Il Black Friday ci porta all’acquisto impulsivo per colpa della scarsità

Offerte limitate nel tempo. Pochi prodotti disponibili. Altri utenti sul sito in quel momento. Che vogliono proprio ciò che cerchiamo noi. Come la neuroscienza spiega tutte le leve del marketing capaci di farci spendere soldi solo per il timore di perdere un’occasione.

Ci siamo appena lasciati alle spalle il Black Friday. Quella degli sconti in tempi limitati è ormai una dinamica potentissima di consumo. Un’esca capace di coinvolgere anche i consumatori più refrattari.

FATTURATI CHE SI IMPENNANO IN POCHI MINUTI

Per comprenderne la portata basta pensare al fatturato che ha fatto Amazon durante il Black Friday (37 ordini al secondo) o quanto è successo in Alibaba che in un solo minuto alle 00.01 del Singles’ Day ha venduto prodotti per un miliardo di dollari. La cifra è salita a 4,5 miliardi di dollari nei primi cinque minuti e ha superato i 12 miliardi al termine della prima ora.

QUESTIONE ANCHE DI BELLEZZA E SIMPATIA

Ma perché questi meccanismi hanno una capacità di coinvolgimento così potente? Già nel 1984 Robert Cialdini, in Le Armi della Persuasione, aveva descritto le principali leve di marketing capaci di influenzare profondamente gli acquisti. Nel suo testo vengono riportate le principali tecniche di vendita e di marketing: dal potere del conformismo sociale al ruolo dell’autorevolezza della fonte, dalla sua bellezza e simpatia al valore della somiglianza.

CHE FORZA EVOCATIVA HA IL RISCHIO DELLA PERDITA

Tra queste Cialdini aveva anche citato la forza del principio della scarsità, secondo il quale le offerte ci appaiono molto più desiderabili quando la loro «disponibilità percepita» è limitata. Il rischio della perdita potenziale dell’opportunità ha una forza evocativa impressionante e diviene una potente guida nei processi di acquisto (Russo, 2017).

IL TEMPO LIMITATO FA AUMENTARE GLI ACQUISTI

Così la percezione di scarsità di prodotto ha un forte effetto persuasivo anche se riferita al tempo necessario per acquistare. In una ricerca svolta in un fast food si è fatto credere a due gruppi di consumatori di potere fare un buon affare fruendo di un buono sconto sui dolci. A un gruppo si è fatto credere che lo sconto sarebbe stato disponibile per molto tempo e all’altro per poco tempo. Le vendite sono state quattro volte superiori nel caso in cui i consumatori erano consapevoli di avere un tempo limitato (Brannon e Brock, 2001).

MOTIVATI DAL TIMORE DI FARSI SFUGGIRE LO SCONTO

Non a caso Daniel Kahneman, Premio Nobel per l’Economia nel 2002, ci ha spiegato che, poiché siamo motivati ad agire più dal timore di una perdita che dalla speranza di un guadagno di pari entità, il principio di scarsità ha una potente forza motivazionale nel guidare i comportamenti (Kahneman, 2013).

LEVE DI MARKETING MOLTO POTENTI

Ed è proprio il rischio di perdere l’occasione del prodotto a basso costo alla base dei risultati che sono stati registrati durante il Black Friday o il Singles’ Day. In effetti se analizziamo attentamente le dinamiche che sottostanno alla vendita in occasioni come queste ritroviamo delle leve di marketing potentissime, come per esempio:

  • Avere la percezione di essere di fronte a un forte sconto, soprattutto se confrontato con il costo regolare. La mente dei consumatori funziona sempre per confronto, cosicché posizionare accanto al costo scontato il costo originale permette di avere una forte sensazione di valore. Il prezzo originale serve da àncora per valorizzare il prezzo scontato (si chiama “euristica dell’ancoraggio”).
  • Avere la sensazione che ci si ritrova davanti a un grande affare: i prodotti vengono offerti con una percentuale sempre alta di sconto, cercando di trasmettere la sensazione di “occasione da non perdere”. Ciò viene proposto sia con l’indicazione di sconto, ma anche con la quantità di soldi risparmiati.
  • Percepire che vi è un tempo per l’acquisto molto ristretto e limitato. Ciò spinge i consumatori a subire una sensazione di urgenza che spinge a non procrastinare la spesa.
  • Avere la certezza che vi è un numero dei prodotti limitato attraverso l’indicazione del numero di prodotti ancora disponibili. In genere sono sempre troppo pochi!
  • Avere la consapevolezza che tanti altri consumatori stanno tentando di comprare lo stesso prodotto o che lo hanno appena comperato (effetto conformismo e scarsità). Questo meccanismo ha una duplice funzione, da una parte segnala che l’acquisto rientra tra ciò che anche gli altri desiderano, rendendo ancora più desiderabile l’affare, dall’altra aumenta la percezione del rischio della perdita dell’offerta vista la grande competizione che si percepisce tra i possibili acquirenti.
  • La tangibilità del valore dei prodotti: vedere, in immagini concrete e quanto più possibile oggettive, il prodotto e cosa gli acquirenti acquisteranno. La tangibilità del prodotto e la sua fruizione aumenta la probabilità di acquisto e la disponibilità di spesa, contribuendo ad attivare i meccanismi automatici di acquisto. Si pensi per esempio alla Tissot che ha introdotto la possibilità di interagire con la vetrina del negozio facendo provare l’orologio ai consumatori giocando con la loro immagine con l’orologio in vendita. Questa formula ha fatto aumentare le vendite dell’83% (Barden, 2013).

TECNICHE NOTE A BOOKING.COM E GROUPON

Si tratta di leve molto frequenti nell’e-commerce che associati alla facilità di accesso al prodotto o servizio e all’affidabilità della transazione commerciale rendono molto efficaci queste strategie. Basta pensare alle dinamiche di vendita di Booking.com o di Groupon che, da una parte, ti segnala ciò che hai perso per attivare il senso di probabile scarsità e, dall’altra, oltre a darti indicazione della scarsità di tempo e di prodotti, ti segnala che in quell’istante, mentre stai per comprare quel prodotto, altre 20 persone stanno guardando giusto quel prodotto.

