Lo spazio di Lettera43 e il tempo mancato per dire addio a Salvini

Questo giornale è stato un felice azzardo. Ringrazio e saluto, con il rimpianto per un giornale che aveva spazio e futuro. Anche per vedere la fine del leader della Lega.

Non so se oggi è l’ultimo o il penultimo giorno di Lettera43, ma preferisco andar via prima dei padroni di casa. È buona creanza.

In questa casa sono stato bene, ho trovato un direttore, Paolo Madron, molto bravo, di larghe vedute, un vero liberale e una redazione che ho sentito come una grande famiglia. Ringrazio anche la segreteria di redazione, in molti casi veramente amichevole.

IL FELICE AZZARDO

Potrei chiudere qui con questi ringraziamenti rivolti, di cuore, verso persone a cui non ho mai stretto la mano e tanto meno dato o ricevuto un abbraccio. Non c’entra la Covid-19, c’entra la particolarità di questo strumento di comunicazione che descrivono freddo ma non lo è.

Io nel giornalismo ho provato tutte le esperienze, i quotidiani, il settimanale, la radio, qualche comparsata in tv ma il giornalismo online mi si è presentato davanti all’improvviso per merito di Jacopo Tondelli, direttore de Linkiesta. Quando Jacopo, con Massimiliano Gallo, lasciò la sua creatura, andai via anche io per solidarietà e poco dopo ricevetti una bella telefonata di Paolo Madron che mi invitava a scrivere su Lettera43.

Pensai che sarebbe stato un azzardo cambiare, ma è stato un felice azzardo perché Lettera43 si è rivelato un giornale vero, con notizie tempestive, commenti puntuali, interazione con i lettori divertenti, urticanti, sempre utili.

AVREI VOLUTO DARE L’ADDIO A SALVINI

Mi sarebbe piaciuto che questa esperienza fosse durata di più. Avrei voluto scrivere una pagina di addio a Matteo Salvini quando sarà fatto fuori dalla Lega che cercherà di riconquistare uno status di partito serio, di governo, internazionalmente stimato. Mi sarebbe anche piaciuto celebrare anche il ritorno a casa di Luigi Di Maio la cui fragilità e mutevolezza di opinioni mi sembrano leggendarie. Pazienza.

Ho la soddisfazione di aver colto tempestivamente la crisi del governo giallo verde e il lento declino del facinoroso che guida la Lega.

Lettera43 nel panorama dell’informazione ha svolto un ruolo prezioso schierandosi, senza fanatismi, per un’Italia seria, aperta alle riforme, occidentale.

QUEI GIORNALI DIVENTATI MICRO PARTITI

L’equilibrio fra giornalismo di carta e giornalismo online, malgrado la crisi in cui questa testata è precipitata, dice che sul medio periodo sarà la carta a lasciare il passo, non a cedere, ma a lasciare il passo ai giornali in Rete. C’è nell’online e in altri forme di comunicazione tecnologicamente avanzate una rapidità, una interrelazione con i fatti, una immediata percezione del rapporto con chi legge che la carta non ha mai realizzato né potrà mai realizzare. Non solo per ragione del tutto evidenti. La carta arriva dopo, ma anche perché i giornali di carta, ancora preziosissimi, sono in Italia micro-partiti politici. Ogni collega, è un “vizietto” anche mio, crede di essere il miglior leader del proprio schieramento. Cosa che a sinistra è riuscita solo a Ezio Mauro e a Paolo Mieli, mentre il mitico Scalfari, pur essendo un numero uno, non ce l’ha mai fatta.

A destra abbiamo molti replicanti di Vittorio Feltri, inarrivabile. È l’unico collega che cerca di apparire più respingente di quanto sia nella realtà, forse. Però sia la Repubblica di Ezio Mauro, sia il giornalismo tutto intero quando era egemonizzato da Paolo Mieli, sia il giornalismo feltrizzato appartengono a un’era che si sta esaurendo.

LO SPAZIO DI LETTERA43

Nel centro sinistra si vedono le tracce di questa crisi con la vicenda dell’estromissione di Verdelli a favore di un giornalista-senatore come Molinari. A destra non è visibile ancora perchè la pancia della destra e i suoi pensieri ribollono. Ma la destra, se non sceglie la strada della eversione (che non sceglierà), a un certo punto taglia le sue ali, e l’effetto di un mondo pieno di Trump, di Johnson, di Bolsonaro e Orban si rivelerà fragile perché tutti loro danno risposte a problemi che la loro cultura ha creato e perché nessuno di loro, o tutti loro in gruppo, non valgono la furbizia della classe dirigente cinese. E questo, da occidentale, non mi fa piacere.

Lo spazio per Lettera43, come si può capire da queste parole, secondo me c’era. Non l’ha pensata così l’editore. Spero solo che questa conclusione non disperda le qualità umane e intellettuali di una redazione di serie A. Questa sarebbe colpa grave.

Arrivederci a
tutti e grazie.

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Serve un governo e questo non lo è

Basta chiacchiere su migranti, Mes e mascherine. Se Conte non è capace di fare un salto di qualità, deve saltare e lasciare il posto.

L’Italia, sempre ma soprattutto nel tempo del Covid, ha bisogno di un governo. Quali caratteristiche deve avere questo governo? Deve essere innanzitutto autorevole. L’autorevolezza non significa il consenso bulgaro, ma che il governo sappia comandare la macchina dello stato, sappia prendere decisioni tempestive, indichi ai cittadini i comportamenti che in fase di emergenza si possono temere o no, sappia guidare il sistema regionale, dia agli imprenditori prospettive serie in tempi stabiliti, sappia alleviare le sofferenze dei più poveri.

BASTA CON LE CHIACCHIERE

Queste cose le può fare un governo di sinistra o di destra. A scelta vostra, io ovviamente ho la mia scelta. Non è necessario che questo governo abbia applausi o like sui social, l’importante è che faccia. Una volta Cuore fece l’elenco delle correnti del Pci, che ufficialmente non esistevano, e ne indicò una a guida Gerardo Chiaromonte, storico leader riformista, che aveva come nome “Basta con le chiacchiere”. Ecco: basta con le chiacchiere. Con quelle sui migranti, sul Mes, sulle mascherine ecc. ecc.

UNA SITUAZIONE DI PERICOLO, A PARTIRE DA SILVIA ROMANO

Senza un governo con queste caratteristiche diventa difficile anche la cosa più semplice e si discute di stupidaggini ogni giorno che dio manda in terra. I giornali di destra stanno massacrando la povera Silvia creando attorno a lei una situazione di pericolo che merita di essere vigilata. Un governo serio, in via informale, suggerisce alla prefettura di Milano di non perdere tempo nel darle la tutela. Magari il conto lo mandiamo a Feltri.

SULLE MASCHERINE SI MUOVA IL MINISTRO DEGLI INTERNI

Mancano la mascherine? Oppure ci sono nei depositi delle regioni? Il ministro degli Interni scateni l’inferno e trovi le mascherine e se 0,50 non è remunerativo per i farmacisti (e non lo è) si stabilisca un prezzo equo.

Il Mes, basta con le chiacchiere appunto, chissenefrega delle opinioni dei 5 stelle. Più parlano, più l’Italia appare un debitore inaffidabile.

ORGANIZZAZIONI CRIMINALI IN PIENA FASE 3

E poi occhio a quel che succede nel grande mondo della piccola e media distribuzione: usurai, finanziamenti fasulli ad esercizi per riciclare denaro sporco. Anche le organizzazioni criminali sono uscite dal letargo della Fase 1 e sono in piena Fase 3.

Queste
cose ed altre le può fare un governo vero.

Soprattutto una deve fare. Abbiamo sempre saputo qual era la collocazione internazionale dell’Italia. Ora invece c’è chi tira per Putin e chi per la Cina. L’innamoramento cinese è trasversale. Dovremmo essere, invece, europeisti e atlantisti. Invece siamo tornati una Italietta che si è messa sul mercato. Uno squallore prima che un errore.

O CONTE FA IL SALTO DI QUALITÁ O DEVE SALTARE

Questo governo che servirebbe con tutta evidenza non è il governo Conte. Penso che il premier abbia fatto cose che altri suoi sodali giallo verdi non avrebbero mai fatto. Ha avuto alle spalle un partito generoso, il Pd. Ora non basta più. Ora serve un salto di qualità, o lui fa il salto o deve saltare e lasciare il posto a un altro.

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È tutto sulle spalle del Pd. Zingaretti ora dica basta

Il segretario non deve confondere la tradizione di responsabilità del partito con la vocazione al sacrificio. Morire per Crimi o perdere la fiducia degli italiani a causa delle incursioni di Salvini non vale la pena. È il momento di dettare all’alleato M5s le condizioni per proseguire. Altrimenti un bel vaffa si vada al voto.

La cronaca politica quotidiana e soprattutto la sua lettura nel tempo ci dicono che c’è una minoranza politica, un partito di governo e il suo mondo elettorale e no, che portano sulle palle un intero Paese e fanno da sponda a quella parte di Italia che non vuole morire.

La cronaca politica quotidiana e soprattutto la sua lettura nel tempo ci dicono che c’è una minoranza politica, un partito di governo e il suo mondo elettorale e no, che portano sulle palle un intero Paese e fanno da sponda a quella parte di Italia che non vuole morire. Questa parte politica e questo suo elettorato non sono premiati dai sondaggi che, invece, indicano come vi sia una maggioranza favore di chi con la crisi sta giocando e mettendo a rischio la comunità nazionale.

Il partito è il Pd che deve fronteggiare quotidianamente un premier vanesio e scattante su qualsiasi nomina pubblica e un alleato di governo cialtronesco che si muove come una variabile impazzita su tutto lo scacchiere politico-sociale.

ANDREBBE APPLICATA LA “DIPLOMAZIA DEL VAFFA”

Non si capisce perché questo partito responsabile e il suo elettorato debbano farsi carico di una componente così irresponsabile. D’altro canto all’opposizione ci sono due forze di cui una torna a vivere le suggestioni di uno scontro frontale in una guerra senza limiti agli avversari politici, alle istituzioni, alla convivenza civile e un’altra attratta dalle proprie urla nel timore di perdere quel vantaggio che i sondaggi le stanno dando. La domanda è semplice. Fino a che punto è utile che il Pd e la sua gente si facciano carico di questa situazione? Non è arrivato il momento di applicare quella aurea “diplomazia del vaffa”, chiudere baracca e burattini, e fare al Paese un discorso di verità?

LA LEGA E IL DISASTRO LOMBARDO

Il discorso di verità non è lungo, anzi lo è ma è sintetizzabile con esempi lampanti. C’è un partito di opposizione che ha sottratto soldi allo Stato ma che pretende di fare il giustiziere di sprechi altri. Questo partito aveva una classe dirigente periferica fra buona e eccellente. Il giudizio non è cambiato solo se sottraiamo dal calcolo i governanti della principale regione d’Italia, la Lombardia. I dati del Covid-19 ci dicono che il caso italiano non sarebbe così clamoroso se la Lombardia fosse stata guidata da persone serie e non da due incapaci.

IL M5S BLOCCA OGNI INIZIATIVA PER SALVARE IL PAESE

C’è dall’altro canto un inutile partito di governo che ha un leader provvisorio che è più ridicolo di chi l’ha preceduto e che blocca ogni iniziativa tesa a salvare il Paese. La sanatoria per i migranti impegnati in agricoltura, prima di essere un atto di giustizia, è una necessità per l’impresa agricola. La discussione sul Mes è diventata infantile e cialtronesca. La corsa alla prima scena, da parte di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio all’arrivo di Silvia Aisha è stata indecente. Si può continuare e si vedrà che si inanellano episodi di malgoverno, di approssimazione, di cialtroneria dilagante che giustificano una scelta di rottura da parte del Pd o almeno un suo discorso solenne al Paese in cui si denunciano questi avversari e questi alleati e si indicano le condizioni tassative per proseguire. Altrimenti si vada verso il governo del presidente e poi verso il voto.

