Quando Rossini incontra il jazz

Il trio composto da Paolo Fresu, Uri Caine e Daniele Di Bonaventura ha riletto a Pesaro la Petite messe solennelle. Una “provocazione” riuscita che conferma la straordinaria originalità di quello che il maestro marchigiano definiva il suo «ultimo peccato di vecchiaia».

La città di Gioachino Rossini, sotto le insegne del Rof, lo storico festival a lui dedicato. E il grande capolavoro sacro, quella Messa piccola e solenne che oltre la civetteria dell’autore, che la definì il suo «ultimo peccato di vecchiaia», afferma ancora oggi un’originalità così prepotente da risultare quasi sconcertante. Aveva tutto, la Petite (jazz) messe solennelle realizzata in prima assoluta il 16 novembre a Pesaro per costituire l’evento dell’anno nell’ambito sfuggente e complesso, eppure sempre più frequentato, in cui il jazz incrocia la musica cosiddetta colta.

UNA “PROVOCAZIONE” PORTATA NEL SANTUARIO ROSSINIANO

C’era la singolarità un po’ provocatoria dell’iniziativa, portata nel “santuario” del compositore, quel teatrino ottocentesco eponimo che dai lontani Anni 80 è il cuore del rossinismo internazionale. Ma soprattutto c’era l’originalità del progetto: una sfida temibile, mai osata prima, che metteva in campo da un lato un monumento della vocalità sacra del XIX secolo, solistica e corale, sostenuto peraltro da una scrittura pianistica di originalissima quanto singolare cifra stilistica e dall’altro tre musicisti di punta della scena jazz internazionale. E se la connotazione pianistica dell’approccio era doverosamente quanto inevitabilmente salvata (e anzi, come vedremo, per molti aspetti esaltata) grazie alla presenza di Uri Caine, la rimanente combinazione strumentale sembrava fatta apposta per disegnare traiettorie solo apparentemente comode e naturali, costituita com’era dal flicorno (a volte sostituito dalla tromba) di Paolo Fresu e dal bandoneón di Daniele Di Bonaventura.

Il trio Fresu-Caine -Di Bonaventura al Teatro Rossini di Pesaro (foto Studio Amati Bacciardi).

UNA CARTOGRAFIA MUSICALE FEDELE E INSIEME INNOVATIVA

La sfida si deve a proprio a Di Bonaventura, marchigiano di Fermo, forse non a caso l’unico dei tre a essere conterraneo di Rossini. Sua l’idea di affrontare una buona volta il periplo della partitura rossiniana – suddividendosi poi il lavoro specialmente con Uri Caine – per trarne una cartografia musicale che riuscisse a essere nello stesso tempo fedele e innovativa. Riesecuzione e riscrittura come postilla Fresu. Sua la convinzione che la tanto sbandierata “modernità” della scrittura pianistica rossiniana nella Petite messe potesse diventare il terreno di confronto (e magari anche scontro) per una rivisitazione arricchita dalla dialettica fra gli strumenti a fiato e il bandoneón, vedi caso strumento nato proprio in ambito religioso, prima di conoscere e assumere la dimensione etnica e tanguera che è oggi la sua più conosciuta.

UN WORK IN PROGRESS DA NON ABBANDONARE

L’ascolto ha dato l’impressione che questa navigazione musicale abbia appena spiegato le vele, nello stesso tempo fornendo suggestioni tali da far sperare che il work in progress non sia abbandonato, che l’elaborazione continui e si prenda il tempo necessario per crescere nel confronto con la monumentale partitura rossiniana e nella rilettura dei suoi mille dettagli. Forse, il punto principale riguarda proprio la natura della “riscrittura”, assodato che l’approccio della “riesecuzione” è risultato sostanzialmente fedele al modello, eliminando solo (si fa per dire) tre numeri del Gloria: i primi due e la conclusiva doppia Fuga, Cum Sancto Spiritu.

Il trio jazz ha eseguito la Petite messe solennelle del maestro marchigiano (foto Studio Amati Bacciardi).

IMPROVVISAZIONI A CORRENTE ALTERNATA

Il versante improvvisatorio ed elaborativo in senso profondo è sembrato infatti procedere un po’ a corrente alternata. Fluiva libero e suggestivamente provocatorio nella tastiera di Uri Caine, un musicista integrale che conosce bene quanto sia complesso ma quanti succosi frutti possa dare il confronto con la scrittura degli autori “classici” (dai lui lungamente e ampiamente frequentati non solo nell’ambito pianistico). Lo si coglieva subito – e l’attacco era affascinante – nello spostamento degli accenti dentro l’introduzione pianistica del Kyrie, lo si notava nella fremente libertà di spaziare da un capo all’altro della tastiera, un po’ meno nelle pur accattivanti ma forse un po’ manierate accensioni swing, anche perché il problema della drammaticità possibile dentro lo swing resta aperto. Ma non si poteva non apprezzare la colta consapevolezza stilistica rossiniana del pianista americano, che per esempio lo ha portato, nella pagina per solo pianoforte (così è l’originale) del Preludio religioso, a inserire il suo apporto improvvisatorio laddove nel belcanto di Rossini sono previste le variazioni, cioè nelle ripetizioni o nei “da capo”.

FRESU, SUGGESTIVO MA STANDARD

Questo meccanismo è parso evidente anche nell’apporto di Fresu, che si è confermato strumentista di gran vaglia e di sensibilità musicale decisamente inclusiva e comunicativa, all’interno tuttavia di una prova più manierata e prevedibile. Non era facile: toccavano a lui le trasposizioni più dirette e immediate (quelle di cui ogni rossiniano tradizionale, in questi casi, resta in attesa) delle melodie vocali, e se è innegabile che siano state in genere risolte con eleganza, ci è parso però che il loro trattamento fosse un po’ quello riservato a certi “standard” usurati: magari suggestivo, ma solo a tratti in grado di lasciar leggere una riscrittura davvero alternativa che andasse a costruire una dimensione nuova oltre quella naturalmente costituita dal rifacimento in chiave più o meno “calligrafica”. A bilanciare gli elementi di questo difficile equilibrio è stato Di Bonaventura con il suo bandoneón: il suo apporto al trio e soprattutto i suoi dialoghi con il flicorno o la tromba di Fresu hanno costruito spesso una dimensione sonora inedita e poetica, capace di disegnare un pensiero originale dentro alla voluta fedeltà al punto di partenza, regalando sottigliezze timbriche e sottili trine armoniche e melodiche che molto hanno giovato anche alla dimensione solistica di Fresu, arricchendole di una dimensione dialettica intrigante.

Daniele Di Bonaventura sul palco (foto Studio Amati Bacciardi).

APPLAUSI E DUPLICE BIS

Teatro Rossini al gran completo, esecuzione contrappuntata da numerosi applausi e salutata alla fine da vivo entusiasmo, che ha spinto il trio a un duplice bis. Come doveva essere, la rilettura del Domine Deus e del Quoniam dal Gloria si è svolta con l’apporto di ulteriori improvvisazioni e non senza una musicale boutade da parte di Uri Caine, il quale a un certo punto ha fatto risuonare alla tastiera anche la celeberrima “galoppata” che chiude la Sinfonia del Guillaume Tell. Una firma e un omaggio allo stesso tempo.

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