MEGLIO IL PIACERE OGGI CHE LA FELICITÀ DOMANI

Di fronte a queste leve il nostro cervello risponde in maniera immediata. Diversi studi neuroscientifici hanno dimostrato che in linea di massima il nostro cervello è “predisposto” per scegliere il piacere immediato rispetto alla felicità a lungo termine come quello facilitato da queste leve di marketing. Brian Knutson, noto neuroscienziato della Stanford University, con i suoi colleghi (2007) ha dimostrato quali sono i sistemi neurali differentemente coinvolti nella valutazione dei guadagni e delle perdite e nella reazione immediata alle leve di marketing.

BISOGNA SOLO VINCERE IL DOLORE DEL PAGAMENTO

Secondo Knutso la decisione d’acquisto deriverebbe da una competizione tra l’immediato piacere dell’acquisto e l’eventuale immediato dolore provocato dall’esigenza di pagamento. Questa differenza sarebbe mediata da specifici circuiti neuronali che si attivano in previsione di stimoli positivi (guadagni) o di stimoli negativi (perdite), permettendo di predire la decisione d’acquisto.

Nello specifico Knutson
ha dimostrato che:

  • l’attivazione del Nucleo Accumbens (Nacc) posto nel nostro Sistema limbico (quell’area deputata alle emozioni) in seguito alla presentazione di un prodotto sarebbe correlata alle preferenze del consumatore e sembrerebbe anticipare il desiderio d’acquisto. Infatti, il Nacc, attivandosi, anticiperebbe le previsione di gradevolezza determinata da uno stimolo percepito piacevole. Tanto più intensa sarà l’attivazione del Nucleo Accumbens (Nacc), tanto più ci si aspetterà di provare piacere dall’acquisto di quel prodotto.
  • l’attivazione dell’Insula, una ghiandola del Sistema limbico deputata alla sensazione di disgusto, sarebbe invece in grado di predire la decisione di non acquistare in virtù di condizioni economiche sfavorevoli poiché avrebbe una funzione importante nella previsione di un risultato negativo.
  • l’attivazione della Corteccia prefrontale mediale (Mpfc), infine, sembrerebbe essere correlata con la valutazione della differenza tra il prezzo del prodotto e il prezzo che il soggetto è disposto a pagare per questo (willingness to pay), bilanciando potenziali guadagni e perdite e correggendo gli errori di previsione di guadagno.

ESPERIMENTI CHE ANTICIPANO LE DECISIONI

Knutson ha quindi dimostrato che vi sono specifiche aree cerebrali correlate alla previsione di guadagni e perdite in grado di potere anticipare la decisione d’acquisto: l’attivazione del Nacc durante la fase di presentazione del prodotto, nel suo esperimento, correlava con le preferenze e sembrava anticipare la decisione d’acquisto, mentre un’eccessiva attivazione dell’insula in seguito all’esposizione a prezzi correlava con la decisione di non procedere all’acquisto; viceversa l’attivazione della Mpfc durante l’esposizione a prezzi ridotti, o comunque non superiori al prezzo che i soggetti avrebbero pagato per il prodotto, correlava con la decisione di acquistare i prodotti

ANSIA DA ESBORSO? CI SONO LE CARTE DI CREDITO

Ulteriori ricerche hanno dimostrato quanto potente siano alcune leve di marketing per attivare maggiormente il Nucleo Accubens. Tra queste sicuramente quelle che hanno animato le promozioni del Balck Friday sopra descritte. Se a queste aggiungiamo l’effetto che ha la possibilità di pagare con carta di credito, rinviando al futuro ciò che può provocare “dolore” oggi, come l’esborso di denaro in contanti, il gioco è fatto.

PIÙ DEL 64% DEGLI ACQUISTI SONO DI IMPULSO

Ricordiamoci che come descritto da Ariley in “Prevedibilmente Irrazionali” (2008) l’uso della carta di credito al momento del pagamento attiva di meno l’insula (legata al disgusto) rispetto all’uso dei soldi contanti. La mancanza di percezione della perdita di soldi è alla base dell’utilizzo a volte compulsivo della carta di credito e dell’acquisto di impulso come quello che agiamo con un solo click sull’App o sul sito di Amazon. Non stupiamoci allora che più del 64% degli acquisti sono di impulso, grazie anche a una probabile alta attivazione del nostro Nucleo Accubens.

  • Barden P. (2013). Decoded: The Science Behind Why We Buy. UK: John Wiley & Sons.
  • Brannon L.A., Brock T.C., (2001). “Limiting Time for Responding Enhances Behavior Corresponding to the Merits of Compliance Appeals: Refutations of Heuristic-Cue Theory in Service and Consumer Settings”, Journal of Consumer Psychology Volume 10, Issue 3, 2001, Pages 135-146.
  • Daniel K. (2017). Pensieri Lenti e Veloci. Mondadori 2017 (trad, 2011 di Thinking, Fast and Slow. New York).
  • Knutson B, Taylor J, Kaufman M, Peterson R, Gloverm G (2005). “Distributed neural representation of expected value” Journal of Neuroscience, volume 25, p. 4806 – 4812.
  • Knutson B, Rick S, Wimmer G E, Prelec D, Loewenstein G (2005). “Neural predictors of purchases” Neuron, volume 53, p. 147 – 156:
  • Russo V. (2017). Psicologia della Comunicazione e Neuromarketing. Pearson. Milano.

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

PlayPlay

Come maneggiare i pregiudizi nelle assunzioni e nel marketing

L’effetto alone fa formulare valutazioni specifiche basandosi su impressioni generali. Per esempio facendoci ingaggiare una persona solo per l’aspetto fisico. Colloqui strutturati evitano questa distorsione. Che invece serve a valorizzare i brand. Guida per aziende ai “bias” cognitivi.

