L’ex ministro Bray e la cultura come mezzo di rilancio per l’Italia

Un patrimonio da valorizzare. Nonostante i pochi fondi. Mentre la spinta digitale e il crollo della lettura dei libri sono un freno al sapere. «Ma il nostro Paese può ricostruirsi un ruolo importante valorizzando le nostre capacità». L’intervista.

Massimo Bray, direttore generale della Treccani e già ministro per i Beni, le Attività culturali e il Turismo del governo presieduto da Enrico Letta, ha scritto un libro importante per questo nostro presente, un testo per molti aspetti intimo e utile a riflettere sull’importanza cruciale del patrimonio culturale italiano – inteso nella sua accezione più ampia possibile. Il titolo del volume rimanda al gesto della consultazione, della ricerca: Alla voce cultura. Diario sospeso della mia esperienza di ministro, in libreria per i tipi Manni editori.

CULTURA E CAPACITÀ DI FARE POLITICA

Spiega Bray: «Valorizzare la cultura significa sviluppare la nostra capacità di fare politica. Per decenni siamo stati capaci di ascoltare le esigenze di un quadrante fondamentale quale è l’area del Mediterraneo, facendo di tutto questo un’esperienza costruttiva per il nostro Paese. Oggi l’Italia ha smarrito questo ruolo che invece va ricostruito, sia come Paese ma anche come Unione europea».

DOMANDA. Direttore, se oggi in Italia andassimo a leggere alla voce “cultura” cosa troveremmo?
RISPOSTA. Sicuramente la presenza di un grandissimo fermento, di energie giovani che vogliono non solo difendere il nostro patrimonio artistico ma intuiscono come la cultura possa fare da collante, creare comunità, avere la forza del cambiamento. Di fronte a una crisi economica – che indubbiamente è anche una crisi di valori, come ripeto più volte nel libro – c’è una parte dell’Italia che crede di poter affidare alla cultura la capacità di una svolta antropologica che bisogna mettere in campo e mira a valorizzare non solo i monumenti ma anche le biblioteche, gli archivi, tutti quei luoghi di cui si parla troppo poco e che invece dovrebbero recuperare la storia e il ruolo importante che nel tempo hanno avuto nel nostro Paese.

Nel libro vengono citate le parole di Aldo Moro sulla «capacità creativa» degli italiani.
Leggevo qualche giorno fa gli scritti del periodo in cui Moro predispose l’insegnamento dell’Educazione civica nelle scuole – Aldo Moro insieme con Concetto Marchesi fu l’estensore dell’articolo 9 della Costituzione: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione» – e in cui riconosceva quella grande capacità della cultura di fare politica estera, andando incontro alle grandi sfide globali della sua epoca, che poi sono per altri aspetti le stesse che affrontiamo in questi anni. L’Italia quindi deve essere anche oggi capace di giocare un ruolo importante nel mondo proponendo e sviluppando un modello che sappia partire dalle fondamenta di una forte valorizzazione culturale.

Eppure assistiamo spesso a una dinamica per cui i fondi per la conservazione dei Beni culturali nel nostro Paese si fermano al Nord Italia: a malapena arrivano a Roma, raramente scendono oltre il Centro Italia, nel Meridione.
L’Italia ha pochi fondi per la cultura dappertutto. Nel libro affronto il problema di Taranto, oggi purtroppo di grande attualità. Ricordo gli sforzi per far partire il museo nazionale di Taranto, con un tessuto civico di associazioni che avevano grandi attese proprio nei confronti delle istituzioni, una tensione che sento tutt’oggi. Taranto è una città che ha bisogno di un progetto a lungo termine sia sul fronte culturale ma soprattutto relativo alla politica industriale, problema che riguarda in realtà tutto il Mezzogiorno. Un territorio in cui la popolazione da un lato invecchia e dall’altro assiste a una continua partenza dei giovani dai paesi e ha sempre meno quella energia necessaria a rilanciare il Paese. Sul Mezzogiorno è necessario un discorso corale su più aspetti.

La lettura e tanti settori della cultura oggi passano anche e soprattutto attraverso le piattaforme digitali, con la carta che sta perdendo posizioni a favore di altri supporti. Qual è il ruolo dei social e del digitale nella diffusione delle tematiche culturali in Italia?
Questo è un aspetto importante e bisogna porsi il problema di come utilizzare il mondo digitale in relazione ai contenuti. Quello che sottolineo è che non ci dobbiamo meravigliare dello strumento ma utilizzarlo al meglio, con una attenzione alla certificazione delle fonti. Ed è una capacità questa che stiamo smarrendo in molti settori della comunicazione: il rischio per il prossimo futuro è che i nostri figli studino e si informino su piattaforme digitali – web e social – i cui contenuti non sono certificati. Bisogna fare in modo di certificare ciò che si legge online. Il portale Treccani, per esempio, ha una rubrica chiamata “Una poesia al giorno” ed è visitata da moltissimi utenti. Una delle grandi scommesse del futuro sia a livello di Paese sia di Unione europea, è proprio lavorare per rendere affidabili i contenuti veicolati sul web.