IL SENSO DI RESPONSABILITÀ NON È VOCAZIONE AL SACRIFICIO

L’esasperazione che corre veloce nelle vene del Paese rischia di essere canalizzata contro chi sta tenendo in piedi la baracca. Il livello morale e di responsabilità delle forze indicate sta tutto negli editoriali di Vittorio Feltri e dei suoi seguaci giornalisti, una versione italiana della setta del reverendo Moon con annesso istinto suicida collettivo. Rischia di arrivare un momento in cui la fragile barriera costituita da un partito debole ma di volenterosi come il Pd crollerà su se stessa. Nicola Zingaretti è stato bravo finora, al netto delle sue titubanze e malgrado la malattia che lo ha per un certo periodo fermato. Tuttavia il leader del Pd non può scambiare la tradizione di responsabilità che “viene da lontano” nella vocazione al sacrificio. Morire per Vito Crimi? Consegnarsi alle contumelie dell’ex compagno di Daniela Santanchè? Perdere la fiducia degli italiani per le incursioni di un ex giovane politicante con il vizio del moijto? Ma dai.

LEGGI ANCHE: Ora salviamo Silvia Romano da Feltri e Sallusti

Anche la storia della liberazione di Silvia si presenta con una discussione demenziale. La domanda vera è se questa liberazione poteva essere ottenuta quando vicepremier era il noto “cazzaro verde” risparmiando sofferenze alla ragazza e se non sono venuti dal leghista input a non darsi troppo da fare per portare la ragazza qui da noi. Troppi moralisti non dicono la verità agli italiani. Io non voglio salire in cattedra, collocazione che non mi appartiene. Vorrei semplicemente suggerire a Zingaretti and company di mettere l’orologio su un giorno e un’ora precisa e arrivato quel momento scatenare l’inferno.

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Ora salviamo Silvia Romano da Feltri e Sallusti

Gli attacchi sui social e i titoli dei giornali salviniani contro la cooperante liberata portano a due considerazioni. La prima è che ci sono italiani con cui non si può prendere neppure il caffè. La seconda è che finché questi energumeni non saranno al governo nel nostro Paese ci sarà ancora speranza

Alcune, in verità forse centinaia, reazioni sui social e i titoli dei giornali salviniani portano a due considerazioni.

La prima è che ci sono concittadini con cui non si può prendere neppure il caffè.

La seconda è che finché si riuscirà ad avere governi, belli o brutti, che non siano guidati da questi energumeni l’Italia sarà sempre il Paese della speranza.

LA CRUDELTÀ DI MEDIA E OPINIONE PUBBLICA

Mi auguro che i genitori, finita la quarantena, portino Silvia Romano lontano. Molti ex rapiti si sono allontanati sia fisicamente sia dai media per non esser sottoposti a un trattamento da parte di una fetta della opinione pubblica che, per crudeltà, assomiglia a quella dei suoi rapitori.
Noi che restiamo e che siamo felici per Silvia e che vogliamo sapere di lei quello che lei avrà voglia di dirci, dovremo convivere con italiani, nostri vicini di casa, nostri concittadini, “nostri” insomma, da cui vorremmo tenerci lontani e che ci fanno schifo.

NON C’È PIÙ LIMITE ALLA SCONCEZZA

Sarà che invecchiando ho un ricordo edulcorato del passato e anche degli scontri politici del passato, mi riferisco a quelli verbali perché gli altri, che spero non tornino, fanno orrore, ho in mente le cosacce che ci dicevamo non solo noi comunisti contro i fascisti e viceversa, ma anche gli improperi che i democristiani ci lanciavano contro essendo essi stessi nel nostro tiro. Il salto di qualità negativo di questa nostra stagione è che non sembra esserci limite alla sconcezza. La gara è a chi la spara più grossa. La cosa non riguarda solo il caso di Silvia. Persino un giornalista relativamente moderato come Stefano Zurlo mette o accetta che sia messo in capo a un suo articolo un titolo in cui si dice che questo governo colpisce gli imprenditori e favorisce i mafiosi.

LA SINISTRA HA SOTTOVALUTATO LA DEGENERAZIONE

Da anni non c’è un limite all’offesa politica e la sinistra giustizialista (quella che si è angosciata per lo scontro Bonafede-Di Matteo) porta una grave responsabilità per aver corroso la vita pubblica con la distruzione sistematica e personale di qualunque avversario, anche dell’ex amico. Si può tornare indietro? No. Ricostruire una nuova umanità è impresa pressoché impossibile a meno che nelle nuove generazioni non nasca un sentimento in cui passioni anche controverse siano unite dalla voglia di convivenza. Le colpe della sinistra, perché la sinistra ha delle colpe, ha sempre delle colpe e preferisco dirle io piuttosto che lasciare questo terreno ad altri, è di aver sottovalutato questa degenerazione che in parte nasceva anche al proprio interno. Non si è aperta una battaglia culturale ad alzo zero contro chi praticava la violenza verbale, si trattasse di Umberto Bossi o del giornalista legato alle procure. Via via questo corso d’acqua si è fatto limaccioso, è diventato impetuoso, ha fatto nascere partiti politici che oggi raccolgono gran parte del voto degli italiani.

SILVIA ORA DEVE DIFENDERSI DA FELTRI, SALLUSTI & CO

Silvia nella sua generosità, nella sua ingenuità in questo mondo è tornata. È sempre un mondo migliore di quello dei suoi rapitori, ma non sarà il mondo della sua serenità. Quella dovrà procurarsela da sé, perché, dopo essersi difesa dai rapitori, ora dovrà difendersi da Vittorio Feltri, Alessandro Sallusti e accoliti.

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Cari ex Pci, su Craxi continuate a sbagliare

Il leader socialista è stato capro espiatorio di un sistema politico. A 20 anni dalla sua morte, bisognerebbe avere il coraggio di riconoscerne la statura.

Ho visto ieri sera
Hammamet di
Gianni Amelio
. Lo davano in due sale dello
stesso cinema, tutte e due piene. È
un gran film, girato con mano leggera da un regista attento e padrone
del suo tempo con attori formidabili, non solo Pierfrancesco
Favino
, eccezionale, non solo Renato
Carpentieri
e Omero
Antoniutti
o il soffertissimo Vincenzo
Balzamo
di Giuseppe
Cederna
, ma anche la formidabile Livia
Rossi
nel ruolo difficile di Stefania
Craxi
.

FUORI DALLA DAMNATIO MEMORIAE

“Un gran bel film” è
una osservazione da spettatore, neppure particolarmente cinefilo che
non può sfuggire, tuttavia, alla valutazione politica del lavoro di
Amelio. Un primo risultato il regista e i produttori Agostino
e Maria Grazia Saccà
l’hanno raggiunto
togliendo il dibattito su Craxi dal
politichese
o peggio ancora dalla damnatio
memoriae
. Quando tanti spettatori vanno
al cinema per vedere un film come questo, non vuol dire solo
ricatturare l’attenzione di vecchi socialisti e di antichi
comunisti, ma tornare a parlare a un pubblico che non ha creduto che
la storia italiana sia cominciata con Beppe
Grillo
e Matteo
Salvini
.

NON RISOLVE IL “CASO CRAXI”

Il film tuttavia non
risolve, né poteva, il “caso Craxi”. È
probabile che chi sia entrato nella sala cinematografica con un
pregiudizio favorevole al leader Psi lo abbia visto confermato. È
credibile che altri abbiano mal digerito l’autodifesa strenua che
Craxi fa di sé e alcuni commenti ascoltati in sala a fine
proiezione fanno pensare che molti anti-craxiani siano rimasti tali.
Tuttavia non credo che Amelio, che non conosco, né Agostino e Maria
Grazia Saccà, che non conosco, volessero con il film dare una svolta
alla lettura della vicenda umana e politica di Bettino Craxi.
Volevano semplicemente raccontare una storia
dura
, complessa, una tragedia
italiana
, con le parole e con il punto di
vista della “vittima”.

hammamet-craxi-2

IL PUNTO DI VISTA DELLA VITTIMA

Perché di questo si
tratta: Hammamet
racconta il punto di vista della vittima. Uso questo termine
deliberatamente perché i vent’anni che ci separano dalla sua morte
restituiscono appieno al leader socialista il ruolo di capro
espiatorio di un sistema politico
e
l’obiettivo di una magistratura che si rivelò, anche in quella
occasione, totalmente priva di umanità. Craxi è un
uomo malato
, che si è rifugiato nella sua
casa tunisina e che combatte perché la sua storia non diventi storia
criminale. Chiama gli altri partiti politici alla comune
responsabilità del finanziamento illegale. È
incazzatissimo con i comunisti o ex che, secondo lui, si sono
avvantaggiati delle azioni di una procura che li aveva risparmiati.
Si ribella ai compagni di partito, c’è un netto riferimento a
Giuliano Amato, che
non lo difendono. Sia Craxi sia Moro, anni prima, hanno la netta
consapevolezza che la loro fine potrebbe travolgere non solo partiti,
non solo il sistema politico, ma modificare le basi stesse della
democrazia. Così è stato. Ma non se ne discute. Il “caso Moro”
viene chiuso nella rassegnazione di una fine inevitabile e nel
dibattito successivo (il solito) su quanto Stato ci sia dietro gli
assassini. Nel “caso Craxi” c’è l’ottusità di chi non vuole
uscire dal circuito mediatico-giudiziario.

LA FINE DEI SOCIALISTI

Lasciamo perdere Moro,
ora. Il “caso Craxi” porta alla luce poche cose molto chiare. I
socialisti dopo la morte del loro capo si sono dispersi
,
molti sono diventati combattivi militanti di destra. Nel loro
orizzonte la storia del Psi inizia e finisce col leader più
discusso, al punto che sono rare i dibattiti sull’intera e
grandiosa storia socialista italiana. Per tantissimi socialisti il
“caso Craxi” è la conferma dell’odio reciproco con i
comunisti. Dall’altra parte abbiamo la cultura, e oggi la classe di
governo, giustizialista che con i “casi Craxi” ha trovato la
legittimazione per creare movimenti politici, per arrivare al governo
del Paese, dando il peggio di sé, come si vede quotidianamente. Nel
mio mondo, quello ex comunista, alcuni hanno fatto sforzi
per restituire a Craxi la dignità del grande capo politico

(dispiace molto che i socialisti e la famiglia Craxi tuttora non
dicano una parola sui tentativi di Massimo
D’Alema
, allora premier, e di molti suoi
“seguaci” di portare Craxi in Italia senza l’offesa della
carcerazione e delle manette). Tuttavia questi ex
comunisti “revisionisti”
hanno parlato
solo a se stessi nel timore che l’anima
antisocialista e anticraxiana
, molto forte
negli ex Pci, potesse ribellarsi.