Nonostante le loro migliori intenzioni, anche i manager possono cadere preda di generalizzazioni, stereotipi e pregiudizi. Questi meccanismi sono in grado di influenzare profondamente l’individuo e, conseguentemente, l’andamento dell’azienda, arrivando perfino a ostacolarne il buon processo decisionale.

AUTOMATISMI MENTALI CHE CI FANNO SBAGLIARE

I bias cognitivi, così vengono denominate in psicologia le forme di comportamento mentale caratterizzate da valutazioni distorte della realtà, sono molto difficili da individuare e da tenere sotto controllo. Si tratta, infatti, di schemi di deviazione del giudizio, condizionati da concetti preesistenti nella nostra mente, spesso senza legami logici o razionali. Questi errori di giudizio e automatismi della mente possono spingerci a prendere decisioni affrettate, approssimative e sbagliate e avere importanti ripercussioni sulla vita personale e professionale di ognuno di noi.

SPUNTI INTERESSANTI PER LA GESTIONE AZIENDALE

Per questi motivi, alla luce degli studi condotti tra la fine degli Anni 60 e l’inizio degli Anni 70 da due psicologi israeliani, Amos Tversky e Daniel Kahneman, quest’ultimo vincitore del premio Nobel per l’Economia nel 2002, è necessario affrontare questa tematica anche in relazione alla gestione aziendale. In particolare, tra i tanti bias cognitivi esistenti e individuati nel corso di questi anni, l’halo effect o “effetto alone” sembra essere uno dei più interessanti.

IMPLICAZIONI NELLA SELEZIONE DEL PERSONALE

Se da un lato questo è in grado di incidere negativamente su delicate decisioni aziendali, dall’altro può essere sfruttato per incentivare la propria reputazione aziendale. Proprio in un articolo pubblicato sul Mckinsey Quarterly di dicembre 2019 sono state evidenziate le conseguenze dell’effetto alone su amministratori delegati di importanti aziende, in particolar modo come questo possa influenzare il processo di selezione del personale.

L’ASPETTO ESTETICO FA SEMBRARE TUTTO POSITIVO

L’effetto alone, infatti, influenza i singoli individui e li induce a formulare giudizi specifici basati su impressioni generali. In poche parole, secondo quanto riportato dallo psicologo Edward L. Thorndike, il primo a coniare il termine nel 1920, è sufficiente valutare positivamente una singola caratteristica di una persona, come per esempio l’aspetto estetico, per farsi l’idea che in essa siano presenti quasi esclusivamente aspetti positivi.

TEST IDENTICI E INDICATORI PRECISI EVITANO DISTORSIONI

Tra i compiti di un manager vi è certamente un’adeguata selezione del personale. Questa attività, così come il rapporto che si ha con i clienti, è profondamente influenzata dall’effetto alone. Per evitare che questo bias influenzi scelte aziendali, così come riporta l’articolo del McKinsey Quarterly, quando si tratta di decisioni di assunzione, la predisposizione di colloqui strutturati può contribuire a mitigare l’effetto alone. Impostare colloqui o test identici e misurati rispetto a precisi indicatori può certamente aiutare a gestire la selezione del personale.

SERVE UNA SCALA DI VALORI STANDARDIZZATA

Valutare i candidati secondo specifici criteri basati su mission, vision e obiettivi aziendali, utilizzando una scala di assunzione standardizzata, rappresenta certamente una valida soluzione per evitare di incappare nell’effetto alone e per consentire l’assunzione e la formazione di personale allineato sugli stessi obiettivi e valori. Dunque, certamente l’impostazione di colloqui strutturati non previene l’uso di bias cognitivi, ma può aiutare utilmente a ridurli e tenerli sotto controllo.

L’EFFETTO ALONE PUÒ ESSERE UN’ARMA PER IL MARKETING

Differentemente da quanto riportato rispetto all’assunzione del personale aziendale, l’effetto alone può rappresentare un’ottima arma per il marketing. In questo ambito, infatti, l’effetto alone viene ampiamente sfruttato per migliorare l’immagine di alcuni prodotti e posizionare un brand sul mercato. La condivisione di esperienze positive online di prodotti e servizi può influenzare altri clienti, creando così un orientamento positivo a favore dell’azienda stessa. Questo orientamento può essere costruito investendo sulla pubblicità di prodotti di punta e sull’associazione di personaggi famosi a particolari brand.

COSÌ SI AUMENTA FEDELTÀ A MARCHI E VALORI

In conclusione, una volta individuati e compresi i pregiudizi e le distorsioni della realtà che la nostra mente può attuare, è possibile sfruttarli in una visione strategica per implementare la reputazione aziendale e aumenterà la fedeltà a marchi e valori.

*Professore di Strategie di comunicazione, Luiss, Roma

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

PlayPlay

Come maneggiare i pregiudizi nelle assunzioni e nel marketing

L’effetto alone fa formulare valutazioni specifiche basandosi su impressioni generali. Per esempio facendoci ingaggiare una persona solo per l’aspetto fisico. Colloqui strutturati evitano questa distorsione. Che invece serve a valorizzare i brand. Guida per aziende ai “bias” cognitivi.

Nonostante le loro migliori intenzioni, anche i manager possono cadere preda di generalizzazioni, stereotipi e pregiudizi. Questi meccanismi sono in grado di influenzare profondamente l’individuo e, conseguentemente, l’andamento dell’azienda, arrivando perfino a ostacolarne il buon processo decisionale.

AUTOMATISMI MENTALI CHE CI FANNO SBAGLIARE

I bias cognitivi, così vengono denominate in psicologia le forme di comportamento mentale caratterizzate da valutazioni distorte della realtà, sono molto difficili da individuare e da tenere sotto controllo. Si tratta, infatti, di schemi di deviazione del giudizio, condizionati da concetti preesistenti nella nostra mente, spesso senza legami logici o razionali. Questi errori di giudizio e automatismi della mente possono spingerci a prendere decisioni affrettate, approssimative e sbagliate e avere importanti ripercussioni sulla vita personale e professionale di ognuno di noi.