Restando sui temi della lettura, oggi le statistiche dicono che sei italiani su 10 non leggono nemmeno un libro all’anno. Cosa manca? Perché questa disaffezione?
Quello della lettura è un tema importante. Ma mi domando e domando: facciamo abbastanza per far leggere? Stiamo davvero investendo nella scuola? Sento da anni ripetere in continuazione che «bisogna ripartire dalla scuola», ma nella pratica quali reali risorse stiamo dando al corpo dei docenti? Come recita la Costituzione, ai docenti è affidata la formazione dei cittadini del futuro: ma stiamo davvero dando agli insegnanti la dignità e le risorse per fare al meglio il loro mestiere? Queste sono le vere domande e non mi meraviglio se poi gli italiani leggono poco. Bisognerebbe quindi discutere di tutto questo una volta fatti questi investimenti. C’è poi un altro dato: probabilmente sta cambiando anche il modo di leggere. Adesso abbiamo i tablet e gli smartphone che sono supporti utili anche alla lettura. Ma torniamo al problema precedente sulla qualità dei contenuti online.

Nel suo libro riporta una bellissima poesia di Natalia Ginzburg scritta dopo la morte del marito, Leone. Cosa ci insegna quella generazione?
A me colpiscono le parole di Natalia Ginzburg e immagino lo strazio nell’andare a Regina Coeli e trovare Leone massacrato dalla violenza nazifascista. Quella era una generazione che affidava ai libri, alla lettura e alla cultura una nuova forma di opposizione a qualunque privazione di libertà. Era una generazione che aveva coraggio, che difendeva una grande esperienza editoriale come quella dell’Einaudi nella situazione più difficile come la privazione della libertà. Non desistevano, avevano energia, coraggio. Ed è quello di cui oggi ha bisogno questo nostro Paese per affrontare l’attuale momento di difficoltà. L’Italia ha bisogno di quegli esempi. Ovviamente si tratta di due periodi storici molto diversi ma il mio invito alle nuove generazioni è ad avere coraggio – il coraggio delle idee – a difendere le idee e portarle avanti. In fondo ho un approccio molto ottimistico nei confronti del nostro Paese.

Il momento più bello nella sua esperienza da Ministro?
La festa a Carditello, un luogo pieno di simboli e di emozioni. Fu davvero per me una emozione fortissima. Ricordo una signora che mi venne incontro dicendomi «grazie, non solo per aver recuperato la Reggia prima in completo abbandono, ma anche perché finalmente ieri al telegiornale hanno parlato bene della Terra dei Fuochi».

E il più difficile?
Il momento più complicato da affrontare: i giorni delle nomine a Pompei, perché volevo assolutamente premiare il merito, tutelare il valore dello straordinario patrimonio di Pompei; sapevo che avevamo fatto un grande progetto su quel sito archeologico ma bisognava affidarlo a mani esperte. Furono giorni tesi in cui non mi è mai mancato il sostegno di Enrico Letta che conoscevo poco e con cui approfondii il rapporto proprio durante quella esperienza. Fu una fase davvero non facile.

Un’ultima domanda: a chi è rivolto il suo libro?
Il libro mi auguro lo leggano i ragazzi e le ragazze che sono convinto sapranno ridare un ruolo a questo nostro Paese, sperando che possano capire quanto abbiamo creduto in alcuni valori forti che sono scritti nella Costituzione. Ma mi piacerebbe anche che a leggerlo fosse una classe dirigente che deve ritrovare la fiducia in se stessa e capire che non deve stare in un angolo ma venire incontro alle attese del Paese, facilitandone la capacità di fare impresa, di creare forme di solidarietà. Siamo un’Italia per tanti aspetti ricchissima di esperienza ma purtroppo spesso ripiegata su se stessa. Siamo un Paese che deve saper guardare avanti, ripartendo da quello spirito che aveva Leone Ginzburg.

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Il caso dei 2 miliardi bloccati per cultura e turismo

C’è un tesoretto che potrebbe salvare il patrimonio storico di molte piccole comunità d’Italia. Soldi stanziati ma non ancora spesi o neppure programmati. Ritardi burocratici, territori in attesa e poche spiegazioni dal ministro Franceschini: radiografia di un pantano.