L’UOMO TORNA AL CENTRO

Il film aiuta invece
questo processo. Aiuta a rimettere al centro l’uomo Craxi e il suo
discorso politico. E aiuta a fare gesti esemplari. Avevo proposto che
un gruppo di ex dirigenti dell’ex Pci si recasse ad Hammamet
nel ventennale anche scontando l’eventuale
immorale presenza di Salvini
. Alcuni
dirigenti socialisti hanno chiesto a Zingaretti
di capeggiare una delegazione del Pd
. Perché
tanto silenzio? Perché accettare quest’ultimo ricatto dei perdenti
della storia, cioè il mondo giustizialista e grillino, e rifiutare
di fare i conti con un uomo, un partito, le sue idee, i suoi errori,
l’orrore di una morte annunciatissima. Perché, mi chiedo, noi che
siamo stati comunisti dobbiamo, vent’anni dopo, farci rinchiudere nel
recinto di una cultura antipolitica
guidata da procure e da giornalisti? Deve emergere un punto di vista
della politica che, sulla base di una seria ricostruzione – attendo
di leggere il libro di Fabio Martini
–, possa avviare una riconciliazione fra
tutte le sinistre
dove non ci siano più
figli di un dio minore, uomini di malaffare, puri senza macchia.

hammamet-craxi

LO SPESSORE UMANO DELLA POLITICA

Il “caso Craxi” non si
chiuderà mai e non si deve chiudere mai. Il film ci parla anche
dello spessore umano che dovrebbe avere la
politica
. Noi stiamo vivendo anni atroci in
cui l’avversario non è solo nemico ma un
“oggetto” che deve essere annichilito
.
Chi ha visto il film capisce quanto dolore si crea, quando dolore si
sparge (quel gruppo di gitanti ad Hammamet che insultano Craxi),
quando ci allontaniamo da una società veramente civile.

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Meloni si rassegni, la destra giornalistica non la ama

Feltri, Giordano e adesso anche Sallusti hanno adottato Salvini. Neppure con il Cav furono così servili. Mentre la leader di Fratelli d’Italia li spaventa.

Vittorio Feltri e gli altri big della destra giornalistica hanno adottato Matteo Salvini. Lo trattano come il pupo di casa, lo difendono con accanimento, ne vantano qualità inesistenti, raccontano di minacce simili al famoso attentato che Maurizio Belpietro disse di aver subito. Neppure con Silvio Berlusconi furono così servili. Anzi, dire “servili” non è giusto, né beneducato, diciamo che neppure con Berlusconi furono così coinvolti. Il Cavaliere era il capo, il padrone, quello che li faceva felici con stipendi da favola e che raccontava storie bellissime come quella sulla nipote di Mubarak.

Feltri & Co si bevvero tutto quel liquido caramelloso perché Berlusconi combatteva la sinistra e anche ora questo gruppo di colleghi, nei giornali di carta e su Rete 4 (tranne Barbara), pur di annichilire la sinistra, è pronto a tutto. Con Salvini, però, è diverso. «È de loro», come dicono a Roma. Racconta palle inverosimili, fa cose scorrettissime che mandano in sollucchero tipini fini come Mario Giordano, dà l’idea che se va al potere a quelli di sinistra gli spacca quella parte del corpo lì dietro.

Obiezione: ma come può accadere che un gruppo di agguerritissimi colleghi che ne ha fatte più di Carlo in Francia si innamori di questo ragazzaccio che ha un’evidente voglia di non fare una mazza per tutta la vita? E ancora: ma come, avete a disposizione Giorgia Meloni, di destra autentica, e inseguite questo burlone che non si sa mai che cosa può dire e con chi può mettersi?

IL CAV PRETENDEVA OBBEDIENZA, SALVINI NO

Il mondo di cui parliamo osannò i giudici di Mani Pulite. Divenne garantista solo quando andò al potere Berlusconi. L’orizzonte è tuttavia rimasto quella roba che chiamiamo l’antipolitica. Nel senso che si sentono tutti come Eugenio Scalfari, hanno l’ambizione di dettare le regole a politici che devono solo obbedire. Uno solo di loro, Vittorio Feltri, può ambire ad essere lo Scalfaretto di destra perché dovunque va trascina con sé lettori. Gli altri seguono l’onda. A Berlusconi dovevi obbedire, anche a Umberto Bossi dovevi obbedire, con Salvini fai quello che ti pare. Ecco il successo del puer birroso.

GIORGIA CRESCE, MA PER LEI NESSUNA FANFARA

Giorgia Meloni, fatevelo dire da uno che sarebbe terrorizzato a vederla premier, a loro fa paura. La giovane donna è combattiva, ragiona con la sua testa, ha alle spalle uno come Guido Crosetto (tanta roba, in ogni senso), è «de destra» per davvero. Questo gruppo di giornalisti, oggi di destra, è stato democristiano, socialista, persino comunista, e in fondo non sopporta quelli di destra veri. Meloni si vede chiaramente che ha una storia, che ha un passato il cui elogio reprime, e soprattutto che comunica emotivamente con il suo elettorato. A mano a mano che il Salvini si affloscerà (lui si ammoscia sempre), la Meloni andrà avanti. I giornali di destra già ne parlano, ma senza entusiasmo, senza suonare la fanfara. Arrivasse davvero una che non si fa mettere i piedi in testa, non dico da Feltri ma da Giordano, da Pietro Senaldi, da Giovanna Maglie e compagnia bella?

GRANDI FIRME STATE ATTENTE, RISCHIATE UN’ALTRA FIGURACCIA

Poi Meloni è donna e con le donne si discute meno bene che con un chiacchierone da bar. Ovviamente il giorno in cui Meloni si avvicinerà a Salvini o lo supererà saranno tutti “meloniani”, con il timore però che una di destra vera può non trovare alleati che la portino alla premiership. Da qui il salvinismo coriaceo che oggi si è fatto più tosto dopo il ritorno in campo di Alessandro Sallusti, che per qualche mese era stato costretto a fare il berlusconiano moderato invece ora può urlare a più non posso. Dateci sotto ragazzi! È il vostro momento. Difendete il vostro bambolotto di pezza. Ma sappiate che dura poco e farete la solita figuraccia. Ricordate il proverbio napoletano: «A chi troppo s’acàla, ‘o culo se vede». «Culo» sapete cos’è, vi devo spiegare «s’acàla»? Non c’è bisogno.

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Bonaccini, solitario y final ma non triste

Ha detto «combatto da solo», presenta risposte già date e quelle pronte per le domande di domani, sa tutto, ha una enorme capacità. Un esempio di leader che risolvei problemi, privo di rabbie personali e concreto, concretissimo. La sinistra lo prenda a modello.

Chissà che pensieri ha al mattino, appena sveglio, Stefano Bonaccini, candidato del Pd (ma non si può dire) per la guida dell’Emilia-Romagna.

Sulle sue spalle, che sembrano molto attrezzate, c’è il destino politico di un Paese, di un governo e di un paio di personaggi della politica che sono arrivati all’ultimo miglio.

Se Bonaccini perde, viene giù tutto. Cade il governo anche se non subito, i cinque stelle vanno per prati, il Pd o si rifonda o si rifonda. Se Bonaccini, invece, vince, Giuseppe Conte può pensare di avere vita più lunga, Luigi Di Maio respira, Nicola Zingaretti apparirà come il salvatore del Pd dopo gli anni di Matteo Renzi, ma soprattutto Matteo Salvini, assediato dalla coriacea Giorgia Meloni, si chiuderà in una birreria e da lì non uscirà più senza che alcuno vada a cercarlo.

LA BATTAGLIA DI BONACCINI CONTRO LA STRANA COPPIA

La battaglia di Bonaccini è stata seria. Non ha voluto compagnia, ha detto «combatto da solo», presenta risposte già date e quelle pronte per le domande di domani, sa tutto, ha una enorme capacità di lavoro e soprattutto ha a che fare con un signore che parla all’Emilia-Romagna come se fosse una trincea di guerra e non una regione pacifica (forse non più pacificata, ma pacifica) e con una signora che visibilmente sa appena dire il proprio nome e cognome.

Mettere insieme due incapaci contro un uomo di qualità e vederli vincere darebbe l’immagine di un Paese che vuole morire

Se questa strana coppia vincerà bisognerà riflettere bene su quanti disastri anche emotivi ha combinato la sinistra in questi decenni. Mettere insieme due incapaci contro un uomo di qualità e vederli vincere darebbe l’immagine di un Paese che vuole morire. E allora muoia. Tuttavia non accadrà.

UN MODELLO DI LEADERSHIP DA IMITARE

Il prode Bonaccini al mattino si sveglia, secondo me, “senza pnzier”, tranne quello di quali cittadini incontrare e di cosa dire. Quello sbevazza e fa casino, quell’altra fa la bella donna in tivù, lui fa l’operaio della politica che monta i pezzi che si sono rotti, fa funzionare la casa, ti fa stare tranquillo. Può perdere? In fondo, lo dico prima di sapere come andrà a finire, il modello di leadership di Bonaccini, ma penso anche a Beppe Sala e a tanti altri – non a Michele Emiliano – dovrebbe essere il modello di sinistra vincente. Cioè leader, uomini o donne, che risolvono i problemi, che sono pieni di umanità, privi di rabbie personali, riconciliati con il mondo e concreti, concretissimi.

Da sinistra, il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, assieme al sindaco di Milano Giuseppe Sala.

Caro Bonaccini, io tifo per Lei (un tempo ti avrei detto tifo per te, ma oggi vale il titolo della canzone di Richy Gianco: «Compagno sì, compagno no, compagno un cazzo» e quindi ti do del Lei), mi faccia questa cortesia di non mollare in queste settimane, non legga i giornali, lasci stare Rete 4 diventata una specie di astanteria di esagitati, tranne Barbara Balombelli, e vada avanti. Quel voto in più che la farà restare alla guida della sua Regione è lì, veda di prenderlo.

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Bonaccini, solitario y final ma non triste

Ha detto «combatto da solo», presenta risposte già date e quelle pronte per le domande di domani, sa tutto, ha una enorme capacità. Un esempio di leader che risolvei problemi, privo di rabbie personali e concreto, concretissimo. La sinistra lo prenda a modello.

Chissà che pensieri ha al mattino, appena sveglio, Stefano Bonaccini, candidato del Pd (ma non si può dire) per la guida dell’Emilia-Romagna.

Sulle sue spalle, che sembrano molto attrezzate, c’è il destino politico di un Paese, di un governo e di un paio di personaggi della politica che sono arrivati all’ultimo miglio.

Se Bonaccini perde, viene giù tutto. Cade il governo anche se non subito, i cinque stelle vanno per prati, il Pd o si rifonda o si rifonda. Se Bonaccini, invece, vince, Giuseppe Conte può pensare di avere vita più lunga, Luigi Di Maio respira, Nicola Zingaretti apparirà come il salvatore del Pd dopo gli anni di Matteo Renzi, ma soprattutto Matteo Salvini, assediato dalla coriacea Giorgia Meloni, si chiuderà in una birreria e da lì non uscirà più senza che alcuno vada a cercarlo.

LA BATTAGLIA DI BONACCINI CONTRO LA STRANA COPPIA

La battaglia di Bonaccini è stata seria. Non ha voluto compagnia, ha detto «combatto da solo», presenta risposte già date e quelle pronte per le domande di domani, sa tutto, ha una enorme capacità di lavoro e soprattutto ha a che fare con un signore che parla all’Emilia-Romagna come se fosse una trincea di guerra e non una regione pacifica (forse non più pacificata, ma pacifica) e con una signora che visibilmente sa appena dire il proprio nome e cognome.

Mettere insieme due incapaci contro un uomo di qualità e vederli vincere darebbe l’immagine di un Paese che vuole morire

Se questa strana coppia vincerà bisognerà riflettere bene su quanti disastri anche emotivi ha combinato la sinistra in questi decenni. Mettere insieme due incapaci contro un uomo di qualità e vederli vincere darebbe l’immagine di un Paese che vuole morire. E allora muoia. Tuttavia non accadrà.