SPUNTI INTERESSANTI PER LA GESTIONE AZIENDALE

Per questi motivi, alla luce degli studi condotti tra la fine degli Anni 60 e l’inizio degli Anni 70 da due psicologi israeliani, Amos Tversky e Daniel Kahneman, quest’ultimo vincitore del premio Nobel per l’Economia nel 2002, è necessario affrontare questa tematica anche in relazione alla gestione aziendale. In particolare, tra i tanti bias cognitivi esistenti e individuati nel corso di questi anni, l’halo effect o “effetto alone” sembra essere uno dei più interessanti.

IMPLICAZIONI NELLA SELEZIONE DEL PERSONALE

Se da un lato questo è in grado di incidere negativamente su delicate decisioni aziendali, dall’altro può essere sfruttato per incentivare la propria reputazione aziendale. Proprio in un articolo pubblicato sul Mckinsey Quarterly di dicembre 2019 sono state evidenziate le conseguenze dell’effetto alone su amministratori delegati di importanti aziende, in particolar modo come questo possa influenzare il processo di selezione del personale.

L’ASPETTO ESTETICO FA SEMBRARE TUTTO POSITIVO

L’effetto alone, infatti, influenza i singoli individui e li induce a formulare giudizi specifici basati su impressioni generali. In poche parole, secondo quanto riportato dallo psicologo Edward L. Thorndike, il primo a coniare il termine nel 1920, è sufficiente valutare positivamente una singola caratteristica di una persona, come per esempio l’aspetto estetico, per farsi l’idea che in essa siano presenti quasi esclusivamente aspetti positivi.

TEST IDENTICI E INDICATORI PRECISI EVITANO DISTORSIONI

Tra i compiti di un manager vi è certamente un’adeguata selezione del personale. Questa attività, così come il rapporto che si ha con i clienti, è profondamente influenzata dall’effetto alone. Per evitare che questo bias influenzi scelte aziendali, così come riporta l’articolo del McKinsey Quarterly, quando si tratta di decisioni di assunzione, la predisposizione di colloqui strutturati può contribuire a mitigare l’effetto alone. Impostare colloqui o test identici e misurati rispetto a precisi indicatori può certamente aiutare a gestire la selezione del personale.

SERVE UNA SCALA DI VALORI STANDARDIZZATA

Valutare i candidati secondo specifici criteri basati su mission, vision e obiettivi aziendali, utilizzando una scala di assunzione standardizzata, rappresenta certamente una valida soluzione per evitare di incappare nell’effetto alone e per consentire l’assunzione e la formazione di personale allineato sugli stessi obiettivi e valori. Dunque, certamente l’impostazione di colloqui strutturati non previene l’uso di bias cognitivi, ma può aiutare utilmente a ridurli e tenerli sotto controllo.

L’EFFETTO ALONE PUÒ ESSERE UN’ARMA PER IL MARKETING

Differentemente da quanto riportato rispetto all’assunzione del personale aziendale, l’effetto alone può rappresentare un’ottima arma per il marketing. In questo ambito, infatti, l’effetto alone viene ampiamente sfruttato per migliorare l’immagine di alcuni prodotti e posizionare un brand sul mercato. La condivisione di esperienze positive online di prodotti e servizi può influenzare altri clienti, creando così un orientamento positivo a favore dell’azienda stessa. Questo orientamento può essere costruito investendo sulla pubblicità di prodotti di punta e sull’associazione di personaggi famosi a particolari brand.

COSÌ SI AUMENTA FEDELTÀ A MARCHI E VALORI

In conclusione, una volta individuati e compresi i pregiudizi e le distorsioni della realtà che la nostra mente può attuare, è possibile sfruttarli in una visione strategica per implementare la reputazione aziendale e aumenterà la fedeltà a marchi e valori.

*Professore di Strategie di comunicazione, Luiss, Roma

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

PlayPlay

Attivismo online: così i millennial possono rottamare gli influencer

I nati tra gli Anni 80 e il 2000 usano i social per connettersi tra loro, esprimersi liberamente, fare gruppo. Una volta compreso questo, è possibile porre le basi per una comunicazione che non coinvolga o crei personaggi. Rendendo a questi vip digitali la vita un po’ meno facile.

Estetica della comunicazione, informatica e filosofia dei linguaggi, queste alcune delle materie previste dal corso di laurea per influencer della eCampus.

Il corso, pietra dello scandalo di inizio mese, è stato concepito per fornire a figure interessate (e interessanti) competenze e strumenti in grado di affrontare il mondo degli influencer, altamente spregiudicato e in costante evoluzione.

UN PASSAPAROLA STRATEGICO PER IL MERCATO

L’obiettivo finale del corso è univoco: forgiare, indirizzare e sostenere figure professionali in grado di “influenzare” il mondo che le circonda attraverso la creazione di un passaparola strategico in grado di generare seguito e mercato. L’idea di base è dunque quella di selezionare una rosa di persone in grado di affermarsi nel mondo digitale, perché, se è vero che chiunque può diventare un influencer, è altrettanto vero che non tutti gli influencer possono davvero collaborare in maniera efficace con una certa azienda o un brand.

