Viaggio al centro della prossima capitale d’Egitto

Un cantiere colossale nel mezzo del deserto. Dove sorgeranno grattacieli, laghi artificiali e il nuovo fulcro del potere. I lavori, però, arrancano. E le incognite si moltiplicano. Dal problema delle forniture idriche al rischio marginalizzazione del Cairo. Il reportage.

Quattordici secoli prima della nascita di Cristo, il faraone Amenofi IV, ribattezzatosi Akhenaton, impose all’Egitto una rivoluzione religiosa, politica e culturale. Abbandonò il politeismo, istituì il culto monoteista del dio-sole Aton e celebrò la nuova era con la costruzione di una nuova capitale Akhetaton (l’orizzonte del disco solare) che nacque nel giro di pochi anni in una striscia di deserto vergine a oriente del Nilo, a metà strada tra Menfi e Tebe. In Egitto è ancora il tempo dei faraoni. Il presidente Abdel Fattah Al Sisi che guida la nazione dal 2014, quando venne eletto con oltre il 90% dei voti per poi essere riconfermato nel 2018, sta costruendo nel deserto, a 45 chilometri a Est del Cairo, la sua nuova capitale. Il progetto di questa città è stato annunciato dal governo nel marzo 2015, l’obiettivo dichiarato è quello di trasferire nel nuovo centro tutti i ministeri e i palazzi governativi, decongestionando così Il Cairo e creando a tutti gli effetti il nuovo centro direzionale della Repubblica araba d’Egitto.

UN COLOSSALE CANTIERE CHE GUARDA VERSO SUEZ

Oggi la città, ancora senza nome, è un colossale cantiere che si raggiunge viaggiando per circa un’ora su sabbiose autostrade percorse solo da mezzi pesanti. Il risultato dovrebbe essere una moderna metropoli capace di ospitare 6 milioni e mezzo di abitanti, un aeroporto internazionale, 650 chilometri di strade, per un’estensione massima di 750 chilometri quadrati, lontana dal caos dell’attuale capitale che ha raggiunto livelli patologici, e nel contempo sufficientemente vicina al porto di Suez che dista 60 chilometri. Si vuole modernizzare il Paese con un’opera capace di attrarre investimenti, rilanciare l’economia, creare 1 milione e 750 mila posti di lavoro e far sorgere una capitale-simbolo concepita come una smart city. L’obiettivo meno dichiarato è quello di rinforzare il potere, creando una moderna fortezza governativa super sorvegliata, abitata solo da ceti medio-alti, allontanando l’amministrazione, le ambasciate e i centri nevralgici del Paese dalle rivolte di piazza che hanno fatto cadere prima il presidente Hosni Mubarak e poi sgretolato il breve interregno di Mohamed Morsi.

TRA GLI INVESTITORI LA CINA È IN PRIMA FILA

Il lavoro è in carico a un’agenzia per lo sviluppo, la Administrative Capital For Urban Development (Acud) che al 51% è partecipata dall’esercito e per il 49% dal ministero dei Servizi pubblici ed è guidata da Ahmed Zaki Abdeen, un ex generale. Un progetto di queste proporzioni richiede enormi risorse. Gli investimenti complessivi stimati ammontano a 58 miliardi di dollari, di cui 8 stanziati per la prima fase. Si conta soprattutto sul supporto di capitali esteri e sulla vendita di lotti di terreno a società, fondi, banche e istituzioni internazionali. L’Egitto ha preso in prestito fino ad oggi 4,5 miliardi di dollari dalla Cina per varare il progetto di una linea ferroviaria con Il Cairo e per erigere i 21 grattacieli, tra cui il più alto d’Africa, che diventeranno il quartiere degli affari. Non tutto però è andato come nelle previsioni. Nella prima fase del progetto, ha dichiarato ad agosto Ahmed Zaki Abdeen, sono stati venduti 7 chilometri quadrati di terreni, alcuni investitori però si sono ritirati dopo alcune promesse iniziali e le compagnie immobiliari che hanno investito hanno pagato solo un piccolo deposito del 2% rispetto al valore dei lotti.