UN MODELLO DI LEADERSHIP DA IMITARE

Il prode Bonaccini al mattino si sveglia, secondo me, “senza pnzier”, tranne quello di quali cittadini incontrare e di cosa dire. Quello sbevazza e fa casino, quell’altra fa la bella donna in tivù, lui fa l’operaio della politica che monta i pezzi che si sono rotti, fa funzionare la casa, ti fa stare tranquillo. Può perdere? In fondo, lo dico prima di sapere come andrà a finire, il modello di leadership di Bonaccini, ma penso anche a Beppe Sala e a tanti altri – non a Michele Emiliano – dovrebbe essere il modello di sinistra vincente. Cioè leader, uomini o donne, che risolvono i problemi, che sono pieni di umanità, privi di rabbie personali, riconciliati con il mondo e concreti, concretissimi.

Da sinistra, il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, assieme al sindaco di Milano Giuseppe Sala.

Caro Bonaccini, io tifo per Lei (un tempo ti avrei detto tifo per te, ma oggi vale il titolo della canzone di Richy Gianco: «Compagno sì, compagno no, compagno un cazzo» e quindi ti do del Lei), mi faccia questa cortesia di non mollare in queste settimane, non legga i giornali, lasci stare Rete 4 diventata una specie di astanteria di esagitati, tranne Barbara Balombelli, e vada avanti. Quel voto in più che la farà restare alla guida della sua Regione è lì, veda di prenderlo.

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L’esercito dei buoni ci salvi dai miserabili trumpismi

Mentre rischiamo una guerra mondiale e l’Australia va in fiamme, in Italia ci si preoccupa di Sanremo. Finché sarà questo il nostro stato d’animo Salvini e Meloni avranno gioco facile. L’unico antidoto è puntare sulle grandi idee, quelle di una sinistra plurale che collabori con i movimenti cattolici.

Ogni notte, sarà così per tanto tempo ancora, un’agenzia lancerà la notizia di una reazione militare iraniana e della risposta americana o viceversa. Ogni notte avremo il timore che chi ha le sorti del mondo nelle mani possa fare la mossa sbagliata, quella che ci porterebbe tutti verso la terza guerra mondiale.

LEGGI ANCHE: La sinistra riparta dalle parole rivoluzionarie di Zuppi

Il fanatismo dei leader religiosi iraniani e l’analogo fanatismo del più pericoloso presidente americano stanno facendo girare sulle nostre teste droni che portano bombe anche là dove possono provocare l’incidente irrecuperabile.

L’APOCALISSE AUSTRALIANA

Cambiamo scenario. La cronaca ci dice che l’incendio che in Australia ha distrutto un territorio pari all’Austria, ha ucciso un miliardo di animali e ora vogliono abbattere 10 mila cammelli perché c’è poca acqua e loro ne bevono troppa.

Nei roghi che stanno distruggendo l’Australia sono morti almeno 1 miliardo di animali.

Rileggete quel numero, voi che postate sui social le foto dei vostri gattini, di piccoli cani, di criceti: un miliardo di animali, alcuni anche rari, che sono stati bruciati vivi nel cuore di uno dei Paesi più ricchi del mondo. Finora nulla è stato fatto per arginare questo disastro, chiunque l’abbia provocato sia il riscaldamento globale sia un centinaio di piromani da chiudere in galera per tutta la loro vita.

GLI ITALIANI INTERESSATI ALLE QUERELLE SANREMESI

A colpire, qui da noi, è la passione che si accende su Rita Pavone e su Rula Jebreal e su altre stupidaggini analoghe che sembra far svanire le ombre dei disastri che riguardano l’intera umanità e, in essa, di noi come singoli. Non guardiamo oltre la nostra tivù o il nostro telefonino. Lo dico in fretta perché non voglio iscrivermi al partito di coloro che disprezzano la modernità, comprese le nuove cattive abitudini.

Rita Pavone durante il programma Rai “Woodstock – Rita Pavone racconta”.

Il tema che ci dovrebbe interessare è come sia potuto accadere che gran parte dell’umanità, soprattutto in Occidente, sia diventata così indifferente. C’è stata in questi giorni una corsa per vedere il film di Checco Zalone. L’altra sera siamo usciti in 50 dopo aver visto quello di Ken Loach e non si è praticamente formato un solo capannello, non c’era niente da dire, quel film bello e terribile ci aveva detto che non avevamo più niente da dire.

COSÌ LA CULTURA EGOSITICA È DIVENTATA CUPA RABBIA

Finché sarà questo il nostro stato d’animo, Matteo Salvini troverà sempre la strada della vittoria e se non vincerà lui vincerà Giorgia Meloni. La campagna contro la solidarietà, il multiculturalismo, l’accettazione dell’altro, il dono di sé hanno fatto prevalere una specifica cultura egoistica che ha perso l’allegria dei primi anni liberisti ed è diventata cupa rabbia contro gli altri, tutti gli altri, anche contro di te elettore di Salvini se scoprirai che un altro elettore di Salvini ti intralcerà la strada. Se l’Emilia-Romagna ci farà il regalo di far vincere il candidato del Pd tireremo un sospiro di sollievo. Salvini si berrà due birrozze e comincerà piano piano a fare i bagagli. Ma la questione di fondo non cambierà.

salvini premier 2020
Matteo Salvini.

L’ANTIDOTO AL TRUMPISMO È FUORI DA UNA LOGICA DI PARTITO

La sinistra e anche il cattolicesimo sociale e democratico assieme con l’anima laica del Paese e con la destra liberale avevano decenni fa in animo di competere per costruire un Paese di Grandi Virtù, non questa miserabile esibizione di trumpismi. Lasciate razzolare Mario Giordano, Maria Giovanna Maglie, Pietro Senaldi e persino Vittorio Feltri. Quello che li potrà distruggere è fuori da una logica di partiti o di partiti associati ed è dentro una cultura in cui ci si occupa dell’altro e si creano correnti di opinioni, movimenti reali, azioni esemplari che, aggiungendosi a chi già è sul campo, rafforzeranno l’esercito dei buoni. Non mi impressionano le parole di questi facinorosi di Rete4. Mi impressiona il fatto che abbiano fatto facilmente breccia in una società sbriciolata. Ecco perché devono tornare le grandi idee, quelle di una sinistra plurale che collabori con grandi movimenti cattolici. Quanti partiti potranno nascere da questa confluenza è del tutto irrilevante. L’importante è che arrivi il messaggio che l’esercito dei buoni, non dei buonisti, è in campo senza ritrosie e senza paure.

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Perché vanno ascoltate le parole rivoluzionarie del cardinal Zuppi

In un’epoca caratterizzata dal furore di irresponsabili, Trump in testa, l’arcivescovo di Bologna propone un nuovo umanesimo. Base per una nuova politica.

Le parole di guerra che leggiamo o ascoltiamo in questi giorni lasciano annichiliti. L’Iran minaccia vendette sanguinose e Donald Trump, autore di questa crisi, parla di risposte militari che investiranno anche i luoghi d’arte, e, temo, di culto, in ogni caso «sproporzionate». Da anni non sentivamo da un leader di un Paese d’Occidente parole tanto infuocate e irresponsabili. Ovviamente Matteo Salvini è d’accordo con lui. In molti di noi si riaffaccia l’anti-americanismo degli anni del Vietnam a cui bisogna resistere perché non possiamo fare a meno dell’America, anche se oggi è piccola cosa, priva di egemonia, ridotta e isterica potenza militare guidata da un uomo senza qualità.

IL MONDO È IN MANO AL FURORE DI IRRESPONSABILI

L’ansia maggiore sta nella sensazione che nessuno di noi possa fare alcunché per proteggere il mondo dal furore di irresponsabili. Ci è capitato di vivere in questa stagione della storia in cui mancano personalità mondiali, a parte papa Francesco, e proliferano mezze calzette con troppo potere. Eppure non è vero che non si possa fare nulla. Non c’è ovviamente un gesto che può fermare questa corsa alla guerra mondiale, quella guerra mondiale «a pezzettini» come la definì il pontefice alcuni anni fa. Viviamo in un Paese che rifiuta di assumere un ruolo di pace e che rischia di essere diretto da uomini di guerra.

BISOGNA CREARE GRANDI MOVIMENTI CONTRO L’ODIO

Eppure noi sappiamo, perché è la storia del mondo che ce lo dice, che lo sviluppo di solidi movimenti di pace, che la rinascita di una opinione pubblica responsabile potranno fare il miracolo se le giovani generazioni ne diventeranno protagoniste. Oggi un movimento di pace non può esser sospettato di parteggiare per una parte contro un’altra. Il mondo non solo non è diviso in due ma la competizione vede contrapposti vecchi imperi, imperi che rinascono, e rinascenti suggestioni imperiali. Oggi scendere in campo ha il vantaggio di apparire ingenui, insospettabili, non strumentalizzabili. Si tratta di creare grandi movimenti contro l’odio. Se le ho capite bene,  anche le Sardine hanno questo come obiettivo, ma serve di più.

LA LEZIONE DEL CARDINALE DI BOLOGNA

Vorrei suggerire a chi mi legge un libro fondamentale scritto dal cardinale di Bologna, con il collega Loreno Fazzini, Matteo Maria Zuppi che su questo tema ci ha donato riflessioni importanti. Il libro non è riassumibile. Ogni frase vale come un suggerimento, come una esperienza di vita di un sacerdote che è stato sulla strada per tanti anni e che per anni con la comunità di Sant’Egidio si è occupato di mettere pace in Paesi come il Mozambico. Scrive monsignor Zuppi: «Per non odiare, ovvero sentirsi veramente amati, è necessario e indispensabile esser credenti, o meglio, cristiani?». Ecco la risposta: «Penso che sia una alleanza tra i credenti, quando prendono sul serio il Vangelo, e quanti non rinunciano alla sfida di restare umani anche in tempi difficili, animi nobili e alti, che per questo non cedono all’odio in nome dell’Umanità stessa».

VERSO UN NUOVO UMANESIMO

È l’idea di un nuovo umanesimo che comprenda tutte le fedi e anche chi non ha fede a illuminare l’ispirazione del cardinale Zuppi e a dargli la suggestione che si possa creare un movimento di pace che sia incentrato sul rifiuto dell’odio. Scrive ancora Zuppi: «Quante vite hanno rovinato l’isolamento dell’io e la schiavitù dell’io. Un’antropologia moderna, che proietta giudizi negativi sugli altri per proteggere se stessi, promette l’infinito e crea una vita dimezzata».

IL MALE DELL’ADORAZIONE DI SÉ

Zuppi affronta anche un tema che fu centrale nella riflessione degli «atei devoti» negli anni ratzingeriani, la critica del relativismo, e dice che «bisogna scoprire il valore positivo di un innovativo relativismo, cioè l’abbandono della assolutizzazione di sé per rendersi disponibili alla relazione…Ma vorrei usare questa parola popolare, relativismo, per cambiarne, prima o poi, il significato. Dobbiamo lottare in tanti modi contro il rischio di una idolatria che ci imprigiona: l’adorazione di sé, come fosse una divinità da servire e alla quale sacrificarsi. E contemporaneamente lottare contro la caduta di senso del limite, perché si fa fatica a contrastare una soggettività per la quale qualunque atto diventa lecito in base al principio della libertà dell’io, senza la considerazione del bene e dei rischi comuni. Relativizzare il sé e aprirci agli altri, non può, invece, che liberarci, sollevarci, calmarci, e orientare le nostre risorse interiori, dando senso al tutta la nostra esistenza. Ci aiuta e ricentrare davvero il nostro sé, il nostro essere».

