L’apertura al Mes di Giorgetti e gli altri ‘incidenti’ della maggioranza
Il ministero dell’Economia che dà un parere positivo alla ratifica del Mes, fumo negli occhi per i sovranisti nostrani al potere. La maggioranza che va sotto in commissione e non solo non riesce ad approvare un parere sul decreto Lavoro ma si fa beccare a copiare gli emendamenti dell’opposizione facendo arrabbiare pure la parte di minoranza più dialogante. Un caos in cui evidentemente a nulla è servito il richiamo del ministero dei Rapporti con il Parlamento su presenze in commissione e ordine nella presentazione degli emendamenti.
L’apertura alla ratifica del Mes da parte del Mef gela Meloni e Salvini
Che la giornata di mercoledì sarebbe stata quantomeno convulsa si era capito fin dal mattino. Alle 8.30 in commissione Esteri alla Camera era arrivato un parere del Mef sulla ratifica del Mes. «Per quanto riguarda gli effetti diretti sulle grandezze di finanza pubblica, dalla ratifica del suddetto accordo non discendono nuovi o maggiori oneri rispetto a quelli autorizzati in occasione della ratifica del trattato istitutivo del meccanismo europeo di stabilità del 2012», si legge in una lettera inviata dal capo di gabinetto del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Quindi, «non si rinvengono nell’accordo modifiche tali da far presumere un peggioramento del rischio legato a suddetta istituzione». Una bomba sulla maggioranza e sulla premier Giorgia Meloni, visto che sul ‘no’ alla ratifica Lega e Fratelli d’Italia hanno costruito parte della campagna elettorale che li ha portati al governo. La risposta è buttare la palla in calcio d’angolo, prendere tempo, lasciando spazio all’esecutivo di provare a modificare il Meccanismo, cercando di mantenere in stand by la proposta di legge delle opposizioni.
Maggioranza sotto in commissione Lavoro: dito puntato sugli assenti forzisti
Ma i motivi di tensione non finiscono qui. Alcuni giornali infatti si accorgono che è stato tagliato il Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro. In base a un decreto ministeriale del Lavoro si fissa il risarcimento massimo a 14.500 euro, 8 mila euro in meno rispetto ai 22.400 dell’anno scorso. Ridotto anche l’indennizzo minimo, da 6 mila a 4 mila euro. Maggioranza e governo si mettono alla ricerca delle risorse per evitare un taglio difficile da giustificare in un Paese dove le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Inail entro aprile sono state 187.324 (-26,4 per cento rispetto ad aprile 2022), 264 delle quali con esito mortale (+1,1 per cento). I soldi spuntano fuori ma durante un passaggio tecnico in commissione Bilancio al Senato sul decreto Lavoro mancano due senatori di Forza Italia e la maggioranza non riesce ad approvare il parere necessario per far passare alcuni emendamenti, compreso il rifinanziamento del Fondo vittime. Gli assenti? Dario Damiani e Claudio Lotito. Partono le illazioni. Qualche senatore – ovviamente sotto anonimato – giura di aver visto Damiani festeggiare il proprio compleanno al ristorante (e in effetti ieri era proprio il compleanno dell’azzurro pugliese), mentre altri mettono il dito in piaghe un po’ più profonde. Lotito sta spingendo per ottenere norme più stringenti per contrastare la pirateria degli abbonamenti tv per seguire il calcio. Ma non starebbe trovando sponda in maggioranza. Da qui, la vendetta. Con qualche cronista che origlia dalla bocca di Lotito: «È solo l’antipasto…». Lotito, come si legge in qualche retroscena, sarebbe anche finito nel mirino di Antonio Tajani, proprio per il suo attivismo parlamentare non concordato (dallo spalma debiti per le società sportive all’allungamento dei diritti tv sempre per lo sport). «Sono quello con più presenze in assoluto. Non ho mai saltato una commissione da quando sono stato eletto, non sono mai arrivato in ritardo. Sono il primo ad arrivare al Senato e sono l’ultimo ad uscire. Praticamente lo chiudo Palazzo Madama…», si è difeso il presidente della Lazio parlando all’Adnkronos, declassando l’incidente a semplice contrattempo. Ma sul banco degli imputati finisce anche il presidente della commissione Bilancio, Nicola Calandrini, di Fratelli d’Italia. I colleghi di coalizione lo accusano di aver proceduto al voto senza rendersi conto che mancavano alcuni senatori. Qualcuno bisbiglia che avrebbe dovuto trovare un escamotage, prendendo tempo.
Marattin e le accuse di plagio al governo
Ma la giornata è ancora lunga. Si passa alla delega fiscale. Il governo nei giorni scorsi ha presentato una serie di emendamenti. Uno di questi prevede una stretta sulla cannabis legale. L’obiettivo era quello di introdurre «un regime di tassazione delle parti della canapa coltivata suscettibili di essere utilizzate come succedanei dei prodotti da fumo ovvero da inalazione», assimilando la cannabis light ai prodotti da fumo. Era previsto anche uno stop alla pubblicità e alla vendita ai minori. Tutto liscio? No, lo stesso governo ha fatto sparire l’emendamento dal tavolo. Non solo. Il senatore di Italia viva, Luigi Marattin, su Twitter accusa la maggioranza di ‘copiare’ gli emendamenti di Iv e Azione. «In tanti anni di storia parlamentare della Repubblica, a memoria d’uomo è la prima volta che capita», ha scritto. Aggiungendo un post scriptum: «Per i non-addetti ai lavori. Quello che è successo è che pur di non dare soddisfazione all’opposizione di approvare un loro emendamento, la maggioranza fa un copia e incolla e lo presenta come suo. Tecnicamente si chiama plagio». Pur di intestarsi qualche bandierina strappandola all’opposizione, la maggioranza rischia di inimicarsi le anime più dialoganti. Una strategia poco lungimirante visto l’alto rischio di incidente parlamentare.
Quello a sinistra è un emendamento alla delega fiscale presentato un mese fa dal gruppo @ItaliaViva+@Azione_it: riguarda l’abolizione del meccanismo saldo-acconto per i lavoratori autonomi. Che il governo e la maggioranza potrebbero approvare, se condiviso.
Quello a destra è… pic.twitter.com/1zbvvwH0HE
— Luigi Marattin (@marattin) June 20, 2023