Almeno 2 miliardi di euro per cultura e turismo bloccati. Un tesoretto che potrebbe aiutare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico, spesso di piccole comunità. Ma che è finito alla voce “soldi stanziati e non ancora spesi”.

ASSEGNAZIONE CON RENZI E GENTILONI

Si tratta infatti di fondi già assegnati nella precedente legislatura, prima dal governo Renzi e poi da quello presieduto da Paolo Gentiloni, per lavori mai partiti in molti casi. O che, in alcune situazioni, si trovano nella fase iniziale dopo aver superato le procedure burocratiche.

ESEMPI: CAPITALI DELLA CULTURA E INTERVENTI ANTICENDI

Secondo la tabella che Lettera43.it ha visionato, addirittura lo stanziamento di 8 milioni per l’iniziativa Capitali italiane della Cultura risulta assegnato, ossia a disposizione, ma non ancora elaborato per la sua attuazione pratica. Situazione simile si è verificata per il decreto di programmazione straordinaria di fondi risalenti al 2007/2013 per interventi antincendio: si parla di oltre 12 milioni e mezzo assegnati e nemmeno ancora messi in programma.

DIVERSI MILIONI IN ATTESA DI DESTINAZIONE

Del Piano operativo stralcio cultura e turismo 2014-2020, invece, ci sono 231 milioni ancora in attesa di destinazione: dei 740 assegnati infatti ne sono stati programmati solo 509. In altri contesti, per esempio per Matera, lo scenario è lievemente migliore: il totale (per il progetto Capitale della Cultura e per l’intervento su rione Sassi) è di 48 milioni di euro stanziati e in gran parte pianificati.

UN PROBLEMA GENERALE DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Insomma, un quadro complesso per un settore molto delicato. Il ministro dei Beni culturali e del Turismo, Dario Franceschini, ha spiegato: «C’è un problema generale della Pubblica amministrazione italiana che è avere risorse e non avere capacità di spesa adeguate, mentre avremmo un grande bisogno di fare investimenti, di attuarli, sia per le opere sia per i parametri da rispettare che ci richiede l’Unione europea».

MA NELLO SPECIFICO PERCHÉ QUEL PANTANO?

Il titolare del Mibact ha quindi generalizzato la questione. Nel caso specifico, però, ci sono in ballo circa due miliardi di euro per vari interventi e progetti legati al suo ministero. Un insieme di risorse nazionali e comunitarie e per politica di coesione che, stando a quanto riferito in Aula da Italia viva, risulta in gran parte impantanato.

IL CASO È SBARCATO ALLA CAMERA

Il caso è finito così all’attenzione del parlamento. Il deputato di Iv Marco Di Maio ha presentato un’interrogazione alla Camera per avere un chiarimento. Franceschini si è difeso, sostenendo di non aver «trovato riscontro di questa cifra dei 2 miliardi» ed elencando una serie di interventi: «Per il programma operativo “Cultura e sviluppo”, 490 milioni sono stati interamente programmati e in corso d’attuazione, tant’è vero che questo ha consentito, raggiungendo gli obiettivi di target e performance, di riprogrammare 29 milioni. I fondi Fesr e FdR sono 161 progetti, 426 milioni, 22 in fase di gara, 80 cantieri in corso, 28 cantieri conclusi». Tutto bene, quindi? Non proprio. «Ci sono 15 operazioni, per un importo di 314 milioni, che presentano dei ritardi attuativi», ha detto Franceschini nell’Aula di Montecitorio.

MENTRE I TERRITORI RESTANO IN ATTESA

Fatto sta che su quei due miliardi non è arrivata la delucidazione richiesta dall’interrogazione. Il deputato renziano Di Maio ha spiegato a Lettera43.it: «Questi non sono solo numeri, dietro ai fondi fermi ci sono progetti di grande impatto per piccole comunità, per territori che attendono da tempo la riqualificazione del proprio patrimonio, per pezzi di Italia che insieme formano una parte fondamentale della nostra identità nazionale». Insomma «l’investimento in cultura e turismo sarà uno dei vettori che potrà trainare la crescita nei prossimi anni e generare nuove opportunità di occupazione».

FRANCESCHINI HA PROMESSO IL SUO IMPEGNO

Franceschini ha comunque garantito il suo impegno per velocizzare le procedure di svolgimento dei lavori: «Prevedremo un servizio apposito che si occupi di contratti, quindi gare, relativi ai beni culturali, un ufficio apposito che si occupi di monitoraggio costante sullo stato di attuazione delle gare e, contemporaneamente, insisteremo nell’utilizzo, come sono le indicazioni di carattere generale, di Invitalia come stazione appaltante».

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