SOLO L’AMORE PUÒ CONTRASTARE LA PAURA

E poi un concetto fondamentale: «La paura è un segnale che ci rende consapevoli di un pericolo. È una spia importante, un indicatore che occorre prendere in considerazione, e non ignorare per spavalderia, per leggerezza, per presunzione. È importante, quindi, prendere con serietà la paura, ma poi occorre contrastarla con l’unico atteggiamento capace di superarla: l’amore. Se la paura decide per noi diventa rabbia, rivalsa, diffidenza o aggressività. Contrastiamo la paura, invece, anzitutto aprendoci all’amore perché questo genera una forza inaspettata, nuova e creativa, che ci rende capaci di cose grandi».

LA DIFFERENZA SOSTANZIALE TRA BUONO E BUONISTA

Il cardinale ha scritto così un manifesto per il “buonismo”? Zuppi è schietto, e persino eccessivamente franco, come il suo papa e dice: «Buonismo è fermarsi ad una buona azione che serve a te e non a chi sta male, è credere di far pace con la propria coscienza solo per un buon sentimento di attenzione all’altro, come se volere bene non comportasse farsi carico. I cristiani sono i primi a non trovarsi bene nella casa dei buonisti. Il samaritano è buono, non buonista….La compassione che lui vive, e che siamo chiamati a sperimentare anche noi, è quella che si fa carico, fino a cercare di risolvere il problema della persona sofferente….Il buonismo non risolve, si compiace troppo di sé, non si misura con la fatica della ricerca di soluzioni». Il libro di Zuppi (Odierai il prossimo tuo, editore Piemme) è una miniera di pensieri forti qui solo in parte riassunti. Mi interessa solo che chi mi legge, e leggerà il libro, immagini che si può non stare inerti di fronte alle brutture del mondo, ma che si può iniziare la grande rivoluzione contro l’odio. Assumendo il bene degli altri come realizzazione di sé, si può creare la via maestra per un nuovo umanesimo e quindi per una nuova politica.

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Le liti dentro M5s e Italia viva spiegano perché vince la destra

Di Maio contro Paragone da una parte. Romano contro Migliore dall’altra. Baruffe emblematiche, dove nessuno sembra avere una minima idea di dove sia la società reale.

Lo scontro all’arma bianca fra Luigi Di Maio e Gianluigi Paragone, con annesso Alessandro Di Battista, e quello più elegante fra Andrea Romano e Gennaro Migliore sul Foglio attorno all’esaurimento o no di Italia Viva, dice molto sul perché vince Matteo Salvini oggi e domani forse Giorgia Meloni. Sia la lite fra comari nei cinque stelle sia quella fra damerini nel partito di Matteo Renzi si svolgono al di fuori di ogni contesto, anzi neppure presuppongono che vi sia un contesto. Paragone si è messo al centro della scena probabilmente per l’ultima volta. Del resto Feltri (Vittorio) e e Alessandro Sallusti hanno scritto oggi cose terribili e definitive su di lui. Credo che un uomo normale, in anni lontani, leggendo questo pensieri su se stesso di colleghi che l’hanno conosciuto da vicino o li sfiderebbe a duello o si tirerebbe un colpo di pistola. Ma, come raccontano i due direttori nordisti, il dramma di oggi, ma proprio di oggi-oggi, per Paragone è come mettere insieme il pranzo con la cena, stessa preoccupazione che condivide con quell’altro genio disoccupato di Di Battista.

Romano e Migliore si compiacciono invece di venire da esperienze diverse, l’uno riformista filo-blairiano, l’altro vendoliano spinto, per sancire che il loro avvicinamento era stato il segreto (poi tradito) del successo della formazione diretta da un uomo del destino come Renzi che avrebbe vinto la battaglia finale contro il diavolo Massimo D’Alema (Non sta andando così, ndr). La verità è che anche questi due ragazzi sono all’ultimo giro (e la cosa mi dispiace umanamente), perché nessuno dei due mostra di avere una minima idea di dove sia la società reale ma discutono animatamente se bisogna rafforzare il Pd (Romano) o attendere che Renzi torni a gonfiarsi come una rana (Migliore). Veramente surreale. Paragone invece è pronto per un ruolo in un film di Boldi e De Sica, magari con la sua fedele chitarra, una toccata la culo di una straniera, e un breve monologo contro giornalisti, leghisti, sinistra, grillini, parlamentari cioè tutti quelli che lui è stato o avrebbe potuto essere.

LA RICREAZIONE FINIRÀ PER TUTTI

Noi di sinistra ci siamo fatti in questi venti, o forse trenta anni, migliaia di autocritiche tutte giuste e sacrosante, ma tutte ignoravano che questa esibizione delle proprie viscere avveniva di fronte a questi personaggi miserabili. Nella fine tragica fine dei cinque stelle e del renzismo c’è tutta la storia di chi aveva superato la destra e la sinistra, le ideologie, il buonismo, i preti che cantano bella ciao, la buona educazione, la democrazia come fatica quotidiana, la tolleranza, la solidarietà. Li abbiamo presi sul serio, così come oggi ci spaventiamo che arrivino al potere Meloni o Salvini. Ma che volete che succeda? Qualche altro mese di casino, di quello brutto però, poi alla fine la ricreazione finirà per tutti. Non so se ci sarà una soluzione democratica, ma sento aria di forconi contro gli avventurieri di questi anni.

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Una proposta agli ex Pci: il 19 gennaio andiamo ad Hammamet

La comunità socialista sarà in Tunisia per ricordare Bettino Craxi. È l’occasione per fare un gesto forte di riconciliazione. E mettere da parte le divisioni, una volta per tutte.

Tra il 17 e il 19 di gennaio la comunità socialista ricorderà ad Hammamet la morte di Bettino Craxi. Sono passati 20 anni, ma per i socialisti è una ferita aperta e per chi socialista non è stato, addirittura ha avversato Craxi, da tempo è iniziato un tentativo di ricostruirne la vicenda politica dando al leader del Psi meriti che in vita gli furono negati, fino al punto che fu lasciato morire in Tunisia malgrado potesse essere curato, e forse salvato, in Italia. Craxi è uno dei “grandi” della politica italiana. I socialisti non devono aversene a male se questo riconoscimento che si va facendo strada spesso non è accompagnato da una generale adesione alle sue scelte, anzi si accompagna ad una critica di alcune sue scelte. Il tema ancora bruciante è, però, il rapporto fra Craxi e la sua memoria e il vasto mondo, ormai disperso, degli ex comunisti, ovvero, più correttamente, degli ex Pci.

SERVE UN GESTO DI RICONCILIAZIONE

Io credo che sia giunto il tempo che un gruppo di ex comunisti, ovvero di ex Pci, partecipi in questa veste al ricordo di Craxi ad Hammamet. Qualcuno potrebbe andarci da solo oppure coinvolto nelle diverse delegazioni che le diverse famiglie socialiste stanno organizzando. Ma il fatto politico, l’evento che potrebbe avviare la definitiva riconciliazione fra ex Pci e ex Psi (che in parte è già avvenuta nella comune militanza a sinistra di questi anni), sarebbe se la partecipazione alla commemorazione vedesse in prima fila (è un modo di dire, si può stare anche in fondo) un gruppo di ex Pci. Il funerale di Craxi 20 anni fa si fece in Tunisia. La famiglia rifiutò l’offerta del premier Massimo D’Alema del funerale di Stato in Italia, Marco Minniti, sottosegretario di quel governo, e Gavino Angius, capogruppo al senato del partito ex comunista, si recarono in Tunisia. Poi negli anni successivi c’è stato molto silenzio e l’acredine reciproca ha creato nuove ferite. Molti socialisti sono passati a destra sostenendo di farlo in nome di Craxi che a destra, viceversa, non sarebbe mai passato. Anche i figli di Craxi hanno avuto atteggiamenti diversi, intransigente la figlia Stefania, partecipe di una comune esperienza politica Bobo, mio caro amico.

Craxi e il craxismo sono rimasti nell’immaginario collettivo sia come simbolo di un ardito riformismo sia, al contrario, come espressione di una eccessiva prepotenza della politica

Ora vedremo se Gianni Amelio, nel film che dicono sia magistralmente interpretato da Favino, saprà dare l’immagine giusta del leader socialista. C’è tuttavia un punto di fondo che a sinistra si deve comprendere. Non è vero che bisogna “scurdarsi o passato”. I grandi fenomeni popolari o di opinione pubblica restano nella memoria. Craxi e il craxismo sono rimasti nell’immaginario collettivo sia come simbolo di un ardito riformismo sia, al contrario, come espressione di una eccessiva prepotenza della politica. Gli ex Pci, che hanno accettato che si facesse strame della propria storia, dovrebbero assumere come regola di vita intellettuale e politica quella di non lasciar marcire la propria memoria e di non lasciare irrisolte le grandi questioni. Il craxismo è stata la più grande questione che la sinistra abbia avuto davanti a sé in anni cruciali, enfatizzata addirittura dal diverso atteggiamento nel caso del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro.

AD HAMMAMET UNA DELEGAZIONE POST PCI CI DEVE ESSERE

Ad Hammamet una delegazione post Pci ci deve essere. Chi deve organizzarla? Ci sono tanti dirigenti di quel partito che fanno ancora politica o che hanno smesso da poco che possono farsi promotori di questa iniziativa. Può farlo una organizzazione culturale, una assemblea. Io sono nessuno, ma se ci fosse questa iniziativa parteciperei volentieri. Il tema da lanciare è la scelta dell’ unilaterale “riconciliazione” con la figura di Craxi. Tempo fa ho usato un verbo che non è piaciuto perché ho scritto che i comunisti devono “riabilitare” Craxi. Riconosco che fu una espressione infelice il cui senso politico era chiarissimo. Oggi dico ai miei che dobbiamo fare un gesto forte di riconciliazione, che scaverà come una talpa buona, fra le nostre radici: andiamo ad Hammamet, chiunque ci sia, anche se lì ci saranno quelli del cappio. Andiamo ad Hammamet con la famiglia socialista, non guardando alle sue divisioni (le nostre sono persino maggiori) ma pensando che nel futuro questo gesto può produrre unità.

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Ci penserà Salvini a disarcionare Salvini

Per il leader leghista il 2020 è l’anno degli esami. Sarà chiamato a fare opposizione costruttiva o a governare. In entrambi i casi, dovrà dimostrare qualità che non ha.

Quant’è durata quella storia che Matteo Salvini era diventato moderato? Qualche ora, forse qualche giorno. Il leader leghista è tornato in grande spolvero nel suo ruolo di produttore mondiale di odio e di cazzate. Il 2020 lo consacrerà probabilmente come l’uomo che potrebbe guidare l’Italia. Un dispiacere glielo può dare l’Emilia-Romagna e penso che glielo darà. In questo caso la sua carriera avrebbe un rallentamento, non un arresto immediato. Il caso Emilia-Romagna è interessante perché la vittoria di Salvini manderebbe a casa il governo e spingerebbe i cinque stelle nel baratro e il Pd assai vicino al buco nero. La sconfitta di Salvini, invece, avrebbe due conseguenze: primo, ne indebolirebbe gravemente la leadership nella Lega; secondo, darebbe uno slancio ulteriore a Giorgia Meloni che viceversa sarebbe sacrificata nell’ipotesi di vittoria del leghista.