LEGGI ANCHE: Come funziona il mercato degli influencer del cibo

Proprio su quest’ultimo aspetto la eCampus ha voluto dare il suo contributo: fornire strumenti a coloro i quali sono interessati a promuovere la propria figura sul mercato e a diventare attori cruciali del marketing attuale. In questa ottica, analizzare la funzione e gli obiettivi del corso, al di là delle critiche che la sua stessa natura porta con sé, aiuta a comprendere, e forse a sorprendersi, dell’uso che si fa, e che i millennial in particolare fanno, dello strumento digitale

I TRE TIPI DI INFLUENCER: IDENTIFIED, ENGAGED E ACTIVE

A causa della popolarità di questi personaggi pubblici e, soprattutto, del loro rapporto con il pubblico è possibile individuare almeno tre diversi cluster di influencer. Il primo è costituito dagli identified, influencer considerati rilevanti per un brand; il secondo dagli engaged, vale a dire il numero di influencer con cui si è instaurato un livello sostanziale di interazione con i follower attraverso la condivisione di post e contenuti e, infine, il terzo è composto dagli influencer active, ovvero gli influencer direttamente coinvolti nei programmi di influencer marketing. Questo terzo cluster nasce in seguito all’evoluzione del concetto di marketing, di cui abbiamo avuto modo di parlare ampliamente nella scorsa rubrica. Non si tratta, però, in questo caso, solamente della nascita e del successo dell’on-demand marketing. Il ruolo degli influencer ha dato vita al cosiddetto “marketing influenzale” che sta progressivamente scalzando quello tradizionale e implementando quello su richiesta.  

IL SUCCESSO DEL MARKETING DI INFLUEBZA

Il marketing di influenza è un tipo di marketing in cui la concentrazione è posta su persone influenti e identificate come rilevanti (influencer) più che sul mercato di riferimento nel suo complesso. Questo termine, e i concetti che dietro vi si celano, sono stati utilizzati per la prima analizzata negli Anni 40, nel celebre studio The People’s Choice di Lazarsfeld e Katz sulla comunicazione politica. Lo studio afferma che la maggior parte delle persone sono influenzate da rumors e opinion leader. Infatti, nonostante questi talvolta si limitino a dare vita a semplici words of mouth, ovvero “movimenti/parole della bocca”, spesso riescono a raggiungere il pubblico in modo efficace ed efficiente, trasmettendo semplice messaggi chiave di facile ricezione. 

LEGGI ANCHE: Ci siamo stancati degli influencer?

Attraverso la semplicità e la ripetitività di contenuti e l’avvento degli influencer, l’industria del marketing di influenza è cresciuta molto velocemente negli ultimi anni, tanto che nel 2017 il suo valore mondiale era stimato intorno all’1,07 miliardi di dollari. Un risultato sbalorditivo che necessita, però, di essere accompagnato da una giusta strategia per evitare di finire, in breve tempo, nel dimenticatoio.

L’ATTIVISMO DIGITALE DEI MILLENNIAL

Spesso siamo portati a pensare che i millennial, nati tra gli Anni 80 e il 2000, rappresentino la fascia d’età più affascinata e disposta al dialogo con gli influencer. Recenti studi pubblicati sul Public Relations Journal dell’Institute for Public Relations hanno evidenziato un fattore sorprendente: i millennial sono soprattutto impegnati, attraverso social network e strumenti digitali, in comportamenti di attivismo online che superano di gran lunga quelli offline. Questa forte relazione tra millennial, attivismo e digitale non risiede però nella specifica e precisa volontà dei ragazzi di “fare attivismo”. Secondo gli studi, l’attivismo viene percepito come la possibilità di avere libertà di espressione, interagire con gli altri, appartenere a un gruppo e costruire la propria identità.

LEGGI ANCHE: Perché gli influencer testimonial sono un’incognita

Questo aspetto, spesso sottostimato e poco considerato dagli addetti ai lavori, è fondamentale per costruire nuovi modelli di comunicazione online. I social media per l’attivismo online e le organizzazioni a esso correlate possono mobilitare strategicamente i millennial coinvolti in queste attività e coinvolgerli intorno a questioni specifiche senza la necessità di creare e animare un personaggio su cui far convergere la loro attenzione. Le idee, le parole e la continua ricerca di identità rappresentano nuove leve in grado di aiutare a costruire nuovi modelli di aggregazione. Comprendendo quali gratificazioni i millennial hanno cercato di raggiungere attraverso attivismo online, è possibile porre le basi per indirizzare la comunicazione e le gratificazioni del pubblico e rendere meno facile la vita agli influencer.

*Professore di Strategie di Comunicazione, Luiss, Roma

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

PlayPlay

Economia su richiesta: come cambia il business nell’era digitale

Dati, customer experience e social sono sempre più cruciali. Per questo è necessario affrontare i cambiamenti del mercato digitale, studiando e anticipando le scelte dei consumatori per essere così pronti ad affrontare il futuro.

Veloce, personalizzata e tecnologica. Queste le tre caratteristiche principali della dell’Economy on-demand che in pochissimi anni ha radicalmente cambiato il modo di pensare, fare e vivere il business. Dalle catene di approvvigionamento alle normative, dalla concorrenza agli investimenti, l’economia su richiesta ha alterato, e continua a farlo inesorabilmente, le abitudini dei consumatori. Per le imprese tradizionali è dunque diventato sempre più difficile rispondere alle mutevoli aspettative dei suoi fruitori, mettendo in crisi modelli consolidati di business e marketing.

LEGGI ANCHE: Essere leader di pensiero, come rinforzare credibilità e fiducia in un’azienda

È STATA SCARDINATA LA CORRELAZIONE DOMANDA-OFFERTA

Scardinando la classica correlazione tra domanda e offerta, l’economia on-demand prevede la fruizione di un prodotto o di un servizio a partire dalla richiesta del consumatore, a cui deve seguire un servizio quasi immediato, on-demand appunto. Da non confondere con gig economy, sharing economy e crowdsourcing, l’economia su richiesta rappresenta un termine generico che include tutte queste diverse categorie e che necessita di essere compresa attraverso costanti processi di innovazione che soddisfino e anticipino i desideri del consumatore.