Nel mezzo del deserto il problema maggiore saranno le forniture idriche

La Acud sta cercando di portare al 20% i depositi e si è deciso di raddoppiare il prezzo dei terreni rispetto all’offerta iniziale. Abdeen si è detto ottimista. Ha dichiarato che la sua agenzia è finanziariamente solida, i traguardi sono stati raggiunti e l’interesse internazionale è testimoniato dalla richiesta di 22 Paesi (tra cui Arabia Saudita e Cina) di acquisire i terreni per costruire le loro ambasciate. Ma l’ambiziosissima tabella di marcia che prevedeva una prima operatività nel giugno 2020 rimane di difficile attuazione. Per ora al confine del deserto spuntano panorami popolati da gru e quartieri fantasma. L’immagine da cartolina promossa dalle agenzie immobiliari è quella di un’oasi da sogno con un parco largo il doppio di Central Park, laghi artificiali, viali alberati, un parco tecnologico, piste ciclabili, un quartiere medico, teatri e musei, 40 mila camere d’albergo, un parco di divertimenti grosso 4 volte più di Disneyland e interi chilometri quadrati di pannelli solari.

La Cattedrale della Natività di Cristo, la più grande chiesa cristiana del mondo arabo

LA MOSCHEA E LA CATTEDRALE, OPERE SIMBOLO DELLA NUOVA CAPITALE

I visitatori oggi possono avere solo un’idea di quello che sarà o dovrebbe essere. Il biglietto da visita, già completato e operativo, è una cittadella protetta come un fortino. Qui sorge un hotel a 5 stelle: un tripudio di marmi e lusso con 270 stanze, 14 ville presidenziali, 60 appartamenti, 90 suites, piscine, spiagge artificiali, nove cinema, ristoranti e la più grande e attrezzata convention hall del Medio Oriente. Sono quasi ultimate poi due opere simbolo della nuova capitale, la moschea Al-Fattah Al-Aleem che sarà il più grande luogo di culto islamico del mondo dopo la Mecca e la Cattedrale della Natività di Cristo, la più grande chiesa cristiana del mondo arabo. Due opere monumentali, ma di grande significato politico per il governo di Al Sisi che ama presentarsi come il custode della libertà religiosa in Egitto.

La nuova capitale rischia di abbandonare al suo destino Il Cairo, una megalopoli di circa 20 milioni di abitanti di cui un quinto vive in povertà assoluta

Non è tutto oro quello che luccica. Nel mezzo del deserto il problema maggiore saranno le forniture idriche. La città per mantenersi e per mantenere parchi e viali alberati avrà bisogno di 650 milioni di litri d’acqua al giorno che dovrebbero provenire in gran parte dagli impianti di desalinizzazione di Ain Sokhna, nel golfo di Suez. La sostenibilità idrica ed energetica di questo progetto, in epoca di cambiamenti climatici, è un pesante azzardo. La disponibilità di acqua media pro capite in Egitto è costantemente in calo, si è passati dai 1.893 metri cubi annui del 1959 ai 700 metri cubi del 2012, ben sotto il livello di 1.000 metri cubi che segnano la soglia di povertà idrica. Inoltre, la nuova capitale rischia di abbandonare al suo destino Il Cairo, una megalopoli di circa 20 milioni di abitanti di cui un quinto vive in povertà assoluta e dove interi quartieri sono privi di energia elettrica e fognature.

L’INCOGNITA DELL’INSTABILITÀ POLITICA

Un’altra incognita è rappresentata dall’instabilità politica del Paese. In attesa di spostare il governo nella “sua” capitale, Al Sisi sta cercando con il pugno di ferro di mantenere l’ordine. Nel settembre scorso in occasione di una manifestazione anti-governativa le autorità, secondo Amnesty International, hanno lanciato la più ampia campagna repressiva dall’avvento dell’attuale presidente che ha portato a oltre 2.300 arresti. Piazza Tahrir, simbolo della primavera araba, è oggi recintata e militarizzata. Quando verrà inaugurata la nuova capitale sarà forse destinata a diventare la periferia di un impero. Per molti il progetto è “too big to fail”, troppo ambizioso e grandioso per poter fallire. Ma il faraone Al Sisi non dovrebbe dimenticarsi di Akhenaton. Morì dopo 17 anni di regno, forse in seguito a una congiura di palazzo. Subì una damnatio memoriae: le sue statue vennero distrutte, i suoi monumenti abbattuti, il suo nome cancellato. Non sopravvisse neppure la capitale Akhetaton, abbandonata alle sabbie del deserto dopo la morte del sovrano.

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