In ogni caso è facile immaginare che il 2020 sarà l’ultimo anno di gloria, e soprattutto di nullafacenza, per Salvini. Sono anni, direi decenni, che è sulla scena nelle sembianze diverse di ragazzo di bottega con Umberto Bossi e Roberto Maroni, di prim’attore negli ultimi mille giorni o poco più. Finora ha dimostrato qualità indiscusse come promotore di movimenti di estrema destra. In verità se fosse sceso in campo Vittorio Feltri lui gli starebbe accanto come un cagnolino. Ma Feltri ama la vita comoda e si è ritagliato questo ruolo di gran inventore di uomini e movimenti di destra, riuscendo a fare cose che a sinistra Eugenio Scalfari ha tentato di fare, non riuscendovi. Voglio dire che lo sdoganamento del cattivismo e la demonizzazione della sinistra hanno aperto un varco nella prateria per la destra italiana. Non hanno fatto tutto da soli, né Salvini né Feltri e altri modesti imitatori del fondatore di Libero. Devono ringraziare i cinque stelle e quel mondo giustizialista che è stata la vera testuggine che ha sfondato le linee di resistenza del pensiero democratico. Devono ringraziare il “mielismo” e quella cultura “né-né” che ha prevalso nel giornalismo italiano. Comunque è andata così. Pazienza.

I DOSSIER? SALVINI NON GUARDA NEMMENO LE FIGURE

Ora Salvini sia nel caso che vinca nella regione più rossa d’Italia sia che perda deve mostrare qualità che non ha, almeno io penso che non abbia. Deve cioè fare o l’oppositore in grado di costruire alleanze stabili (nel caso di sconfitta emiliano-romagnola) o addirittura di governare nel caso di vittoria alle regionali. Salvini non è capace di governare. Persino Luigi Di Maio dà talvolta l’impressione di aver letto qualche dossier, ma Salvini sicuramente non guarda neppure le figure. L’idea che l’uomo di destra di governo debba solo saper attizzare le folle ma non abbia il dovere di saper governare è un pregiudizio di noi di sinistra. La gente di destra che va al governo sa di cosa parla. Ne abbiamo visti tanti, maschi e femmine. Persino il più improbabile leader estremista, penso a Donald Trump, ha una squadra di sbrigafaccende con un indirizzo preciso in testa. Salvini ha nulla in testa.

LE UNICHE IDEE DEL “CAPITANO” VENGONO DAL MERCATO DELL’USATO

Non è un mio pregiudizio propagandistico. Chi come me osserva la politica con ostinata e quotidiana attività (leggendo discorsi, dichiarazioni, interviste, una vera vita di m…da) non ha mai trovato nelle cose di Salvini una idea, tranne quelle che ha raccattato al mercato dell’usato. La mia sorpresa è come faccia tanta gente di destra, abituata a leader con storia e letture, a essersi consegnata a uno sconclusionato figlio del Nord più cialtrone (credevate che ce li avevamo solo noi meridionali?). Comunque sia, quest’anno Salvini darà gli esami. Quelli veri. Dovrà dimostrare di saper stare all’opposizione oppure di essere in grado di governare. In questo secondo caso la sinistra è bene che smetta subito di lamentarsi. Smetta prima di ricominciare a farlo. Salvini al governo durerà poco. La quantità di incidenti istituzionali, internazionali, di piazza sarà talmente alta che alla fine lo butteranno fuori i suoi.

Le sardine non possono portare la gente in piazza ripetutamente senza dare una prospettiva

E nell’attesa? Nell’attesa sappiamo poche cose, ma importanti. Che il Pd non raggiunge il 20%, che Matteo Renzi è bollitissimo, che la magistratura, pur divisa come mai, ha ripreso il sopravvento sulla politica e vedremo arresti e avvisi di garanzia a carrettate. Per fortuna ci sono i movimenti giovanili di massa e, quando tornano in piazza, le donne. Io non so se le “sardine” devono fare un partito, ma credo abbia ragione Massimo Cacciari quando dice loro che non si può portare la gente in piazza ripetutamente senza dare una prospettiva. Se gli toccherà di fare un partito, facciano un partito. Buon anno.

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Difficile essere atei da quando c’è Francesco

Il brutto anno che ci lasciamo alle spalle ha avuto per me una sola luce: la presenza di questo papa buono, ironico, severo, comprensivo.

Ho ascoltato spesso in questo anno che sta finendo papa Francesco in tivù mentre parlava ai fedeli in piazza san Pietro. E mi hanno sempre colpito le sue parole, l’uso del testo dei Vangeli, le parabole che ha citato. Ho letto i suoi libri. Non sono stato né cattolico né di altra fede. Nella mia famiglia non c’era l’abitudine, cosa singolare essendo una piccola famiglia del Sud, di frequentare e far frequentare ai figli la parrocchia. Posso persino dire che alcune pesanti disavventure familiari avevano creato nei miei genitori una certa avversità verso la fede. La mia formazione si è svolta al di fuori di ogni influenza religiosa. Paradossalmente l’impatto più forte l’ho avuto nei miei lunghi anni trascorsi nel Pci quando il tema del rapporto con i cattolici era cruciale. Si passò nel volgere di un paio di decenni dall’apprezzamento di “una sofferta coscienza cattolica” al tempo, erano gli anni di Enrico Berlinguer, in cui i cattolici, non più sofferenti (lo scrivo con evidente ironia verso il togliattismo), divennero nostri compagni e dirigenti.

Tutto questo è avvenuto senza che io mi schiodassi da una freddezza verso ogni fede, a parte una curiosità culturale molto accentuata verso l’ebraismo che mi ha portato a numerosi viaggi in Israele e a intrecciare con amici ebrei rapporti molto forti di grande sintonia. Da quando c’è Francesco sento, però, che qualcosa è mutato. Non ho il linguaggio per esprimere bene, cioè correttamente, quello che sento e che vorrei mettere a confronto con chi mi legge, ma il tema della fede si sta facendo spazio nella mia mente e, se posso dire, nel mio cuore. Ho amato da laico alcuni papi. Oltre alla predilezione per papa Giovanni XXIII, ho provato una ammirazione sconfinata per papa Paolo VI. Degli altri non dico. In quel singolare mese di papato mi colpirono le parole di Albino Luciani, così vicine alla sensibilità anche di chi non credeva.

UN NUOVO APPROCCIO ALLA FEDE

Poi è arrivato dalla fin del mondo Francesco che ha introdotto nel linguaggio pubblico e nella coscienza dei singoli, sicuramente nella mia, una dimensione della fede che mi appare, lo scrivo con approssimazione, non solo capace di mettermi in contatto con il mondo ma anche di trovare in questo contatto le ragioni di una comprensione della persona, del suo destino, della natura che nel passato non era mai appartenuta con tanta intensità. Ho capito, credo di aver capito, che cosa vuol dire il papa e cosa vuole spingerci a fare nella, e della nostra, vita quando chiede di illuminarla con la “misericordia”. Devo anche dire che c’è un filosofo ateo che mi ha molto aiutato, con i suoi testi, a comprendere la profondità del messaggio di fede e persino, più recentemente, del significato mariano: parlo di Massimo Cacciari. Mi direbbe un cattolico di antica data che anche da questo si capisce perché le vie del Signore sono infinite.

Il punto centrale del ragionamento che mi ispira il papa sta nella sua straordinaria umanità, nel suo voler sospingere noi umani su una strada di misericordia e di comprensione

Molti di voi penseranno che scrivo queste cose perché il papa viene descritto come di sinistra, addirittura “comunista”. Non replico a queste sciocchezze. Né l’affetto filiale verso Francesco è cresciuto sentendolo vittima di attacchi pieni di veleno. Giudico, come faccio ogni giorno, la politica sulla base della politica. Mi interessa poco l’uso della religione nella miserabile battaglia elettorale. Il punto centrale del ragionamento, razionale e sentimentale, che mi ispira il papa sta nella sua straordinaria umanità, nel suo voler sospingere noi umani su una strada di misericordia e di comprensione. Parla di un Dio amico delle persone singole e dell’umanità. Perché mi è venuta questa voglia di rendere pubblica questa emozione? Non voglio fare annunci (non ne ho), né sento di potermi definire ancora né credente né cattolico. Ho capito da Francesco che bisogna essere persone trasparenti e che non bisogna aver paura di iniziare a provare un sentimento religioso così intrecciato con l’amore per l’umanità. E questo brutto anno che ci lasciamo alle spalle ha avuto per me una sola luce: la presenza di questo papa buono, ironico, severo, comprensivo. Tutto qui.

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Incredibile che la sinistra tema gente come Borgonzoni, Santelli e Fitto

La candidata leghista in Emilia-Romagna non verrà votata nemmeno da suo padre, quella calabrese è assediata pure dai compagni di Forza Italia, l’ex enfant prodige pugliese sa di minestra riscaldata. Il problema è che dall’altra parte Bonaccini, Callipo ed Emiliano non sono così validi, anzi. Ditelo che volete morire.

I candidati della destra per la presidenza di Emilia-Romagna, Puglia e Calabria sono debolissimi. Lucia Borgonzoni è da anni inconsapevolmente in politica nelle fila di una Lega che, crescendo in voti, le ha dato una popolarità che di suo non sarebbe stata capace di guadagnare. Jole Santelli è stata una vivacissima parlamentare calabrese di Forza Italia, ma mai è riuscita a entrare nella top ten delle gradite del Cavaliere. Raffaele Fitto è un ex enfant prodige pugliese, democristianissimo, poi molto berlusconiano e infine meloniano, autore cioè di una serie di strappi nel suo elettorato che non possono non aver lasciate ferite sul campo. Ma, soprattutto, già presidente della Regione Puglia, mai rimpianto.

UNA SINISTRA NORMALE LI BATTEREBBE TUTTI FACILMENTE

Chi per manifesta inadeguatezza – la Borgonzoni -, chi è assediata dai compagni di partito ostili – la Santelli – chi rappresenta il “rieccolo”, i tre mostrano una destra priva di idee e di personaggi nuovi. Una sinistra normale li batterebbe facilmente. Ma c’è una sinistra normale di fronte a Borgonzoni, Santelli e Fitto?

BONACCINI E QUELLA BATTAGLIA PERSONALE

L’attuale governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini combatte una battaglia che ha voluto far diventare personale togliendo simboli di partito. Dicono che abbia fatto bene, certo non ha sfondato il muro dell’Emilia-Romagna a differenza di tutti, dicesi tutti, i suoi predecessori. È tuttavia, per comune riconoscimento, un buon amministratore anche se resta incomprensibile perché mai stia accadendo, se i sondaggi non ingannano, che viva con grandi patemi d’animo la concorrenza di una candidata che neppure suo padre voterà.

CALLIPO BRAVO IMPRENDITORE, MA DI DESTRA

Pippo Callipo, il candidato di sinistra per la Regione Calabria, non è di sinistra. La sinistra è ormai fuori moda, ce ne occupiamo in pochi appassionati, tuttavia resta tenace, come un segreto di Fatima, per quale ragione la gente di sinistra di una regione disperata debba infine votare per un imprenditore, bravo per carità, che è di destra.

Jole Santelli, candidata del centrodestra in Calabria. (Ansa)

CANDIDARE EMILIANO È DIRE ALLA PUGLIA CHE È CONDANNATA

Fitto è una minestra riscaldata ma, purtroppo, lo è anche Michele Emiliano se sarà lui a vincere le Primarie pugliesi. È singolare come la sinistra non si accorga mai quando è arrivato il momento di cambiare, di mostrare un altro volto. Votare due reperti come Fitto o Emiliano è dire alla Puglia, afflitta dalla Xylella, dal caso Ilva, dallo scandalo bancario della Popolare di Bari, che è condannata.

Silvio Berlusconi con Raffaele Fitto.