L’ON-DEMAND MARKETING

Dalla creazione di una nuova classe di imprenditori e lavoratori, all’istituzione dell’on-demand marketing, l’economia su richiesta ha portato una profonda ventata di novità. In particolare, a causa del grande aumento del potere dei consumatori indotto dall’era digitale, il marketing ha dovuto iniziare ad affrontare sfide sempre più impegnative. Ad alimentare il marketing su richiesta è la continua e simbiotica evoluzione della tecnologia e delle aspettative dei consumatori. Dunque, per comprendere al meglio come indirizzare il proprio business è necessario giocare di anticipo. Attraverso la raccolta e lo studio di dati è possibile identificare i gusti e le necessità dei consumatori, creando così un’interconnessione profonda tra le tecnologie di ricerca, i social media e dispositivi mobili.

LEGGI ANCHE: Empatia e valori, così il manager conquista l’azienda e il pubblico

CENTRALE IL MONITORAGGIO SUI SOCIAL

Nonostante tutto questo stia iniziando ad apparire come semplice routine e venga dato per scontato dalla maggior parte dei suoi fruitori, ragionare sulle esigenze del cliente e ottimizzare il posizionamento della ricerca da questo effettuata è diventata una delle maggiori spese mediatiche dei marketer. Le aziende hanno incrementato le loro attività di pubblicazione e monitoraggio sui canali social, sperando di creare esperienze mediatiche positive che i clienti vorranno condividere con il proprio pubblico. Si tratta, quindi, di un circolo virtuoso che si autoalimenta e che necessita di nuovi strumenti, idee e figure professionali per essere analizzato e indirizzato strategicamente. 

COME CAMBIA L’ESPERIENZA DEI CONSUMATORI

L’esperienza del consumatore cambierà radicalmente nei prossimi anni, stanziandosi in una strada a metà tra il mondo fisico e virtuale e le tecnologie per far sì che questo avvenga sono già disponibili. È dunque necessario attuare piani strategici per collezionare dati, esperienze e anticipare, così, le aspettative e i bisogni del cliente. Quel che è certo è che consumatori e clienti chiederanno sempre più prodotti e servizi che siano nuovi, facili da usare e personalizzabili e che, soprattutto, permettano di interagire con altri individui ovunque e in qualsiasi momento. 

IL FUTURO VA CAVALCATO

In conclusione, è importante richiamare l’attenzione sui processi di mercato che stiamo sperimentando e vivendo sulla nostra pelle senza spesso rendercene conto. Infatti, nonostante questi processi sembrino aver raggiunto un elevato livello di tecnologia e operabilità, siamo solo agli inizi. Spingere le esperienze di marketing oltre il limite è necessario per ottenere risultati gratificanti ed essere competitivi sul crescente mercato digitale. Per fare ciò, è necessario oltrepassare la linea di demarcazione della comfort zone, allineando tutto il team esecutivo coinvolto dall’azienda intorno a una esplicita strategia di dati end-to-end. Il mercato globale, caratterizzato da un elevato livello di connettività mobile, non perdona momenti di stasi. I linguaggi e i format sono in continuo mutamento e le dinamiche progettazioni di spazi online sono in grado di creare nuovi competitor e annientarne di vecchi. I consumatori potranno essere presto in grado di cercare in Rete attraverso comandi vocali e gestuali; partecipare a eventi con altre persone scattando semplicemente una foto e scoprire nuove opportunità con dispositivi che aumentano la realtà nel loro campo visivo. Questo è il futuro e per cavalcarlo è necessario essere pronti a spingersi oltre i limiti e, soprattutto, pensarne e anticiparne strategicamente di nuovi. 

*Professore di Strategie di Comunicazione, Luiss, Roma

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

PlayPlay

Come musica, suoni e rumori influenzano gli acquisti

Con un pezzo lento siamo inconsapevolmente portati a spendere di più, con una hit ci distraiamo. Mentre le alte frequenze aumentano la piacevolezza e la croccantezza di un prodotto. Provare per credere.

I suoni e la musica hanno sempre avuto la capacità di influenzare il comportamento. Più di quanto si possa immaginare. Essi ci circondano e ci aiutano a dare significato al mondo. Da sempre il sistema uditivo ha avuto un’importante funzione adattativa. In tempi remoti permetteva di riconoscere velocemente il pericolo e il luogo da cui poteva provenire, permettendo così alle specie animali di salvarsi, o di individuare la preda con più facilità. Per questo l’udito deve essere veloce, immediato e influenzare anche inconsapevolmente i nostri vissuti

LEGGI ANCHE: Rassegniamoci a essere persuasi inconsapevolmente dalla pubblicità

LA FORZA DEI JINGLE E DEI SUONI

Le ricerche, in questo campo, sono numerose e di grandissimo interesse, soprattutto per il marketing dei prodotti e degli ambienti. Anni di sperimentazioni sul campo hanno dimostrato che con la musica e con i suoni si costruiscono significati, si rafforzano associazioni, si stimolano sensazioni, si creano connessioni tra oggetti, come per esempio tra un prodotto o un’azienda e il suo logo. Si pensi per esempio alla forza che hanno i jingle nel richiamare un brand. Il suono affiancato alla frase «Just Do It», oppure alla frase «I’m Loving It», automaticamente ci fa pensare a Nike e a McDonald’s. Ciò non vale solo per musiche o jingle.

LEGGI ANCHE: Come il marketing sfrutta le diversità tra uomo e donna

A volte solo un semplice rumore riesce ad avare una forte valenza emotiva, tanto da fare percepire il mondo esterno in modo diverso. Non a caso le industrie di automobili di lusso hanno un Sound Team, ovvero un gruppo di esperti,  esclusivamente dedicato a studiare la reazione emotiva ai suoni dell’auto: dai sistemi di controllo e di allarme dell’auto alla semplice chiusura dello sportello

COME CAMBIA LA PERCEZIONE NEI TEMPI D’ATTESA

Come si può immaginare i campi di applicazione dello studio del sound nel marketing sono ampi e trasversali. Nel 1997 il professore Michael K. Hui e colleghi hanno dimostrato quanto potente fosse la musica sulla percezione che hanno i consumatori dei tempi di attesa di un servizio: se la musica è gradevole, la risposta emotiva all’ambiente diventa positiva e la percezione del tempo di attesa si riduce significativamente. Altre ricerche hanno dimostrato che la presenza di un certo tipo di musica in un centro commerciale incide sulla distraibilità dall’acquisto, così come sulla rapidità di movimento al suo interno.

