei curdi e che ospita oltre 70 mila persone, in gran parte compagne e figli di combattenti jihadisti morti o in prigione. Là il ragazzino è stato individuato a luglio, dopo complesse ricerche dello Scip della Polizia e del Ros dei carabinieri, e riconosciuto grazie ad una foto e ad un dettaglio fisico dal padre Afrim (c’è stata anche un comparazione fisionomica della Polizia scientifica). Padre che più volte in questi anni è partito da Barzago (Lecco) per cercarlo e che a settembre, anche grazie a troupe e giornalisti de Le Iene, era riuscito anche a parlarci, ma non a portarlo via dal campo perché mancava, tra l’altro, una “richiesta di ricongiungimento”.

«RICORDA LE SUE ORIGINI»

Il bambino, poi, in questi giorni è stato prelevato da Al Hol con un’operazione non priva di rischi, a cui hanno partecipato anche uomini dell’Aise con la collaborazione di autorità albanesi (il premier Edi Rama ha voluto ringraziare Giuseppe Conte) e curde, trasferito fino a Damasco da dove poi ha raggiunto l’ambasciata italiana a Beirut e infine Fiumicino. Anche se non parla quasi più italiano, «ricorderebbe le sue origini» e «l’esistenza di due sorelle», ha raccontato un investigatore davanti al gup di Milano Guido Salvini che, nel procedimento aperto a carico della madre per sottrazione di minori, sequestro di persona e terrorismo internazionale, dispose l’attivazione delle ricerche della donna e del figlio anche alla luce della disfatta dello Stato islamico. Accertamenti seguiti passo passo dal capo del pool dell’antiterrorismo milanese Alberto Nobili.

«MIA MAMMA È VESTITA DA NINJA»

«È vestita che sembra una Ninja», diceva, riferendosi alla madre, il bimbo già in Siria, come si legge negli atti dell’indagine del pm Alessandro Gobbis. In Italia dal 2000, con una famiglia ben integrata, ‘Bona’, soprannome di Valbona, era diventata un’estremista islamica ed era fuggita dal Lecchese abbandonando il marito muratore e le altre 2 figlie. La donna avrebbe avuto contatti con esponenti dell’Isis ad alti livelli e avrebbe raggiunto col figlio Al Bab, ad una quarantina di chilometri da Aleppo. Città dove sarebbe arrivata grazie all’aiuto di un foreign fighter albanese che avrebbe comprato il biglietto aereo per lei e per il bimbo, dalla stessa madre messo a disposizione della jihad, obbligandolo a frequentare un campo di addestramento per imparare «l’uso delle armi».

LA MORTE DELLA MADRE

Ci sarà, poi, anche la necessità di sentire il bambino in un’audizione protetta, perché sarebbe stato testimone diretto della morte della madre, ha messo a verbale l’investigatore del Ros che ha seguito tutta l’indagine, in un «non meglio precisato scontro a fuoco», mentre lui sarebbe stato salvato «probabilmente da forze curde». Tra l’altro, ha detto ancora l’investigatore, il piccolo aveva già raccontato «che il suo nome da convertito è Yussuf», nome che ha trovato «riscontro in informazioni che aveva assunto» il padre stesso nei mesi scorsi.

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Gli indici di Borsa e spread dell’8 novembre 2019

Piazza Affari apre in leggero ribasso. Il differenziale Btp-Bund riparte da 140 punti base. I mercati in diretta.

La Borsa di Milano apre in leggero ribasso a Piazza Affari dopo i dati poco incoraggianti sull’economia italiana. Il Ftse Mib cede lo 0,11% a 23.477 punti.

LO SPREAD A LIVELLO DI QUELLO GRECO

Lo spread tra Btp e Bund resta sopra i 140 punti nei primi scambi della mattinata. Il differenziale segnato dal decennale italiano è a 140,2 mentre quello dei titoli di Stato greci è a 147,5. Il rendimento del Btp è a 1,14% poco inferiore a quello greco a 1,21%. Il 7 ottobre il rendimento del decennale italiano è salito all’1,16% e ha superato, per la prima volta dal 2008, il rendimento di quello greco.

LE BORSE ASIATICHE CONTRASTATE

Seduta contrastata per le Borse asiatiche dove segna un rialzo convinto solo Tokyo (+0,26%) che fa un altro passo avanti in un clima di generale ottimismo su un accordo sui dazi fra Usa e Cina. Dati i rischi di una generale inversione di tendenza a seguito dei forti progressi registrati sui listini mondiali, arretrano invece le Borse cinesi con Shanghai che lascia sul terreno lo 0,49% e Shenzhen un più modesto 0,15%. Male anche Hong Kong (-0,75%) alla vigilia di un altro weekend dove si prevedono scontri in piazza. Seul infine cede lo 0,33%.

I MERCATI IN DIRETTA

09.21 – LE BORSE EUROPEE DEBOLI

Apertura debole per le principali Borse europee. Parigi cede lo 0,4%, Francoforte lo 0,31% mentre Londra ai primi scambi segna un ribasso dello 0,30%.

09.06 – PIAZZA AFFARI APRE IN RIBASSO

Piazza Affari apre in leggero ribasso. Il Ftse Mib cede lo 0,11% a 23.477 punti.

08.52 – LO SPREAD A 140 PUNTI BASE

Lo spread tra Btp e Bund resta sopra i 140 punti nei primi scambi della mattinata. Il differenziale segnato dal decennale italiano è a 140,2 mentre quello dei titoli di Stato greci è a 147,5. Il rendimento del Btp è a 1,14% poco inferiore a quello greco a 1,21%.

08.39 – BORSE CINESI CHIUDONO IN CALO

Le Borse cinesi chiudono la seduta in calo, nonostante i segnali incoraggianti tra Usa e Cina sul commercio e i dati sul commercio di ottobre migliori delle attese: l’indice Composite di Shanghai cede lo 0,49%, a 2.964,18 punti, mentre quello di Shenzhen perde lo 0,19%, a 1.648,68. La Cina segna a ottobre un surplus commerciale di 42,81 miliardi di dollari, in aumento sui 32,97 miliardi di ottobre 2018, sui 39,65 di settembre e sui 40,83 miliardi attesi dai mercati. L’export, secondo l’Amministrazione delle Dogane, vede un calo dello 0,9% annuo e l’import uno del 6,4%: i dati sono comunque migliori delle previsioni degli analisti. Nel mezzo della guerra commerciale con gli Usa, i primi 10 mesi dell’anno registrano un surplus di 341,41 miliardi, quasi 100 miliardi in più sui 249,46 miliardi dello stesso periodo del 2018.

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