NON FACCIAMO RIAVVICINARE SALVINI A PALAZZO CHIGI

Accadrà così che un appuntamento elettorale che avrebbe potuto portare solo delusioni a Matteo Salvini (che a giudicare da certe foto ha ripreso a gonfiarsi di birra), si potrebbe risolvere in un suo successo e quindi nel suo riavvicinamento a Palazzo Chigi per fare i soliti danni. È tutto qui il dramma della sinistra: nascono e muoiono i cinque stelle, Salvini si inventa la Lega nazionalista, Giorgia Meloni va al 10%, oggi addirittura nascono le benedette sardine, ma a sinistra si mettono in campo sempre i soliti o gente che non c’entra niente con la sinistra. E allora ditelo che volete morire!

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Il Gratterismo è la malattia senile del giustizialismo

Il magistrato calabrese Gratteri si lamenta di come i giornali hanno trattato la retata contro la ‘ndrangheta. Ma chi non si inchina e attende l’esito del processo non va demonizzato. Siamo l’unico Paese che affronta il rapporto giudici-politici in modo non sobrio.

Nicola Gratteri è un magistrato calabrese in prima fila contro la ‘ndrangheta. Clamorose sono le sue inchieste e nell’ultima ha portato in galera alcune centinaia di persone offrendo alla pubblica opinione nomi di politici eccellenti che sarebbero collusi. Un minuto dopo ha dedicato il suo tempo a lamentarsi per come i grandi giornali hanno trattato la mega-retata. Nel frattempo è tornata circolare la notizia, in verità una indiscrezione mai accertata, che a suo tempo il presidente Giorgio Napolitano non lo avrebbe voluto come ministro della Giustizia, dove, dice ora Gratteri, avrebbe smontato e rimontato tutto.

FALCONE ERA UN UOMO DI DIRITTO, UNO SCIENZIATO

Io sono rimasto a Giovanni Falcone. Ho letto i suoi libri e le sue interviste e mi restano ancora in mente la qualità di uomo di diritto, un vero scienziato, e la sobrietà del suo modo di intendere il ruolo. Paolo Borsellino diventò più loquace nelle settimane successive all’assassinio del suo amico e compagno (si può dire “compagno” a uno che era di destra?) che ritenne vittima anche di una sottovalutazione dello Stato. Dopo loro due, la magistratura ha avuto moti magistrati bravi, molti “tragediatori” con le mani fra i capelli, molti dalle manette facilissime, alcuni che volevano rovesciare l’Italia come un guanto.

TANTI MAGISTRATI FINITI IN POLITICA

Tanti di loro sono finiti in politica, diventati ministri, presidenti di Regione e sindaci o hanno avuto incarichi apicali in parlamento. Non c’è categoria che non sia sta più premiata dei magistrati, anche se sono numerosi ormai i casi di inchieste fallite che non hanno retto la prova dei processi e persino, prima, del controllo del giudice istruttore.

DI MATTEO E GRATTERI VOGLIONO CHE L’ITALIA SI INCHINI

Eppure il siciliano Nino Di Matteo e il calabrese Gratteri vogliono che l’Italia gli si inchini, qualunque cosa loro dicano e qualunque bizzarra teoria espongano nelle loro indagini. Si crea, dopo le loro parole, una immediata corrente di sostenitori che li elegge a eroi moderni contro i politici, fra i quali vi sono tanti colleghi di Gratteri e di Di Matteo.

MA SI PUÒ NON PARTECIPARE AL CORO CONFORMISTA

La speranza è che lo Stato protegga loro due e tanti altri più di quanto abbia fatto con Falcone, Borsellino e i magistrati eroi silenziosi. Tuttavia chi non sente di partecipare al coro conformista pro Gratteri, attendendo l’esito delle indagini e dello stesso processo, non va demonizzato. Né la deputata calabrese del Partito democratico che critica Gratteri e difende il consorte invischiato nell’inchiesta deve perdere il diritto di parola per lesa “gratterità”. Il dilagare dei magistrati ha portato allo sfascio del sistema politico e all’avanzare di questa orribile destra che oggi è diventata garantista per paura.

SIAMO L’UNICO PAESE SENZA SPIRITO ISTITUZIONALE

Siamo l’unico Paese che non ha sobrietà e spirito istituzionale nell’affrontare il rapporto fra magistratura e politica. In Israele, per fare un solo esempio, sono caduti pezzi grossi e l’opinione pubblica non ha sospettato di protagonismo i magistrati che ne hanno falciato la carriera. In Brasile, invece, un magistrato legato a doppio filo alla presidenza ha mandato in galera ingiustamente Lula, ora scarcerato.

SI DIA UNA CALMATA: PIÙ CARTE E MENO INTERVISTE

Gratteri si dia una calmata. Se ha ragione, l’opinione pubblica se ne convincerà. Prosegua nel suo lavoro, produca carte invece che parole per interviste. Di queste ultime è affollato il sistema mediatico e ormai non le legge più alcuno. Buon Natale a tutti, arrivederci al 27 dicembre.

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Salvini col presepe è un po’ Divino Otelma e un po’ Milingo

Il leghista usa i simboli religiosi come arma di distrazione di massa. Fa già pena così, ma la cosa più ridicola è che la stampa di destra lo considera il nuovo predicatore in chiave anti-papa. Di persone del genere ne ha solo l’Italia nel mondo.

L’uso della religione in politica è una storia antica. Altrettanto antica è la denigrazione della Chiesa e dei suoi rappresentanti. Spesso tutto ciò si è tradotto anche in formidabili battute satiriche. C’era quel manifesto Dc, rivolto ai comunisti pronti a votare, in cui si diceva: «Dio ti vede, Stalin no». Barzellette, anche pesanti, su preti e papi non si contano e la tradizione socialista e anarchica, ben più che quella comunista, offrono migliaia di esempi. Oggi siamo di fronte a un fenomeno nuovo che non fa ridere ma che sarà seppellito, come dicevamo alcuni decenni fa, da una risata.

SEMBRA LA MACCHIETTA DI TROISI E ARENA

C’è un’area politica guidata da uno che si fa chiamare “il Capitano” (e Francesco Totti ritarda nel querelarlo!!!) che fa dei simboli religiosi la sua arma di distrazione di massa. Matteo Salvini si presenta con i rosari in mano, invoca la Madonna e altri santi, sembra la macchietta di Massimo Troisi e Lello Arena che si contendevano l’intercessione di San Gennaro.

SCENEGGIATA NAPOLETANA CON GESÙ BAMBINO

L’ultima trovata è stata presentarsi con un piccolo presepe, con evidente allusione al fatto che Gesù bambino è lui. Le vecchie volpi del giornalismo di destra, invece di farsi una risata, enfatizzano questo nuovo predicatore, questo Milingo del Nord. Alcuni analisti pensano che questa sceneggiata, in questo caso di può dire «napoletana», sia in grado di rendere più vicino e simile ai suoi potenziali elettori un ragazzo attempato altrimenti noto per le sue gran bevute. Anche se pochi dei suoi elettori hanno in mano il rosario, invocano la Madonna ogni due minuti, e tanto meno girano con un presepe in mano, Salvini lo fa per dire: «Sono uno di voi». Fin qui sono fatti suoi.

LA DESTRA INONDA FRANCESCO DI INFAMIE

Il dato più drammatico, e per tanti aspetti più clamorosamente ridicolo, è che attorno a Salvini è cresciuta una genìa di commentatori-commentatrici che ormai ha come attività quotidiana quello di spiegare al papa come si fa il papa. Fra Libero e La Verità gli anti-papa sono ormai decine, ai quali si è aggiunta a dar man forte la papessa Maria Giovanna Maglie. Per tutti loro il papa non fa il papa, anzi – sostiene un commentatore sudaticcio – non è un papa. Un giorno, quando tutta questa storia sarà finita, bisognerà scrivere un libro raccogliendo le “coglionerie” di questi anti-papa che inondano di infamie Francesco suggestionati da cardinaloni a cui Francesco sta togliendo potere.

Papa Francesco. (Ansa)

GIORNALISTI CHE SPERANO IN UN PAPA IN STILE SANTANCHÈ

Solo nei regimi dittatoriali o che aspirano al potere dittatoriale esiste e si sviluppa questa sostituzione dei laici anti-papa al papa vero. Per fare un esempio che piacerà agli anti-comunisti, ricordo di aver vistato, con un certo orrore, in Urss una ex chiesa trasformata in museo dell’ateismo. L’uso bellico dei preti, anche se molti si ribellarono, fu una caratteristica del fascismo. Salvini e i suoi giornalisti stanno cercando di spodestare il papa, di partecipare anzitempo al conclave, immaginando un papa che pensi come Daniela Santanchè.

NEL PRESEPE DEL CAPITANO CI SARÀ MIRRA O BIRRA?

Poi vi chiedete per quale ragione io pensi che questa gente è arrivata all’ultimo giro. Forse vinceranno una campagna elettorale, ma poco dopo, birra più birra meno, si cappotteranno in parcheggio. Immagino che nel presepe di Salvini ci siano solo personaggetti rigorosamente bianchi, che mirra stia per birra, che il piccolo bambino sia nato cristiano e non ebreo. Immagino i giorni in cui vestito come il Divino Otelma, abito che indossa quotidianamente anche a Maria Giovanna Maglie, Salvini girerà per quei pesi della Calabria abituati a portare le statue di fronte alle case di gente di rispetto.

SIAMO UNA RIDICOLA ATTRAZIONE TURISTICA

Sento però che un inizio di risata inizia a percepirsi. Questa religiosità delle destra italiana non ha somiglianze al mondo. Di cretini così, che si credono il papa, ne abbiamo solo noi. Potrebbe diventare una attrazione turistica mostrare politici che sono un po’ Otelma un po’ Milingo.

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Perché la schietta Meloni ha futuro e il soggettone Salvini no

La leader di Fratelli d’Italia, premiata dai sondaggi, va di moda. A destra appare come il ritorno alla normalità, la realizzazione del sogno di Fini. E si giova dei difetti del “ragazzo della birreria” che se non parla di immigrati è muto.

Giorgia Meloni comincia a essere di moda da quando i sondaggi la premiano. Massimo Gramellini sul Corriere della Sera la elogia per le cose dette sulla madre nigeriana di Sondrio, Fausto Bertinotti la giudica molto bene, e si potrebbero citare altri entusiasti ammiratori. Il suo successo è parallelo all’insuccesso crescente di Matteo Salvini, uomo di molti voti virtuali che sta diventando antipatico come Matteo Renzi. In Meloni, nel suo avanzare nelle simpatie popolari, confluiscono più elementi.

UNA DESTRA TOSTA, FRANCA E BRUTALE

In primo luogo non dobbiamo mai dimenticare che questo Paese ha una forte componente di destra popolare, o forse, come diceva il mio amico Massimo D’Alema per richiamare alla realtà i sognatori di sinistra, «è un Paese di destra». Una destra tostissima, nostalgica al punto giusto ma non di quelle che si fanno incastrare nelle celebrazioni del passato, che parla con una franchezza che sfiora la brutalità.

TROPPI DIFETTI EVIDENTI DI SALVINI

In verità oggi Meloni si giova degli evidenti difetti di Salvini e del fatto che quel “soggettone” leghista se non parla di immigrati è praticamente muto. Tuttavia c’è dell’altro nel successo di Meloni, oltre il riemergere di una destra di tradizione e la sua migliore immagine rispetto a quella di Salvini. La Meloni appare, a destra, come il ritorno alla normalità.

GLI ITALIANI SONO STANCHI DELLE BIZZARRIE

Cerco di spiegarmi meglio. Gli italiani sono stanchi di tutto questo ambaradan culminato nelle bizzarrie del Movimento 5 stelle e nel furore xenofobo leghista. Anche chi detesta la sinistra con tutte le proprie forze, e in Italia sono milioni di persone, cerca strade maestre e non scorciatoie inconcludenti. Dal lato opposto questo vociare razzista e con toni da guerra civile ha risvegliato le coscienze. Mi dispiace per i detrattori delle sardine che speravano di battere la destra con la vecchia lotta di classe, ma, come è sempre avvenuto nella storia, la prima fase della rivoluzione è “democratica”.