LE HIT DISTRAGGONO, LA LENTEZZA PAGA

Sappiamo per esempio che l’uso di una musica troppo famosa in un luogo di vendita ha effetti negativi sui processi di vendita, poiché distrae e riduce l’atto di acquisto (Russo, 2017, Dooley, 2012). Si è anche rilevato che una musica con un ritmo più veloce tende a incrementare significativamente la velocità di movimento dei clienti rispetto a una musica decisamente più lenta. A tal proposito i dati di una ricerca (Milliman, 1982) hanno dimostrato che i consumatori più lenti spendono circa il 38% in più rispetto a quelli più veloci. 

LEGGI ANCHE: Come il cervello abbocca all’esca dell’opzione di mezzo 

UN SOTTOFONDO PUÒ MODIFICARE INCONSAPEVOLMENTE L’ACQUISTO

Sul tipo di musica da usare nei punti vendita vi sono diversi studi. Per esempio Areni e Kim (1993) hanno dimostrato come il sottofondo musicale possa modificare inconsapevolmente il comportamento dei consumatori: una musica classica in un’enoteca spinge i consumatori a scegliere vini più costosi rispetto a quando viene utilizzata una musica pop.  Allo stesso modo, in un lavoro divenuto ormai famoso, all’interno di un punto vendita vennero trasmesse, secondo modalità alternate, brani di musica francese e brani di musica tedesca.

LEGGI ANCHE:Come la Neurogastrofisica spiega la gradevolezza del vino

I ricercatori rilevarono che, a parità di valore economico, gli avventori acquistarono più vini francesi nel momento in cui erano presenti motivi musicali francesi, mostrando un fenomeno di associazione analogo per quanto riguardava i vini tedeschi quando venivano trasmesse canzoni teutoniche (North, Hargreaves & McKendrick, 1999). Ovviamente l’aspetto più interessante è che nessuno dei consumatori intervistati dagli studiosi ha mai fatto riferimento alla tipologia di musica di sottofondo per giustificare la scelta di una bottiglia di vino francese o tedesco. 

LA FORZA DELLA STIMOLAZIONE SONORA SUL NOSTRO CERVELLO

Non si tratta certamente di scoperte recenti, come si è visto, tuttavia, le neuroscienze ci hanno permesso di capire meglio il funzionamento del processo uditivo e la forza che la stimolazione sonora ha sul sistema cerebrale. Il sistema uditivo si basa sulla capacità dell’orecchio di convertire i cambiamenti di pressione di aria in cambiamenti di attività elettrica dei neuroni. Il meccanismo attraverso cui si sviluppa la consapevolezza della stimolazione uditiva è, tuttavia, molto complesso e comprende una prima fase di analisi, rapida e inconsapevole a carico di una delle zone più primitive del cervello, quella del sistema limbico, deputato proprio all’attivazione emozionale. Il sistema uditivo coinvolge, infatti, il Nucleo genicolato mediale che è il primo livello di analisi sottocorticale delle stimolazioni uditive. Solo successivamente, e grazie alla via talamica, l’informazione raggiunge la Corteccia uditiva primaria che si trova nella parte superiore del lobo temporale posteriore. È questa l’area in cui viene processato il significato del suono, mentre l’abilità di richiamare e ricordare consapevolmente l’informazione sonora è demandata alla corteccia prefrontale. Il fatto che l’informazione giunga prima all’area talamica (sita nel sistema limbico) dimostra il valore adattivo della risposta ai suoni che deve essere immediata e istintiva e la capacità che ha quest’area nel condizionare e influenzare la percezione di ciò che abbiamo sentito. 

L’INFLUENZA DELLA MUSICA SUL GUSTO

A tal proposito Charles Spence coordinatore del Crossmodal Laboratory presso l’Università di Oxford, noto esperto degli effetti sul gusto dei fattori ambientali, ha dimostrato la forza che ha la musica anche sulla percezione del gusto dei prodotti. Come riportato in uno dei suoi affascinanti lavori, Gastrofisics, the news science of the eating, il semplice suono di un pacchetto di patatine che si apre con difficoltà fa percepire il prodotto più fresco rispetto allo stesso prodotto confezionato in un pacco che si apre senza fare rumore. Allo stesso modo si è dimostrato che la percezione del sapore dei prodotti alimentari cambia in base al tipo di musica di sottofondo usato. Così un suono “alterato” nel momento dell’assaggio è in grado di modificare la sua percezione di croccantezza e di freschezza. Se si assaggia con musica ad alta frequenza di sottofondo la croccantezza e la piacevolezza del prodotto crescono. Spence, in collaborazione con Zampini ha pubblicato questi risultati in un articolo del Journal of Sensory Studies, nel 2004 con il titolo The Role of Auditory Cues in Modulating the Perceived Crispness and Staleness of Potato Chips. Lavoro che gli ha permesso di vincere l’Ig Nobel Prize for Nutrition nel 2008. Si comprende perché Spence chiuda il suo libro con un’eloquente conclusione «Changing what a persone sees can radically alter what they hear, changing what they hear may influence what they feel, and altering what they feel can change what they taste». Provare per credere. 

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

PlayPlay

Essere leader di pensiero, come rinforzare credibilità e fiducia in un’azienda

Creare e mantenere la leadership nell’era della digitalizzazione è sempre più difficile e per i leader e i manager di successo non è più possibile appellarsi esclusivamente alla dimensione cibernetica per la propria reputazione. La thought leadership rappresenta un’ottima opportunità che, se accompagnata da una efficiente visione strategica, è in grado di favorire il successo di un’azienda.