INTANTO I BUONI STANNO PROVANDO A RIBELLARSI

Le sardine, come si può leggere bene nella lettera che hanno inviato a la Repubblica, sono uno straordinario movimento civico che incrocia e contrasta lo spirito bellico di questi anni. I “buoni” si sono ribellati e hanno scoperto che la piazza non è naturaliter di destra. È probabile che in un tempo medio tutto ciò porterà a una formazione politica originale in grado di competere elettoralmente con la destra. Per ora non è così.

GIORGIA CORONA IL SOGNO DI FINI

Giorgia Meloni rappresenta l’inveramento del sogno di Gianfranco Fini. L’uomo lo abbiamo tutti dimenticato, ma ebbe un momento di celebrità che minacciò la popolarità di Silvio Berlusconi e questo segnò il suo destino. L’Italia di destra si fidava di più di questo ragazzo attempato in doppio petto, che parlava come un liberal ma che aveva solidi radici di destra. Fini era forse un po’ troppo un punto di compromesso fra passato e futuro della destra. Meloni, invece, ha talmente segnato su se stessa la sua natura di destra che non corre il rischio di apparire una che sta facendo mutare pelle al suo popolo.

PIÙ SOLIDA DEL LINGUAGGIO IMBROGLIONE SALVINIANO

La caratteristica che sembrava nuocerle, la sua romanità, anzi il suo essere donna di un quartiere bellissimo come la Garbatella, le ha dato il carattere di schiettezza che è cosa più solida del linguaggio imbroglione di Salvini.

ANCHE SE I GIORNALI NORDISTI STANNO ANCORA CON MATTEO

I giornali di destra non si sono accorti ancora di lei. Sono ancora tutti presi dal ragazzo della birreria anche perché i direttori di quei giornali sono nordisti nel profondo dell’anima. E poi Salvini sembra uno che i direttori di questi giornali possono manipolare mentre la “destra” Meloni non è gestibile.

ALLA LEGA RESTANO LE BUFFONATE DI MARIO GIORDANO

Sta di fatto che l’avanzare della Meloni è uno dei tanti segnali che la ricreazione sta finendo. Per i cinque stelle è finita tant’è che Beppe Grillo predica la buona educazione e un asse comune con la sinistra. La Lega di Salvini, che ha capito anzitempo gli umori neri del suo popolo, ora crede alle buffonate (intese come esibizioni clownesche) di Mario Giordano. Dura minga.

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Perché la schietta Meloni ha futuro e il soggettone Salvini no

La leader di Fratelli d’Italia, premiata dai sondaggi, va di moda. A destra appare come il ritorno alla normalità, la realizzazione del sogno di Fini. E si giova dei difetti del “ragazzo della birreria” che se non parla di immigrati è muto.

Giorgia Meloni comincia a essere di moda da quando i sondaggi la premiano. Massimo Gramellini sul Corriere della Sera la elogia per le cose dette sulla madre nigeriana di Sondrio, Fausto Bertinotti la giudica molto bene, e si potrebbero citare altri entusiasti ammiratori. Il suo successo è parallelo all’insuccesso crescente di Matteo Salvini, uomo di molti voti virtuali che sta diventando antipatico come Matteo Renzi. In Meloni, nel suo avanzare nelle simpatie popolari, confluiscono più elementi.

UNA DESTRA TOSTA, FRANCA E BRUTALE

In primo luogo non dobbiamo mai dimenticare che questo Paese ha una forte componente di destra popolare, o forse, come diceva il mio amico Massimo D’Alema per richiamare alla realtà i sognatori di sinistra, «è un Paese di destra». Una destra tostissima, nostalgica al punto giusto ma non di quelle che si fanno incastrare nelle celebrazioni del passato, che parla con una franchezza che sfiora la brutalità.

TROPPI DIFETTI EVIDENTI DI SALVINI

In verità oggi Meloni si giova degli evidenti difetti di Salvini e del fatto che quel “soggettone” leghista se non parla di immigrati è praticamente muto. Tuttavia c’è dell’altro nel successo di Meloni, oltre il riemergere di una destra di tradizione e la sua migliore immagine rispetto a quella di Salvini. La Meloni appare, a destra, come il ritorno alla normalità.

GLI ITALIANI SONO STANCHI DELLE BIZZARRIE

Cerco di spiegarmi meglio. Gli italiani sono stanchi di tutto questo ambaradan culminato nelle bizzarrie del Movimento 5 stelle e nel furore xenofobo leghista. Anche chi detesta la sinistra con tutte le proprie forze, e in Italia sono milioni di persone, cerca strade maestre e non scorciatoie inconcludenti. Dal lato opposto questo vociare razzista e con toni da guerra civile ha risvegliato le coscienze. Mi dispiace per i detrattori delle sardine che speravano di battere la destra con la vecchia lotta di classe, ma, come è sempre avvenuto nella storia, la prima fase della rivoluzione è “democratica”.

INTANTO I BUONI STANNO PROVANDO A RIBELLARSI

Le sardine, come si può leggere bene nella lettera che hanno inviato a la Repubblica, sono uno straordinario movimento civico che incrocia e contrasta lo spirito bellico di questi anni. I “buoni” si sono ribellati e hanno scoperto che la piazza non è naturaliter di destra. È probabile che in un tempo medio tutto ciò porterà a una formazione politica originale in grado di competere elettoralmente con la destra. Per ora non è così.

GIORGIA CORONA IL SOGNO DI FINI

Giorgia Meloni rappresenta l’inveramento del sogno di Gianfranco Fini. L’uomo lo abbiamo tutti dimenticato, ma ebbe un momento di celebrità che minacciò la popolarità di Silvio Berlusconi e questo segnò il suo destino. L’Italia di destra si fidava di più di questo ragazzo attempato in doppio petto, che parlava come un liberal ma che aveva solidi radici di destra. Fini era forse un po’ troppo un punto di compromesso fra passato e futuro della destra. Meloni, invece, ha talmente segnato su se stessa la sua natura di destra che non corre il rischio di apparire una che sta facendo mutare pelle al suo popolo.

PIÙ SOLIDA DEL LINGUAGGIO IMBROGLIONE SALVINIANO

La caratteristica che sembrava nuocerle, la sua romanità, anzi il suo essere donna di un quartiere bellissimo come la Garbatella, le ha dato il carattere di schiettezza che è cosa più solida del linguaggio imbroglione di Salvini.

ANCHE SE I GIORNALI NORDISTI STANNO ANCORA CON MATTEO

I giornali di destra non si sono accorti ancora di lei. Sono ancora tutti presi dal ragazzo della birreria anche perché i direttori di quei giornali sono nordisti nel profondo dell’anima. E poi Salvini sembra uno che i direttori di questi giornali possono manipolare mentre la “destra” Meloni non è gestibile.

ALLA LEGA RESTANO LE BUFFONATE DI MARIO GIORDANO

Sta di fatto che l’avanzare della Meloni è uno dei tanti segnali che la ricreazione sta finendo. Per i cinque stelle è finita tant’è che Beppe Grillo predica la buona educazione e un asse comune con la sinistra. La Lega di Salvini, che ha capito anzitempo gli umori neri del suo popolo, ora crede alle buffonate (intese come esibizioni clownesche) di Mario Giordano. Dura minga.

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Così gli italiani si stanno scocciando del fannullone Salvini

La Lega scende nei sondaggi. Perché la gente si è accorta che l’ex ministro non sa niente, non studia e a parte viaggiare, bere e occupare le tivù non fa altro. Di Maio in confronto è uno stacanovista. Sotto quelle felpe manca la voglia di lavorare.

La Lega ha iniziato a scendere nei sondaggi sotto il 30%. Poca roba ancora, ma è un segnale. Per tutta risposta il leader del partito Matteo Salvini continua imperterrito a occupare le tivù sotto lo sguardo ancillare dei conduttori, prevalentemente Mediaset, che giocando a tombola con lui o facendo altre idiozie cercano di farlo apparire umano per far dimenticare la faccia feroce, e un po’ brilla, dell’estate 2019.

RIEQUILIBRIO A DESTRA A FAVORE DELLA MELONI

Come da tempo segnalato, e da me previsto, scusate la vanteria, Giorgia Meloni invece continua poco per volta a salire nelle intenzioni di voto. Non siamo alle viste di un rapido capovolgimento di fronte nel campo sovranista, ma a un riequilibrio.

SOTTO L’IMITAZIONE MUSSOLINIANA DI SALVINI NON C’È NULLA

Le due destre si faranno concorrenza, ma finora non è chiaro su che cosa. Su un punto, invece, la differenza appare evidente e sfavorevole a Salvini. Per una volta ha ragione Marco Travaglio: anche la pubblica opinione di destra comincia a capire che il pericolo Salvini non è la sua banale imitazione mussoliniana, ma il fatto che niente sa, niente studia e soprattutto, a parte viaggiare, bere e andare in televisione, non ha proprio voglia di fare alcunché. Siamo arrivati al punto che Luigi Di Maio appare una stacanovista di fronte al figlio del Nord che chiacchiera-chiacchiera.

ANCHE CHI CERCA L’UOMO FORTE SI STA STUFANDO

La Bestia salviniana ha avuto idee perverse ma geniali: la principale è stata quella di mettere Salvini in mezzo al popolo, facendogli indossare felpe d’occasione e innalzare cartelli ridicoli in cui tutto veniva prima di tutto. Molti italiani rincoglioniti, soprattutto al Sud, gli sono andati dietro. Ma anche quella tipologia di italiano meridionale che cerca l’uomo forte soprattutto se protegge e dà da mangiare, si sta scocciando di fronte a un signore che non lavora. Perché anche il politico più dissipatore di denaro pubblico, a un certo punto, deve lavorare.

ZERO LAVORO, SOLO PENOSE SCENETTE CON MARIO GIORDANO

Salvini invece pensa che una penosa scenetta con Mario Giordano porti molti voti. Quello che i leader – che salgono e poi inesorabilmente iniziano a scendere fino a rotolare – non capiscono è che la società della comunicazione in cui si sono infilati non è un artifizio tecnico, non è neppure la lettura disincantata degli umori peggiori degli italiani peggiori, è anche e soprattutto dare una risposta a problemi attraverso una leadership che lavori. Salvini capisce la parola “lavorare”?

perché matteo salvini non lavora
Matteo Salvini ospite della trasmissione di Rete 4 Fuori dal coro condotta da Mario Giordano.

LA SILENZIOSA LAMORGESE FA PASSI DA GIGANTE

Dopo un anno di urla contro i poveracci raggiungendo zero risultati, mentre la silenziosa Luciana Lamorgese ha fatto passi da gigante, dopo mesi in cui Salvini si è intrattenuto sull’economia scappando dal governo quando ha temuto di dover aumentare l’Iva, alcuni italiani, siamo ancora a pochi decimali, hanno cominciato a capire che sotto quella felpa c’è niente.

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Luciana Lamorgese, successore di Salvini al Viminale.

COMPRERESTE UN’AUTO USATA DAL CAPITANO?

Il segreto di Salvini è convincere la parte di quel 30% che vorrebbe scappare che la guerra civile che ha promesso si farà e che la vincerà lui. Intanto è costretto a chiedere la tregua nell’indifferenza generalizzata. Abbiamo così un leader che sulla carta ha molti voti, ma da cui nessuno comprerebbe un’auto usata.

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