Il mondo aziendale è sempre più vitale, disinibito e competitivo. Alla luce dei continui cambiamenti che caratterizzano il settore, creare e, soprattutto, mantenere la propria leadership sta diventando sempre più complesso.

I leader devono essere in grado di disegnare e ridisegnare relazioni di collaborazione creativa all’interno dei propri team, mantenendo viva l’attenzione degli interlocutori e la propria esclusività. Questi elementi, inseriti in un contesto sempre più veloce e digitalizzato, hanno reso necessario ripensare le figure di manager e leader, il loro ruolo e il loro approccio nei confronti del contesto di riferimento.

Nello specifico, i social network e internet sono diventati cruciali per il mantenimento di posizioni di rilievo all’interno della società. Questi, però, a volte risultano essere poco affidabili. Basti pensare alle conseguenze devastanti degli attacchi hacker o ai possibili down di internet. Non è un caso, infatti, che nei giorni scorsi, durante le manifestazioni di protesta che si sono svolte in Iraq, la connessione a Internet sia mancata a milioni di utenti nel Paese. Questo, un esempio tra tanti, rivela quanto affidarsi esclusivamente ai social e alla dimensione cibernetica non sia più sufficiente e poco sicuro.

L’ORIGINE DELLA THOUGHT LEADERSHIP

È necessario, dunque, ripensare la dirigenza in modo efficace e stimolante per preservare i caratteri esclusivi del leader e garantirne il suo durevole successo. In questo caso la thought leadership, parola d’ordine negli ultimi anni, rappresenta una strategia soddisfacente. Il termine, coniato per la prima volta nel 1994 da Joel Kurtzman, l’editore fondatore di Strategy+Business, una rivista di management pluripremiata per i decisori nelle aziende e nelle organizzazioni di tutto il mondo, può essere identificata come un tipo di content marketing che prevede la condivisione di media e contenuti editoriali per acquisire clienti in cui si attinge al talento, all’esperienza e alla passione all’interno della propria azienda per rispondere in modo coerente alle domande dei propri clienti e del proprio target di riferimento.

Un thought leader è un esperto del settore che condivide la sua esperienza con un pubblico più ampio allo scopo di educare, migliorare e aggiungere valore al settore nel suo complesso

Kelsey Raymond, la co-fondatrice e ceo di Influence & Co.

Kelsey Raymond, la co-fondatrice e ceo di Influence & Co., un’agenzia di content marketing, descrive un thought leader come «un esperto del settore che condivide la sua esperienza con un pubblico più ampio allo scopo di educare, migliorare e aggiungere valore al settore nel suo complesso». La thought leadership è oggi sempre più radicata e comprende una serie di attività volte a posizionare un individuo o una realtà aziendale nel ruolo di massimi esperti nel loro campo.

IL LEADER DEL PENSIERO DEVE ESSERE CREDIBILE E UN BUON COMUNICATORE

Un thought leader è una figura riconosciuta da colleghi, clienti ed esperti del settore come profondamente competente del business in cui si trova, delle esigenze dei clienti e del più ampio mercato in cui opera. Questo è, generalmente, un efficace comunicatore, risorsa coinvolgente per un pubblico specifico. Il soggetto identificato come thought leader è dunque detentore di una certa fama e un certo posizionamento che deriva dalla sua credibilità e dalla solidità dimostrata sul campo. Un programma di thought leadership, diretto da un leader di pensiero, se ben strutturato, può aiutare piccole aziende o startup a potenziare le proprie strutture a essere competitive sul mercato. Il pensiero organizzato e coerente permette di allineare i potenziali clienti con un preciso modo di pensare, agevolando la conversazione e rendendola più efficace al perseguimento dei propri obiettivi.

RACCONTARE LA PROPRIA STORIA PER ENTRARE IN CONNESSIONE

I leader di pensiero aiutano, dunque, a supportare gli altri attraverso la condivisione di esperienze e conoscenze. Questa condivisione permette all’individuo di essere percepito come una figura di autorità affidabile a cui le persone si rivolgono quando hanno bisogno di consigli o di una guida. Questo posizionamento permette, non solo di essere apprezzati al pubblico a cui già si rivolgeva, ma anche di essere notati da un nuovo pubblico e di raggiungere nuovi obiettivi incrementando la platea di interlocutori. Sono leader che si aprono e raccontano storie di vita vissuta. Riportano gli aspetti che hanno motivato le loro scelte inziali, come hanno mosso i primi passi nella loro attività e quali errori hanno commesso lungo la strada. Questo approccio li aiuta a entrare in connessione con il proprio pubblico e a risultare credibili, ispirando fiducia e solidità.

APRIRSI PER ISPIRARE I DIPENDENTI E INCORAGGIARE IDEE CREATIVE

La thought leadership, differentemente da altri approcci dirigenziali, garantisce la creazione di un ambiente in cui team e partner imparano continuamente e sono costantemente incoraggiati a sviluppare idee creative. Questo ispira l’apertura e stimola l’innovazione, creando così un vero vantaggio competitivo. La cultura dell’apprendimento rappresenta, infatti, un vero valore aggiunto che l’azienda può vantare e utilizzare in maniera strategica nei confronti dei propri competitor.

In conclusione, la thought leadership costituisce un’ottima opportunità e un’esperienza gratificante che può comportare benefici, a breve e a lungo termine, per creare e mantenere la propria reputazione, o quella di un’azienda, in un mondo interconnesso e sempre più precario. Per diventare un thought leader è necessario mettersi in gioco in maniera strategica, individuando le esperienze da condividere e identificando l’utilità che da questa condivisione può derivare. In particolare, nelle piccole aziende questa strategia può rappresentare l’ago della bilancia e costituire il valore aggiunto e il vantaggio competitivo dell’azienda rispetto ad altri grandi competitor.

Gianluca Comin è professore di Strategie di Comunicazione, Luiss, Roma

Leggi tutte le notizie di Lettera43 su Google News oppure sul nostro sito Lettera43.it

PlayPlay